lunedì 28 dicembre 2015

Lode ai compagni morti
















LODE AI COMPAGNI MORTI
MENTRE ACCAREZZO I LORO VOLTI NELLA MIA MENTE.
ASCOLTO LA MUSICA DEGLI INTI ILLIMANI
CHE“PICCHIO” CERCAVA DI SUONARE CON IL SUO FLAUTO:
-“ RUN RUN SE FUE PA’L NORTE”.
AMICO E COMPAGNO FEDELE………..
SCHIVO, SEMPLICE E PULITO COME L’ACQUA DI UN RUSCELLO DI MONTAGNA.
IL PRIMO AD ANDARSENE COME MIMMO.
MIMMO CON LA FACCIA DA INDIO , UGUALE IDENTICO AL PROFESSORE B……………..


ARGUTO E FURBO COME UNA VOLPE,
MA CAPACE DI SLANCI E DI AFFETTO COME POCHI.
E POI MARCELLO, VIA IMPROVVISAMENTE….
COME UNO SQUARCIO NEL BUIO,
PRESTO ! TROPPO PRESTO!
SENZA AVER POTUTO PARLARE ,SENZA ESSERCI PIU’ VISTI,
SENZA POTER CHIARIRE PIU NIENTE DI NIENTE .

E GLI ALTRI ? …………….DOVE SONO GLI ALTRI?
ERAVAMO STATI INSIEME IN MILLE ASSEMBLEE A SOGNARE LA NS VITA .
RIUSCENDO A RIDERE DI TUTTO ED AMARE TUTTO .

DA TROPPO TEMPO ORMAI OGNUNO E…………’LONTANO
LODE AI MORTI E ALLA NS GIOVENTU


sabato 26 dicembre 2015

E anche quest'anno è Natale



 Gli alberi del mio giardino hanno perso le foglie
 E la sera, quando esco con il mio cane,
 Fa freddo e sento il bisogno di coprirmi con la cuffia di lana.
 Ho comprato un abete rosso
 Che si è già piazzato prepotente nella stanza
 In attesa del decoro.
Io ascolto la mia musica preferita,
Seduto sulla dondolo, e Vi penso.
 Vorrei  fermarVi al volo, come in una foto,
 ed osservarvi nella vita di ogni giorno.
Guardare attentamente il vostro volto,
e coglierne l'espressione e il turbamento.
 Ognuno perso nei suoi pensieri ,
Ognuno diretto verso le sue mete.
Sfoglio lentamente le vostre pagine
Nel mio cuore augurandovi Buon Natale


Pagine Maltesi- Il racconto completo

                                              PAGINE MALTESI

 





I PREPARATIVI


Avevamo sognato a lungo quel viaggio e cercato di pensare a   tutto quello che potesse essere necessario.
 Innanzi tutto: le ragazze. A questo era servita   la decisione d’iniziare a fare corrispondenza, per diventare amici di penna, con il maggior numero possibile. L’intenzione era di poterle successivamente incontrare proprio durante il nostro primo viaggio. Scartate quelle che scrivevano in inglese e da posti troppo lontani, cominciai a rispondere a delle ragazze francesi, spagnole e maltesi.  
Era l’inizio dell’ultimo anno del Liceo. Quell’anno, avevamo gli esami di maturità e saremmo stati interrogati sul programma di tutti e cinque anni. Non volevo neanche pensarci!
Alfio, l’amico d’infanzia con cui avevamo deciso di partire dopo gli esami, era in un’altra classe. Con lui avevamo a lungo chiacchierato di questo progetto durante le vacanze estive precedenti, quando il solleone si prendeva gioco di noi ed il principale divertimento consisteva nell’ingaggiare interminabili partite di pallone o tamburelli nella stradina che costeggiava il suo condominio. Fortunatamente, era una strada senza sbocco e le uniche automobili che passavano erano quelle dei condomini che venivano a parcheggiare. La strada era diventata così il nostro personale campo giochi frequentato dai ragazzi del condominio e da me, che venivo con l‘autobus a trovarli. Io abitavo nel centro della città, dove non si poteva più giocare in strada, e appena possibile venivo a casa di Alfio. Eravamo amici e compagni di scuola fin dalla quarta elementare e sia i suoi genitori, sia il fratello, più piccolo di qualche anno, mi consideravano di famiglia.
Avevamo sempre giocato, da anni, al pallone o a tamburelli in quella stradina con incontri interminabili che finivano solo per generale sfinimento dei partecipanti, per le urla dei genitori che ci ricordavano i compiti da fare per l’indomani o perché si stava facendo tardi ed era l’ora di tornare a casa per la cena. A quel punto, stanchi, ma soddisfatti, andavamo a bere l’acqua che usciva lateralmente, a filo, dai lati di una vasca fontana condominiale. Salutavo tutti, mentre con Alfio continuavamo a chiacchierare fino alla fermata dell’autobus per tornare a casa.
 Avevo un’altro amico e compagno di classe con cui studiavo quell’ultimo anno; ma, con lui giocavamo a pallavolo, sport di cui eravamo appassionati.
Quell’estate, con i ragazzi più grandi avevamo preso l’abitudine di giocare anche qualche volta a carte a casa di Alfio. Per lo più a briscola o scopone. Durante quelle partite, si cominciò a parlare del viaggio dopo la maturità. Franco disse subito che quell’anno sarebbe andato in montagna con i suoi.
Con gli altri si affrontò il problema del possibile costo del viaggio. Alfio ed io c’eravamo informati sul fatto che fra il costo del traghetto, l’ostello/pensione e le spese di mantenimento dovevamo considerare una spesa di almeno 20.000 lire la settimana, oltre al costo del viaggio. Avevamo risparmiato per anni sulle paghette mensili erogate dai nostri genitori ed eravamo pronti; ma, gli altri, a sentire quelle cifre, rabbrividirono. Piero disse di poter disporre di sole 5.000 lire, oltre le spese di viaggio. Pensate che posso farcela a stare almeno una settimana? Piero, è inutile prenderti in giro, risposi, non puoi partire con sole 5.000 lire. Devi chiedere qualcosa ai tuoi. Siete pazzi? –rispose-quelli non vogliono neanche che io parta da solo. Non se ne parla nemmeno.
Col passare del tempo divenne chiaro che a partire saremmo stati in due: io e Alfio.
Forse era anche meglio perché ci conoscevamo da sempre e ci consideravamo come fratelli.
Quell’anno avevamo gli esami di maturità.
 Il Liceo stava veramente finendo e, con questo, un’intera stagione di amicizie, amori, sentimenti. Una vita passata sempre insieme, nella classe per la maggior parte della giornata. Poi, di corsa verso casa, per pranzare e quindi i lunghi pomeriggi di studio passati da soli o insieme a qualche amico, parlando delle compagne di classe o di come conoscere nuove ragazze.
A volte ci s’innamorava e improvvisamente si spariva dal gruppo suscitando i commenti ironici e sanzionatori degli altri. Allora, non pensavi ad altro che di sentirla al telefono o di cercare di vederla. Eri felice, ma quando l’amore finiva, il mondo ti crollava addosso e soffrivi come un cane. Poi, il tempo ti aiutava a riprenderti e, senza sapere come, ti ritrovavi di nuovo vivo.
Adesso non facevo più atletica, di cui ero stato appassionato. Andavo bene nella corsa veloce e nel salto in lungo, qualche anno prima, avevo vinto i campionati, nella categoria fino ai sedici anni, del mio Liceo. Con grande orgoglio avevo ricevuto la tuta nera e verde, con il nome del Liceo, con cui ero andato ad allenarmi qualche pomeriggio allo stadio. Poi, i miei genitori non mi avevano permesso di partecipare ai campionati interstudenteschi ed avevo lasciato perdere.
Uscivo da una classica delusione d’amore adolescenziale e, quell’anno, avevo deciso di pensare solo a studiare, cercare di capire quali erano i miei interessi e quale attività lavorativa mi sarebbe piaciuta.
Fino a qualche anno prima, avevo pensato di fare il medico; ma poi, avevo deciso di lasciar perdere. Gli studi erano troppo lunghi ed io volevo al più presto essere indipendente ed andare a vivere da solo. Volevo guadagnare e fare a modo mio, senza che nessuno mi dicesse cosa fare.
Quell’anno frequentavo con Alfio la GS-FUCI, che s’ispirava all’esperienza milanese di quella che poi sarebbe diventata Comunione e Liberazione. A quel tempo, ci stavamo tutti dentro ed ancora non si parlava di politica, ma d’impegno sociale. Era anche un ambiente dove speravamo di conoscere delle ragazze in gamba. C’era, in ogni modo, una forte tensione per il cambiamento. Ci sentivamo stretti in una gabbia organizzata da cui volevamo uscire per vivere la nostra vita, a modo nostro.Volevamo amare ed essere amati. La cultura beat aveva invaso i nostri cuori. Ascoltavamo i cantautori impegnati, ma anche i gruppi rock e non disdegnavamo le semplici canzonette. Cominciavamo a discutere del senso della nostra vita e della società che ci circondava. Odiavamo l’ipocrisia, che ci sembrava essere ovunque, e le continue proibizioni. Alcuni amici avevano deciso di andare a studiare fuori: Due compagni di classe volevano andare a studiare psicologia a Lovanio, in Belgio. D’altra parte, in Italia non c’era neanche la Facoltà. Io avrei voluto fare Sociologia e sarei voluto andare a Trento; ma, i miei si opposero con decisione. Dopo, venni a conoscenza che la Facoltà di Scienze Politiche, presente anche a Catania, dopo un biennio propedeutico uguale per tutti, avrebbe istituito degli indirizzi di studio con specializzazioni diverse, fra cui anche l’indirizzo sociologico. Decisi che mi sarei iscritto a quella Facoltà, una volta superati gli esami. Avevamo un gran fervore intellettuale. Leggevamo di tutto e avevamo discussioni infinite sui massimi sistemi. Quando possibile, andavamo anche alla Biblioteca Universitaria, per approfondire argomenti di nostro interesse. Io ero tendenzialmente con una mentalità autoritaria e conservatrice; ma, mi scontrai a fondo con un mio compagno di classe che, invece, era uno studioso appassionato dell’esistenzialismo di Sartre e del pensiero socialista. Pian piano, mi ritrovai a guardare con un occhio più critico un po’ tutto e pormi tante domande a cui non sapevo rispondere. Quest’inquietudine veniva riportata anche sugli studi, in famiglia, nella stessa GS cattolica che frequentavo ed ero sempre meno disposto ad accettare   qualunque tesi mi fosse presentata senza prima metterla completamente in discussione. Nel frattempo, continuavo a scrivere alle ragazze organizzando il futuro viaggio dell’estate. Sia Io che Alfio trovammo interesse in due ragazze maltesi simpatiche e disponibili. Ci diedero tante informazioni su Malta, sulle sue spiagge, sulle cose da vedere e da fare. Alfio cominciò ad affezionarsi alla sua amica e decidemmo che Malta poteva essere la metà giusta per quell’estate. Ci dicevano che la vita costava poco e che forse ci poteva essere la possibilità di essere ospitati presso la casa di una zia della ragazza di Alfio.
La scuola continuava ma il mondo studentesco era in subbuglio. Era da qualche tempo che negli USA i ragazzi dell’università contestavano la società americana, Era sorto un importante movimento per i diritti civili guidato da Martin Luther King e un grande movimento pacifista e alternativo di rifiuto della guerra in Vietnam. Sentivamo parlare del libero amore, mentre, da noi, il sesso era ancora un argomento di cui si parlava solo in privato e con gli amici più fidati. I rapporti prematrimoniali erano un peccato, diceva la Chiesa Cattolica, e le ragazze erano molto sensibili a queste raccomandazioni. A maggio, in Francia, scoppia la rivolta studentesca. I giornali ne sono pieni ed il Movimento studentesco arriva anche in Italia, diffuso inconsapevolmente dalla televisione. Ricordo una trasmissione in cui vennero intervistati i principali leaders del Movimento Studentesco delle varie sedi universitarie. C’era Bassetti , c’erano Viale e Bobbio a Torino, c’era mi sembra Boato da Trento e forse Scalzone e Piperno da Roma. Forse anche Sofri della Normale di Pisa. Il movimento era ancora circoscritto alle università; ma, dopo qualche giorno, il Preside del mio Liceo decise di tenere un’assemblea proprio sul tema della contestazione giovanile, forse con l’obiettivo di prevenire possibili esplosioni improvvise. Il risultato fu, invece, di diffondere anche fra di noi l’interesse per quello che stava accadendo. Intervennero esponenti universitari legati al movimento anarchico e della sinistra e ci furono primi ed inaspettati episodi di contestazione nei confronti di professori e dello stesso Preside.
Eravamo ormai arrivati quasi alla fine della scuola ed io decisi di farmi crescere la barba come segno evidente di adesione alla protesta giovanile. Nel mio immaginario erano tre gli elementi distintivi del personaggio che volevo essere: la barba, un’immancabile sciarpa al collo a quadri scozzesi, l’eskimo.Considerato ch’eravamo alle soglie dell’estate mi accontentai di farmi crescere la barba rimandando sciarpa ed eskimo all’università.
 Non mi piaceva la barba intera e decisi di farmene crescere una alla Lincoln, senza baffi, che m’incorniciava il volto.
Fumavo raramente e la prima esperienza dell’aspirazione del fumo nei polmoni era stata un disastro. Ero quasi svenuto, nella mia stanzetta piena di fumo, tra la preoccupazione e la successiva ira dei genitori.
Per darmi un atteggiamento, avevo scelto di fumare la pipa e ,pertanto, camminavo completo di armamentario vario di filtri, aggeggi per pulire e pressare il tabacco ed una pipa molto bella. color marrone scuro a forma ricurva.  Da vecchio marinaio.
Il tempo degli esami era vicino ed anch’io non potevo mancare all’appuntamento con un classico di quei tempi: la nottata di studio. Avevo un ammezzato, ai piani superiori, con una piccola finestrella ed una scaletta di legno che portava alla terrazza che copriva l’appartamento. La utilizzavamo come ripostiglio e qualche volta anche come studio di disegno e di pittura. Sia io che mia sorella eravamo appassionati di pittura, forse per imitare mio padre che, da giovane, per hobby si divertiva a dipingere. Era abbastanza bravo. Preferiva dipingere ad acquarello e ad inchiostro di china; ma, la sua opera più bella era, per me, un piatto bianco su cui aveva dipinto una piccola barca a vela: Era stato realizzato affumicando il piatto con una candela e realizzando il disegno per sottrazione del nero fumo. La fiamma della candela aveva leggermente bruciato una parte del piatto lasciandogli un colore giallastro che ben si accoppiava con la scena realizzata, simulando il colore di una luna o di un sole al tramonto. Tutti noi figli avevamo il desiderio di provare ad imitarlo ed ognuno di noi si divertiva a dipingere. Io avevo scelto di dipingere ad olio su tela: Mi piacevano moltissimo i colori ed i soggetti dei quadri di Gauguin, Van Gogh ed altri. Amavo proprio la materialità del colore. Mi piacevano moltissimo le sfumature del cielo al tramonto ed avevo realizzato un piccolo quadro, che avevo regalato qualche anno prima ad una ragazza. Raffigurava un cavallo, la cui sagoma scura ed indistinta si stagliava all’interno di un rosso tramonto.
Quell’ammezzato era perfetto per la “ nottata” di studio prima degli esami. Misi un tavolo pieghevole e delle sedie. Chiesi a mia madre di prepararci una frittata di patate per cena ed invitai due miei compagni di scuola, con cui studiavo in quel periodo. C’erano anche due brandine pieghevoli in caso di stanchezza improvvisa ed irrinunciabile. In realtà, provammo all’inizio a studiare ma, dopo aver assaggiato la frittata, inevitabilmente cominciammo a chiacchierare dei nostri desideri, delle paure ed emozioni che riempivano il cuore e la mente. Il tempo passò così inesorabile ed in qualche modo fra qualche piccola dormita, un po’ di studio e molte discussioni spuntò l’alba. A quel punto salimmo la scaletta che ci portava in terrazza per ammirare meglio il sorgere del nuovo giorno ed i nostri pensieri volarono alti ognuno verso il proprio mondo lontano. 
Gli scritti non mi erano andati bene, specialmente la matematica. Non so perché, ero tanto convinto di saper svolgere bene il compito da rifiutare ripetutamente offerte di aiuto da parte dei compagni vicini. Alla fine, invece, mi ritrovai impelagato in una confusione da cui non seppi più uscire e che poi seppi essere stata premiata con un voto fra il quattro ed il cinque.
Arrivò così la data degli orali. Temevo che la mia barba nuova fiammante, in tempi di contestazione studentesca, mi avrebbe reso la vita più difficile, ma non m’importava. Non m’importava neanche se non fossi riuscito a superare gli esami di maturità.
 Andasse come doveva andare! Avevo voglia di cambiare, di andare oltre quell’esperienza e di lasciarmi tutto alle spalle: delusioni amorose, studi, gli stessi compagni ed amici della scuola mi stavano stretti. Volevo andare oltre ed essere libero e quella era una cosa che, pensavo, dipendeva solo da me. Non avrei più permesso a nessuno di fermare il mio cammino e le mie scelte. 
Mi chiamarono per gli orali. La commissione era schierata: Il presidente era un uomo anziano, calvo, con gli occhiali e con degli occhi attenti e vivaci. Accanto a lui stavano gli altri insegnanti della commissione ed i membri interni.  La mia barba lo incuriosì e cominciò a chiedermi perché l’avessi fatta crescere. Da lì, passammo a parlare di filosofia, poi di storia, italiano ecc ecc. e devo dire che fu una discussione ampia ed approfondita. Uno scambio d’idee profondo all’interno del quale venivo interrogato sulle varie materie, con qualche riferimento anche agli anni precedenti. Quello, infatti, era l’ultimo anno in cui agli esami di maturità venivano portati i programmi di tutti e cinque anni. In ultimo, si parlarono e mi fecero presente che vi era stato un problema nello scritto di matematica. Fui, così, oggetto di una verifica delle mie conoscenze nella materia. Dopo, mi spiegarono che il superamento degli esami non era in discussione, ma che l’intoppo in matematica scritta   avrebbe rovinato la media della votazione complessiva. Alla fine, ebbi comunque la media del sette e fui felice perché, all’epoca, dava la possibilità della parziale esenzione dalle tasse universitarie.
In quel periodo, durante gli esami, avevamo familiarizzato con i ragazzi della Quinta A. In particolare avevo parlato con alcuni di loro della Facoltà di Scienze Politiche, dove volevo iscrivermi. In generale avevamo anche parlato delle posizioni progressiste che si stavano affermando nel mondo studentesco. Un giorno, ci ritrovammo così a discutere del nostro futuro seduti ad un tavolo di un bar, all’aperto sotto il grattacielo, nella piazzetta antistante, con una scalinata ai lati di una fontana moderna. Sopra, vi era un piazzale ideato come area pattinaggio che in realtà era stata utilizzato sempre per improvvisate partite di calcio fra studenti.
Carlo era il più quadrato di tutti, Da sempre iscritto alla giovanile del PCI, era appassionato di storia e desiderava iscriversi a Scienze Politiche perché, ancora in quell’anno, i maturati del Liceo Scientifico non potevano iscriversi né a Lettere né a Storia e Filosofia. Era stato recentemente modificato il percorso di studi di Scienze politiche   con un biennio propedeutico e successivamente degli indirizzi che permettevano a molti noi di trovare lo sbocco desiderato. In particolare vi erano cinque indirizzi: internazionale, giuridico, economico, storico e sociologico.
In questo modo, ognuno di noi avrebbe potuto seguire i propri interessi: Carlo lo storico, Giovanni il giuridico ed io il sociologico.

Io, Carlo e Giovanni, assaporando le nostre granite di mandorla, la mia macchiata al caffè, parlavamo del futuro. L’impegno, gli studi, le ragazze. Io raccontai che ad agosto avrei fatto il mio primo viaggio. Dove vai? A Malta-risposi-. E che ci vai a fare?_ - mi chiesero-. Ci aspettano delle ragazze che abbiamo conosciuto per corrispondenza-risposi-poi, il mare è bello e ci sono spiagge stupende.
Divertiti, mi dissero. Nel frattempo vuoi venire ad una festa che dà la mia ragazza?-Mi chiese Giovanni- Certo che vengo, ti pare che mi faccio pregare?- risposi-
Festeggia il suo compleanno e ci saranno le sue compagne di classe e la sorella di due anni più piccola, che è molto carina.- aggiunse Giovanni.- Sarà il 20 luglio e così dopo parti più contento.
Non pensare di perdermi di vista fino al 20 luglio!- dissi io- A proposito, mi dicono che suoni bene la chitarra. E’ difficile imparare?
Ma no! Dipende da quanto sei tonto!-ammicco Giovanni. Allora, è un problema- risposi io, ridendo.
Così ci mettemmo d’accordo ed andai a trovarlo a casa sua per le prime lezioni.Era la prima volta che vedevo una casa che sembrava una libreria. Tutta la mia famiglia era formata da accaniti lettori. Casa nostra era piena di libri, ma pensavo di essere un’eccezione. La casa di Giovanni era ancora più caratterizzata dalla presenza di libri. Librerie piene fino al tetto e con molti testi antichi. Mi raccontò che avevano portato a casa loro anche i libri del nonno, dopo la sua scomparsa. Era anche lui un grande appassionato di letteratura. Dopo la mia attenzione fu catturata dalla magica chitarra di Giovanni e dalle sue dita che scorrevano veloci sulle corde. Era una chitarra ritmica-mi spiegò-adattissima per le canzoni folk e la musica leggera. Cominciai con il classico giro del Do: do maggiore-la minore—fa maggiore-sol settima. Con questo puoi accompagnare un sacco di canzoni-mi disse Giovanni- ma ti devi esercitare ogni giorno e quindi devi comprare una chitarra. Non la prendere né troppo buona, né troppo scarsa, perché, quando avrai cominciato ad imparare bene, ti piacerà avere tra le mani una chitarra decente. Una troppo buona costa molto e sarebbe sprecata con te.
Lo ringraziai e da quel giorno cominciai ad esercitarmi con la chitarra nuova, appena comprata, seguendo i suoi consigli. Ci vedevamo ed in seguito m’insegnò il giro di minore semplice: la minore-re minore-mi settima ed altro ancora. Così cominciai a strimpellare felice per ore, chiuso nella mia stanzetta, il ragazzo della via Gluck di Celentano, Sapore di sale, di Gino Paoli, Tous les garcons et les filles di F.Hardy ed altre ancora. Nel frattempo con Alfio preparavamo il viaggio con interminabili telefonate. Le ragazze ci avevano detto che una delle località più belle e frequentate dai giovani era St. Paul’s Bay. Bisognava ormai rapidamente procedere alla prenotazione dell’alberghetto dove andare almeno per i primi giorni, per poi vedere sul posto dove era meglio stare. C’era anche la possibilità dell’ospitalità di una zia di una delle ragazze; ma, questo si sarebbe visto dopo. La cosa più importante era anche fare i biglietti di andata e ritorno con la nave che partiva da Siracusa e ,dopo una notte di viaggio, arrivava a Malta, La Valletta.
Ci recammo così, insieme, in un’agenzia turistica. Prenotammo l’alberghetto a St. Paul’s Bay per cinque giorni e, con i biglietti del passaggio nave in tasca, ritornammo trionfanti a casa. Avevamo preso due cuccette, per dormire sulla nave, nel viaggio di andata; mentre, il ritorno era previsto di giorno ed era stato sufficiente il solo biglietto.
Scrivemmo alle ragazze che era tutto a posto e che saremmo partiti il tre di agosto per rientrare a casa dopo quindici giorni.
Il tempo passò in fretta e senza che me ne accorgessi arrivò il giorno della festa. Mi misi una polo, un paio di jeans, i miei mocassini preferiti e mi diresse verso casa della ragazza di Giovanni.
Andai a piedi perché non avevo la patente di guida e dopo qualche chilometro arrivai all’indirizzo della ragazza. A quei tempi, le feste iniziavano presto perché la maggior parte dei ragazzi e delle ragazze dovevano tornare a casa prima della mezzanotte, come cenerentola. Molti, come me, poi erano a piedi e bisognava calcolare anche il tempo per il ritorno che, tuttavia, era più veloce, perché andavamo quasi sempre di corsa. Insomma, le ragazze andavano via per le undici massimo, accompagnate dai ragazzi o riprese dagli scocciati genitori, poco contenti di quell’incombenza serale. Per questo motivo, le feste (rigorosamente in casa, con il giradischi o meglio il mangiadischi in funzione, grazie ai dischi portati da tutti i partecipanti e possibilmente, sempre con le luci centrali della stanza da ballo accese, per permettere alle ispezioni improvvise dei genitori di concludersi con facilità) iniziavano nel tardo pomeriggio, verso le diciotto e trenta, diciannove.
Nonostante queste disposizioni di massima, subito dopo l’ispezione, le luci centrali venivano sempre spente concedendo alle coppie che ballavano un po’ d’atmosfera. In effetti, un po’ di ragione, dal loro punto di vista, i genitori potevano averla. Il ballo, infatti, era una pericolosissima battaglia di sospiri ed avvicinamenti. Tutte le ragazze ti mettevano una mano sulla spalla per stabilire le distanze con il tuo corpo durante il ballo; tuttavia, se gli sguardi, la musica, le parole sussurrate, il respiro più affannoso, i profumi facevano il miracolo di spostare la mano della ragazza dietro il tuo collo, l’abbraccio era inevitabile e con esso………….. lo sbocciare di un possibile amore ,suggellato già subito da un primo tenero bacio. In altri casi, si diceva che c’erano ragazze che ci stavano e l’abbraccio immediato, senza parole e facendo finta di niente, permetteva un ballo piacevolissimo e molto aderente. D’altra parte, spesso, cosi come era cominciato, tutto finiva nel completo anonimato ed ognuno riprendeva a ridere e scherzare con i propri amici e amiche come se nulla fosse successo.
Suonai alla porta e mi aprì un sorriso con due occhi grandi, neri e brillanti che mi invitavano ad entrare
.
       -    Ciao, io sono la sorella della festeggiata e mi chiamo Elena e tu chi sei?
-         Ciao, mi chiamo Giuseppe e sono un amico di Giovanni.
-         Dai entra la festa è già iniziata- Così dicendo, mi attirò dentro con il braccio e mi portò nella stanza dove c’erano già gli altri invitati e dove il giradischi era già in azione.
-         Ecco Giovanni –mi disse- e questa è mia sorella.
-     E’ un piacere conoscerti e ti faccio tanti auguri. –feci io-
Scambiammo due chiacchiere e poi mi allontanai per dare uno sguardo in giro. Luci rigorosamente accese. Buon numero di ragazze partecipanti- Sedie a profusione. Musica gradevole con gli ultimi successi dei gruppi italiani, Mina, Beatles e Tom Jones.
Dopo un po’, mi accorsi che Elena era libera e così mi avvicinai e la invitai a ballare. Era un lento piacevole e, tra una nota e l’altra, cominciammo a conoscerci. Lei andava al Classico ed aveva finito il primo liceo. Aveva sedici anni ed era un fiorellino bruno. Le raccontai di me, dei miei sogni e desideri e le dissi che presto sarei partito per Malta insieme con un amico.
     Ci vediamo al ritorno e mi racconterai –mi disse – e ci scambiammo i numeri di telefono. Può         darsi anche che ti scrivo-le dissi – Posso? – Certo, mi farebbe piacere.- rispose Elena-
E così ,non vedevo l‘ora di partire per poterle scrivere e ritornare al più presto per vederla.
Dopo qualche giorno le valige erano già pronte e telefonai ad Alfio per fissare l’appuntamento alla stazione da cui avremmo preso il treno per Siracusa . Da quella città, infatti, partiva la nave per Malta.
C’eravamo finalmente! Il mio primo viaggio da solo, senza i miei genitori. Verso l’avventura.


                                                     *                      *                      *

Seconda parte- La tempesta



 Ci trovammo alla stazione per prendere il treno per Siracusa, da cui partiva la nave per Malta. La partenza era prevista per le 11 di sera; ma, bisognava presentarsi all’imbarco entro le 22. Ero stato accompagnato da mio padre, mentre Alfio era arrivato con il suo ed il fratello minore. I due genitori si conoscevano di vista e cominciarono a scambiare qualche impressione su questo viaggio a Malta dei loro figli. Certo che a vederci, eravamo quanto meno originali. Io ed Alfio avevamo entrambi diciotto anni e ci presentavamo a quell’appuntamento, io con la barbetta alla Lincoln ed un’improbabile pipa in bocca; mentre, Alfio, appassionato di cinema e vice redattore in erba di critica cinematografica di uno dei giornali locali, camminava con un cappello, simil cowboy in testa, che voleva somigliare a quello che portava Fellini, durante le riprese dei suoi films. Effettivamente, guardandoci con l’occhio dei genitori, c’era da preoccuparsi!
    Fortunatamente, il senso dell’autocritica non ci sfiorava minimamente ed ognuno, “convinto” del proprio personaggio, procedeva spedito sul suo cammino verso il futuro, salvo sorridere, in cuor proprio, del personaggio interpretato dal compagno d’avventura. 
Arrivò il treno e ci avviamo verso la nostra carrozza, con la valigia al seguito. Salutammo tutti e ci sistemammo. Quindi, ci affacciamo dal finestrino, in attesa che il treno partisse.
Effettivamente, provavo una certa emozione.
Mentre il treno cominciava a muoversi ed il padre ed il fratello di Alfio sorridevano nel salutarci, non avrei mai immaginato di vedere mio padre correre dietro la carrozza, incapace di sopportare il distacco che mi allontanava da lui.
 Quell’uomo forte nel corpo e nello spirito, scevro e severo, mi mostrò in un attimo un affetto che non avrei mai dimenticato. Quella tenerezza mi fece sentire, per sempre, ancora più forte ed adulto. Salutandolo, il mio cuore era ormai lontano e libero.
Ci guardammo per un attimo con Alfio e scoppiammo a ridere.
 Ce l’avevamo fatta! Eravamo in viaggio!
Il tempo passò in fretta e presto si delineò la stazione di arrivo. Dalla stazione al porto, il passo fu breve ed in perfetta puntualità, un quarto alle dieci di sera, eravamo già davanti alla nave.
Ma la vita é strana e mai avremmo immaginato la sorpresa che ci attendeva!
Davanti alla scaletta della nave, eccoli lì, inaspettati ed indefinibili, ci aspettavano sorridenti i genitori di Alfio insieme al malcapitato fratello minore che non sapeva dove nascondersi, ma che ci sorrideva malignamente, immaginando la nostra delusione.
-         Che sorpresa! Che sorpresa!  Ci sforzammo di bofonchiare. ( Si può dire bofonchiare o è anch’esso inopportuno?)
-         Quando siamo tornati a casa, abbiamo parlato con la mamma-rispose il papà di Alfio- e ci siamo resi conto che in un’ora potevamo essere a Siracusa. Così, ci siamo detti: andiamo a salutarli.Siete contenti? Sorpresi?
-         Certo! Non ce l’aspettavamo ! –aggiungemmo tra gli sguardi sempre più maligni e divertiti del “ fratellino” di Alfio- Ci avete fatto una bella sorpresa! – Non immaginate quanto, pensammo all’unisono-
In ogni modo, ormai, la sorpresa c’era stata e bisognava pensare all’imbarco. Sbrigammo le varie incombenze e andammo a vedere dove sistemare i bagagli, vicino alle cuccette destinateci. C’erano diversi spazi per i bagagli, in relazione ad un determinato numero di cuccette. Non avremmo mai immaginato che tutte le (credo centinaia) di cuccette si trovassero nella stiva della nave. Tutti insieme, con cuccette a castello sparse in ogni angolo della stiva. Dopo aver preso possesso delle cuccette, andammo ad esplorare la nave. Salimmo due piani di scale ed arrivammo sul ponte superiore. Quella sera il mare era agitato e la nave, ancora ormeggiata, ondeggiava maestosamente. Chiedemmo ad un marinaio anziano se era sempre così e lui ci rassicurò affermando che era solo l’inizio e quella notte si prevedeva un mare molto mosso nel Canale di Sicilia.
- Per cominciare ad abituarvi ed evitare il malessere, cercate di stare il più possibile al centro della nave-ci disse-, all’aria aperta e cercate di mangiare roba secca, senza bere.
- Cosa ci consiglia? –chiedemmo
- Va bene anche un panino col salame-ci rispose- ma bevete il meno possibile.
Forti di questi consigli, ci riunimmo ai genitori ed al fratello di Alfio per la cena. Era possibile, infatti, farla sulla nave, prima della partenza, anche con gli eventuali ospiti.
Sedemmo ad un tavolo grande, dove stavano già altre persone, e fu l’occasione per scambiare qualche impressione sullo stato della nave e la situazione metereologica. Fummo tutti d’accordo che la nave: “ La città di Alessandria”, era più che altro una bagnarola, scomoda ed essenziale nei servizi. Speriamo che regga bene questo mare dicemmo. Nel frattempo, eravamo in preda ad un ondeggiare lento che combinava insieme il rollio ed il beccheggio. Delle signore ordinarono una minestrina. Per rimanere leggere – dissero – nonostante le avessimo sconsigliate raccontando le istruzioni del marinaio. Io ed Alfio chiedemmo dei panini al salame e non bevemmo quasi niente.Dopo qualche minuto, una delle signore, che avevano mangiato la minestra, chiese il permesso di allontanarsi in preda al mal di mare. Noi eravamo ancora a posto. Salutammo i genitori di Alfio ed il fratello, che scesero dalla nave, e ci dirigemmo sul ponte per prendere aria al centro della nave, come ci aveva consigliato il marinaio. Ci sedemmo su delle panchine di legno vicino all’albero maestro.
 Era già notte e la nave cominciò a muoversi, allontanandosi dal molo ed entrando in mare aperto.
 C’erano tante stelle nel cielo; ma, io ne ricordo una che fissavo e che faceva un movimento circolare seguendo una traiettoria come di una circonferenza.
 Cominciava da un punto in alto, seguendo il movimento della nave, e scendeva circolarmente giù fino ad oltre il mio punto di equilibrio. Annaspavo nel mio cervello e, solo dopo le prime volte, accettai questo senso di vuoto oltre l’equilibrio, che accompagnava quel movimento.Poi, all’interno di questo vuoto, la stella ricominciava a salire cercando di completare quell’immaginaria circonferenza nel cielo, restituendomi al mio senso di equilibrio e di controllo; ma, prima di riuscirci, ricominciava a precipitare all’indietro rituffandomi in quell’interminabile vuoto.Avanti ed indietro inesorabilmente.Questo era per me il mal di mare che provai a superare accettando quello strana sensazione, sempre eguale ed esterna al mio equilibrio.
 Anche Alfio stava abbastanza bene e dopo circa un’ora, essendosi alzato il vento, provammo a scendere nell’area cuccette.
Tantissima gente popolava la stiva della nave, attrezzata con le cuccette a castello. C’insinuammo fra le persone e pian piano raggiungemmo le nostre, sedendovici sopra. Gli altri occupanti vicini erano già sdraiati. Le luci erano sempre accese. Il fatto che fossero decentrate, non molto forti ed in qualche modo coperte dalle strutture metalliche, non disturbava molto gli occhi e permetteva di riposare. Poteva essere ormai oltre mezzanotte e c’era ancora un certo brusio, causato da tanti che non dormivano ancora. Si ondeggiava sempre più forte e la stiva scricchiolava. 
C’era un giovane vicino di cuccetta che ci osservava sorridendo.
-         State andando in vacanza?- Ci chiese- Di dove siete?
Parlava bene l’italiano ma l’accento era leggermente diverso dal nostro e capimmo che era straniero.
-         Si, andiamo a Malta per una quindicina di giorni. Ci hanno detto che è molto bella !Tu invece?
-         No, io ritorno a casa. Lavoro in Sicilia. Faccio il muratore ma sono Maltese. Adesso c’è un periodo di ferma a vado a casa.
Continuammo a parlare per un po’.Dopo, considerando che il mare si faceva sempre più forte, decidemmo di tentare di riposare. Eravamo stanchi ed emozionati. La fatica per la sopportazione del continuo malessere del mare ci aveva sfiancati e ci addormentammo.
Passò qualche ora di benedetto riposo; ma dopo, ci svegliammo a causa dell’oscillazione sempre più forte della nave, che continuava a scricchiolare. Decidemmo di salire in coperta dove c’era un salone dove sedersi, con il bar annesso. Anche se a quell’ora era chiuso, avremmo aspettato l’alba per fare colazione.
 La nave oscillava paurosamente e quando tentammo di salire la scala per andare al primo livello superiore, dove stavano i bagni, scoprimmo che la cosa non era tanto semplice. Mentre provavamo a salire dei gradini, subito dopo il movimento della nave ci costringeva a fermarci, se non a scenderne altri. Bisognava, pertanto, calcolare il tempo del movimento a favore e salire di corsa più gradini possibile, fermandosi poi a resistere, durante il movimento contrario.
Salimmo e provammo a cercare i bagni. Inutile neanche provarne a descrivere lo stato, visto che, oltre che per le necessità corporali, erano serviti a molti per liberarsi lo stomaco.
Senza pensarci troppo, comunque, li utilizzammo lo stesso. Nel mentre, provai a guardare dall’oblò, ma non riuscii a vedere niente perché la nave, oscillando, scendeva sotto il livello del mare, che ne copriva l’orizzonte.
Alla fine, riuscimmo a salire in coperta, facendo un’altra scala, ed entrammo nel salone. C’erano una decina di persone, noi compresi, tra cui un ufficiale ed un marinaio dell’equipaggio. Stavano sedute per lo più attorno ad un tavolo lungo. Sedemmo anche noi. Il mare continuava ad essere agitato e non si aveva voglia neanche di parlare.
-Stiamo per lasciare il punto più difficile del Canale di Sicilia ed il mare si dovrebbe calmare –disse l’ufficiale- Ha raggiunto forza sette, tempesta! Adesso deve essere forza cinque/sei e con il sorgere dell’alba dovrebbe rasserenarsi. Le previsioni sono positive! Dovremmo arrivare a La Valletta per le undici.
-Siamo rimasti in pochi svegli –disse un passeggero- La maggior parte sta male o cerca di riposare.
Continuammo così a scambiare qualche parola. Il mare, effettivamente, cominciò a calmarsi e qualcuno cominciò ad accendere una sigaretta.
 Io tirai fuori la pipa. Quale occasione migliore per un vero lupo di mare!?!
Occasionalmente, ci trovammo a parlare con quel passeggero di cinema, di cui anche lui era appassionato. L’argomento cadde su Fellini, considerato uno fra i migliori registi del nostro tempo, ed Alfio fece notare come portasse in suo onore un cappello simile a quello utilizzato dal regista.
Parlando e fumando si fece l’alba: Aprì il bar e mai colazione fu tanto desiderata. Presi un caffè ed un cornetto che gustai con piacere visto, tra l’altro, che la sera prima avevo mangiato solo un panino.
Ormai il giorno era chiaro, il mare si era calmato e ci venne desiderio di uscire all’aria aperta.Dopo un po’ di tempo, pian piano scorgemmo, in lontananza, i contorni dell’isola di Malta.
 “La nottata era passata” avrebbe detto Eduardo e stavamo arrivando alla meta.
La maestosità del porto di Harbour si offriva ai nostri occhi e con esso le varie navi militari della flotta Nato di cui Malta era una delle basi navali principali nel Mediterraneo. C’erano probabilmente almeno degli incrociatori, se non una cannoniera ancorata nel porto, perché era lunghissima ed armatissima. Del resto non ne capivamo niente e restammo incerti su quello che avevamo visto. Ci cominciammo a preparare. Ognuno prese la sua valigia e dopo essere scesi per la scaletta dalla nave e toccato finalmente il suolo maltese, non vi nascondo che avremmo idealmente baciato per terra, lieti per la fine di quella traversata.

Terza parte- Primo giorno a Malta

Ad aspettarci al porto c’erano Maria e Catherine, le nostre due amiche di penna. Maria era l’amica di Alfio e Catherine la mia. Era molto carina. Non molto alta e ben proporzionata, con un caschetto di capelli neri ondulati e due occhi di un azzurro intenso.
Ciao, tu sei Giuseppe, vero?  Certo, sei l’unico con la barba! -Mi disse. E cominciammo a ridere contenti di essere lì, insieme.
 Cominciammo e ragionare su cosa fare. Allora, dovevamo andare a St.Paul’s Bay  per prendere possesso della stanza e lasciare i bagagli. Poi, nel pomeriggio ci saremmo visti alla stazione degli autobus, visto che provenivamo tutti da paesini diversi.

 


 I piccoli autobus, a Malta, erano il mezzo più comune per muoversi e collegavano tutte le località dell’isola con corse frequenti e comode. Tutti i paesini più sperduti erano raggiungibili facilmente. Le ragazze dovevano andare una a Dingli e l’altra a Zurrieq ed entrambe avevano circa tre quarti d’ora di viaggio da fare, compresi i tempi morti nelle località di scambio. Forse noi, invece, in mezz’ora saremmo arrivati. Mentre parlavamo insieme sul da farsi, mi sento chiamare.
-Giuseppe! Tu a Malta? Che caspita ci fai qui? – Incredibilmente, davanti a me, appare la faccia sfacciata e sorridente di Giorgio, uno dei miei due compagni di banco del Liceo.
Il nostro banco era a tre posti, occupati alla mia sinistra da Giorgio ed alla mia destra da Marco.
La nostra professoressa di Storia e Filosofia dell’ultimo anno, sospirando, aveva esclamato rivolta a tutta la classe: -Ma come si fa a trovare accanto, nello stesso banco, due ragazzi che sono l’opposto l’uno dell’altro! - indicando me e Giorgio- Tanto l’uno è serio e classico nel vestire, quanto l’altro è un buffone ed uno strascicato. Uno è studioso ed intellettuale, l’altro svogliato e sportivo.
Ci voleva bene entrambi, pur così diversi nel comportamento e negli interessi. Giorgio era un mito sia nel giocare al calcio che con le ragazze ed era stato il primo della classe a girare con una vespa scassata tra l’invidia e l’ammirazione di tutti. Ironia della sorte, avevamo avuto una storia con la stessa ragazza al quarto anno di Liceo. Prima lui e dopo io. Per lui era stata una storia breve, tra le mille. Per me, invece, era stato un grande amore che alla fine, dopo l’estate e prima dell’inizio del quinto anno, mi aveva lasciato distrutto.
Ed eccoci li a Malta!
- Io sono in vacanza con il mio amico Alfio. Tu che ci fai qui? - gli dissi.
-Sono qui per l’estate con la mia famiglia-rispose- mio padre è qui, nella base navale Nato.
In effetti, il padre di Giorgio era un ufficiale di marina di grado elevato ed aveva dei comandi importanti in rappresentanza dell’Italia.
-Perché sei al porto, oggi? –gli chiesi?
. Per rimorchiare ragazze, all’ingrosso-mi rispose- Vengo con quel pulmino –che m’ indicò con il dito- e le carico per portarle in albergo. Poi facciamo amicizia ed usciamo insieme.
-Come fai a caricarle nel pulmino? Che ne sanno chi sei? - gli chiesi
-Le carico e basta. Dico: servizio trasporto alberghiero gratis. Molte non sono italiane, comprendono poco quello che dico; ma, in qualche modo, fra qualche parola di francese e d’inglese capiscono che è gratis e salgono. Poi durante il viaggio mi presento. Ne carico tante in modo da riempire il pulmino, si sentono sicure e si divertono. Così facciamo amicizia e funziona.
. Beato te, che hai questa fantasia! -gli dissi- Oggi ti è andata male. Le ragazze stanno con noi e ci devi portare tutti alla stazione degli autobus alla Valletta. Vuoi?
-Certo che voglio. Salite! – rispose Giorgio
In men che non si dica, arrivammo così alla stazione degli autobus.
Grazie Giorgio, sei un grande! gli dissi. seguito in coro dagli altri.
Dai, passiamo la serata insieme- ci disse lui- Che ne dite? Io porto una ragazza e andiamo a mangiare qualcosa a Sliema, in qualche locale in riva al mare. Vediamoci davanti al Cordina e poi decidiamo il da farsi.
Fummo tutti d’accordo, decidemmo di vederci per le sette di sera davanti al Cordina e ci salutammo.  A quel punto, rimasti soli con le ragazze, ci mettemmo d’accordo con loro di vederci per le cinque del pomeriggio alla stazione degli autobus. Aspettammo che i loro bus fossero partiti e quindi prendemmo il nostro in direzione St.Paul’s Bay.
Arrivammo in albergo prima di pranzo. Era piccolo ma grazioso, con diverse camere, tra cui la nostra, con l’ingresso in una galleria che guardava il mare e la costa prospiciente. La camera era grande e confortevole.  Posammo i bagagli, ci rinfrescammo e decidemmo di andare a trovare qualcosa da mangiare nel villaggio. Vi erano molti giovani in giro e molte ragazze. Per lo più avevamo la sensazione che la popolazione fosse composta da turisti maschi e femmine oltre che a sole ragazze maltesi. In questa località turistica non si vedevano anziani, famiglie, bambini e pochissimi maschi adulti.
Mentre addentavamo un hot dog e bevendo una Seven up (tipica gassosa diffusissima) ci confrontammo sul da farsi nel pomeriggio/sera. Alfio era dell’opinione di andare insieme all’appuntamento con le ragazze; ma, non aveva nessuna voglia di continuare poi la serata insieme con il mio compagno di classe Giorgio.
Sicuramente dovrò accompagnare Maria a Dingli – mi disse Alfio- perché è possibile che sua zia possa ospitarci, andando momentaneamente a casa dei suoi genitori. Se tutto va bene, domani ci possiamo trasferire là. Possiamo risparmiare un po’ di soldi ed io posso stare più vicino a Maria.
-Ma non ti secca conoscere i suoi genitori? –gli chiesi
- No, mi ha detto che la lasciano fare, senza immischiarsi nelle sue scelte. Sono anche anziani e non parlano l’italiano. Poi siamo solo amici di penna in vacanza.
OK – proviamo-aggiunsi- Se non ci troviamo bene, possiamo sempre andarcene!
Era estate piena, la giornata era chiara e l’aria tersa. Nel pomeriggio, c’incontrammo con le ragazze e decidemmo di fare una passeggiata per Kings Way, la strada principale della Valletta, per cominciare a farcene un’idea. Si camminava con piacere perché la strada aveva un carattere strettamente pedonale, ad eccezione delle carrozze tipiche   che passavano insieme a qualche mini bus di servizio pubblico e taxi. Mi stupii nel vedere la strada controllata da coppie di agenti in divisa che andavano avanti ed indietro. D’altra parte, l’amministrazione era ancora in mano inglese e se ne coglieva l’impronta. Parlammo insieme del da farsi e Maria confermò quanto aveva pensato Alfio. Sarebbe rimasta fino alle diciannove con noi e poi insieme ad Alfio sarebbe tornata a casa per vedere di organizzare il nostro trasferimento nell’appartamento della zia. Con Alfio ci saremmo trovati poi in albergo.
Catherine, invece, poteva rimanere fino alle 20; ma, dopo doveva tornare a casa. Nel frattempo, si poteva entrare nella Cattedrale di San Giovanni per ammirare le opere del Caravaggio e poi, se restava tempo, dare uno sguardo al palazzo del Gran Maestro dei Cavalieri di Malta
Quando entrammo nella Cattedrale, rimasi letteralmente ammirato dalla bellezza dei dipinti del soffitto a volta e dall’esempio completo di stile barocco con cui era stata realizzata. La cattedrale prendeva il nome dal santo dei suoi patroni, i Cavalieri di San Giovanni. I dipinti del soffitto, i disegni sul muro di pietra e le scene della vita di San Giovanni, presenti negli altari laterali, erano opera di Mattia Preti; ma, nulla poteva eguagliare la gioia di trovare davanti ai propri occhi il capolavoro del Caravaggio “La decollazione di San Giovanni Battista”.
Restammo incantati a guardarlo con Catherine e lei mi sorrise. Poi, mentre Alfio e Maria si attardavano, ci sedemmo in silenzio ad aspettarli sulle sedie di legno, con lo sguardo perso nella bellezza di quel luogo sacro.  
Prima di lasciarci con Maria ed Alfio, avemmo il tempo di dare uno sguardo all’esterno del palazzo del Gran Maestro dei Cavalieri di Malta, poi ci avviamo verso il Cordina, dove avevamo appuntamento con Giorgio.
Durante il pomeriggio, vi era stato un continuo scambio di sguardi, sorrisi e sfioramenti delle braccia fra me e Catherine. Eravamo tesi e piacevolmente eccitati da quell’incontro e dalla nostra reciproca presenza. Le chiesi se era contenta del fatto che ero venuto a trovarla ed il suo sorriso fu la risposta più esauriente. Le luci cominciavano ad accendersi. Ci ritrovammo in uno spiazzo, con un palazzo illuminato alle spalle, mentre il cielo sopra di noi cominciava a scurire e ci baciammo. Era bella, con quegli occhi blu intenso, luminosi e pieni di giovane vita.

Ci trovammo alle sette, come d’accordo con Giorgio, davanti al Cordina. Questo era uno dei locali storici della valletta-Un caffè ristorante dall’interno elegante, con lampadari di cristallo e dipinti art nouveau, ampiamente rimodernato e considerato dai Maltesi uno dei locali più prestigiosi dell’isola. Giorgio aveva portato con sé una ragazza inglese, che aveva conosciuto in una delle sue scorribande al porto. Una biondina esile e graziosa.
Spiegammo a Giorgio che Catherine doveva essere a casa massimo per le nove di sera e quindi i programmi per la serata erano cambiati. Avremmo preso insieme qualcosa lì al Cordina e poi alle otto Catherine avrebbe preso l’autobus per Zurrieq.
Restammo così insieme e spiegai a Giorgio che sarebbe stato difficile programmare un nuovo incontro, considerati i vari impegni delle ragazze e nostri. Ad ogni modo, mi lasciò il numero di telefono per ogni eventualità. Ci salutammo ed accompagnai Catherine alla piazzetta da cui partivano tutti gli autobus per le varie località dell’isola.
Eravamo contenti di essere di nuovo soli! Il tempo passò in fretta e dovette andare via non senza esserci dato l’appuntamento per l’indomani pomeriggio. Un raggio di luce nei suoi occhi fu l’ultima cosa che ricordo mentre saliva di corsa sull’autobus in partenza.
Prima di tornare in albergo, rimasi un po’ a godermi la sera passeggiando per Kings way. Arrivai in una piazza, quasi in fondo alla strada, dove c’era un bar con una miriade di tavoli all’aperto, in cui si poteva consumare qualcosa, ascoltando musica dal vivo. C’erano sempre dei complessi   di giovani o, qualche volta, dei cantanti con repertorio swing ecc. Era piacevole ascoltare i successi del momento seduti tranquillamente in un tavolino, per il tempo che volevi, consumando solamente una Seven up. Ascoltai due, tre canzoni e poi mi recai a prendere l’autobus per il ritorno.


L’albergo era sulla costa ed era piacevole incontrare tanti ragazzi e ragazze che passeggiavano sul lungomare. Entrai e chiesi la chiave, ma mi dissero che era stata presa da Alfio che mi aspettava in stanza. Passando per la galleria, vista mare, che conduceva alla mia stanza, rimasi stordito dalla visione di una splendida bionda che stazionava quasi davanti alla porta della nostra stanza. Era la porta prima. la nostra vicina di camera. Passando le sorrisi e sbirciando nella sua stanza vidi che c’era una sua amica che si stava cambiando per la notte. Di bene in meglio!
Alfio hai visto le nostre vicine di stanza? - dissi entrando nella mia camera-
No, chi sono? - mi chiese Alfio.
Due biondone-risposi- vieni. Così facendo mi affacciai in galleria sorridendo alla vicina che scoprii parlava esclusivamente l’inglese. Insieme ad Alfio, tentammo di scambiare qualche parola nell’unica lingua straniera che avevamo studiato a scuola: il francese; ma, considerati i risultati, fu meglio augurare la buona notte nell’unica parola conosciuta in inglese: Good night!
Rientrammo così in stanza, esattamente come le inglesine a fianco.
Alfio mi raccontò del pomeriggio. Era andato tutto bene e l’indomani stesso potevamo essere ospitati dalla zia di Maria. Decidemmo così che la mattina avremmo saldato l’albergo e ci saremmo catapultati a Dingli, dove Maria ci aspettava per le 11 del mattino.
Come primo giorno non potevamo lamentarci. La serata era splendida e rimasi un po’ a fumare la pipa, affacciato nella galleria a guardare il mare. Pensavo a Catherine, a casa, a quella notte magnifica. Malta, Giorgio che avevo rivisto, l’Università che mi aspettava al ritorno ed anche Elena. Poi, pian piano, mi misi a seguire con gli occhi una barca, con una luce che si allontanava, e pensai alla luce degli occhi di Catherine quando mi sorrideva.
Che notte splendida!

Pagine maltesi- parte quarta- a casa della zia

 

  
Passeggiando per le vie deserte ed illuminate da una luce calda e diffusa, che evidenziava tutti i palazzi ed ogni angolo di Mdina, non potei fare a meno di pensare di come la descrivesse pienamente la definizione di “città silente”. Si alternavano, in un’atmosfera senza tempo, le strette strade medioevali, che, improvvisamente, si aprivano, mostrando imponenti palazzi di architettura barocca.  Il pensiero, per un momento, mi lasciava immaginare di poter incontrare una di quelle famiglie nobili, discendenti dai Normanni o dai grandi feudatari siciliani, che ne fecero, in passato, la propria residenza. Non c’erano riferimenti evidenti sull’epoca in cui eravamo. Tutto perfettamente conservato.
Sembra che anche S. Paolo abbia vissuto in questi luoghi.
Quella sera, approfittando del fatto di trovarci a Rabat, centro di smistamento degli autobus in direzione Dingli, avevamo deciso di dare uno sguardo a quell’affascinante “città silente”.
Da qualche giorno, ci eravamo trasferiti a casa della zia di Maria a Dingli con il vantaggio di risparmiare sull’alloggio, ma con il disagio di una maggiore lontananza da La Valletta e dalle altre borgate più turistiche limitrofe, come Sliema e St. Julien. Dingli era un paesino molto piccolo con poca gente e nessuna attrazione turistica, a parte le vicine scogliere. La casa della zia di Maria era un antico piccolo casolare circondato da un giardino ed un orto. L’appartamento, che ci ospitava, era al primo ed unico piano, perché quello di terra era adibito a magazzino attrezzi e ripostiglio. L’entrata dell’appartamento e le finestre davano su di una terrazza che rappresentava anche l’unica via d’ingresso. Da un  lato della stessa si poteva raggiungere l’uscita tramite una scala esterna che la collegava al giardino e, importantissimo, all’unico bagno disponibile, situato all’interno di un piccolo capanno.
L’appartamento era costituito da un grande stanzone con due lettini ai lati opposti ed un grande tavolo al centro. Lungo tutte le pareti e sui mobili e mobiletti vi erano decine e decine d’immagini, quadretti e statuette a carattere religioso, oltre agli immancabili candelabri e lumini vari di cera. Sembrava una sagrestia! A parte l’impressione, c’era comunque spazio a sufficienza e comodità, se non consideriamo il problema gabinetto.
Il giorno dell’arrivo, dopo aver sistemato i bagagli, la zia e Maria rimasero un po’ con noi per darci il tempo di prendere confidenza con il posto. Naturalmente, una delle prime informazioni riguardò il bagno e ci accompagnarono per farci vedere che la chiave d’ingresso stava nella serratura. Poi, ci rendemmo conto che, all’interno del locale, esisteva solo il gabinetto ed un piccolo lavandino. Neanche l’ombra del bidè (usanza moderna) e, almeno, di una doccia. Era proprio un servizio esterno di campagna. Maria notò la nostra delusione e ci disse che avremmo potuto usare il bagno di casa sua per poterci fare la doccia, al bisogno.
Il peggio doveva ancora venire! Dopo una mezz’oretta di chiacchiere, ebbi il bisogno di sperimentare la comodità del bagno. Mi avviai, scesi la scala e con gratitudine trovai subito che la porta si apriva agevolmente. La richiusi alle mie spalle e nell’accomodarmi vidi che non ero solo!
Non ero abituato alla presenza di animali a casa mia ed, invece, compresi che lì avrei dovuto condividere quel mio momento d’intimità con la curiosa fissità dello sguardo di un magnifico gatto, appollaiato davanti a me.  Cercai di farlo sloggiare ma quell’amabile quadrupede non ne aveva alcuna intenzione. Così, considerando l’urgenza, mi rassegnai alla sua curiosa compagnia.
Superato quell’attimo di smarrimento, precipitai quindi nel terrore!  Non riuscivo a trovare la cassetta dell’acqua dello scarico.
 Cercai pulsanti …….. catenelle………. ma non ce n’erano!?!
Esplorai tutto l’ambiente, cercando un contenitore… un secchio   da riempire con l’acqua del lavandino. Niente!....... Mentre………, sarà stata la mia impressione, il gatto continuava ad osservarmi sornione. Alla fine, dovetti cedere. Uscii dal casotto, salii le scale e chiesi alla zia di Maria di darmi un secchio per l’acqua. La zia fu estremamente gentile…anche troppo!  Scese con me le scale e, nel magazzino sottostante l’appartamento, trovò un secchio che riempì d’acqua e, prima che potessi rendermi conto di quello che stava facendo, entrò nel casotto e pulì il gabinetto, lasciandomi in preda ad una profonda vergogna. Sorridendo, mi disse che avrebbe lasciato il secchio dentro il casotto in modo che tutto ci fosse più facile! …………. Certo! Pensai. Sarebbe stato meglio averglielo messo prima.
Abitando ormai nello stesso paesino, avevamo conosciuto i genitori di Maria, che ci avevano invitato spesso a pranzo: Era la prima volta che andavamo fuori casa e all’estero e così capimmo subito quanto fosse eccellente la cucina italiana! La nostra cara e amata pasta non c’era! L’acqua non era buona: era di un sapore salmastro e forse poco sicura per la salute.
Decidemmo di non berne mai; anche perché, invece, la gassosa più comune: la “Seven up” era molto buona e dissetante.
Nonostante la buona volontà, il piatto migliore che ci venne offerto furono delle polpettine, stile cucina inglese. Erano molto gentili ma era meglio mangiare altrove. Alla Valletta c’erano diversi locali dove si mangiava sia la cucina italiana che quella inglese. Quando desideravamo mangiare un buon piatto di tagliatelle al ragù bolognese andavamo al “Bologna”, cucina italiana e deliziose giovani cameriere. Quando invece, con una modica spesa, desideravamo un piatto sostanzioso, non si poteva sbagliare. Si andava al “Britannia”: Il locale era immenso e sotto il livello stradale. Si accedeva attraverso una scaletta e si mangiava un’ottima bistecca alla Bismark. Non finirò mai di ringraziare il grande statista tedesco per questa ricetta. Mi portavano un’enorme bistecca con sopra un uovo fritto e circondata da quattro contorni: patate fritte, insalata di pomodori, altrettanto di barbabietola rossa a fette, carote lesse a fettine.
Mi abituai a berci sopra un’ottima birra ed uscivo sorridente e satollo come non mai!
Ci vedevamo ogni giorno con Catherine; ma alternativamente la mattina o il pomeriggio e comunque doveva tornare per cena a casa. Dopo averla accompagnata alla stazione dei bus per Zurrieq passeggiavo per la Valletta e mi capitava di tornare spesso al bar con i tavolini all’aperto dove si poteva ascoltare musica dal vivo, mentre si sorseggiava un semplice caffè o una seven up. A volte uscivamo con Maria ed Alfio, specialmente per andare a visitare dei siti interessanti dell’isola.

Una mattina, ad esempio, eravamo andati nel borgo di Pawla, non molto lontano dalla Valletta, per visitare il complesso megalitico di Tarxien. Era uno spettacolo impressionante. Non avrei mai pensato che, a poche miglia marine dalla Sicilia, averi potuto vedere templi megalitici, i dolmen, le incisioni sulle pareti fatte da uomini della preistoria vissuti quasi 3.000 anni prima di Cristo. Eppure, eravamo in mezzo a quella meraviglia. Incise nelle pareti dei passaggi fra i templi vi erano rappresentate file di animali: arieti, capre, tori tutti in fila, l’uno dietro l’altro come se fossero in processione e poi tante decorazioni a spirale. La cosa che mi colpiva era l’intensità e la bellezza della rappresentazione che ti toccava al di là della possibile imperfezione del disegno.
Molto superficialmente, quando avevo sentito palare della preistoria, ero stato sempre portato a pensare a uomini rozzi, quasi scimmieschi mentre adesso capivo quanto potevo sentirli simili a me. Come potevo intuire la loro passione nel disegnare quelle figure. La dedizione con cui avevano voluto rappresentarle e decorare quelle pareti. Decorarle per rendere più belle e per fare in modo che gli altri che guardavano riconoscessero in quelle immagini la vita che li circondava.
Un grande bisogno di spiritualità, per riunirsi insieme a considerare il mistero dell’esistenza e della speranza, così come sempre abbiamo fatto e continuiamo a fare.
 Uomini primitivi…………………………come me.
Quella sera, lasciata Catherine e mangiato qualcosa al Britannia, mi ritrovai a Rabat una buona mezz’ora prima dell’appuntamento con Maria ed Alfio, per il ritorno a Dingli. Era già buio e la sera era tersa e limpida. Non avendo niente da fare, decisi di passare quella mezz’ora facendo una passeggiatina e m’inoltrai su di una stradina che portava in aperta campagna. Pian piano le poche luci di Rabat si allontanarono e mi ritrovai nel buio più completo, con una pioggia di stelle nel cielo rese più evidenti proprio grazie alla mancanza di altre sorgenti di luce vicine. Vi era un gran silenzio e mi sentivo solo; ma, il possibile timore fu rimpiazzato presto da una sensazione di pienezza e quasi d’euforia. Pensavo alla bellezza di quelle giornate, a Catherine alla gioventù che palpitava forte dentro i nostri cuori, alla bellezza di quella pioggia di stelle nel cielo e sentivo dentro di me   una sensazione di forza e di libertà. Stetti ancora  qualche minuto a passeggiare sotto la luna e poi tornai indietro ad aspettare Alfio e Maria.

 Pagine Maltesi -Ultima parte  
    
Nei giorni seguenti, cambiammo di nuovo alloggio- La casa della zia di Maria, pur se accogliente, presentava diverse difficoltà . Le principali erano quelle legate all’uso del bagno ed, inoltre, la lontananza dalla Valletta. Nel corso di varie visite a questa città, trovammo un piccolo alberghetto, ideale per un soddisfacente rapporto qualità prezzo, e decidemmo di trasferirci. Ora, avevamo a disposizione molti più punti ristoro e potevamo spostarci in ogni punto dell’isola con facilità. Quasi ogni giorno, ci capitava di ritrovarci ad ascoltare musica dal vivo , seduti nei tavolini all’aperto, nella piazza principale,  quasi alla fine di King’s way, o di passeggiare  per la stessa via pedonale accompagnando le ragazze ai relativi autobus. Era sempre particolare notare, in quelle passeggiate ,come il massimo dell’eleganza per molti maltesi fosse accoppiare un camicia bianca  con cravatta nera su dei pantaloni altrettanto neri come le scarpe lucide ed appuntite.
Stavamo bene insieme io e Catherine. Era un rapporto  sereno e divertente . Senza pretese, forse, ma pieno di vita. Rimasi, quindi,  dispiaciuto, ma senza farne un dramma, quando mi spiegò che sarebbe partita fra pochi giorni insieme ai genitori per andare a trovare la sorella, che si trovava in Gran Bretagna per motivi di lavoro.
Decidemmo di fare qualche cosa di bello per salutarci e Catherine propose una gita in battello all’isoletta di Comino, nella parte nord di Malta. Il battello salpava da St. Julien. Arrivava in ca. mezz’ora   a Comino, dove sostava sino a dopo pranzo, per consentire una giornata balneare nelle splendide  spiagge ed insenature dell’isoletta, e poi  si ritornava nel pomeriggio.


Ci ritrovammo così, l’indomani, nell’isola di Comino,  dove si trovano  forse le più belle spiagge di Malta. Le sfumature del colore azzurro del mare andavano dal celeste al turchese. Non avevo mai visto niente del genere. Eravamo nella Blue Lagoon , un posto incantevole. Una specie di canale naturale fra Comino e Cominotto, un isolotto più piccolo e completamente disabitato  posto ad una breve distanza di fronte all’isola. La spiaggia era prevalentemente rocciosa con scogli e con un breve tratto  di spiaggia .
 L’acqua era stupenda. Trasparente, limpida e  di un colore celeste intenso.
Ci lasciammo scivolare dentro le onde in un bagno ristoratore nuotando dolcemente    mentre i raggi del sole scendevano anch’essi in mezzo a noi circondandoci in un tripudio di riflessi  dorati . Eravamo degli Dei in un paradiso!.
Così ,qualche giorno dopo, ricordavo quei momenti vissuti con Catherine nella Blue Lagoon, mentre già la nave solcava implacabile il mare verso casa. C’eravamo salutati con un sorriso e con la promessa di scriverci e rivederci  la prossima estate.
Forse! Eravamo troppo giovani  e troppo felici per quei giorni passati insieme per rattristarli oltre il normale dispiacere di un gioco finito troppo presto.
Ma già nuovi pensieri ed avventure erano all’orizzonte: l’Università, il racconto delle vacanze agli amici rimasti a casa, telefonare ad Elena.
Le altre volte che ero stato in viaggio , ad un certo punto, tornava inevitabilmente la nostalgia di casa. Desideravo gli angoli della mia stanza, le mie abitudini , i miei libri, le compagnie e la vita di ogni giorno.
Quella volta era diverso. Sarei potuto stare lì per sempre. Non avevo nessuna nostalgia del ritorno ed anzi, quando pensavo alla mia casa, mi veniva di andare con il pensiero a quella che mi sarei potuta costruire ovunque fossi andato. Chiesi ad Alfio se anche lui avesse una sensazione simile e ci ritrovammo a pensare che,  dopo tutto , avremmo potuto vivere benissimo a Malta
La nave continuava la sua rotta e si cominciava ad intravedere  Porto Palo e la punta di Capo Passero.
 Eravamo delle persone diverse rispetto a  quando eravamo partiti .Ormai eravamo degli adulti ed il pensiero del ritorno a casa non era per niente entusiasmante .
 Volevamo essere liberi e disporre del nostro tempo. Vivere la nostra vita  a modo nostro  e da quel momento sarebbe stato così