“L'impossibilità di essere normale (Getting Straight)”( 1970) è uno dei film più interessanti realizzati
sul tema della contestazione studentesca
della fine degli anni sessanta negli USA. Un movimento che aveva profondamente
segnato intere generazioni di giovani e messo in discussione il classico “ way
of life” americano.
Quando Richard Rush produce e dirige
il film , il cui soggetto è tratto da un romanzo di Ken Kolb, aveva
quarantuno anni e tanti avvenimenti
erano ormai trascorsi da quel lontano 1962
in cui era stata scritta da Tom Hayden
“ La Dichiarazione di Port Huron”,
manifesto politico della convention nazionale della SDS ( Movimento attivista studentesco), che può considerarsi la prima
grande compiuta espressione del disagio
politico e civile dei giovani americani di quegli anni.
Successivamente, nel 1964 ,all’università di Berkeley in Caifornia, Mario Savio aveva guidato il Movimento per la libertà di Parola (Free Speech
Movement) che aveva assunto una vera dimensione di massa.
Artisti come Bob Dylan , Joan Baez, Grateful Dead, Jefferson Airplane e
tanti altri ancora suonavano la colonna
sonora dei movimenti per i diritti civili , di quello Hippy, del movimento
studentesco e delle manifestazioni pacifiste di quegli anni e a San Francisco
l’estate del 1967 si erano raccolti migliaia di giovani in quella che fu chiamata “ The summer love”.
L’esplosione di questo movimento
subì tuttavia dei forti contraccolpi a causa della repressione dei
poteri istituzionali e di larga parte della classe media .
Per molti giovani si poneva il problema di una gestione del proprio
futuro , della ricerca del lavoro e dell’inserimento sociale , di scegliere
come vivere la propria affettività ed i
rapporti familiari . Fu un periodo molto complesso e questo film, in qualche
modo, cerca di rappresentare i problemi vissuti da molti di quei ragazzi nella
propria dimensione personale.
Quelli che cercarono di evitare di essere mandati a combattere in
Vietnam , chi si dibatteva nel dubbio fra il modello classico femminile della
brava moglie e madre e quello di seguire i propri reali sentimenti nei
confronti di un uomo forse instabile e
non proprio affidabile ma più sincero ed autentico, le persone di colore costrette all’emarginazione
sociale e tante, tante altre persone che vivevano situazioni
insoddisfacenti e conflittuali
Il nostro protagonista Harry
Bailey ( Elliott Gould) aveva vissuto intensamente la contestazione studentesca
ma oggi aveva un problema economico impellente
di sopravvivenza che lo portava a
cercare di dare uno sbocco agli studi
universitari concludendoli e provando a
trovare un lavoro da insegnante .
Il suo tentativo , tuttavia,
fallirà.
Il film impietosamente, nel suo svolgimento, condannerà definitivamente la società
americana , la cecità strategica della sua classe dirigente universitaria ,
incapace di comprendere le tensioni reali presenti nel mondo studentesco e di accettare la sfida intellettuale ,
civile e culturale che esse ponevano.
Per i protagonisti diventava chiaro che l’unica realtà che avevano
davanti era quella di continuare la propria lotta di contestazione ed il
proprio impegno per la trasformazione della società visto che vi era “
L’impossibilità di essere normale”.
A distanza di anni, rivedere questo film è un’esperienza utile ed
interessante sia per chi ha vissuto quelle esperienze, sia per i più giovani che
ne hanno solo sentito parlare. Magari, potrebbero ritrovare, simili a quelli vissuti dai protagonisti del
film , molti motivi attuali d’insoddisfazione presenti nella loro vita.
Elliot Gould , che già avevamo
applaudito per la sua interpretazione in “ M*A*S*H” di Robert Altman, veste con
grande partecipazione i panni di Harry Bailey e molto bella è anche
l’interpretazione di Candice Bergen nel ruolo di Jan. Una nota personale di
apprezzamento anche per Robert F. Lyons (Nick).