domenica 27 gennaio 2019

DUE FAMIGLIE - Parte 3




Si stava bene ad Asmara! Certo, non era Roma; ma, sembrava quasi di essere in una elegante cittadina italiana,  con una vita comoda e gradevole. Gaetano  era già lì da quasi  un anno . Era sbarcato a Massaua  ed era poi arrivato ad Asmara col treno, grazie alla ferrovia costruita dagli italiani che collegava le due città.  L’azione italiana in quel territorio era stata importante. In soli cinque anni,   a partire dal 1936, Asmara aveva  cambiato il suo volto. Era stato  costruito un  grande  aeroporto internazionale  che permetteva  il collegamento  con l’Italia, grazie alla Linea dell'Impero. Era stata inoltre realizzata  una moderna strada asfaltata per Addis Abeba ,detta "Via dell'Impero", una efficiente ferrovia per Massaua e una Teleferica che collegava la città ( posta su di un altipiano  a 2300 mt sul livello del mare) col Mar Rosso  e che veniva considerata  la  maggiore del mondo.
 Il volto di Asmara era quello di una città in cui l’opera dei moderni architetti del Regime si era espressa, accoppiando le nuove linee della modernità con un raro equilibrio. Erano stati realizzati  edifici come l'"Art Deco" Cinema Impero, la "Cubista" Pensione Africa, la chiesa ortodossa Tewahdo, il teatro dell'Opera, la costruzione "futurista" Fiat Tagliero, la  Cattedrale secondo uno stile "neo romanico" ed il "neoclassico" Palazzo del Governatore. La città era piena di ville  in stile "coloniale italiano". Già nel  1939 Asmara aveva una popolazione di ca. 98.000 abitanti, dei quali 53.000 erano Italiani. Era  la principale "città italiana" nell'Africa Orientale Italiana mentre  in   tutta l'Eritrea vi erano ca.  75.000 Italiani.
 La zona centrale della città, dove si trovava anche la caserma dei carabinieri, era riservata quasi esclusivamente agli italiani, C’era poi una zona  periferica destinata ai locali e un’altra  mista per  arabi e indiani i cui progenitori erano arrivati dal Mar Rosso. Il fronte di guerra era sempre più vicino e le cose non stavano andando per  il verso giusto. Giovanni e gli altri carabinieri rimasti ad Asmara erano i custodi dell’ordine pubblico della città; ma, in quel momento, v i era una pesante sensazione di silenzio ed incertezza nell’aria. Poco distante,  a  Tekelezan , le truppe italiane più tenaci ed organizzate stavano cercando di opporre l’ultima resistenza  all’avanzata britannica , ma la nuova posizione era molto meno difendibile  di quella dell’ormai persa Cheren. Verso Cheren erano confluite la 4° Divisione Indiana,  che si era impadronita  del monte Forcuto e di Sanchil  , mentre  la 5° divisione  indiana era riuscita, dopo molti giorni di resistenza italiana,  a forzare il passo di Dongolaas. Adesso si temeva il peggio!

Le notizie che arrivavano erano sempre più sconsolanti e la mattina del 1 aprile 1941  si ebbe la certezza che le truppe britanniche sarebbero arrivate presto ad Asmara : Tekelezan  era caduta!
Gaetano era decisamente preoccupato. La guarnigione di stanza ad Asmara era di una sessantina di carabinieri che regolavano la vita della città e  garantivano la sicurezza della popolazione italiana. Per questo motivo , fino all’ultimo, la scelta dell’alto comando , era stata quella di restare  e di mantenere la presenza dei carabinieri nella  città. Ora, le truppe inglesi stavano per arrivare , occupando l’intera Eritrea. L’Impero  era caduto ed ormai tutto era cambiato. Gaetano, durante quell’anno di permanenza ad Asmara, si era fatto molte conoscenze ed amicizie. Oltre ai colleghi con cui era arrivato in Africa  ed  era stato a Roma,  era legato ai “ siciliani”, un gruppo di persone che si era trasferito nella colonia  in cerca di lavoro ed  un miglioramento delle proprie condizioni di vita.  In particolare, frequentava alcune famiglie che vivevano in città ma erano proprietarie  di diverse fattorie agricole nell’altipiano, con alcuni ettari di terreno dove coltivavano il miglio e  tenevano anche degli animali :  alcuni buoi  e  dei polli . Asmara era un buon centro commerciale e queste persone portavano qui i loro prodotti. Il comando  generale aveva stabilito che i carabinieri di stanza in Eritrea , adibiti all’ordine pubblico, rimanessero nei loro posti, in attesa dell’arrivo delle truppe inglesi, anche a garanzia della popolazione italiana residente e così con trepidazione  tutti erano in attesa del loro arrivo per vedere cosa sarebbe successo.
Adesso, erano ormai alcuni giorni che le truppe inglesi erano arrivate e si erano insediate in città occupando il palazzo  del governo. Presero atto che i carabinieri italiani erano rimasti tutti ai loro posti di servizio e decisero di approfittare  della loro presenza come fattore di mediazione per l’occupazione del territorio nei confronti della parte più importante della popolazione, che era di origine italiana, e  che , in qualche modo , fino a quel momento li aveva considerati come nemici. Presero pertanto contatto  con il comandante dei carabinieri e lo informarono della decisione di accettare la loro collaborazione. Allo stesso tempo , tuttavia, fecero presente che , come d'altronde era comprensibile per chi era stato un militare  per tutta la vita , era necessario un atto formale di adesione al nuovo potere costituito. Desideravano pertanto che ogni carabiniere di stanza ad Asmara prestasse formale giuramento sottoscritto di sottomissione e fedeltà all’impero britannico  e alle sue istituzioni. Questa era la condizione in cambio della quale si sarebbe dato vita ad una forma di collaborazione che avrebbe permesso ai carabinieri di continuare a svolgere il loro servizio , mantenendo la  posizione occupata. Chi non avesse prestato giuramento, sarebbe stato invece arrestato e considerato prigioniero di guerra. Gli inglesi lasciarono il testo del giuramento da far sottoscrivere  da tutti i carabinieri , ma pretesero che una copia fosse firmata immediatamente dal comandante della stazione  e se ne andarono solo  dopo che lo stesso l’ebbe firmata davanti a loro.
Il giorno dopo il comandante della stazione dei carabinieri di Asmara convocò uno per uno i suoi sottoposti richiedendo l’apposizione della firma di giuramento al nuovo potere costituito sul documento predisposto dal Comando di occupazione inglese. Uno dopo l’altro, tutti entrarono nella stanza del comandante e firmarono il giuramento. Venne poi il turno di Gaetano. Gli avvenimenti di quei giorni erano precipitati nella sua mente e nel suo cuore sconvolgendolo. Lui era un italiano, aveva prestato giuramento al Re d’Italia fino alla morte e la guerra non era finita. Si, adesso il comando inglese  aveva il controllo di Asmara;  ma, l’Italia non era ancora battuta e tanti altri italiani stavano combattendo. Lui aveva giurato fedeltà! Perché doveva abiurare  quel giuramento? Non era giusto! Mentre il comandante gli spiegava che il loro compito era in quel momento accettare la situazione per il bene dei compatrioti residenti ad Asmara, Gaetano fremeva . Ad un certo punto espresse con chiarezza il suo pensiero  e il suo rifiuto aperto a quello che gli veniva chiesto. Non l’avesse mai fatto! Il Comandante non era  solito tollerare  il rifiuto di uno dei suoi sottoposti, per qualsiasi motivo, e vide  quel naturale  atteggiamento di perplessità e di disagio di Gaetano come un ‘insubordinazione. Invece di parlargli ancora, cercando di ottenere la sua comprensione, si alzò in piedi urlando ed investendo Gaetano con violenza e con un mare d’insulti. Gaetano era un giovane rispettoso dell’autorità e con un carattere equilibrato. Non era solito perdere la testa e controllava abbastanza bene le sue emozioni. Per la prima volta , tuttavia , nella vita sentì montare dentro di sé una rabbia incontrollabile. No! Non era lui che stava tradendo la fiducia degli altri! Era quel pazzo di comandante che  tradiva l’Italia ! Era lui che non aveva rispetto dei suoi sentimenti! Ma come diavolo si permetteva d’insultarlo in quel modo?!? Sentì la propria mano  scendere lentamente verso il fodero della pistola. Era quasi se fosse un altro a muoversi al suo posto , mosso da un’ ira tremenda. Il comandante comprese al volo quello che stava succedendo e gli grido  con voce squillante:
-          CARABINIEREE! A..TTENTI!
Senza  rendersene conto  Gaetano  ubbidì. Era  un comando che era entrato dentro di lui  senza permettergli di riflettere e che aveva eseguito immediatamente.  In quel mentre, il comandante gli si avvicinò rapidamente e gli sciolse il cinturone con  la pistola, mentre contemporaneamente  chiamava i sottoposti.
-Quest’uomo è agli arresti- disse rivolgendosi ai carabinieri prontamente entrati nella stanza – Portatelo in guardina.
-Questo è quello che succede a chi non presta giuramento al nuovo potere costituito ad Asmara , sotto il Comando dell’Impero Britannico.- aggiunse il Comandante- Chiunque non presta giuramento verrà considerato  prigioniero di guerra e incarcerato in  attesa di nuovi ordini.
CHIARO?
-Sissignore! -risposero tutti in coro.
Gaetano era ammutolito.  Dentro di lui lottavano insieme la rabbia per quello che aveva subito , l’umiliazione e la vergogna per essere stato arrestato proprio dai suoi commilitoni! Lui non aveva fatto niente! Non era giusto quello che stava subendo.

I compagni  carabinieri lo accompagnarono nel sotterraneo verso i locali dove stavano le celle. Erano tutti in evidente imbarazzo! Gaetano era un giovane che tutti volevano bene e rispettavano. Quella  situazione era insostenibile! Mentre scendevano , arrivò di corsa il capitano e si mise a parlare fitto fitto ,. bisbigliando, con il capo squadra. Successivamente, se ne andò di corsa come era venuto e la squadra continuò ad accompagnare Gaetano verso le celle. Quando furono arrivati , fecero entrare Gaetano in una delle celle,  gli dissero di accomodarsi su di una sedia accanto alla brandina e di aspettare lì in attesa del loro ritorno. Accostarono il cancello e se ne andarono.

Giovanni era costernato! Sedeva li, su quella sedia, aspettando i commilitoni e, nel frattempo, non riusciva a rendersi conto di quello che era successo: Lui, un carabiniere, un tutore dell’ordine , un elemento integerrimo dell’Arma, quell’Arma che era l’orgoglio italiano, lui, che  per tutta la vita aveva portato avanti il senso del dovere , dell’onestà , della dedizione al servizio , adesso era in una cella  imprigionato dai suoi compagni!
 Non poteva crederci!
Il tempo passava e lui rimaneva solo! Non tornava nessuno ! Che stava succedendo? Lui era prigioniero di guerra , gli avevano detto. Sarebbe stato portato in un campo di concentramento! Che fine avrebbe fatto? Sarebbe mai tornato  a casa da quella guerra?  Pensò a sua madre , a suo padre ed ai fratelli e sorelle in Sicilia. Non li vedrò più?
Si avvicinò alla porta della cella e si rese conto che era accostata. Si, aveva visto che non era stata chiusa a chiave ma, fino a quel momento, non si era ancora reso conto che era aperta. Provò a spingerla . Il cancello si aprì e lui uscì fuori lentamente. Si guardò attorno e non c’era nessuno. Che stava succedendo? Dov’erano tutti? Lentamente, salì la scaletta  e non vide ancora nessuno. Ora era nei locali superiori ,vicino ad una porta che dava fuori, mentre nell’altra stanza, in fondo, sentiva il parlottio degli altri carabinieri.
Che fare?  Quella situazione non era normale! Era molto strano che la porta della cella fosse rimasta  accostata e che tutti fossero spariti! Era  come se lo invitassero a scappare. E lui scappò!
CONTINUA

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