sabato 19 settembre 2015

Sogno d'amore


Il suono vellutato della tromba
risuona tenue nella notte
Punteggiata dalle stelle e dalle   luci
delle case semiaddormentate


Note sospese nell’anima, 
Carezze  di eternità
culla di sogni  struggenti
d’amore e di solitudine

 Ti chiederò di sposarmi
Perché sei l’unica che amo
Con tutta la mia carne

 

Serenata d’amore e di passione
Per chi è già mia sposa  nel cuore
Ma  non conosce il mio amore

Ti chiederò di sposarmi
Madre delle mie figlie
Che ormai zitella invecchi  con i Tuoi

Sogno d’amore e d’inquietudine,
Paura di non averti mai avuta
E di non averti mai  incontrata

Ti chiederò di guardarmi,
Noi che siamo sposati da tanti anni,
Per ricordarti che ti amo,  per dirti che ti amo

Vellutato e perfetto è il suono della tromba nella notte
Mentre la luce si spegne nella casa addormentata.

 

 

 

 

 

 

Corrida


Questo breve racconto è stato scritto molti anni fa in chiave di narrazione antropologica .Non prende pertanto le parti di nessuno dei protagonisti : né del toro né del torero,né del pubblico. Buona lettura!




L’arena era piena di gente che aspettava l’imminente corrida.

In Spagna, la corrida rappresenta la sfida di un uomo contro il toro. Nel torero,la folla vuole vedere un uomo capace di combattere il toro  senza averne paura. Un uomo  che faccia giostrare il toro attorno a sé, beffandolo ad ogni carica.

Delle persone, vicino a me, discutevano sui tori. Nell’aria tersa scoppiavano mortaretti ed il suono delle voci indistinte sembrava il rombo di un ‘aeroplano.

Alcuni dicevano che i tori erano buoni. Che erano bassi e tarchiati e con delle corna  dure e piccole; ma, altri diceva  che , pur potenti e veloci fossero, Paco, il torero, li avrebbe fatti giostrare ed uccisi elegantemente.

Il sole scottava i volti della gente e splendeva alto nel cielo azzurro. Alcuni avevano comprato delle noccioline, prima di entrare nell’arena,  ed ora le mangiavano  in attesa dell’entrata dei toreri.

C’erano parecchi turisti  che scattavano fotografie. Faceva un gran caldo e molti si toglievano le giacche; il venditore di cappelli, quel giorno, avrebbe fatto di certo affari. Qui e là si accedevano delle controversie. I fortunati  si erano scelti  i posti più vicini all’arena  in modo da vivere lo spettacolo quasi direttamente.

Nell’aria c’era un senso d’attesa. Domandai  ad un mio vicino chi fosse Paco ed egli mi rispose che era un torero  dallo stile spavaldo e temerario; ma, nello stesso tempo, elegante .

Un idolo della folla!

Si udirono degli squilli di tromba. L’ingresso dell’arena si aprì facendo entrare nello spazio sabbioso gli Alguaciles, che conducevano solennemente i loro cavalli bardati. Ad un metro circa di distanza, li seguiva  la Cuadrilla con al centro , nel suo sfolgorante costume rosso, Paco, l’Espada, che si ergeva  in tutta la sua elegante e slanciata figura.

La folla era impaziente. Osservai i miei vicini. Avevano  gli occhi fissi sull’arena  ed i visi bruciati , storti in una smorfia d’attesa e d’apprensione.

La Cuadrilla  si era allontanata  dal centro dell’arena. La folla ammutolì di colpo. Tra poco  il toro sarebbe entrato come una vaporiera imbizzarrita.

Un grido percorse l’arena in tutta la sua ampiezza. Il toro era entrato correndo.

Rapidi i Banderilleros entrarono in azione, agitando i loro mantelli scarlatti davanti al muso  della bestia  per farla innervosire. Subito dopo , fecero il loro ingresso nell’arena  i Picadores , sui loro cavalli bardati,reggendo in mano la lunga Pica. Uno dei Banderilleros agitò la cappa dinanzi al toro…..Quello  calò la testa e caricò….Aveva il rosso negli occhi e vedeva sempre più vicina la cappa  agitata che lo innervosiva…Eccola!…Eccola!

Ad un tratto  la cappa sparì ed esso  si trovò  a tu per tu con i Picadores.

Pancho, il Picador, osservava il toro.Prese la mira e calò la Pica sul dorso del toro, appoggiandovisi con tutte le sue forze. La bestia , però, aveva ormai toccato il ventre del cavallo  e l’aveva squarciato. Ora, le budella dell’animale uscivano fuori dalla ferita. Era uno spettacolo rivoltante; ma , la folla vedeva solo il toro ed il Picador. Un cronista, vicino a me,  scriveva sul bloc notes che , finora, lo spettacolo non aveva offerto niente d’eccezionale. Ora, il toro era  stato lasciato solo , al centro dell’arena. Dalle sue narici usciva il fiato , misto a polvere .

Entrarono  quindi i Banderilleros, ciascuno con due aste di legno, le banderillas, munite di fiocchi  e rivestite di carta colorata ma con la punta in acciaio.Si fece avanti il primo e corse  incontro al toro. Questo caricò e, quando sembrava che l’animale  stesse per colpirlo, il banderillero piantò  nel dorso del toro le aste e , facendo leva su di esse, si sollevò e  scartò di lato. Gli altri  fecero la stessa cosa. Alla fine , la bestia si trovò con le banderillas piantate nel dorso. Cercò di smuoverle, ma le punte d’acciaio erano entrate a fondo nella sua carne. .La cosa lo innervosì ancora di più. Ora, il cronista scriveva  che i banderilleros erano stati  molto bravi e avevano svolto il loro compito con maestria.

Il toro era fermo ed ansava.

Le trombe squillarono e Paco, l’Espada, entrò nell’arena tenendo in mano la muleta e lo stocco  e fu salutato da un lungo e consistente applauso. La sabbia  si alzava in nuvolette giallastre dietro i suoi passi.Egli guardava ai lati della pista. Dietro le staccionate robuste, Paco  intravedeva  gli altri toreri  pronti ad ogni evenienza. Osservò la folla che lo acclamava e pensò che essa voleva da lui uno spettacolo senza risparmio di energia e d’audacia. Voleva provare  il brivido per il rischio continuo della vita che lui avrebbe corso e pensò ancora che , se egli non l’avesse accontentata, gli stessi che ora l’acclamavano lo avrebbero , in seguito , deriso e criticato.

Ora , il toro era fermo dinanzi a lui. Dal collo gli colava  il sangue vermiglio che, cadendo sulla sabbia, si mescolava ad essa macchiandola di un colore bruno. Gli occhi bovini lo fissavano; erano rossi dalla rabbia.La bocca era piena di bava schiumosa.

Ora era lì davanti a lui. Era una sfida, una sfida a morte. Paco lo sapeva, si ripeteva ogni domenica. I  muscoli dell’animale affioravano sotto la pelle e sembrava volessero schizzar fuori. Il suo corpo era pervaso da un tremito di collera. Era massiccio sulle zampe.

La folla , adesso , stava silenziosa e aspettava.

Paco si mosse. Il suo passo era lento e deciso. Sollevò la  muleta che , piegata in alcuni punti, assumeva un colore violaceo.

 Incitò il toro…………incitò ancora.

Quello abbassò la testa e caricò. Caricava diritto al corpo di Paco. Ora egli lo vedeva sempre più vicino avvolto in una nuvola di polvere gialla.

Paco si mosse lentamente di lato ed il suo fianco  sfiorò le corna  del toro nella sua corsa , mentre la muleta si drizzava tesa sul corpo dell’animale.

La folla gridò ……Ooolé!

Ed ogni volta il toro caricava e si lanciava  nel vuoto  accompagnato da un sonoro ….Ooolé!

Sembrava quasi che il toro fosse fuori posto nell’arena. Paco lo trattava come se non avesse  nessuna importanza e lo evitava quasi con insofferenza.

La sua condotta, così temeraria e spavalda, faceva impazzire la folla!

Il cronista , vicino a me, scriveva emozionato  :” non si era mai visto uno spettacolo simile dai tempi di Belmonte e Manolete”.

Ora, Paco  aveva impugnato lo stocco. Era l’ultimo passaggio del toro. Il silenzio entrò nell’arena e ammutolì la folla. Gli occhi di tutti fissavano l’uomo e la bestia . Uno davanti all’altra su quella terra giallastra. Paco agitò la muleta. Il toro caricò ancora……………….Uno……due passi…….un passo indietro……..e alzò la muleta mentre la bestia passava. Ora era lì sotto il suo sguardo  e per un attimo era lui , Paco, ad averla lì tutta per sé… Mirò ….. e subito dopo lo stocco era entrato completamente nellla carne del toro , fra la collottola e la spalla……………………………………

Il toro rimase fermo….., istupidito.

La folla esplose in un boato e ,come se fosse stato ucciso da quel suono, la bestia piegò le ginocchia e cadde al suolo, mentre Paco alzava  il braccio destro al cielo ,in segno di vittoria , fra le grida e gli applausi della folla.

 

 

 

lunedì 14 settembre 2015

La stanza




Questa stanza! Il suo profumo!
Il ricordo di una voce dolce
E di una voce aspra, indifferente , stanca.
Quanto pianto hanno sentito  queste pareti a fiori
Fiori… rosa e neri…..sullo sfondo bianco.
Quante volte quella porta mi chiudeva al mondo
E mi faceva restare solo con la tua voce.
Quante volte la notte ci ha sorpresi assieme,
paurosi che qualcuno ci scoprisse.
Quante volte questa stanza ci ha visti
Muti, restare senza aver niente da dire,
senza aver più la forza di parlare,
con un odio in noi che nasceva dall’amore,
un amore che non è stato mai amato,
un amore che ha vissuto perché doveva esistere,
perché era in noi e non potevamo scacciarlo.
Questa stanza mi vede ancora
Mentre voglio continuare questa
Inutile, crudele, triste, assurda
Stupida storia, fatta forse solo per noi due
In questa stanza che è nostra.

mercoledì 9 settembre 2015

Vorrei insegnarti...




Vorrei insegnarti a seguire dolcemente 
La  brezza che si alza dal mare
E con le mani  sapienti  sciogliere i nodi
e modellare la creta mentre sorridi soddisfatta della tua fatica

Mi piacerebbe che mantenessi il tuo sorriso
E quel sussulto argentino irrefrenabile della tua risata
Che ho imparato ad amare sin da quando
Bimba mi hai sorpreso incredulo  a guardarti

Sentirai su di te il respiro affannoso del male
Sfiorarti  come una scorza ruvida e fredda       
Ma spero che riuscirai a sfuggirlo.
A volte scappando e  a volte  ringhiando

Ti vedo già avvolta dai raggi di una mattina di sole
Mentre  ricevi le carezze del tuo compagno
E interri la  prima pianta nel giardino della tua casa

Ti terrò la mano se lo vuoi
e mi racconterai le tue storie ,
mi dirai dei tuoi sogni
e piangerai  per i tuoi problemi .




Roma,  luglio 2007

martedì 8 settembre 2015

MASTRU CIFULIANU





C’era una volta, e ancora c’è, una terra cinta dal mare.
Arsa dal sole e con dentro un monte che sbotta e sprizza sassi di fuoco!
In un tempo che c’era e or non c’è più, accadde una storia che forse è vera !
Così la ricordano e così era, e se così non  sarà, in altro modo sarà!

                        *                                  *                                  *

Chi la racconta era una nonna, col viso schiarito da un  lume a petrolio,
Quando non c’era la televisione e neanche la radio d’ascoltare.
Si stava seduti accanto alla “conca” ,cercando il calore  per riscaldare,
mentre le braci e le parole creavano un mondo tutto da immaginare.

                        *                                  *                                  *


In un paese che non so, viveva un  bravo calzolaio che tutti conoscevano come” Mastru Cifulianu “. Stava al lavoro tutto il giorno e spesso non aveva neanche il tempo per andare a casa a mangiare, nonostante  la sua abitazione fosse solo  ad un isolato di distanza dalla bottega.
Così stando le cose, la moglie, che sapeva quanto gli piacessero i legumi, verso metà mattinata, metteva a sobbollire dei fagioli  in una pentola di coccio con un rametto di salvia e uno spicchio d’aglio e quando erano quasi pronti , per l’ora di pranzo, toglieva la pentola dal fuoco , aggiungeva dell’olio d’oliva a crudo e di corsa usciva da casa per portare il tutto alla  bottega .
Quando Mastru Cifuliano vedeva arrivare la moglie, le faceva mettere la pentola su di un tavolino accanto, nell’attesa di mangiare quei benedetti fagioli. La pentola, che era di coccio, manteneva nel frattempo il suo calore e  i fagioli continuavano a sobbollire insieme all’olio d’oliva, che era stato aggiunto, espandendo per tutto il vicinato un profumino da leccarsi i baffi.
Attratti da quell’odore, si presentarono alla porta di Mastru Cifulianu dei briganti!
Erano brutti ceffi, con la barba ispida e non rasata e gli occhi cattivi  che, al solo guardarli, sentivi che quel giorno non avrebbe portato niente di buono:

-         Mastru Cifuliano ……….  vi trattate bene!!! Il profumo dei vostri fagioli si sente per tutto il paese e voi non vi degnate di dividerli con i vostri ospiti. L’ospite è sacro!…….. e non accontentarlo…… è una grave offesa!
-          
Così dicendo, il capo dei briganti  si avvicinò alla pentola e la scoperchiò:

-         Ma che meraviglia è questa? Com’è che i fagioli stanno bollendo senza fuoco?

Mastru Cifulianu sapeva di non poter combattere contro i  briganti usando la forza. Questi erano in maggior numero ed  armati; inoltre, erano  balordi disposti a tutto,  avvezzi ad una vita di violenza . Così, pensò che se non poteva liberarsi di loro con la forza doveva provare  ad usare l’astuzia  e disse:

-         Ah! ….  se sapeste!  …..  Io sono un uomo fortunato! Questa che vedete è una  pentola magica!  Quando ho fame la riempio d’acqua e quando  non c’è nessun altro attorno le dico “Pentola lavora, io sono il tuo padrone” e come per miracolo essa si riempie del cibo che desidero e lo cucina senza bisogno della brace.
-          Ma….. attenzione! …  Basta che ci sia qualche altro  presente  o che cerchi di costringermi ad usarla con la forza, la pentola non funziona più. Si ribella e non lavora!
 Ah!  Ah!  Ah!  .... - rise divertito – ma i fagioli sono pronti e vi invito a  mangiare.
                                    *                           *                         *
I briganti non si fecero pregare due volte e cominciarono a mangiare con avidità, condendo il tutto con sonori rutti. Quando ebbero finito, il loro capo si rivolse a Mastru  Cifuliano dicendogli:
-Bravo!…Bravo! …e volevate tenere questo ben di Dio tutto per Voi, quando, come avete visto, abbiamo tante bocche da sfamare? Non pensate alle nostre mogli ed ai nostri figli? Noi abbiamo bisogno! Non è per cattiveria, ma questa pentola ce la dovete dare.
E Mastro Cifuliano , di rimando
-Ma prendetela pure! Solo che non v’aspettate che funzioni. Ve l’ho detto, è una pentola capricciosa e non sente ragioni. Con la forza non funziona. Non dite che non vi ho avvisato!
Bene, bene, non preoccupatevi. -rispose il capo dei briganti-Ci penseranno le nostre mogli a farla funzionare. Tenete! - e, buttando due soldi sul tavolo, aggiunse-  questi sono per la pentola. Non andate a dire che ve l’ho presa senza pagarla. -
Così dicendo, si alzò dalla sedia e rivolto ai suoi compari, gridò: Andiamo. -Lasciando il povero Mastru Cifuliano più confuso che persuaso.
 Ma guarda che confusione per una pentola di fagioli!
 Non aveva più voglia di restare in bottega. Si era fatto anche tardi e gli venne voglia di tornare a casa. Chiuse i battenti di legno spesso della porta e si avviò. Era ormai giunto l’imbrunire, quando il sole, al tramonto, lascia gli ultimi fuochi di colore al buio delle tenebre. La campagna intorno perdeva già la definizione dei suoi particolari per lasciarsi andare ad un gioco di sagome di alberi e cespugli, che si stagliavano sullo sfondo di un cielo, ancora chiaro, che perdeva colore.
La casa non era lontana e vi arrivò presto.  La moglie lo accolse   sull’uscio e lui, rapidamente, le raccontò tutto, suscitando esclamazioni di sorpresa e di spavento.
Poi, pian piano, la calma ritornò nella casa e marito e moglie si sedettero fuori, davanti all’uscio, ad aspettare il sonno della notte. In lontananza, qualche cane abbaiava rompendo quel silenzio di pace, che li circondava. La notte era calda e limpida. La luna, alta nel cielo, porgeva la gobba a ponente con accanto due stelle luminose.  Una era più piccola, ma l’altra sembrava una candela accesa nel cielo. Il sonno non tardò ad arrivare e marito e moglie si alzarono ed andarono a dormire.
·                          *                           *
L’indomani , tutto soddisfatto, il capo dei briganti invitò a casa  tutta la sua ciurmaglia, comprensiva di mogli e figli  per far ammirare a tutti i poteri della nuova pentola. L’allegria si trasformò, tuttavia presto in rabbia. Le urla e le maledizioni si unirono ai bisticci ed ai rimproveri della moglie che gli rinfacciava di essersi fatto prender per il naso da un semplice artigiano.  Gli altri componenti della banda giurarono e spergiurarono di aver visto con i loro occhi la pentola fare il suo dovere, tanto che avevano “sbafato fagioli a sazietà”, ma il gruppo delle mogli non ne volle sapere gridandogli in faccia che erano  sicuramente ubriachi e si erano fatti fregare come degli “scunchiuruti” privi di senno.
La  vedremo! Vi farò vedere io  chi è “scunchiurutu”  e chi , alla fine, rimane fregato! Mastru Cifuliano siete morto-gridò il capo,  sbattendo con forza il pugno sul tavolo e facendo sobbalzare tutti attorno dallo spavento.- Tutti con me! Andiamo a prendere quel cane morto!
Furono fuori in un attimo,  come una folata di vento rabbioso, decisi a vendicarsi . Arrivarono subito alla bottega  di Mastru Cifuliano e, senza dargli il tempo di spiegarsi o di reagire, lo picchiarono e ,ormai privo di sensi, lo misero legato in un sacco per portarselo dietro e buttarlo dalla scogliera.
·         * *
Mastru Cifuliano si sveglio, in preda agli scossoni, in piena oscurità. Sentiva le ossa rotte ma era ancora vivo ! Era legato mani e piedi e rinchiuso dentro un sacco, ma riusciva a respirare. Lo stavano tasportando sicuramente con un carro e sentiva tutte le scosse del terreno accidentato.
Ad un tratto,  il carro si fermò e sentì i briganti scendere.
Mastru Cifulianu mi sentite? – gridò il capo dei briganti-  Vi sento , vi sento- rispose lui.
Bene, allora, alla faccia vostra, prima di buttarvi nel mare dalla scogliera e fare piazza pulita della vostra persona, noi ce ne andiamo a mangiare!
Se avete fame ,vi possiamo dare ,qualche stronzo di cane! Lo volete? Aah.. lo volete?
Non voglio!...Non voglio!.. – ripeteva, gridando disperato Mastru Cifuliano –
I briganti si allontanarono per andare a mangiare e lasciarono così il povero Mastru Cifuliano solo sul  carro, chiuso dentro un sacco a lamentarsi gridando : Non voglio! Non voglio!
Non voleva morire e continuò a gridare disperato “non voglio” per tanto tempo, quando, ad un certo punto, sentì avvicinarsi qualcuno  che, con voce sconosciuta e timorosa, gli chiese:
-Cos’è che non volete? Che ci fate chiuso in un sacco?
Mastru Cifuliano rispose :
-Non voglio la figlia del Re. Me la vogliono fare sposare contro la mia volontà. Io sono sposato ed amo mia moglie e loro per costringermi mi hanno messo nel sacco.
-Ma cosa dite? – rispose l’uomo- io sono un povero pastore e sarei stato ben felice di sposare la figlia del re  e di avere una vita diversa e con tante ricchezze!
- Allora prendete il mio posto- gli disse subito Mastru Cifuliano-Mettetevi nel sacco al posto mio e nessuno se ne accorgerà. Arriverete a corte , davanti alla figlia del re,  e nessuno potrà impedirvi di sposarla.
- Dite che si può fare? –rispose il pastore
- Certo, ma sbrighiamoci – disse Mastru Cifuliano- i gendarmi stanno tornando.
In fretta e furia , il pastore aiutò Mastru Cifulianu a liberarsi e questi, a sua volta, lo aiutò a mettersi nel sacco , al suo posto, sopra il carro. Detto fatto, si allontanò rapidamente portandosi con sé il gregge del pastore.
Dopo un po’ i briganti furono di ritorno satolli ed ubriachi. Vedendo tutto a posto ed il sacco con dentro il presunto Mastru Cifuliano esattamente dove era stato lasciato, senza sospettare nulla, ripresero il viaggio verso la scogliera e ,appena arrivati, buttarono dall’alto,  nel mare, il malcapitato pastore , interrompendo il suo sogno di nobiltà.
Quale fu la loro sorpresa quando sulla strada del ritorno scorsero Mastru Cifuliano circondato dal suo nuovo gregge di pecore!?!
Questa proprio non ci voleva, pensò Mastru Cifulianu, scorgendo i briganti, Ed ora che gli dico? Cosa faccio? Poi con un radioso sorriso  andò loro incontro dicendo:
-cari amici , finalmente  vi ritrovo. Non sapevo proprio come ringraziarvi!

I briganti non credevano ai loro occhi.

-Capo, ma l’abbiamo appena buttato giù dalla scogliera- dissero in molti- Questo qui è un fantasma!
-Ma quale fantasma e fantasma! –rispose Mastru Cifuliano – mi volete far credere che non sapevate che quella scogliera è miracolosa?  Vi devo ringraziare! Ogni persona che si butta in mare dalla scogliera ritorna a terra come nuovo insieme ad un gregge di pecore. Gli sterminati campi del mare  gli regalano un gregge di pecore tutto per lui! Avete capito?
 Grazie ! Grazie ! Sono per sempre obbligato ! Salutamu!  S’abbenerica!
Così dicendo si allontanò,  lasciando i briganti con la bocca aperta e gli occhi sgranati.
-Ma se è così , diventiamo tutti ricchi! – disse il capo- se ci buttiamo tutti noi , con le nostre mogli ed i nostri figli dalla scogliera, avremo tante pecore e greggi  che non le ha neanche il Re.
-Vero è- risposero in coro i briganti- Di corsa,… andiamo!

E così, corsero felici  verso la scogliera, portando con sé   le famiglie, con gli occhi perduti in un sogno di ricchezza, e non tornarono mai più.