venerdì 29 novembre 2019

L'UFFICIALE E LA SPIA



"L'ufficiale e la spia (J'accuse)" è un film del 2019 diretto da Roman Polanski e tratto dall'omonimo romanzo del 2013 di Robert Harris,che è  anche co-autore della sceneggiatura assieme a Polański.
Il film è’ stato presentato alla 76° Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia ( 2019) ottenendo il Gran premio della giuria ( Leone d’argento) .
Le sequenze  ci riportano  con delle  belle immagini nell’epoca fra la fine 800 e gli inizi del 900. Ottima l’interpretazione di Jean Dujardin nel ruolo dell’ufficiale Picquart.
La narrazione ricostruisce fedelmente le vicende e l’ambientazione storica all’interno della quale si è svolto l’affare Dreyfus,  facendocela seguire e scoprire con gli occhi di  Georges Picquart,un ufficiale dell’esercito francese che aveva avuto  l’ebreo Dreyfus come allievo nella scuola militare e si trova  ad essere personalmente   coinvolto in questi avvenimenti.
Il film ce lo mostra ,infatti, nelle prime scene mentre assiste   alla pubblica condanna e all'umiliante degradazione inflitta ad Alfred Dreyfus, accusato di essere stato un informatore dei nemici tedeschi. Successivamente, promosso a capo della Sezione di statistica( la stessa unità del controspionaggio militare che aveva montato le accuse contro Dreyfus) si accorge che qualcosa non è andata  in maniera lineare , che le informazioni al nemico continuano ad essere trasmesse e che il probabile colpevole non era  Dreyfus, ma un altro.
Procedendo verso la scoperta della verità, trova non solo una forte opposizione nella gerarchia militare, che aveva scelto un capro espiatorio perfetto in Dreyfus, ma addirittura la volontà di nascondere ciò che è accaduto e di perseguitare  chiunque voglia fare chiarezza .
 Si troverà pertanto, come spesso accade  a chi svolge un compito di responsabilità ,nel dilemma  fra rischiare una punizione e dei disagi personali o battersi per l’affermazione della verità e di ciò che ritiene giusto.
L'affare Dreyfus  sconvolse il mondo politico della terza Repubblica francese alla fine dell’Ottocento e divise il paese nel periodo  fra la guerra franco prussiana e la prima guerra  mondiale .
Picquart riuscì ad avvertire delle sue indagini, che provavano l’innocenza di Dreyfus, il vicepresidente del Senato Auguste Scheurer-Kestner e lo scrittore ebreo Bernard Lazare, amico di famiglia di Dreyfus, che iniziò  un'intensa campagna stampa a favore dello stesso.
 Il 25 novembre 1897, Emile Zola pubblicò su « Le Figaro» un articolo che si concludeva  così: «La verità è in marcia» e spiegò il suo intervento con queste parole: «Dietro le mie azioni non si nascondono né ambizione politica, né passione di settario. Sono uno scrittore libero, che ha dedicato la propria vita al lavoro, che domani rientrerà nei ranghi e riprenderà la propria opera interrotta [...] E per i miei quarant'anni di lavoro, per l'autorità che la mia opera ha potuto darmi, giuro che Dreyfus è innocente...”
A seguito di tutto questo,  persone  come  ad esempio Georges Clemenceau, politico radicale francese, cambiarono  le proprie posizioni  e chiesero la revisione del processo .Lo stesso Clemenceau ospitò sul suo giornale «L'Aurore», il 13 gennaio 1898, la famosa lettera di Zola al Presidente della Repubblica  Felix Faure, intitolata J'accuse!. Il giorno dopo, sempre su «L'Aurore», apparve la « Petizione degli intellettuali», che aveva tra i firmatari metà dei professori della Sorbona e numerosi artisti, come Gallé, , il pittore impressionista Manet, Jules Renard, André Gide, Anatole France.
Polansky  ci racconta con una buona fedeltà storica   tutte le vicende  dell’affare Dreyfus fino alla sua completa riabilitazione.
Il film ci costringe a riflettere su quelle che sono  le conseguenze sociali e politiche  di un fenomeno di cui anche i nostri tempi , nell’era di Internet , non possono considerarsi esenti:  la falsificazione storica , di cui l’affare Dreyfus fu un esempio. Questa, nel recente passato, è stata utilizzata anche a livello internazionale; ad esempio, per giustificare la necessità di un immediato intervento militare in Iraq, all’epoca di Saddam Hussein.
Ancora più comune e pericolosa è l’abitudine diffusa della propaganda online e delle fake news utilizzate  per orientare l’opinione pubblica, inventando di volta in volta  notizie   e  falsi  nemici  utili a realizzare i propri progetti politici .Tutto questo viene tranquillamente perseguito pur se  comporta  il sacrificio delle persone coinvolte. Spesso, non solo le vittime, ma anche chi si è prestato alla realizzazione della falsificazione stessa.
La seconda questione su cui  questa narrazione e questi avvenimenti  ci costringono a riflettere è che la sopravvivenza di qualunque sistema sociale , in particolare  quello democratico,   non può realizzarsi senza l’impegno personale  di uomini che riescono ad anteporre il senso della correttezza , della verità e della giustizia anche nei confronti delle proprie preferenze personali , delle proprie antipatie , dei propri pregiudizi o convinzioni  soggettive e che sono disposti a rischiare  anche delle conseguenze personali pur di far trionfare ciò che ritengono giusto.

martedì 19 novembre 2019

La belle époque




Il desiderio dell'amore, della passione ci accompagnano per tutta la vita . I momenti dell'innamoramento costituiscono per tutti noi " La belle époque " in cui vorremmo sempre tornare e continuare a vivere.
E' questo il tema del gradevole e sentimentale film, scritto e diretto da Nicolas Bedos, che non si limita ad accompagnarci in un viaggio alla ricerca del nostro passato, ma coglie l'occasione per rivitalizzarlo con nuove storie d'amore che si sviluppano insieme e che ci permettono di guardare al futuro.
Quella della bella attrice Margot con Antoine ,  il titolare della Time Traveller, una curiosa agenzia che mette in scena il passato, ricostruendo in studio le varie “belle époque” richieste dai clienti, quella del nostro protagonista Victor che andando alla ricerca del passato s'invaghisce dell'attrice che rappresenta sua moglie , quella della riscoperta  dell'amore  in un matrimonio ormai in crisi.
In tutti i casi il regista Bedos ci mostra come l’intraprendere, nella nostra vita, una strada che ci allontana da un amore che abbia la capacità di coinvolgerci totalmente potrà, al limite, sembrare più tranquilla, più soddisfacente, ma non placherà mai il nostro bisogno di autenticità e di vero amore.
Non si parla, in questo caso, solo della passione fra un uomo e una donna; ma, ad esempio, appare tenera anche la descrizione della ricerca, attuata da uno dei personaggi,   verso la riscoperta dell'amore filiale nei confronti del padre ormai scomparso.
La sempre bella Fanny Ardant e Daniel Auteuil vivono con autenticità e credibilità i loro ruoli di Marianne e Victor (la coppia protagonista) ma non si può non sottolineare anche l'efficacia emotiva e di rappresentazione dei personaggi del figlio della coppia interpretato da Michael Cohen,  della giovane e bella attrice Margot(Doria Tillier)  e dell’artefice della ricostruzione delle diverse “situations belle époque” il sig. Antoine (Guillaume Canet) oltre che dell'anziano Pierre( Pierre Arditi)   che ogni volta  incontra suo padre, ormai scomparso, nella finzione scenica .
"La belle époque "ci riporta nelle atmosfere dei primi anni settanta, che per molti sono state vicine ai momenti della gioventù; anche questo aspetto risulta piacevole.
Dopo il primo lungometraggio “ Un amore sopra le righe “(2017) scritto ed interpretato  insieme alla sua compagna  Dora Tillier, che rivediamo anche in questo film nel ruolo di Margot , Nicolas Bedos fa di nuovo centro con un film coinvolgente, sentimentale  e pieno di speranza come “ La belle époque”
Il film è stato presentato in anteprima al Festival di Cannes 2019 ed alla Festa del Cinema di Roma 2019.

sabato 16 novembre 2019

PARASITE




Privo di una coscienza di classe, che consenta il superamento, all’interno di una prospettiva di cambiamento  sociale comune, della sofferenza individuale, e di fronte ad una società che ti emargina, gli ultimi sono destinati a scontrarsi selvaggiamente fra di loro ed, in molti casi, ad accontentarsi anche di una condizione “parassita” nei confronti delle classi  agiate. Parassita, si ,come qualsiasi organismo animale o vegetale che viva a spese di un altro e non di vita propria.
Paradossalmente, nel film “ Parasite” , le classi dominanti ,  pur se evidentemente costituite da privilegiati, mostrano una gentilezza d’animo  ed  una superiorità  di comportamento umano ed intellettuale rispetto ai  subordinati; mentre, contemporaneamente, ne disprezzano i lati più negativi stereotipati  nell’emanazione di un odore fisico insopportabile di cui gli stessi sono macchiati indelebilmente.
Oggettivamente, i componenti delle classi elevate si mostrano superiori  e risultano desiderati ed invidiati da chi non ha mai raggiunto la loro posizione  e vive nella miseria  e nell’emarginazione.
Bong Joon-ho nel suo film ci mostra una classe subalterna  intelligente , abile , furba ed, in qualche caso, anche colta; ma, che non prefigura mai una visione alternativa della società in cui la propria condizione di miseria possa essere riscattata.
Essa si muove , utilizzando comportamenti  spesso  al di fuori dell’ambito della  legalità, per la propria sopravvivenza e lotta  anche  brutalmente contro gli altri emarginati.
E’ sostanzialmente subalterna alle classi elevate anche se, alla fine, è possibile il verificarsi di un atto di ribellione individuale quando  risulterà insopportabile subire, addirittura,  il loro disprezzo fisico.
Il film “ Parasite” è ambientato nel Sud Corea, ma i fenomeni di disgregazione , frammentazione  e precarizzazione del lavoro stanno diventando un problema mondiale che investe tutte le nostre società, sull’onda della globalizzazione,  scatenando tensioni e conflitti.
Il grido d’allarme ed i contenuti del film che ne estremizzano scenicamente le problematiche ci riguardano tutti  e giustificano il successo di critica e di pubblico che lo hanno portato, fra l’altro, ad ottenere la Palma d’oro per miglior film al Festival di Cannes 2019.
In “ Parasite” ,la speranza,  pur presente nelle  componenti più giovani delle classi subalterne, rimane quella di riuscire ad elevarsi socialmente con un investimento personale nella formazione. Grazie alla nuova condizione economica raggiunta sperano di potere liberare se stessi e gli altri componenti della famiglia dalla miseria , emarginazione e dall’eventuale condizione di “ Parassita”.
E’ questa l’unica possibilità presente all’interno di una realtà contraddistinta da una pesante e stabile divaricazione sociale: una strada del tutto individuale.


lunedì 11 novembre 2019

L'UOMO DEL LABIRINTO



Con il suo secondo film, adattamento per lo schermo dell’omonimo romanzo “ L’uomo del labirinto” (2017), Donato Carrisi ci conduce per mano all’interno di una complicata indagine, alla ricerca di un killer seriale, che si trasforma in un perverso intreccio di personaggi e di situazioni che sviano lo spettatore dall’immediata corretta comprensione di quello che sta osservando. Solo nel finale riuscirà ,infatti, a comprendere la dinamica degli avvenimenti ed il filo logico e conseguenziale che li ha diretti.
Il romanzo “L’uomo del labirinto”, da cui è stato tratto il film, fa parte  di un ciclo di libri  che ruota attorno al personaggio  dell’investigatrice  Mila Vasquez ed è composto anche da “ Il suggeritore”(2009) , “ L’ipotesi del male” (2013)  e “ Il gioco del suggeritore”(2018).
Nel film, l’indagine alla ricerca del rapitore e serial killer è condotta dall’investigatore privato Bruno Genko, ben interpretato dall’ottimo Tony Servillo; mentre, scopriremo, solo alla fine del racconto, l’identità ed il ruolo dell’investigatrice Mila Vasquez , interpretata  da Valentina Bellé.
Da citare poi fra gli attori Vinicio Marchioni , collega della Vasquez, ed il grande  Dustin Hoffman in un ruolo ambiguo e delicatissimo.
La figura malefica del serial Killer con il volto di Bunny il coniglio mi ha ricordato solo per un attimo il film Harvey (1950) in cui James Stewart ha per amico un coniglio immaginario; ma non c’è nulla di simile con il  personaggio e il racconto del nostro film.
“L’uomo del labirinto”, ben diretto da  Donato Carrisi e sostenuto da una buona scenografia,  avvince lo spettatore che si ritrova profondamente immerso nella storia fino alle sue disorientanti battute finali. Un thriller, certamente, ma anche un’analisi della contorta psicologia  dei cosiddetti “figli del buio “ ,dapprima vittime di rapimenti, prigionia e tortura psicologica  ed a loro volta, infine, carnefici .
Così come nel caso de “ La ragazza della nebbia”, fa piacere osservare come sia possibile vedere realizzato  da un regista/scrittore  italiano un film/giallo complesso ed avvincente che non fa rimpiangere  quelli della cinematografia inglese o  americana.