mercoledì 30 gennaio 2019

DUE FAMIGLIE - Parte 5




Gaetano si era rifugiato fuori Asmara , nella campagna di suoi amici di origine italiana. Aveva ottenuto dei documenti nuovi grazie all’amicizia con i dipendenti dell’anagrafe  locale che preparavano le carte d’identità  e aveva preso il nome di  Fortunato Speranza. Avevano timbrato il documento  con un colpo di martello  su di una moneta riscaldata sul fuoco che aveva dato un risultato simile a quello di un timbro a secco. “Fortunato” del resto era conosciuto e voluto bene da tutta la comunità italiana, dai colleghi carabinieri  rimasti in servizio e dagli impiegati dell’amministrazione di governo che aveva conosciuto negli anni di servizio. Quel documento era abbastanza sufficiente per garantirgli una relativa agibilità anche nei confronti dei controlli occasionali delle truppe inglesi  . “Fortunato” lavorava  insieme a molti braccianti di colore ed altri italiani  nelle campagne dell’Eritrea vicino ad Asmara ed otteneva  il necessario per vivere . I pasti erano garantiti e per dormire  vi era un grande capannone di legno coperto da grandi foglie di palma , adibito a dormitorio comune. La sera ormai stanchi si crollava sui mucchi di fieno preparati per il giaciglio e si perdevano completamente i sensi in un profondo sonno ristoratore.
Quella sera , tuttavia , appena preso sonno , Fortunato fu improvvisamente svegliato insieme a tutti gli altri da un  frastuono che veniva dal tetto. Nel buio della notte si vedevano le foglie di palma tutte smosse come se vi stesse passando in mezzo un treno. Era impressionante! Qualcosa stava strisciando  sul tetto del capannone ed era enorme! Subito tutti si alzarono dal giaciglio   spaventati. Alcuni scapparono di corsa fuori , altri  si raggrupparono in un angolo del capannone armandosi di bastoni , coltelli ed attrezzi da lavoro .
Era un animale ed era grosso! Strisciava sopra il tetto  scompigliando tutto e facendo un rumore sordo: Doveva essere molto lungo perché sembrava  arrivare da un lato all’altro  del tetto.
Ad un tratto  sembrò  che scendesse lungo la parte esterna. Fuori le grida di molti indigeni, accorsi a vedere che cosa stesse succedendo, risuonarono forte nel buio.
Un serpente ! Un serpente ! – gridavano- E’ un Pitone enorme . Attenti! Attenti! Sparategli!
Fortunatamente per tutti, ed anche per lui stesso, il Pitone, tuttavia, se ne andò così come era venuto salendo su di un grosso albero prospiciente al capannone e sparendo dopo pochi minuti dalla vista di tutti.
Non ho mai visto un animale simile! – disse Fortunato – Doveva essere lungo  quattro o cinque metri!
-E’ un animale formidabile e pericoloso anche se non è velenoso- gli rispose Amir – un compagno di lavoro eritreo. Ha una forza tremenda  con le sue spire riesce a stritolare le sue prede e addirittura ad ingoiarle intere.
-Meno male che non aveva fame!  –disse “ Fortunato” sorridendo-
-Meno male! – rispose Amir
Dopo quella bella notte in campagna  “ Fortunato” pensò bene  di cercare qualche altro sbocco professionale rispetto a quel duro lavoro manuale. Sempre aiutato dai suoi amici italiani,  si procurò un calesse /carretto tirato da un cavallo con cui  iniziò un servizio di trasporto di persone o di merci .Metà dei soldi guadagnati andavano ai proprietari del calesse e con l’altra metà Fortunato riusciva a vivere dignitosamente e pagarsi un letto  in un ammezzato /cantina di altri conoscenti.
Il tempo passava  e arrivò anche ad Asmara la notizia  dell’armistizio firmato da Badoglio fra l’Italia e le forze alleate. Fortunato poteva riacquistare la sua identità  presentandosi al Comando dei carabinieri ed alle forze alleate. Tutto procedette abbastanza bene ma alla fine  Fortunato venne tuttavia considerato, a causa delle sue precedenti azioni . equiparato agli altri prigionieri di guerra   ma con la possibilità di un inquadramento in un campo di lavoro nei campi petroliferi sulla costa Araba dirimpettaia.
“Fortunato” ritornato Gaetano  si ritrovò così per la prima volta nella sua vita seduto  in fila con alti compagni all’interno di un aereo militare adibito al trasporto di uomini verso i campi petroliferi arabi. Non aveva mai preso l’aereo ed era comprensibilmente emozionato  . Quando si ritrovò in aria  , la tensione , piano piano si allentò e tutti cominciarono a prendersi in giro l’un l’altro e trasformare l’iniziale paura in riso.Il viaggio durò meno di quanto si aspettavano e presto dopo aver di nuovo sospeso il fiato durante la manovra di atterraggio si ritrovarono in Asia , fra le sabbie arabe e vicino al mare.
Gaetano imparò a lavorare nei campi di petrolio e a nuotare nelle acque dell’oceano indiano, poi finalmente la guerra finì   e si cominciò a predisporre il rientro in Italia. Passò ancora qualche mese e finalmente Gaetano potette prendere posto nell’aereo militare che lo avrebbe sbarcato all’aeroporto di Fiumicino a Roma . Ormai era un veterano del volo , diceva a se stesso, e in ogni caso  non vedeva l’ora di rientrare  in Italia e riprendere il suo posto fra i carabinieri.
Gaetano fu reintegrato nell’Arma  e mandato a prendere servizio a Ventimiglia promettendogli  che  appena possibile sarebbe stato trasferito in Sicilia  con la possibilità finalmente di riprendere meglio i contatti familiari. Prima di andare a Ventimiglia aveva avuto comunque una licenza di un mese per andare in Sicilia . Era stato incredibile rivedere  il suo paese e i suoi fratelli e sorelle ,anche se aveva appreso la notizia che nel frattempo il padre era morto . Adesso doveva riprendere una nuova vita. La guerra era finita e bisognava ricominciare. Gaetano era giovane e desiderava una donna  sua , una famiglia dei figli: Voleva una della sua terra  e trovò la possibilità di scambiare una corrispondenza  con una ragazza di Caltanissetta . La preferiva alle ragazze che aveva conosciuto a Ventimiglia. La sentiva più vicina alle cose più intime in cui credeva e che sentiva essere la sua più profonda natura: Passò il tempo e Gaetano ritornò in Sicilia  ,sposò quella ragazza e si stabilì a Caltanissetta . Un giorno, la sua figlia minore  avrebbe incontrato il figlio di Turiddu.
CONTINUA


martedì 29 gennaio 2019

DUE FAMIGLIE -Parte 4






Lina giocava con Armando il piccolo zio , fratello della mamma,  e Renza  nel terreno  fuori dalla casa di Mascalucia,  dove la sua famiglia si era  rifugiata  dopo che i bombardamenti su Catania si erano fatti devastanti e  continui e gli alleati erano sbarcati in Sicilia. Adesso, il fronte si era attestato nella  Piana di Catania. L’8° armata guidata da  Montgomery era riuscita a superare il ponte Primosole sul Simeto   ma la forte resistenza  dei paracadutisti tedeschi e degli uomini della "Hermann Göring" sistemati in posizione difensiva, favoriti dalle postazioni d'osservazione sopraelevate dell'Etna la bloccava a una decina di chilometri dalla città. I combattimenti continuavano da una settimana quando giunse notizia che era arrivata dal Nord Africa una divisione di fanteria  per rafforzare le forze britanniche.
Erano i primi giorni di agosto  e rispetto alla solita afa che colpiva Catania in quelle giornate estive a Mascalucia la sera il tempo rinfrescava e si stava un po' meglio. La casa di Mascalucia era stata affittata dai nonni materni. Fin dai primi bombardamenti su Catania avevano deciso di “ sfollare” sull’Etna e avevano trovato la possibilità di affittare questa casa ampia grazie ad una conoscenza comune. C’era stata po la possibilità di ospitare anche la figlia con la sua famiglia e i genitori del genero rimasti soli a Catania e bisognosi anche loro di scappare dai bombardamenti. La convivenza non era stata molto semplice a causa del  carattere forte delle due “ nonne”  e dei rapporti non facili fra Maria  e la suocera.
Quella sera ,dopo cena, mentre i bambini giocavano i grandi si erano seduti fuori all’aperto per discutere della situazione.
Quella mattina era successo il finimondo ! C’era stata una vera e propria battaglia. Tutto era cominciato quando dei soldati tedeschi, dopo avere sottratto la motocicletta ad un miliare italiano portaordini e dopo aver tentato di rubare i quattro cavalli ad un carrettiere , avevano riprovato a rubare i  cavalli ad una famiglia catanese  sfollata nel paese. I tedeschi avevano sparato  provocando un morto ed un ferito. In un altro punto del paese, in un casolare, un tedesco ubriaco aveva sparato ed ucciso un soldato italiano. Successivamente i tedeschi avevano ucciso ancora un altro soldato italiano.
 Non se ne poteva più.
In paese c’era una famiglia di armieri che aveva un deposito .Distribuì le armi a molti paesani  e gli stessi risposero così a quelle prepotenze . Fu il “segnale” dell’inizio della resistenza popolare.
Molti cittadini armati di fucili e pistole  erano scesi  per le strade, sparando ai soldati tedeschi. Molti sparavano  dalle terrazze delle case e dal campanile della chiesa principale del paese. Gli  abitanti  di Mascalucia erano stati poi aiutati  dai soldati italiani,  carabinieri e  Vigili del fuoco, sfollati da Catania.
 La sparatoria durò circa quattro ore.
I tedeschi, dopo avere lasciato diversi caduti sul campo, si erano ritirati  quindi dal  paese lasciandolo in mano agli insorti. . Alcuni paesani avevano riferito a Turiddu che si muoveva qualcosa e che i tedeschi si stavano preparando alla ritirata anche da Catania. Questa voce era stata in qualche modo confermata dai suoi superiori d’ufficio che avevano detto che nello spazio di pochi giorni Catania sarebbe stata liberata dagli alleati. Era per questo che Turiddu insisteva con Maria e gli altri che era ormai il caso di provare a ritornare in città.
-E’ necessario farlo adesso , prima che vi sia quel momento di vuoto di potere  in cui i delinquenti possono tentare di entrare nelle case vuote per rubare. Poi- disse Turiddu- io devo  tornare in ufficio e quindi è il momento  di tornare  adesso insieme in città.
- Per noi va bene – rispose la madre di Turiddu- Vero, Giuseppe?- aggiunse rivolgendosi al marito.
-Si , certo – rispose lui- Bisogna andare via di mattino presto – Dopo la prima scarica di cannonate dei tedeschi verso la piana . Dopo, c’è qualche ora di pace e a quel punto possiamo già essere  arrivati a Catania.

- Ma siete proprio sicuri di non voler restare con noi  fino a quando la situazione non è definita? – chiese la madre di Maria
-  No mamma , partiamo adesso- rispose Maria- . E’ meglio ! Turiddu potrebbe avere difficoltà a tornare qui dopo ed è meglio andare via ora, insieme.
Così decisero e la mattina dopo  presto si misero in cammino per tornare a casa in città. Lina e Renza cercavano di fare del loro meglio ma c’erano punti da attraversare in campagna difficili e Turiddu e Maria dovevano spesso fermarsi per prenderle in braccio per lunghi tragitti. D’altra parte , spesso ci si doveva fermare per aspettare e far riposare gli anziani genitori di Turiddu.
Alla fine, comunque  , mentre riprendevano, le cannonate tedesche, arrivarono ai margini dell’abitato cittadino. Usciti dall’agglomerato urbano della  Barriera del bosco, si trovarono già al Tondo Gioeni  da cui si poteva ammirare il panorama della città. Poco distante c’era la casa dei genitori di Turiddu  e ci arrivarono in pochi minuti. A questo punto rimase un chilometro in discesa su Via Etnea  verso la loro casa nel quartiere Borgo, prima di Piazza  Cavour.
Arrivarono stanchi e preoccupati ma contenti di avercela fatta  senza  incidenti di percorso.


domenica 27 gennaio 2019

DUE FAMIGLIE - Parte 3




Si stava bene ad Asmara! Certo, non era Roma; ma, sembrava quasi di essere in una elegante cittadina italiana,  con una vita comoda e gradevole. Gaetano  era già lì da quasi  un anno . Era sbarcato a Massaua  ed era poi arrivato ad Asmara col treno, grazie alla ferrovia costruita dagli italiani che collegava le due città.  L’azione italiana in quel territorio era stata importante. In soli cinque anni,   a partire dal 1936, Asmara aveva  cambiato il suo volto. Era stato  costruito un  grande  aeroporto internazionale  che permetteva  il collegamento  con l’Italia, grazie alla Linea dell'Impero. Era stata inoltre realizzata  una moderna strada asfaltata per Addis Abeba ,detta "Via dell'Impero", una efficiente ferrovia per Massaua e una Teleferica che collegava la città ( posta su di un altipiano  a 2300 mt sul livello del mare) col Mar Rosso  e che veniva considerata  la  maggiore del mondo.
 Il volto di Asmara era quello di una città in cui l’opera dei moderni architetti del Regime si era espressa, accoppiando le nuove linee della modernità con un raro equilibrio. Erano stati realizzati  edifici come l'"Art Deco" Cinema Impero, la "Cubista" Pensione Africa, la chiesa ortodossa Tewahdo, il teatro dell'Opera, la costruzione "futurista" Fiat Tagliero, la  Cattedrale secondo uno stile "neo romanico" ed il "neoclassico" Palazzo del Governatore. La città era piena di ville  in stile "coloniale italiano". Già nel  1939 Asmara aveva una popolazione di ca. 98.000 abitanti, dei quali 53.000 erano Italiani. Era  la principale "città italiana" nell'Africa Orientale Italiana mentre  in   tutta l'Eritrea vi erano ca.  75.000 Italiani.
 La zona centrale della città, dove si trovava anche la caserma dei carabinieri, era riservata quasi esclusivamente agli italiani, C’era poi una zona  periferica destinata ai locali e un’altra  mista per  arabi e indiani i cui progenitori erano arrivati dal Mar Rosso. Il fronte di guerra era sempre più vicino e le cose non stavano andando per  il verso giusto. Giovanni e gli altri carabinieri rimasti ad Asmara erano i custodi dell’ordine pubblico della città; ma, in quel momento, v i era una pesante sensazione di silenzio ed incertezza nell’aria. Poco distante,  a  Tekelezan , le truppe italiane più tenaci ed organizzate stavano cercando di opporre l’ultima resistenza  all’avanzata britannica , ma la nuova posizione era molto meno difendibile  di quella dell’ormai persa Cheren. Verso Cheren erano confluite la 4° Divisione Indiana,  che si era impadronita  del monte Forcuto e di Sanchil  , mentre  la 5° divisione  indiana era riuscita, dopo molti giorni di resistenza italiana,  a forzare il passo di Dongolaas. Adesso si temeva il peggio!

Le notizie che arrivavano erano sempre più sconsolanti e la mattina del 1 aprile 1941  si ebbe la certezza che le truppe britanniche sarebbero arrivate presto ad Asmara : Tekelezan  era caduta!
Gaetano era decisamente preoccupato. La guarnigione di stanza ad Asmara era di una sessantina di carabinieri che regolavano la vita della città e  garantivano la sicurezza della popolazione italiana. Per questo motivo , fino all’ultimo, la scelta dell’alto comando , era stata quella di restare  e di mantenere la presenza dei carabinieri nella  città. Ora, le truppe inglesi stavano per arrivare , occupando l’intera Eritrea. L’Impero  era caduto ed ormai tutto era cambiato. Gaetano, durante quell’anno di permanenza ad Asmara, si era fatto molte conoscenze ed amicizie. Oltre ai colleghi con cui era arrivato in Africa  ed  era stato a Roma,  era legato ai “ siciliani”, un gruppo di persone che si era trasferito nella colonia  in cerca di lavoro ed  un miglioramento delle proprie condizioni di vita.  In particolare, frequentava alcune famiglie che vivevano in città ma erano proprietarie  di diverse fattorie agricole nell’altipiano, con alcuni ettari di terreno dove coltivavano il miglio e  tenevano anche degli animali :  alcuni buoi  e  dei polli . Asmara era un buon centro commerciale e queste persone portavano qui i loro prodotti. Il comando  generale aveva stabilito che i carabinieri di stanza in Eritrea , adibiti all’ordine pubblico, rimanessero nei loro posti, in attesa dell’arrivo delle truppe inglesi, anche a garanzia della popolazione italiana residente e così con trepidazione  tutti erano in attesa del loro arrivo per vedere cosa sarebbe successo.
Adesso, erano ormai alcuni giorni che le truppe inglesi erano arrivate e si erano insediate in città occupando il palazzo  del governo. Presero atto che i carabinieri italiani erano rimasti tutti ai loro posti di servizio e decisero di approfittare  della loro presenza come fattore di mediazione per l’occupazione del territorio nei confronti della parte più importante della popolazione, che era di origine italiana, e  che , in qualche modo , fino a quel momento li aveva considerati come nemici. Presero pertanto contatto  con il comandante dei carabinieri e lo informarono della decisione di accettare la loro collaborazione. Allo stesso tempo , tuttavia, fecero presente che , come d'altronde era comprensibile per chi era stato un militare  per tutta la vita , era necessario un atto formale di adesione al nuovo potere costituito. Desideravano pertanto che ogni carabiniere di stanza ad Asmara prestasse formale giuramento sottoscritto di sottomissione e fedeltà all’impero britannico  e alle sue istituzioni. Questa era la condizione in cambio della quale si sarebbe dato vita ad una forma di collaborazione che avrebbe permesso ai carabinieri di continuare a svolgere il loro servizio , mantenendo la  posizione occupata. Chi non avesse prestato giuramento, sarebbe stato invece arrestato e considerato prigioniero di guerra. Gli inglesi lasciarono il testo del giuramento da far sottoscrivere  da tutti i carabinieri , ma pretesero che una copia fosse firmata immediatamente dal comandante della stazione  e se ne andarono solo  dopo che lo stesso l’ebbe firmata davanti a loro.
Il giorno dopo il comandante della stazione dei carabinieri di Asmara convocò uno per uno i suoi sottoposti richiedendo l’apposizione della firma di giuramento al nuovo potere costituito sul documento predisposto dal Comando di occupazione inglese. Uno dopo l’altro, tutti entrarono nella stanza del comandante e firmarono il giuramento. Venne poi il turno di Gaetano. Gli avvenimenti di quei giorni erano precipitati nella sua mente e nel suo cuore sconvolgendolo. Lui era un italiano, aveva prestato giuramento al Re d’Italia fino alla morte e la guerra non era finita. Si, adesso il comando inglese  aveva il controllo di Asmara;  ma, l’Italia non era ancora battuta e tanti altri italiani stavano combattendo. Lui aveva giurato fedeltà! Perché doveva abiurare  quel giuramento? Non era giusto! Mentre il comandante gli spiegava che il loro compito era in quel momento accettare la situazione per il bene dei compatrioti residenti ad Asmara, Gaetano fremeva . Ad un certo punto espresse con chiarezza il suo pensiero  e il suo rifiuto aperto a quello che gli veniva chiesto. Non l’avesse mai fatto! Il Comandante non era  solito tollerare  il rifiuto di uno dei suoi sottoposti, per qualsiasi motivo, e vide  quel naturale  atteggiamento di perplessità e di disagio di Gaetano come un ‘insubordinazione. Invece di parlargli ancora, cercando di ottenere la sua comprensione, si alzò in piedi urlando ed investendo Gaetano con violenza e con un mare d’insulti. Gaetano era un giovane rispettoso dell’autorità e con un carattere equilibrato. Non era solito perdere la testa e controllava abbastanza bene le sue emozioni. Per la prima volta , tuttavia , nella vita sentì montare dentro di sé una rabbia incontrollabile. No! Non era lui che stava tradendo la fiducia degli altri! Era quel pazzo di comandante che  tradiva l’Italia ! Era lui che non aveva rispetto dei suoi sentimenti! Ma come diavolo si permetteva d’insultarlo in quel modo?!? Sentì la propria mano  scendere lentamente verso il fodero della pistola. Era quasi se fosse un altro a muoversi al suo posto , mosso da un’ ira tremenda. Il comandante comprese al volo quello che stava succedendo e gli grido  con voce squillante:
-          CARABINIEREE! A..TTENTI!
Senza  rendersene conto  Gaetano  ubbidì. Era  un comando che era entrato dentro di lui  senza permettergli di riflettere e che aveva eseguito immediatamente.  In quel mentre, il comandante gli si avvicinò rapidamente e gli sciolse il cinturone con  la pistola, mentre contemporaneamente  chiamava i sottoposti.
-Quest’uomo è agli arresti- disse rivolgendosi ai carabinieri prontamente entrati nella stanza – Portatelo in guardina.
-Questo è quello che succede a chi non presta giuramento al nuovo potere costituito ad Asmara , sotto il Comando dell’Impero Britannico.- aggiunse il Comandante- Chiunque non presta giuramento verrà considerato  prigioniero di guerra e incarcerato in  attesa di nuovi ordini.
CHIARO?
-Sissignore! -risposero tutti in coro.
Gaetano era ammutolito.  Dentro di lui lottavano insieme la rabbia per quello che aveva subito , l’umiliazione e la vergogna per essere stato arrestato proprio dai suoi commilitoni! Lui non aveva fatto niente! Non era giusto quello che stava subendo.

I compagni  carabinieri lo accompagnarono nel sotterraneo verso i locali dove stavano le celle. Erano tutti in evidente imbarazzo! Gaetano era un giovane che tutti volevano bene e rispettavano. Quella  situazione era insostenibile! Mentre scendevano , arrivò di corsa il capitano e si mise a parlare fitto fitto ,. bisbigliando, con il capo squadra. Successivamente, se ne andò di corsa come era venuto e la squadra continuò ad accompagnare Gaetano verso le celle. Quando furono arrivati , fecero entrare Gaetano in una delle celle,  gli dissero di accomodarsi su di una sedia accanto alla brandina e di aspettare lì in attesa del loro ritorno. Accostarono il cancello e se ne andarono.

Giovanni era costernato! Sedeva li, su quella sedia, aspettando i commilitoni e, nel frattempo, non riusciva a rendersi conto di quello che era successo: Lui, un carabiniere, un tutore dell’ordine , un elemento integerrimo dell’Arma, quell’Arma che era l’orgoglio italiano, lui, che  per tutta la vita aveva portato avanti il senso del dovere , dell’onestà , della dedizione al servizio , adesso era in una cella  imprigionato dai suoi compagni!
 Non poteva crederci!
Il tempo passava e lui rimaneva solo! Non tornava nessuno ! Che stava succedendo? Lui era prigioniero di guerra , gli avevano detto. Sarebbe stato portato in un campo di concentramento! Che fine avrebbe fatto? Sarebbe mai tornato  a casa da quella guerra?  Pensò a sua madre , a suo padre ed ai fratelli e sorelle in Sicilia. Non li vedrò più?
Si avvicinò alla porta della cella e si rese conto che era accostata. Si, aveva visto che non era stata chiusa a chiave ma, fino a quel momento, non si era ancora reso conto che era aperta. Provò a spingerla . Il cancello si aprì e lui uscì fuori lentamente. Si guardò attorno e non c’era nessuno. Che stava succedendo? Dov’erano tutti? Lentamente, salì la scaletta  e non vide ancora nessuno. Ora era nei locali superiori ,vicino ad una porta che dava fuori, mentre nell’altra stanza, in fondo, sentiva il parlottio degli altri carabinieri.
Che fare?  Quella situazione non era normale! Era molto strano che la porta della cella fosse rimasta  accostata e che tutti fossero spariti! Era  come se lo invitassero a scappare. E lui scappò!
CONTINUA

venerdì 25 gennaio 2019

DUE FAMIGLIE - Parte 2



Turiddu camminava velocemente per la via Etnea di Catania tornando verso casa. Si erano trasferiti alla Barriera dopo i violenti bombardamenti alleati dei giorni precedenti  e la delibera di sfollamento decisa dal Governo. Camminava deciso  e con passo militare, portando con fierezza la sua divisa di vigile urbano con i gradi di tenente. Era una condizione che si era veramente sudata. Ricordava quanto aveva studiato per prepararsi  con l’aiuto dello zio Vincenzo, ex appuntato e  fratello della madre, alla selezione per l’assunzione.
Poi, quegli anni erano volati via, tutti d’un fiato. Prima, l’incontro con Maria , il fidanzamento, quindi il matrimonio, l’affitto della casa  in via Etnea  e la nascita di Carmelina. Dopo, pochi anni fa, la seconda figlia Renza ,che ormai aveva due anni e mezzo Le promozioni fino a quella di tenente, il comando alla sezione annonaria ed il controllo del mercato nero, che gli avevano valso la possibilità di non andare in guerra , perché adibito a servizio necessario per la salute pubblica. Ora aveva trentasei anni . Era un giovane alto e forte  e camminava verso casa dopo il turno di lavoro. Se si poteva essere soddisfatti, pure se in un periodo come quello , ebbene lui lo era . Anzi , sostanzialmente orgoglioso del suo lavoro e della sua famiglia. Nonostante la guerra , fino a quel pesante bombardamento , erano riusciti ad andare avanti  senza troppe difficoltà. Certo, tutto era razionato ma le bambine crescevano bene e non gli era mancato niente. Sotto casa loro  , al primo piano dello stabile , abitava una famiglia che gestiva un piccolo panificio due porte appresso , sempre su via Etnea. Col tempo erano diventati amici ed il pane non mancava mai. Turiddu , da parte sua,  si procurava al mercato di tanto in tanto qualche sacco di farina  e Maria  impastava e faceva la pasta fresca. Turiddu era  figlio di dolciere  ed , al bisogno, era in grado di lavorare la pasta lievita e qualche volta preparava il pan di spagna per le bambine. Moto più bravo di lui era ovviamente il papà Giuseppe, il nonno di Lina e Renza. Si, Lina  perché col tempo  il nome troppo lungo di Carmelina era stato accorciato .  La mattina, mentre lui era già al lavoro, Maria  scendeva a piedi dalla Barriera  per portare Lina a scuola  che si trovava in una zona vicina a Via Etnea all’altezza della stazione ferroviaria dei treni locali della Circumetnea. Era questa una linea che collegava a Catania i principali paesini che sorgevano sul versante dell’Etna. Maria portava con se oltre a Lina anche Renza  che, nonostante i suoi due anni e mezzo, era costretta a farsi molta strada  a piedi , lamentandosi continuamente di voler esser presa in braccio. Lina invece aveva già otto anni  e frequentava la seconda elementare. Era la figlia grande ed i capricci era già finiti da un pezzo. Renza invece aveva ancora il diritto di protestare, anche se, comunque, la strada a piedi non gliela toglieva nessuno.  A niente valevano anche le sue proteste quando  , suonata la sirena che avvisava delle incursioni aeree, l’ordine perentorio era di mettersi sotto il letto .” Ma perché sotto il letto ?” gridava piangendo Renza,  mentre mamma Maria e Lina si mettevano sotto il tavolo e papà Turiddu,  per cui non c’era più posto, si metteva sotto l’arco della porta che in caso di crollo doveva in qualche modo resistere.
 Maria e le figlie sotto il piano della tavola e del letto  sarebbero state protette a loro volta  dall’eventuale crollo del soffitto , visto che erano all’ultimo piano dello stabile . Avevano deciso di restare a casa perché il rifugio comune  era un po' distante ed arrivarci con le bambine era difficoltoso : Avevano poi  avuto l’esperienza di passare  molto tempo lì, in attesa di bombardamenti che non arrivavano mai e con una sirena che metteva fine all’allarme solo molto tempo dopo. Questo comportava uno stato di sofferenza per tutti  ma soprattutto per le bambine. Si erano convinti così che il pericolo  era relativo e poteva essere affrontato meglio a casa. Fortunatamente per loro, quando Catania era stata bombardata seriamente  e quarantadue strade con le relative  abitazioni avevano avuto morti e distruzioni , la zona del quartiere Borgo , dove abitavano , non aveva avuto danni ed era stata sostanzialmente risparmiata.  Non avevano avuto invece la stessa fortuna due appartamenti, siti in Via Garibaldi,  di proprietà del padre che con gli affitti arrotondava le sue entrate. Questi erano stati rasi al suolo con le relative vittime umane.  Dopo il bombardamento l’ordine era stato perentorio:” Si doveva sfollare” e Turiddu aveva trovato quella casa relativamente vicina  a Catania ,posta nel quartiere della Barriera. La distanza fra la casa di via Etnea a questa nuova  era nell’ordine di ca. tre chilometri che si potevano fare  a piedi . La  strada era tutta in salita per uscire da Catania . Partendo da casa loro, in via Etnea, si continuava per la stessa  strada,  si superava  a destra il livello della stazione della circumetnea, si superava   quello che era stato il palazzo degli Ardizzone Gioeni , diventato ospizio dei ciechi e si arrivava al Tondo Gioeni , che prendeva sempre il none da quella famiglia nobiliare. Questo era uno slargo posto alla fine di via Etnea , sulla sommità della città, e con alle spalle il vulcano Etna nella sua piena grandiosità. Da quel punto, si saliva  poi per una strada più piccola  con un  dislivello ancora più ripido per circa un altro chilometro, raggiungendo il borgo della Barriera del Bosco, detta comunemente solo “ la Barriera “.
Sia Turiddu che Maria e le figlie si riunivano a pranzo nella casa di via Etnea perché era più comodo. Solo dopo  rientravano alla casa della Barriera. Maria e le figlie  nel primo pomeriggio, Turiddu, invece, tornava al lavoro a Pazza Duomo, dove stava il Comando dei Vigili Urbani, e finito il suo turno, nel tardo pomeriggio, tornava anche lui alla casa della Barriera. Mentre per andare al lavoro , la mattina ,la strada era tutta in discesa; al ritorno , al contrario,  era tutta in salita ed ai tre chilometri della distanza fra la casa in Via Etnea e quella della Barriera si aggiungevano quasi  altri due chilometri  partendo da Piazza Duomo.
Mentre nella sua mente scorrevano questi pensieri,  Turiddu era ormai arrivato quasi  all’altezza di piazza Stesicoro,  sempre su Via Etnea passati i Quattro Canti. La piazza veniva chiamata anche piazza Bellini perché, sulla sua destra,  troneggiava il monumento dedicato  al grande compositore  nativo della città. Anche il teatro dell’Opera aveva preso il nome da questo grande musicista. Sulla sinistra  della piazza  si accedeva invece a  quello che era stato l’anfiteatro greco romano. Questo aveva una parte  scoperta visibile, mentre  un’altra parte continuava  sotto terra. Oltre  questa zona recintata  della parte scoperta dell’anfiteatro, sempre alla sinistra in alto, si poteva ammirare la chiesa  di S.Agata al carcere, dove  la patrona  di Catania sembra fosse stata torturata ed incatenata. Turiddu aveva  da poco oltrepassato Piazza Stesicoro quando, improvvisamente, l’aria venne solcata da un rombo improvviso. La gente  tutt’intorno a lui  rimase di colpo immobile e disorientata  fino a quando, con la stessa improvvisa rapidità,  cominciò a scappare urlando in tutte le direzioni, mentre  appariva sullo sfondo la sagoma di un caccia dell’aviazione nemica.


Turiddu, accorgendosi di tutto questo , analizzava velocemente tutte le possibilità a disposizione e, mentre l’aereo si avvicinava,   si appiattì contro il muro della parete della strada,  cercando di essere il meno visibile possibile. Il caccia  era isolato. Probabilmente, era in ricognizione; ma, ora, stranamente  e inspiegabilmente,  si orientava contro una popolazione civile e indifesa. Aveva abbassato la sua traiettoria sulla città e  sparava colpi di mitragliatrice, colpendo i marciapiedi  fra le urla delle persone. Era della RAF britannica. Dopo aver superato il livello della Piazza Duomo, adesso, il caccia stava virando per tornare indietro . Turiddu non aspettò un attimo. Non poteva stare ancora lì e decise di correre all’impazzata verso un posto più sicuro Cercava un portone aperto dove infilarsi  per sfuggire all’aereo; ma, molti prima di lui avevano avuto la stessa idea  e, dopo essere entrati, se lo erano chiusi alle spalle .
Turiddu  correva , correva . ma sentiva il rombo dell’aereo sempre più vicino. Ad un certo punto arrivò vicino al palazzo delle Poste,  sulla sinistra di via Etnea, poco prima di Villa Bellini, la più grande villa pubblica  e monumentale della città . L’aereo cominciò a sparare di nuovo e Turiddu sentì i colpi  battere sul marciapiede  poco distante da lui. Fece uno scarto  e salì di corsa i pochi gradini dell’entrata del Palazzo delle Poste , rifugiandosi dentro la grande arcata dell’ingresso. L’aereo , fortunatamente, passò oltre  continuando la sua pazza mitragliata di una strada ormai vuota , sparendo all’orizzonte  oltre l’Etna.

CONTINUA

mercoledì 23 gennaio 2019

DUE FAMIGLIE - Parte 1

Questa storia  è legata  a  momenti vissuti  da due famiglie  in un periodo particolare : quello della seconda guerra mondiale . Vivono questi avvenimenti in  luoghi e momenti diversi ma un giorno le loro storie costituiranno un patrimonio comune .

PARTE 1- In viaggio per Asmara





E così' l'attendeva l'Africa! Questo pensava Gaetano, mentre la nave partita da Napoli continuava a solcare il mare verso L'Abissinia. La terra più a sud dell’impero richiedeva il suo impegno, il suo servizio, ora che i venti di guerra sconvolgevano il mondo e le colonne inglesi puntavano alla conquista di quei territori. Per la prima volta, Gaetano si trovava in un vero viaggio per nave e per un attimo si ritrovò a pensare  a quelli che aveva  dovuto affrontare il padre  per raggiungere l’America e per ritornare in Italia. Anche per lui quel viaggio comportava il trasferimento in un altro continente: l’Africa. Era partito quella mattina da Napoli insieme agli altri giovani carabinieri destinati a prestare servizio ad Asmara in Eritrea.  Appena arruolati, avevano frequentato insieme il corso di formazione nella scuola   allievi carabinieri a Roma, provenienti da tutte le parti d’Italia. Qualcuno era siciliano come lui. Uno era della provincia di Palermo e uno di quella di Siracusa. Gaetano invece era della provincia di Agrigento e precisamente originario di Siculiana. Suo padre, di ritorno dall’America dopo la grande guerra, aveva allargato la proprietà del terreno del nonno, acquisendo diversi terreni limitrofi grazie alle disponibilità rivenienti dal lavoro americano. A New York aveva lasciato una figlia giovane appena sposata mentre lui era ritornato in Italia con gli altri due figli maschi avuti dalla prima moglie, morta prematuramente. Tornato al paese, il padre si era risposato ed aveva dato un nuovo impulso alle proprietà con ottimi risultati. I terreni non erano molto distanti dal paese e, pur se abitavano in un comodo casolare all’interno della campagna di proprietà, era facile raggiungerlo per tutte le attività necessarie. Gaetano era così cresciuto serenamente insieme ai due fratelli del primo matrimonio e le tre sorelle e il fratello del secondo matrimonio del padre. Aveva alternato alla frequenza della scuola il lavoro nei campi, nel periodo estivo, anche se in misura molto limitata. Pur se il paese non era molto lontano dal mare e dalla sua splendida spiaggia, Gaetano vi si recava raramente e non aveva imparato a nuotare. Capitava di andarci, qualche volta insieme al padre, per barattare i loro prodotti agricoli con qualche cassetta di pesce. In special modo, era facile trovare sarde ed alici. Quelle che non si consumavano subito si conservavano sotto sale e costituivano un ottimo pasto al bisogno.  La vita procedeva tranquilla ma il diavolo prepara sempre le sue trappole. Lo zio di Gaetano era commerciante e per la sua attività aveva avuto bisogno di un importante prestito dalla banca locale. Questa aveva voluto a garanzia delle cambiali e, non ritenendo sufficiente solo la firma dello zio, aveva preteso l’avallo da parte del padre di Gaetano che non si era sentito di negare il suo consenso. Il tempo era passato, l’attività commerciale aveva avuto dei problemi e lo zio di Gaetano era risultato inadempiente ai suoi obblighi. In quella situazione, la banca aveva agito legalmente anche nei confronti del padre di Gaetano attaccandolo e privandolo di parte dei terreni. Le prospettive del futuro erano cambiate. La proprietà non poteva bastare più per tutti e anche per Gaetano si pose la necessità di cercare rapidamente una possibile occupazione. Gli era sempre piaciuta la divisa ed una vita attiva e libera. Decise, quindi, di arruolarsi nell’Arma dei carabinieri. Era giovane, aveva conseguito il diploma ed era pronto per il servizio militare. A quel punto, meglio provare ad arruolarsi nell’Arma. Superò la selezione e salutata la famiglia si trasferì a Roma per frequentare in caserma il corso di preparazione all’inquadramento in  servizio.

La caserma era in zona centrale, vicino a viale delle Milizie e non lontano da Castel Sant’Angelo e San Pietro. Questo permise a Giovanni di addentrarsi con facilità, nelle ore di libera uscita, per le strade del centro  alla scoperta di quella splendida città. Insieme agli altri due allievi siciliani, dapprima cercarono di visitare i principali monumenti   e successivamente, grazie anche alle indicazioni dei colleghi romani,   scoprirono Trastevere con le sue viuzze  e le sue osterie  popolari dove assaggiare del buon vino, i piatti della cucina tradizionale e scambiare qualche sguardo con  le ragazze.  . Il tempo, tuttavia era passato,  rapidamente  e senza rendersene neanche conto era già sulla nave a ricordare quei momenti con una relativa nostalgia.
CONTINUA

lunedì 14 gennaio 2019

"The Meyerowitz Stories (New and Selected)"


"The Meyerowitz Stories (New and Selected)", è un film del 2017 scritto e diretto da Noah Baumbach con un' importante cast di attori come Adam Sandler, Ben Stiller, Elizabeth Marvel ( i fratelli Meyerowitz) , Dustin Hoffmann nel ruolo di Harold ( il padre) , Emma Thompson( Maureen) e Candice Bergen( Julia).
La storia ci descrive con naturalezza, ironia,    ma nello stesso tempo anche con un attento  approfondimento della sfera emotiva e psicologica, il rapporto  fra i tre figli ed il loro ormai anziano padre Harold Meyerowitz . L'occasione data da un momento di malattia dell'anziano genitore proprio in concomitanza con l'organizzazione di una mostra dedicata alle sue sculture permetterà un confronto fra i componenti della famiglia allargata , il riaffiorare di tante insoddisfazioni e rancori ma anche la  possibilità di andare avanti e ritrovare il senso di una nuova indipendenza personale e mentale.
Un film interessante  e mai banale. 
Il film è stato presentato in anteprima e in concorso al Festival di Cannes 2017.


lunedì 7 gennaio 2019

CAPRI REVOLUTION





Martone, per la realizzazione di questo film,  ha tratto spunto  dalla storia  di una comune di giovani artisti  nord europei , creata a Capri tra il 1900 e il 1913.
Lo stesso regista afferma di essersi imbattuto per caso nella storia della comune di Karl Diefenbach vedendo i suoi quadri e La Certosa di Capri. Quella storia  lo ha interessato ed incuriosito per l’immediata analogia  con le esperienze del genere  sviluppate  da molti giovani negli  anni sessanta  e settanta. Questo lo ha portato a non ricostruire la storia di Diefenbach ma di reinventare il suo personaggio  e le stesse attività della Comune cercando di rappresentare invece delle esperienze più vicine nel tempo e tipiche di quelle realizzate negli anni sessanta.
Ha cercato ,quindi, di descrivere la sperimentazione psicologica di gruppo, attraverso la danza  collettiva , il contatto corporale  e l’esplorazione dei sensi e della natura , la contemplazione e la compassione  che costituivano il principale interesse di quelle  comunità e la strada attraverso  cui cercavano  di comprendere l’essenza del proprio essere .
Ambientato a Capri nel 1914 alla vigilia della prima guerra mondiale, il film mette a confronto  l’esperienza della Comune  con la realtà storica concreta del tempo e lo fa attraverso gli occhi di Lucia .Martone mette la protagonista  Lucia , una semplice popolana e contadina dell’isola, di fronte a  diverse realtà : quella tradizionale dei ruoli scanditi dalle regole familiari e sociali che la circondano,  estremamente restrittive nei confronti della figura femminile , il cambiamento sociale propugnato dalla figura  attraente  del giovane medico arrivato nell’isola e conosciuto in occasione della cura della malattia del padre, i giovani incredibilmente diversi ma affascinanti  facenti parte da quella Comune , corpo estraneo dell’isola.
Sarà la sua scelta di libertà ad essere il motivo dominante dell’opera di Martone.
Seguendo l’evoluzione  di questo personaggio umile ma che, nel corso della durata del film acquisisce sempre maggiore coscienza di se ,lo spettatore riesce a seguirne l’esperienza, le scelte  e valutare le caratteristiche positive e negative delle diverse realtà con cui interagisce e si confronta.
Presentato alla mostra del cinema di  Venezia, il film ha ottenuto il  Premio SIAE, il Premio Francesco Pasinetti al miglior film,Il Premio Arca Cinemagiovani al miglior film italiano , il Premio Sfera 1932,il Premio La Pellicola d'Oro per la miglior sarta di scena a Katia Schweiggl  il Premio Lizzani, il Premio Soundtrack Stars per la migliore colonna sonora  ed è stato In competizione per il Leone d'oro al miglior film. Brava e convincente Marianna Fontana  nel ruolo di Lucia ,bravi anche  Reinout Scholten van Aschat nel ruolo di Seybu , il capo della Comune  e di Antonio Folletto in quello del  giovane medico del paese.

NOI TUTTI




Noi tutti, in fondo, desideriamo solo un po' d’attenzione,
solo un po' d’attenzione e una possibilità,
che ancora una volta il sole al mattino ci svegli,
illuminando con un suo flebile raggio il nostro cammino.

Che il dono comune della vita
ci prenda per mano, offrendoci ancora
un lavoro ed il rispetto negli occhi nostri e dell’altro.

Nessuno può essere abbandonato.
Nessuno  è meno importante.
Nessuno può essere  deriso , umiliato ,dominato, escluso.

Io spero che la forza presente nell’animo di noi tutti
possa far rialzare chi è caduto ,
possa aiutare il più debole
possa illuminare il  futuro di speranza

La gratuità del gesto e 
la fiducia nel sogno
ci salveranno.



venerdì 4 gennaio 2019

PASTA REALE


Ingredienti:

Kg. 1,500        zucchero
Kg. 1               mandorle in polvere
g.   600           acqua
essenza di cannella

Preparazione:
Si mettono in una casseruola lo zucchero e l'acqua e quindi si pongono sul fuoco.
Quando il composto tende a strapparsi si aggiunge la mandorla e si mescola a lungo aggiungendo l'essenza di cannella.
Poi, si versa sul marmo e si lavora molto ( scanala) ; quindi, si possono fare i frutti di pasta reale.