CINEMA

In questa pagina troverete raccolte  recensioni su diversi film  e articoli su registi cinematografici


LE VELE SCARLATTE 


Pietro Marcello dopo averci regalato la bella versione cinematografica del romanzo Martin Eden di Jack London,  ritorna con il film " Le vele Scarlatte" ( titolo originale " L'Envol")  al suo esordio in un' opera in lingua francese. Il film è la trasposizione del romanzo russo “Vele scarlatte” del 1923 di Aleksandr Grin ed è ambientato in un piccolo paese della Normandia  dove  ritorna reduce dalla prima guerra mondiale il  soldato Raphael. Egli si qualifica come "L'uomo di Marie", che è purtroppo morta ed ha lasciato una bimba,  Juliette ,che è sua figlia  ma di cui lui ignorava l'esistenza. 

Raphael si prende cura di Juliette ed è aiutato da una vedova di buon cuore , Madame   Adeline, che li accoglie nella sua fattoria. La donna gli racconterà  delle tragiche circostanze in cui è morta Marie, di stenti e malattia dopo essere stata violentata quando comunque era già madre di Juliette  e tutto questo non mette in dubbio la paternità di Raphael.  Il film continua a raccontarci della difficile esistenza di questo diverso nucleo familiare poco accettato dalla comunità del paese in cui vive.

Marie non era mai stata  ben giudicata   e Madame Adeline  è una donna considerata strana e dedita ad esperienze di stregoneria. Raphael, nonostante sia un bravissimo falegname , per il suo carattere burbero  è tenuto ai margini ella comunità ed inoltre viene condannato da tutti per un omissione di soccorso  che ha portato alla morte per annegamento di un paesano che lui era a conoscenza essere il violentatore di Marie.

La stessa Juliette, ormai cresciuta e dal carattere indipendente solitario e sognatore, viene tenuta ai margini  ma nello stesso tempo  desiderata senza alcuna forma di rispetto.

L 'ambientazione è molto bella e curata nelle  immagini e nella fotografia e ci trasporta lontano nel tempo all'interno della realtà vissuta dai protagonisti. Juliette ama la musica  : suona un vecchio pianoforte e canta dolcemente le sue emozioni ed i suoi sogni , rafforzati dalle predizioni di una donna ,definita da tutti una strega che vive in mezzo alla campagna,  vicino al fiume , e che le ha predetto che un giorno lei prenderà il volo con delle vele scarlatte e realizzerà i suoi sogni.

La storia descritta in questo interessante film è principalmente quella di donne che, nella prima metà del secolo scorso,  quando non erano  ben inserite nei ruoli sociali definiti  per loro, vivevano con difficoltà il proprio desiderio di vita e di felicità, spesso considerate strane e da non rispettare  .

Il sogno del paradiso in terra,  non nell'aldilà, per queste donne è forse da definire stregoneria ? O essere di facili  costumi quando la tua vita non è stata lineare e codificata ?

Dal cielo  arriverà per Juliette, con un piccolo aeroplano  con delle vele scarlatte nelle ali,  qualcuno che la porterà via verso una vita nuova.

Pietro Marcello Ha curato la sceneggiatura del film insieme a  Maurizio Braucci e Maud Ameline.

Il film è stato presentato in anteprima il 18 maggio 2022 alla Quinzaine des Réalisateurs del 75º Festival di Cannes per poi essere distribuito nelle sale cinematografiche  nel 2023.

Bella l'interpretazione  della giovane attrice Juliette Jouan nl ruolo  di Juliette. Una citazione anche per  Raphaël Thiéry nel ruolo di  Raphaël, di Noémie Lvovsky in quello di Madame Adeline , di Yolande Moreau, con degli incredibili occhi azzurri, nel ruolo di  Yolande, la maga, e del sempre bravo Louis Garrel in quello di Jean.

Belle ed intense sia  la fotografia  di Marco Graziaplena  che le musiche di Gabriel Yared.



A CHIARA


Dopo quasi cinque anni dal film “ A Ciambra” il giovane regista italo americano  Jonas Carpignano ritorna a girare le scene del suo nuovo film “ A chiara”  nella località di Gioia Tauro, in quella Calabria  che ha trovato una nuova attenzione nazionale a causa della presenza straripante della 'ndrangheta.

Il regista ne ha scritto anche il soggetto e curato la sceneggiatura ed il suo sguardo, la sua attenzione  si fermano accanto alle sensazioni di vita di una giovane ragazza: Chiara,  che ha il solo torto di amare profondamente la sua famiglia , la mamma , le sorelle con cui divide risate, abbracci e  vita, il padre a cui è profondamente legata.

Una ragazza che improvvisamente scoprirà, a quindici anni, che la sua non è una famiglia come tutte le altre, ma è invece  accusata di vivere di malaffare ,di commercio di droga , che suo padre è improvvisamente sparito per non essere arrestato.

Chiara non può accettare il rispettoso silenzio di fronte a quello che non si può dire o che non si può ancora capire alla sua età . Verrà posta nella triste condizione di dover abbandonare i propri affetti familiari per essere protetta dallo Stato fino alla sua maggiore età, evitando il probabile destino di crescere come futura delinquente. Come sempre, tuttavia,  la contraddizione è presente nei nostri cuori e nella nostra mente ed è parte irrinunciabile di noi stessi . Chiara desidera la verità non per allontanarsi ma per sapere. Desidera poter amare, come ha sempre fatto, la sua famiglia e vivere insieme a loro, anche se non ne condivide la modalità e la subordinazione al malaffare.

Desidera certo nuove opportunità di vita ma non se questo significa l’allontanamento dai suoi affetti. Eppure, la vita è contraddizione costante  e Jonas Carpignano ci mostra con chiarezza come  negarlo sia perfettamente  inutile e falso.

Chiara dovrà accettare in se le sue contraddizioni, cercando di capire cosa sarà meglio per lei stessa e per il suo futuro.

Chiara , la protagonista della storia , è stupendamente interpretata dalla giovane Swamy Rotolo, che già aveva lavorato con Carpignano nel film “A Ciambra”.

Per la sua interpretazione in “ A Chiara” ha ricevuta il Davide di Donatello 2022 come miglior attrice protagonista. Interessante il fatto che quasi tutti gli attori che hanno recitato nel film il ruolo dei suoi familiari sono  nella realtà dei componenti della sua vera famiglia Rotolo.

Con il suo terzo film “A Chiara”,  per la seconda volta Carpignano ha vinto il premio Europa Cinema Label nella sezione Quinzaine des Réalisateurs, al Festival del Cinema di Cannes 2021.


IL TRADITORE


Il nuovo film di Marco Bellocchio " Il Traditore" ci ricorda uno dei capitoli più importanti della lotta alla Mafia nel nostro Paese. Quel momento, forse irripetibile, in cui, grazie alla collaborazione di Don Masino Buscetta, il giudice Falcone riuscì a comprendere le caratteristiche dell'organizzazione criminale " Cosa nostra" e inferirle un colpo devastante facendone condannare il vertice.
La lotta fra la nuova mafia di Corleone e la vecchia dirigenza palermitana per il controllo della " Cupola" aveva cambiato le regole del gioco e introdotto il grande affare della droga, che aveva aumentato gli introiti e l'internazionalità di questa organizzazione criminale . I perdenti  venivano decimati senza pietà o rispetto per i familiari. In questa situazione Buscetta ritenne che per proteggere la propria vita e quella della sua nuova famiglia  che aveva creato in Sud America  gli convenisse collaborare con la giustizia.Inizia così quel capitolo di storia Italiana così complesso e importante che Bellocchio ha voluto far rivivere e  far conoscere con la narrazione di questo film anche ai più giovani che non hanno avuto la possibilità di vivere quei momenti.Il racconto di Bellocchio si sofferma particolarmente anche sulla personalità , sull'aspetto umano dei diversi protagonisti  mostrandone i punti di forza , le debolezze, le evidenti incoerenze . Alla fine "Il traditore" Buscetta  appare come  quello che, forse meno di tutti gli altri, ha cambiato il suo modo di pensare e di vivere. Ottima, ancora una volta, la prova di attore di Pierfrancesco Favino, che riesce ad incarnare Buscetta con grande credibilità.

Sul finale del film,  ho scoperto, con sorpresa e con piacere, che Don Masino Buscetta   amava la musica  e una  canzone che mi piace molto :"Historia de un amor" , ( scritta nel 1955 dal compositore panamense Carlos Eleta Almarán ) che canta nelle ultime scene e questo me lo ancora di più fatto sentire reale ed umano .Certo, come   affermava senza mezzi termini Falcone, anche la Mafia dei vecchi tempi  delle regole d'onore, quella che non permetteva che fossero coinvolti le donne e i bambini, era composta da delinquenti ed assassini e Buscetta era uno di loro; ma, pur con questa premessa, era nata una certa forma di rispetto reciproco fra Falcone e Buscetta, forse per la lotta comune che, seppur  per motivi iniziali diversi,  li contrapponeva a "Cosa nostra".Uniti nel rischio comune della vita che, comunque, avevano deciso di mettere in conto . Questo rispetto farà si che Buscetta , alla morte di Falcone , decida di scoperchiare il livello più alto dell'organizzazione " Cosa nostra" .Quello che la lega ai poteri forti e alla politica. Buscetta ha avuto la fortuna di poter morire a casa sua per cause naturali e circondato dai suoi cari. Falcone e Borsellino non hanno avuto questa possibilità; ma, sono stati tremendamente falciati da una volontà assassina priva di qualsiasi dignità.

FRANK CAPRA - Un siciliano in America


Frank Capra  è stato  uno dei registi americani che meglio hanno rappresentato ai miei occhi quell’atmosfera e quel senso di speranza che contraddistinsero  l’esperienza  del New Deal: la risposta alla Grande Depressione economica che si dispiegò durante la presidenza di Franklin Delano Roosevelt. Grazie ad un diverso rapporto fra Stato e cittadino , fra Stato ed Economia si riuscì a superare quel senso d’impotenza e di sfiducia che aveva  caratterizzato i primi anni della Grande Depressione , riportando una nuova fiducia e speranza nel futuro nel cittadino americano. Il“ New Deal” fu un nuovo corso, la cui riuscita  era anche affidata alla volontà ed all’impegno del cittadino .Un uomo semplice e comune, ma capace di battersi contro le ingiustizie e pretendere un futuro diverso per se , per i suoi cari e per la comunità in cui viveva.  Quest’uomo  viene mirabilmente descritto nei films di Frank Capra che , insieme  forse a Walt Disney, è stato il regista che   ha maggiormente rappresentato questo nuovo clima nel mondo del cinema.

Un siciliano negli USA, Frank Russell Capra nacque a Bisacquino, in provincia di Palermo, il 18 maggio del 1897, ultimogenito dei sette figli di Salvatore Capra, un fruttivendolo, e di Rosaria "Serah" Nicolosi.  Emigra negli Stati Uniti con la sua famiglia all’età di sei anni  e si stabilisce a Los Angeles, in California.Nel 1922, a San Francisco, dopo aver compiuto limitate esperienze di aiuto-regia, si propone come regista a Walter Montague, produttore dei Fireside Studios, dirigendo il cortometraggio Fultah Fisher's Boarding House.  Era ancora l’epoca del cinema muto  e i films dovevano costare poco ed essere girati rapidamente. Fra il il 1927 ed il 1928  Capra gira ben sette film , da “That Certain Thing” a “Il potere della stampa”.Il passaggio al sonoro avviene con un primo esperimento ibrido “La nuova generazione (1929)” mentre il primo film totalmente sonoro è il poliziesco “ L'affare Donovan (1929)”. Successivamente, mentre  gira una trilogia di films d’avventura incentrata sul progresso tecnologico e precisamente , “Femmine del mare (1928)”, “Diavoli volanti (1929)” e “Dirigibile (1931) Frank Capra incontra quella che sarà una delle attrici più importanti dei suoi films : Barbara Stanwyck. Con lei realizzerà “ Femmine di lusso (1930)”,” La donna del miracolo (1931)” ,“ Proibito (1932)” presentato con successo alla prima edizione della Mostra del cinema di Venezia e “L'amaro tè del generale Yen (1933). Femmine di lusso (Ladies of Leisure)  fu realizzato  con la sceneggiatura di Jo Swerling e basato sul lavoro teatrale Ladies of the Evening di  Milton  Herbert Gropper, rappresentato con grande successo di pubblico a Broadway con la regia di David Belasco. E’ una storia in cui il sentimento d’amore trionfa nei confronti delle differenze sociali e del benpensante senso comune. Kay Arnold, interpretata da Barbara Stanwyck, è una giovane ragazza che posa come modella per il quadro di un artista figlio di facoltosi industriali. Fra i due sboccia immediatamente l’amore che viene tuttavia apertamente contrastato dai genitori dell’artista, venuti a conoscenza  del passato non lineare di Kay, che invece desiderano che il figlio Jerry sposi la fidanzata prescelta per lui. Nonostante tutto, le suppliche della madre fanno breccia nel cuore di Kay che, per non danneggiare il futuro di Jerry ,decide di sparire partendo per Cuba . Dot, la migliore amica di Kay, corre ad avvisare Jerry ma i due  arrivano al porto troppo tardi: la nave ha lasciato il molo. Nel frattempo, sulla nave Kay , pentita della sua decisione si butta in mare e così il film si conclude con la scena del suo risveglio in ospedale con Jerry al suo capezzale.
                                                                              
Durante questo periodo  gira anche un film  con Jean Harlow  dal titolo “ La donna di  platino (1931)”.Dopo aver diretto il film “Signora per un giorno (1933)” , grazie al quale ottiene la prima nomination all'Oscar come migliore regista, nell’anno successivo ottiene un grande successo di critica e di pubblico con un film che è rimasto nella storia  del cinema sia per lui che per gli attori che vi hanno recitato : “Accadde una notte” con una stupenda Claudette Colbert ed una grande Clark Gable. E’ il primo film a conquistare i cinque Oscar maggiori (miglior film, miglior regia, miglior sceneggiatura, miglior attore protagonista e miglior attrice protagonista)  e Frank Capra  viene riconosciuto come uno dei registi più importanti del cinema americano.
Nel film la viziata ereditiera Ellie Andrews, scappata dallo yacht del  padre, per raggiungere New York e sposare l'aviatore King Westley, considerato dal  genitore solo un ambizioso arrampicatore sociale, durante il suo travagliato percorso ha modo d’incontrare, conoscere ed innamorarsi del giornalista Pietro Warne,  rimasto senza lavoro per il proprio comportamento inaffidabile, che la riconosce e decide di accompagnarla ed aiutarla in cambio di uno scoop esclusivo. Durante queste peripezie assisteremo a due scene “ indimenticabili”. La prima sarà quella dell’erezione delle “ mura di Gerico” ( una coperta  su una fune tesa a dividerli )nella stanza del motel in cui sono costretti a dormire insieme facendosi passare per marito e moglie. La seconda sarà quella della lezione che si daranno reciprocamente sulle modalità  di esecuzione della richiesta dell’autostop. Anche questa volta le differenze sociali verranno superate nel modo migliore e con la prevalenza dei buoni sentimenti. 
                                                                       


Siamo già nel 1934. L’economia americana è in grande depressione e nel suo discorso d’inaugurazione del suo mandato presidenziale del 4 marzo 1933 Franklin Delano Roosevelt  dichiara: “ Sono convinto che, se c'è qualcosa da temere, è la paura stessa, il terrore sconosciuto, immotivato e ingiustificato che paralizza. Dobbiamo sforzarci di trasformare una ritirata in una avanzata. […] Chiederò al Congresso l'unico strumento per affrontare la crisi. Il potere di agire ad ampio raggio, per dichiarare guerra all'emergenza. Un potere grande come quello che mi verrebbe dato se venissimo invasi da un esercito straniero.”
In questi anni Frank Capra diventerà il cantore del “ New Deal” e i suoi films parleranno proprio  del coraggio della speranza. I cinque film girati tra il 1936 e il 1941, da “È arrivata la felicità” a “Arriva John Doe”, ottengono complessivamente trentuno nomination e sei premi Oscar, oltre ad un grande successo di pubblico. “ È arrivata la felicità” ottiene l’Oscar 1937 per la miglior regia.” Orizzonte perduto” ottiene l’Oscar 1938 per il miglior montaggio e la migliore scenografia. “ L’eterna illusione” l’Oscar 1939 per il miglior film e la migliore regia.” Mr. Smith va a Washington” ottiene l’Oscar 1940 per la miglior sceneggiatura originale.
È arrivata la felicità (Mr. Deeds Goes to Town) fu il primo film di questo ciclo. Quello che colpisce  proprio in questa narrazione è che l’eroe è un uomo comune si ma della piccola e media borghesia. E’ un pioccolo imprenditore  o un giornalista  o un rappresentante politico che smuovono le acque solo grazie al loro impegno civico , alla capacità di assumersi le responsabilità collettive ed avere quel coraggio della speranza che serve a cambiare il mondo. E’ questo il modello della rivoluzione americana del New Deal. Non un cambiamento dell’ordine costituito ma la possibilità di renderlo umano grazie all’impegno del cittadino . Un impegno che riuscirà a limitare lo strapotere del ricco e del potente subordinandolo al bene comune. Questo è stato il sogno americano e la risposta del New Deal da un lato alla crisi del valore del libero mercato già messo in crisi dai  grandi monopoli e dalla Crisi economica e dall’altro alle suggestioni rivoluzionarie socialiste , all’esperienza della Rivoluzione Russa , alle esperienze del nazismo e del fascismo europee.
Nel film “ E’ arrivata la felicità “ il compito dell’eroe  viene assunto da  un giovane  uomo della periferia e della campagna americana: Mr Deeds ( un grande Gary Cooper) che nel suo piccolo villaggio nel Vermont sfida le conseguenze disatrose della Grande depressione dando lavoro nella sua , è capitano volontario dei vigili del fuoco, suona la tuba nella banda  del paese e scrive rime per le cartoline di auguri .Inaspettatamente a sconvolgere la sua vita arriverà un’enorme eredità di 20 milioni di dollari, da un lontano zio che neppure conosceva. Trasferitosi suo malgrado a New York per le incombenze relative alla gestione dell’eredità e degli affari del defunto  il giovane Deeds sarà investito da un turbinio di avvenimenti , d’interessi contrastanti e di sentimenti: La sua indole generosa lo porterà ad essere tradito e preso in giro  diventando  lo “ zimbello “ della città. Tradito proprio dalla donna di cui si era innamorato e deluso da questa nuova vita e dalle  persone che ha incontrato  Deeds decide di disfarsi dell’eredità , utilizzandola  per acquistare terra e bestiame per gli agricoltori rovinati dalla crisi economica, e tornarsene quindi al suo paese. La sua volontà viene tuttavia bloccata da una causa legale  volta a farlo interdire per insanità mentale. Al processo Deeds deluso rifiuta addirittura di difendersi ma quando  la ragazza di cui è innamorato interviene davanti al giudice per difenderlo. Mostrando di  e ricambiare il suo amore , decide di reagire. Intervenendo a sua volta contesta tutte le accuse spiegando che sono così scorrete da definire folle la generosità e la solidarietà verso gli altri mentre nel contempo esaltano e richiedono che un comportamento normale sia improntato al senso dell’avidità e della grettezza. Il suo discorso sarà così convincente da convincere il giudice a dichiarare  che l’imputato è forse l’uomo più sano di mente che sia mai entrato in quell’aula.

Orizzonte perduto (Lost Horizon) è il secondo grande film del periodo d’oro di Frank Capra e si basa sulla trasposizione cinematografica dell’omonimo romanzo di James Hilton. Quel mondo lontano perduto all’interno della catena dell’Himalaya  in cui i protagonisti saranno scaraventati  : Shangri-La , racchiude tutti i valori che Capra ritiene importanti per il futuro dell’umanità e la realizzazione personale di ognuno di noi. Alla fine del film , infatti , Robert, il protagonista ( interpretato da Ronald Colman),  non potrà che considerare quel luogo  come il traguardo della sua vita e, nonostante sia fuggito via, desidererà tornare  a Shangri-La , un posto di grande bellezza , dove la vita scorre in armonia con la natura e le persone, dove ritroverà il suo amore e  dove il tempo sembra essersi fermato in un eterno presente, con la promessa di una incredibile longevità.
                                                
                                                                       
Subito dopo  Capra dirige “L'eterna illusione (You Can't Take It with You)” (1938) con cui ottiene l’Oscar per la miglior regia e d il miglior film. Il film è tratto da una commedia  vincitrice del Premio Pulitzer scritta da  George S. Kaufman e Moss Hart. Ancora una volta il centro del discorso è la critica alla sete del guadagno , all’importanza del denaro come motivazione fondamentale delle azioni  e delle scelte umane. La narrazione si svolge  nel confronto fra due famiglie attorno al tema del potere e della ricchezza contrastate   da forze contraddittorie : Da un lato li divide l’interesse economico e dall’altro potrebbe unirle l’amore dei due giovani figli.  La famiglia Vanderhof-Sycamore, guidata dal nonno Martin Vanderhof, è una famiglia bizzarra, dove ognuno è libero di seguire le proprie aspirazioni artistiche. In contrapposizione,  la famiglia Kirby  è diretta dal cinico banchiere Anthony P. Kirby, che sta cercando di comprare tutti i terreni necessari per impiantare una fabbrica di armi; proprio Martin Vanderhof (Lionel Barrymore) è l'unico che si rifiuta di vendere la sua proprietà. Mentre  l’interesse li divide,  sboccia invece l’amore fra Alice Sycamore, nipote di Martin, e Tony Kirby( James Stewart),  il figlio del banchiere. Tutto sembra portare ad un finale negativo; ma, invece,  la situazione si risolve nel corso di un delicato colloquio fra  Martin Vanderhof ed il banchiere  Anthony P. Kirby, dopo la decisione di Tony di lasciare la banca del padre e la fuga di Alice dalla città. La voce di Martin Vanderhof spiegherà ad Anthony P. Kirby quali siano le cose fondamentali della vita e come il denaro  non sia la cosa più importante, perché non lo si può portare con sé dopo la morte.(da cui il titolo originale, You Can't Take It With You).
                                                        
E’ ancora James Stewart ad incarnare il giovane Senatore, improvvisamente proiettato all’interno del mondo della politica, protagonista del film “ Mr Smith va a Washington (Mr. Smith Goes to Washington) (1939)” Questa volta, sotto l’obiettivo di Capra  cadono i giochi e i contrasti dei parlamentari della massima Istituzione americana: Il Senato della Repubblica   ed il loro rapporto con gli interessi economici delle varie Lobbies a cui sono legati. Ancora una volta Capra affida la vittoria sui meschini interessi economici particolari ad un’azione esemplare. Il giovane Senatore Smith,  per difendersi dalle accuse ordite contro di lui e smascherare gli avversari ,interviene in aula con un discorso che continuerà per oltre 23 ore  consecutive  fino a quando ,vinto dalla fatica e dal disgusto, cadrà a terra svenuto. Il giovane Senatore non è un professionista della politica; al contrario, era stato eletto proprio per la sua ingenuità ,con l’intenzione di manovrarlo a piacimento. I giochi invece  sono scoperti e battuti da questo semplice cittadino come tanti che, nel momento in cui   si trova a dover agire per difendere quello in cui crede, non esita un attimo  a mettere in gioco tutto se stesso. Il messaggio, ribadito in questo film,  è  che il bene comune è molto più importante dell’interesse economico dei pochi ricchi e potenti . L’unica garanzia per un corretto funzionamento delle istituzioni . del mercato , dell’economia dell’intera società è nell’impegno del cittadino comune, unica vera colonna della democrazia americana . Era questa la rivoluzione ideale del New Deal che Capra sposa pienamente. Smith vince la sua battaglia  ed il suo maggior oppositore , il Senatore Paine, che lo accusava ingiustamente , oppresso dal rimorso, confesserà la propria indegnità

                                                           
L’ultimo film che possiamo considerare  come parte integrante del ciclo dedicato al sostegno del new Deal e all’impegno sociale  è “Arriva John Doe (Meet John Doe) (1941)” che viene distribuito già dopo l’inizio della seconda guerra mondiale. Ritorna nel ruolo di protagonista Gary Cooper ( John Doe / John Willough 'il lungo') ed in quello femminile Barbara Stanwyck ( nel ruolo della giornalista Anna Mitchell).
Tutto il racconto del film parte dal licenziamento della giornalista di cronaca rosa  Anna Mitchell che a questo punto  reagisce scrivendo una lettera al giornale  a nome di una persona inventata “John Doe”, la quale  afferma che si suiciderà entro un anno a causa della profonda delusione che prova nei confronti di una società priva di umanità , di solidarietà verso chi è debole ed in difficoltà . Una società profondamente egoista. La lettera pubblicata ha un successo enorme e suscita un’altrettanto forte aspettativa nel pubblico dei lettori di tutta gli States. La giornalista rivela di essere stata la reale autrice della lettera, viene riassunta ed, insieme al direttore del giornale, decide di dare un seguito alla storia ,che è diventata un successo giornalistico,   cercando una persona a cui fare interpretare fisicamente John Doe. La scelta cade su di un ex giocatore di baseball diventato un vagabondo, John Willough detto il lungo. La storia continua con successo ma quando il potente di turno cercherà di sfruttare il successo del personaggio e di utilizzare i suoi fans per ottenere il voto alle elezioni, il suo progetto sarà combattuto e distrutto proprio dalla giornalista e da John Doe che si ribelleranno e sveleranno la falsità di tutto il racconto. Ancora una volta è solo la coscienza civica  e l’impegno personale a garantire la qualità della società e delle sue istituzioni.


                                                                          


L’impegno degli USA  nella guerra non poteva  lasciare  Capra estraneo ad una qualche  forma di partecipazione diretta. Fra il il 1942 e il 1945  decide, pertanto, di  arruolarsi  nell'esercito degli Stati Uniti, su invito del Capo di Stato Maggiore, il generale George C. Marshall, per coordinare la propaganda bellica attraverso lo strumento cinematografico. Si dedica quindi alla supervisione e realizzazione di una serie di documentari divulgativi, per conto del Dipartimento della Difesa, sul tema “ Why We Fight” ("Perché combattiamo").Il primo episodio della serie “Preludio alla guerra”, ottiene nel 1943 l'Oscar per il miglior documentario. Subito dopo questa esperienza e quasi sul finire della guerra  si dedica alla realizzazione di un film che presenta una certa discontinuità rispetto all’impegno precedente, quasi una sorta di “divertissement”:  “Arsenico e vecchi merletti” (1944), tratto da una pièce teatrale di Joseph Kesselring e magistralmente interpretato da un ottimo Cary Grant.
                                                                    
Il clima degli States era decisamente cambiato. Morto Roosevelt nel 1945 e concluso il periodo bellico Gli USA  si ritrovano ad essere l’unica nazione  quasi illesa dai danni della guerra che erano stati invece gravissimi in tutte le altre . Il Paese era decisamente uscito dalla crisi economica e si avviava verso un periodo di benessere diffuso in cui la classe media aveva un ruolo centrale nella società. La guerra fredda stava iniziando e Truman era preoccupato di fronteggiare il mondo comunista e contemporaneamente  aumentava la sua influenza economica politica e militare sul mondo occidentale diventandone la guida indiscussa. In questo nuovo clima, Capra continua, invece,  ad affermare nelle sue opere i valori e i temi a lui più cari e realizza due film che rappresentano forse il suo testamento spirituale : “ La vita è meravigliosa” del 1947 e “ Lo stato dell’unione” del 1948. La vita è meravigliosa (It's a Wonderful Life), pur rappresentando uno dei film più belli diretti da Capra,  ebbe un relativo successo commerciale; forse, proprio per il mutato clima sociale in cui i temi trattati da Capra perdevano il primitivo mordente. James Stewart ritorna protagonista della pellicola con un’interpretazione da storia del cinema; ma, pur candidato, non ottenne l’oscar per il miglior attore protagonista. Nel corso degli anni il film è stato, tuttavia, ampiamente rivalutato ed è diventato quasi un classico del periodo natalizio.
George Bailey il protagonista del film  si trova a vivere la vigilia di Natale del 1945 in uno stato di profonda depressione . La sua vita è stata interamente dedicata ad una grande apertura e generosità verso gli altri che ha aiutato in mille modi . E’ stato anche un grande innamorato della vita ma ha dovuto rinunciare ai viaggi che ha sempre sognato di fare utilizzando i soldi risparmiati per il salvataggio dell’azienda di famiglia( una piccola società di prestiti e mutui che ha sempre aiutato i più bisognosi) o per aiutare altre persone. La mattina della vigilia di Natale, lo  zio Billy è incaricato di versare in banca 8.000 dollari, necessari per onorare una scadenza di pagamento dell’azienda di George; tuttavia, mentre sta parlando in Banca , perde di vista il denaro e non effettua l’operazione di versamento. La somma era di vitale importanza e l’azienda rischia di fallire e cadere nelle mani del vecchio Henry Potter, l’uomo più ricco di Bedford Falls che è anche il proprietario della  banca .E’ lui che , per puro caso,  si ritrova in possesso dei soldi  persi dallo zio di George; ma, decide di non restituirli per mettere in difficoltà George e impossessarsi  della sua azienda .
George è disperato  la sua piccola società è sull’orlo del fallimento , tutti i suoi cari e le persone che gli hanno dato fiducia si troverebbero in difficoltà. Lui non vede altra soluzione che il suicidio. Mentre medita questo terribile gesto , mille voci di preghiera  si levano verso il cielo per chiedere di aiutarlo.. In Paradiso , San Giuseppe consiglia Dio di mandare in terra un angelo custode per salvare George. In quel momento è di turno  l’angelo di seconda classe  Clarence Oddbody a cui Dio prometterà la promozione in prima classe, con relativa crescita delle ali, in caso di buona riuscita della sua missione di  salvataggio di George. Clarence scende quindi sulla terra  e un attimo prima che George tenti il suicidio buttandosi da un ponte , è lui stesso  a gettarsi in acqua  costringendo a quel punto George  a tuffarsi a sua volta ma con l’intento di salvarlo. Clarence, subito dopo, spiega a George la sua missione ed ovviamente non viene creduto. A            questo punto per convincerlo lo trasporta in una realtà parallela facendogli vedere cosa sarebbe accaduto nel suo paese se George non fosse mai esistito. Senza di lui, il fratello Harry è morto annegato da bambino, il signor Gower è diventato  un povero ubriacone che ha trascorso la vita in galera, lo zio Billy è stato internato in un ospedale psichiatrico, l'amata moglie Mary è rimasta zitella e i loro quattro figli non sono mai nati, la mamma di George vive in solitudine facendo l'affittacamere. Senza George Bailey, la tranquilla cittadina di Bedford Falls si è trasformata in Pottersville, un covo di vizio e malaffare in cui tutto appartiene a Potter. Gli esempi e le scene continuano, convincendo George dell’importanza del valore della sua vita  e portandolo a pregare Clarence di farlo tornare a vivere. L’angelo esaudisce il suo desiderio e così la notte di Natale George può tornare a casa ad abbracciare i suoi cari. Quella notte magica George verrà salvato per la seconda volta  dai parenti e dai suoi concittadini  che  avvertiti dalla moglie  Mary e dallo zio Billy, portano il denaro per salvarlo dalla bancarotta, facendogli il più bel regalo di Natale. Fra i soldi , all’interno della cesta , George troverà anche una copia del libro Tom Sawyer con una dedica scritta da Clarence  che lo ringrazia per avergli fatto ottenere le ali grazie al successo della sua missione  e ricordandogli che un uomo non è mai un fallito se ha degli amici attorno a se.
Ancora una volta Capra ci parla di solidarietà , di coraggio , di amore e lo fa costruendo una moderna favola. Certo, è solo un film! E’ solo una favola! La realtà è ben diversa!…..Ma …. ne siamo certi?
                                                                        
Il secondo film che può in qualche modo rappresentare il testamento spirituale di Capra è “Lo stato dell'Unione (State of the Union) (1948)” il cui soggetto è tratto da un ‘opera di di Howard Lindsay e Russel Crouse vincitrice del Pulitzer. In questo film si ritorna a parlare del mondo istituzionale e politico, criticandone la doppiezza e la mancanza di trasparenza. Il protagonista ,l'industriale Grant Matthews ( Spencer Tracy), viene convinto dalla proprietaria di un quotidiano e sua amante , Kay Thorndyke( Angela Lansbury), a candidarsi per il partito repubblicano nelle elezioni primarie per la presidenza degli Stati Uniti. Nonostante la moglie Mary( Katharine Hepburn),  sia a conoscenza del tradimento del marito lo accompagna nella campagna elettorale. Alla fine Grant capisce che sta tradendo i suoi principi a causa del potere,si rende conto del meccanismo corrotto in cui è stato coinvolto e decide di ritirare la sua candidatura e lasciare la politica. Ancora una volta il messaggio che esce fuori chiaro e forte dai film di questo grande regista è che il potere non può servire per alimentare un proprio tornaconto personale ma come servizio alla comunità.
                                                                       
Nel periodo successivo Capra girerà vari remake dei suoi stessi film come ad esempio “ La gioia della vita” (1950)  che riprende  il film “ Strettamente confidenziale ( 1934)  e “Angeli con la pistola” (1961) da “Signora per un giorno 1933)  con un cast prestigioso composto da Glenn Ford nel ruolo del protagonista, Peter Falk, Bette Davis e Ann Margret.


  
Girerà ancora due nuovi film. Il primo  è “È arrivato lo sposo (Here Comes the Groom) “(1951) con Bing Crosby;  mentre, nel 1959, realizzerà “ Un uomo da vendere “ con Frank Sinatra . Il film otterrà l’Oscar 1960 per la migliore canzone.
                                                     
In seguito, dopo aver  sperimentato anche il lavoro in televisione fra  il 1956 ed il 1958,  realizzando una serie di documentari a carattere scientifico, decide  poco più che sessantenne di ritirarsi  dalla sua attività  artistica. Da quel momento, si limiterà a qualche apparizione pubblica solo in occasione di conferenze o di festival cinematografici.

Nel 1982 gli verrà assegnato il Leone d’Oro alla carriera nella Mostra del Cinema di Venezia    e il Life Achievement Award da parte dell’American Film Institute con la seguente motivazione: «La sua opera ha mantenuto vivo il significato del Sogno americano per generazioni di moviegoers in passato e nel presente, ed è per questo che l'American Film Institute gli rende onore con il Life Achievement».
FINE

I VILLEGGIANTI




Valeria Bruni Tedeschi mette in scena sullo schermo una tragedia  in tre atti “ I villeggianti” ,ambientata in una splendida villa sul mare della Costa Azzurra, con un epilogo finale in cui spiega ai protagonisti, con le immagini e le parole del personaggio di un fratello defunto,  che in realtà sono già morti. Il loro modo di vivere o meglio di sopravvivere è  molto vicino al mondo dei defunti , privo com’è di speranza , di capacità di vedere ed amare veramente l’altro che ti sta vicino.
Dominati da un profondo malessere esistenziale i diversi personaggi si muovono  invocando aiuto; ma, allo stesso tempo, sono incapaci di vedere  e rapportarsi con chi gli sta accanto. Personalmente trovo insopportabile, ad esempio, la mancanza di significativa attenzione verso l’unica bambina presente , figlia adottiva della protagonista.
E’ una tragedia personale , familiare ,sociale  e filosofica. Personale perché  evidenzia la solitudine , i traumi non risolti , il bisogno d’amore vissuto come realtà a cui appoggiarsi per riuscire a sopravvivere piuttosto che come capacità di rapporto, di scambio di sentimenti  e di cura dell’altro. Familiare perchè ci mostra una famiglia distrutta  anche per la mancanza dell’unica figura maschile  che si era in qualche modo presa cura delle sorelle,  facendole sentire amate pur se spesso criticate :un fratello da poco venuto a mancare. Una famiglia che non è riuscita a proteggere la figlia,  che bambina ha subito una violenza. Tragedia Sociale e filosofica  espressa nella mancanza totale di un vero senso del rispetto nelle relazioni di lavoro  e nella concezione  filosofico politica ben evidenziata in un dialogo fra l’industriale ormai non più in attività , marito della sorella della protagonista, e la sceneggiatrice   che dichiara di  essere “di sinistra”. Nella spiegazione delle sue posizioni   “essere di sinistra” vuol dire rendersi conto che la natura è malvagia e basata sulla legge del più forte,  ma che in qualche modo lo sforzo costante nella storia di chi la pensa diversamente può gradualmente migliorare le relazioni umane e le  condizioni dei più deboli. Questa teoria evoluzionista e storicista,  alla fine, condanna le persone ad una visione  pessimistica della realtà , ad una natura matrigna che naturalmente ci fa stare male, ci emargina  e che forse , chissà quando, potrà migliorare . Come se le caratteristiche della società in cui viviamo    non fossero, invece, il frutto della responsabilità delle nostre azioni quotidiane.
Un senso di disagio , di disperazione  e di tragedia pervade  tutta la narrazione che è una storia anche di separazione. All’inizio del film si dice, infatti, che il divorzio è una delle peggiori esperienze umane da sopportare.
Valeria Bruni Tedeschi  con “ I villeggianti”  è giunta al suo quarto film ,dopo “ E’ più facile per un cammello “ ( 2003), “Attrici “ del 2006 e “ Baciami ancora “ del 2009. Le sue opere hanno sempre un carattere fortemente autobiografico e spesso descrivono una sensibilità difficile e problematica. Voglio sperare che nella sua vita reale prevalga uno sguardo di speranza sull’avvenire.

Fra gli interpreti sottolineiamo l’interpretazione di Valeria Golino ( nel ruolo della sorella Elena) , di Riccardo Scamarcio ( Luca) e  Noèmie Lvovsky nel ruolo di Nathalie  la sceneggiatrice del film della protagonista  Anna ( Valeria Bruni Tedeschi).


 L'uomo che uccise Don Chisciotte 


Certo, Don Chisciotte può anche essere ucciso; ma, ci sarà sempre qualcuno disposto a prenderne il posto.
Ci sarà sempre qualcuno desideroso di uscire allo scoperto, lasciare una vita oscura e monotona ed impugnare la lancia e la durlindana per combattere i fantasmi e gli incubi della sua mente o gli orrori della società che lo circonda. Tutto, pur di liberare il mondo dal male  e , novello cavaliere,  raggiungere e liberare il cuore dell’amata.
Accanto a lui ci sarà sempre un Sancho Panza, scudiero e compagno fedele.
Un servitore desideroso d’apprendere, di collaborare alle gesta del cavaliere e, se sarà il caso, anche disposto a rischiare la vita per salvarlo.
Con questo film “L'uomo che uccise Don Chisciotte (The Man Who Killed Don Quixote)”,liberamente ispirato al Don Chisciotte di Miguel de Cervantes, Terry Gilliam[g1]  ci trasporta in una dimensione  particolare, alternando la visione  fantastica  al ricordo e alla realtà presente, in un gioco rappresentativo funzionale, comunque, alla crescita del sentimento e dell’animo del protagonista.
 E’ particolarmente riuscito l’intreccio fra la ricerca artistica del protagonista (Toby) e l’esplodere del suo sentimento amoroso verso Angelica.
Convincenti e bravi Adam Driver  (Toby Grisoni) , Joana Ribeiro ( Angelica)  e Jonathan Pryce ( Javier “ Don Chisciotte”)
Il film  è anche noto come uno dei più tormentati tentativi di formazione di un’opera cinematografica . Ci sono voluti, infatti,  ben otto tentativi  e quasi vent’anni   da parte del regista per la sua realizzazione.
Lo ringraziamo per la sua costanza che ci ha permesso di poter gustare questo film avvolgente e affascinante.
Il film è stato presentato fuori concorso al 71° Festival di Cannes  come film di chiusura dello stesso.








FIRST MAN




“Questo è un piccolo passo per l’uomo, ma un grande balzo per l’umanità”.
Con queste parole Neil Armstrong commentava lo sbarco sulla Luna del primo essere umano.
Quanta  naturalezza e semplicità nel descrivere quel semplice gesto , passo finale di un lungo processo che ha impegnato l’intera umanità e la sua  storia!
Quanta fatica , quanta casualità, quanta determinazione , quanto ….. quanto….. quanto…..racchiude dentro di se quel singolo gesto umano!
In  “ First man”, Damien Chazelle desidera parlarci dell’impresa,  ma anche dell’uomo che l’ha vissuta in prima persona, e di come  e per quali motivazioni e casualità si è ritrovato a viverla.
Al di fuori di ogni trionfalismo,  il film cerca dunque di seguire il percorso individuale che ha portato quella singola persona ad incarnare, nel suo piccolo passo, il più grande progresso scientifico dell’umanità.
Uno dei motori  di quell’uomo è  stato  ,forse, la perdita della sua bambina, che l’ha portato a cercare un cambiamento  per elaborare quel lutto ; ma, sicuramente , lo hanno anche affascinato  l’immensità dello spazio e la possibilità del superamento del limite
Quando nelle prove di selezione   alla NASA gli verrà chiesto  cosa pensa di quel progetto,  Armstrong risponderà  che la missione ci permetterà  di vedere cose che finora non abbiamo potuto vedere . Ci permetterà di avere un punto di vista diverso. Di osservare e comprendere meglio la stessa realtà che viviamo.
Ma quanto dolore è ancora presente in quella  missione!
Quante incertezze sia tecniche,  sia umane, prima di essere scelto come primo uomo a scendere sulla Luna ed essere capace di arrivare al traguardo!
La prima parte di quel cammino ci regala forse una delle scene più belle del film , mentre assistiamo al primo  Rendez vous mai effettuato nello spazio, nell’ambito della missione Gemini 8, fra la navicella spaziale di Armstong e il veicolo senza equipaggio  Agena .
Quando l’aggancio viene effettuato  , all’interno  di  uno spazio circostante sereno  ed infinito, sulle note  composte da  Justin Hurwitz , che improvvisamente ci richiamano  alla mente  la musica di LaLaLand, il sorriso che si stampa sulla faccia dei piloti ed il generale entusiasmo della sala comandi   di Houston oltrepassa,  nella sua coralità, ogni singola motivazione personale  o nazionalistica, per consegnarci la contentezza di un progresso raggiunto da ogni essere umano.
In quel momento, Chazelle ci conduce per mano oltre  la pur presente competizione fra USA e URSS all’interno della guerra fredda, oltre  la contestazione  dell’opportunità economica della  missione , oltre le inefficienze tecniche  ed i pericoli  che, pure, oggettivamente esistono e possono compromettere il futuro dell’intero progetto.
Subito dopo la soddisfazione, tuttavia, la complessità e la contraddizione presente in ogni realtà si manifestano brutalmente con gli  errori tecnici e la morte di un equipaggio di colleghi ed amici che erano forse quelli  originariamente prescelti per il primo allunaggio .
Armstrong dovrà di nuovo elaborare il lutto della morte  e dedicare  tutte le sue energie al progetto,  trascurando  i suoi affetti familiari  e  cercando solo li , nello spazio  una nuova occasione , un nuovo punto di vista per ritornare a vedere con occhi diversi  la realtà. Quella è la strada  da percorrere per farcela . Se non cerchiamo di superare i nostri limiti, non progrediremo e non riusciremo ad essere di nuovo  presenti ed amare la nostra vita.
Nelle scene finali del film Chazelle ritorna su questo punto, utilizzando le immagini  e le parole di J. F. Kennedy che insistono  sulla necessità, per un Paese, di affrontare e superare i propri limiti. Potremmo cercare di fare delle cose facili , dice Kennedy, ma vogliamo invece affrontare le cose difficili  per andare avanti .
“ First man” (2018) è un film  diretto  da Damien Chazelle e scritto da Josh Singer , già premio Oscar per la sceneggiatura de “Il caso Spotlight”,con protagonisti Ryan Gosling e Claire Foy.
La pellicola costituisce  l’adattamento cinematografico della biografia ufficiale di  Neil A. Armstrong, scritta da James R. Hansen e pubblicata nel 2005.
Neil Armstrong entrò alla NASA nel 1962. Dopo varie missioni, partecipò all'Apollo 11 e divenne, il 20 luglio 1969, il primo uomo a mettere piede sulla Luna.






QUASI NEMICI - L'IMPORTANTE È AVERE RAGIONE (2017) Titolo orginale: Le brio



Non sempre,  essere portatori di idee o esigenze giuste  permette di avere ragione   in un confronto o addirittura di essere capaci di portare avanti  le proprie aspirazioni.
Il film, provocatoriamente ma con molta attenzione, ci fa riflettere su quello che è verificabile nell’esperienza di vita di ognuno di noi . Non basta essere nel giusto ; è altrettanto importante sapere portare avanti  le proprie idee e le proprie giuste esigenze in modo  da risultare vincenti ed accettati dagli altri .
Questo è doppiamente vero se si considera la consolidata abilità ad operare in tal senso da parte della classe dirigente rispetto ai ceti poveri e/o marginali. Risulta, a tal fine, particolarmente interessante la scelta del  film  di applicare questo principio proprio alla figura di una giovane studentessa di giurisprudenza  non solo di un ceto sociale modesto, ma anche appartenente ad una minoranza etnica. Proprio  “Lei “ capirà, a sue spese, come sia importante imparare  e seguire un percorso di formazione ( in questo caso di Retorica)  per fare in modo che  alla ragione di partenza si accoppi il risultato vincente  nel confronto con gli altri, facendo in modo che le sue posizioni risultino vincenti.
E’ questa una lezione importante soprattutto per i più giovani e per chi parte da condizioni disagiate. Devono imparare al più presto a saper portare avanti le proprie esigenze in maniera vincente.
Solo in tal modo potranno trasformare veramente la loro condizione ed ottenere i risultati che desiderano, rifuggendo da un possibile atteggiamento vittimista o, alternativamente,  eccessivamente estremista che li porterebbe verso pericolose posizioni devianti
 Al loro primo incontro, la studentessa  ed il professore di Retorica entreranno immediatamente in conflitto. Lui utilizzerà, per avere ragione nel loro confronto , la tecnica più spregiudicata e meno rispettosa dell’altro presente  all’interno delle sue regole dialettiche : l’insulto.
Quando non si hanno argomenti,  le spiegherà in seguito , l’insulto funziona sempre  e mette l’altro in condizioni di debolezza. A niente servirà l’indignazione o la rabbia se anzi, con il probabile  abbandono e rifiuto  dello scontro,  regaleranno la vittoria all’avversario. Sarà pertanto divertente vedere come nella scena finale del film i due protagonisti , ormai capaci  entrambi di gestire con successo le tecniche della retorica e della dialettica , si divertiranno ad insultarsi a vicenda rinsaldando nel mentre un possibile rapporto di stima e amicizia.
 Daniel Auteuil e Camelia Jordana,  sotto la regia di Yvan Attal , ci conducono piacevolmente per mano, durante tutto il film, facendoci gradualmente appassionare al percorso di formazione della giovane studentessa sulla base delle leggi della retorica   ed allo sviluppo del loro  confronto umano e dialettico.
Contemporaneamente, il percorso della giovane donna verso la professione di avvocato  e  l’affermazione sociale, grazie alle tecniche imparate, rappresenteranno anche una possibile strada di emancipazione  proposta al suo gruppo sociale ed etnico di riferimento, ben  rappresentato nella descrizione delle relazioni e del quartiere da cui proviene la ragazza.
 Abbiamo già apprezzato  la Jordana nel film “ Due sotto il burqa” ed adesso  la ritroviamo  nel ruolo di una studentessa di giurisprudenza dell’Università di Parigi 2 , Neila Salah.
Per questa interpretazione  ha vinto il premio César  come migliore promessa femminile del Cinema Francese. Convincente e bravo come sempre Daniel Auteuil nel ruolo del burbero professore di Retorica .
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A STAR IS BORN




Bradley Cooper, al suo esordio nella regia,  ci regala  “A star is born”, liberamente ispirato  al remake  del film “ E’ nata una stella “ del 1937; ma, soprattutto, a quello del 1954 diretto da  George Cukor ed interpretato da una grande Judy Garland.
Cooper ha collaborato, inoltre, alla sceneggiatura  ed ha partecipato alla produzione del film, oltre ad esserne il protagonista insieme ad una magnifica Lady Gaga  con cui , fra l’altro, è autore di tutte le canzoni del film.
La musica è la vera protagonista del film, attorno e dentro cui si sviluppa la storia.
Traspare, nella visione del film, una intensa passione per la musica che Cooper e Lady Gaga non mancano di trasmettere allo spettatore, grazie alla loro vissuta ed intensa  interpretazione delle  figure dei due artisti del mondo della musica rock.
Di Bradley Cooper  abbiamo potuto apprezzare da tempo la sua capacità recitativa, che lo colloca all’interno dei vertici mondiali; ma, grazie a questo film, dobbiamo apprezzare  anche la sua ottima regia e  sceneggiatura e ,soprattutto, il livello estremamente raffinato delle  canzoni e relativi  testi che ha saputo creare insieme a Lady Gaga.
 Quest’ultima ,poi , è una vera rivelazione!
 Interpreta il ruolo della protagonista con una sensibilità, priva di sbavature, e con una intensità emotiva da attrice consumata. Conoscevamo già le sue doti canore e di autrice; ma , le stesse  vengono confermate e ingigantite dalla sua bella interpretazione  del personaggio di “Ally”.
L’amore e la stima di Jack , già affermata rockstar, permetteranno ad Ally  di sbocciare come donna, come cantante ed autrice, fino a diventare un’ affermata star. Tutto questo, mentre contemporaneamente  assisteremo al declino di Jack, tormentato da un difficile passato familiare e dalla dipendenza da droghe ed alcool. Proprio l’amore, che permette il riscatto e l’esplodere di Ally, non riuscirà invece a salvare Jack che, forse proprio per amore, preferirà sacrificarsi per consentire ad Ally di continuare a vivere intensamente la sua vita di artista.

In quest’opera l’amore non riesce a svolgere in  pieno la sua azione salvifica e ci ricorda , come spesso accade nella vita, che il dolore  antico , presente e nuovo  sono spesso ineliminabili e forse insopportabili. Ci rimane il messaggio artistico che, comunque, consegna i due protagonisti all’eternità ,grazie alla nostra   fruizione della bellezza che hanno creato con le canzoni che hanno composto, frutto del loro amore reciproco e per la vita.


MAMMA MIA! CI RISIAMO





Certo, non era facile  fare il sequel di “Mamma mia”, lo splendido film del 2008  con le musiche degli Abba che  narrava  la delicata storia di Donna , della figlia e dei suoi possibili tre padri  raccontata nella rarefatta atmosfera della  sperduta isola greca di Kalokairi( in realtà, le riprese di questo film sono state effettuate nell’isola di Lissa in Croazia) .

Se per un attimo, tuttavia, cerchiamo di non  fare paragoni  e proviamo a vedere questo film come una creatura unica, possiamo apprezzarne, soprattutto, la carica vitale e sensuale che caratterizza le pagine della sua narrazione. Il film ripercorre la storia  di Donna Sheridan facendola rivivere dopo la sua morte  prematura nel ricordo della figlia Sophie. Sono passati cinque anni dagli avvenimenti narrati nel film precedente, Donna è morta da un anno   e Sophie  ha deciso   di restare nell’isola,  dove è cresciuta con la madre, e trasformare il suo Bred & Breakfast in un hotel: il “ Bella Donna”.



La storia scorre insieme alle musiche degli Abba sui problemi legati all’inaugurazione dell’Hotel e sulle scelte di vita  di Sophie e del marito circondati sempre dall’affetto dei tre possibili padri e delle amiche della madre. Sarà il ricordo della madre, della sua voglia di scoprire il senso della vita seguendo sempre  il suo desiderio, anche quando  il buon senso indicherebbe il contrario, che l’aiuteranno a continuare la sua impresa,  rimanendo legata alla sua isola e ai suoi affetti . La sua scoperta maternità sarà poi un motivo di ulteriore  identificazione con la madre e con il suo modo di vivere. Nove mesi dopo, quando  battezzerà il figlio nella stessa chiesa in cui venticinque anni prima Donna battezzava la neonata Sophie,durante la cerimonia , apparirà  Donna nelle sembianze  amate di Meryl Streep e in un insieme di fantasia e di realtà darà l'ultimo saluto a Sophie ,al nipotino e a tutti noi spettatori.
Il film scritto e diretto da Ol Parker aggiunge al riconfermato cast precedente una fantastica  Lily James  nel ruolo di Donna giovane, Jeremy Irvine, Hugh Skinner, Josh Dylan, Alwexa Davies e Jessica Keenan Wynn, , rispettivamente nei ruoli  Sam, Harry, Bill, Rosie e Tanya da giovani. Al cast stellare precedente si aggiungono ancora  Cher  nel ruolo di Ruby Sheridan , la madre di Donna,  e Andy Garcia nel ruolo  di  Fernando Cienfuegos, scelto da Sophie  come direttore del nascente albergo e che, all’arrivo della nonna Ruby, si scopre essere stato un suo grande amore. Bello a questo proposito il duetto di Cher e Garcia sulle note della canzone “ Fernando”.



COCO




Coco è un film d'animazione del 2017 diretto da Lee Unkrich e Adrian Molina, che ne hanno  curato anche il soggetto insieme  a Jason Katze  Matthew Aldrich; mentre, la sceneggiatura è stata realizzata da Adrian Molina e Matthew Aldrich.
Il film, distribuito dalla Walt Disney Pictures, è stato  prodotto e creato dalla Pixar Animation Studios ( dal 2006 parte del gruppo Disney) ed ha ottenuto  due Oscar 2018 , per il miglior film d'animazione e per la  migliore canzone con "Remember Me".
Con questo film, si ritorna  nell'incanto del mondo Disney  che ha accompagnato la fanciullezza di molti di noi. Ci si parla della  voglia di vivere , di quell'amore speciale  esistente fra un padre ed una figlia , della bellezza della musica , dell'importanza dei rapporti familiari.
Sarà il giovane Miguel a condurci  per mano lungo tutta la storia, mosso dalla sua passione  per la musica , per la chitarra  dell'innominabile  tris-nonno che suona di nascosto , dal desiderio di conciliare l'inconciliabile : il suo amore per i familiari e per la musica.
Perchè questo rifiuto della musica  e di ogni cosa che la ricordi in questa famiglia?
 Perchè nella foto che ritrae il gruppo familiare originario, quello della tris-nonna e della figlia Coco,  non è visibile  il volto del tris-nonno  , strappato dalla foto?
Tutto inizia da una coppia che si amava profondamente, così come amava   la musica.
 Essi cantavano insieme accompagnati dalla chitarra dell'uomo, il trisnonno, che componeva anche le canzoni. Un giorno, dopo sposati e dopo che era nata la piccola Coco, Il tris nonno era andato via, perchè desiderava  portare la sua arte al mondo intero, mentre la moglie voleva fermarsi , mettere radici in un posto  e crescere in armonia la figlia.
La moglie  non lo aveva più perdonato, e da quel giorno la musica era stata bandita da quella casa per  tutte le generazioni a venire .
 La musica, tuttavia, rimane nei nostri cuori e c'era una canzone che il trisnonno aveva scritto per la figlia Coco, a cui la cantava ogni sera prima di andare via,  che diceva " Ricordami "  e che ritorna sempre nel cuore e nella mente del piccolo Miguel, spingendolo inevitabilmente verso la musica nonostante tutte le proibizioni.
 Quella canzone e quella passione porteranno  Miguel , attraverso un lungo percorso avventuroso  fra la realtà e l'aldilà, a ricomporre l'unità di quella famiglia, ridandole le radici   con la rivalutazione completa del ricordo del trisnonno, che era morto proprio prima di poter tornare a casa come desiderava.
Il ricordo è importante per l'unità della famiglia e per la stessa speranza nel futuro  ,  perchè  in esso  rimaniamo vivi , in quello di chi ci ama o ci ha amato.
Il ricordo rivivrà e farà rivivere in un attimo speciale il padre nella mente di una vecchia Coco , bisnonna di Miguel,  che riuscirà a cantare insieme a lui ,  balbettando, la canzone " ricordami" in una delle scene più commoventi del film , rompendo il tabù del divieto della musica presente in quella famiglia e ridandole una vita piena.
E'  particolarmente toccante la scelta della rappresentazione del delicato   e tenero amore del padre nei confronti della piccola Coco, che accompagna tutto il film e che, con la canzone "Ricordami" , ci rimane nel cuore  a proiezione conclusa.




LADY BIRD




“Lady Bird” è un film statunitense del 2017 scritto e diretto da Greta Gerwig ed interpretato da Saoirse Ronan( nel ruolo della protagonista Cristine) , Laurie Metcalf( la madre), Tracy Letts, Lucas Hedges e Timothée Chalamet. Ha ottenuto cinque nomination ai Premi Oscar 2018  di cui una per il miglior film, per miglior attrice a Saoirse Ronan, miglior attrice non protagonista a Laurie Metcalf, migliore sceneggiatura originale e miglior regista a Greta Gerwig.
La narrazione si svolge a Sacramento ( California) e ci parla del momento di passaggio dall’adolescenza all’età adulta di una giovane donna Christine "Lady Bird" McPherson, studentessa dell'ultimo anno di un liceo cattolico della periferia della città. E una storia che potremmo definire intimista ed universale perché centra l’obiettivo della macchina da presa su quelle che sono le problematiche di quell’età: il contrasto con i genitori, la gestione dei rapporti di amicizia, la prima esplorazione e conoscenza dei rapporti amorosi e sessuali, il desiderio di realizzarsi secondo i propri desideri e non seguendo acriticamente quanto è già previsto per noi, specialmente dai genitori, ma non solo.
L’inevitabile anticonformismo , a tratti ribelle , non esce comunque mai al di fuori dei normali canoni di devianza momentanea propri di quell’età ed il film rimane all’interno di una dinamica sostanzialmente personale  ed intima  senza mai avventurarsi in discorsi di tipo diverso ( di carattere sociale, politico ecc.)  pur mostrandoci  i cambiamenti  e le nuove caratteristiche comportamentali della periferia americana contemporanea.
Da un lato “Lady Bird” , come ogni adolescente, chiede alla sua famiglia maggiore attenzione per i suoi desideri e per il modo in cui vorrebbe vivere;  dall’altro, inevitabilmente, il genitore richiama la giovane alle proprie responsabilità familiari e sociali ed all’impegno necessario per raggiungere qualunque obiettivo.
Sembra un dialogo fra sordi; ma, in realtà, ognuno di noi ricorda quelle improvvise ed inaspettate manifestazioni di affetto dei propri genitori che hanno messo in crisi  e cambiato i nostri giudizi su di loro, facendoceli poi apprezzare per la loro dedizione e per i sacrifici che avevano affrontato .
Il giovane di ogni tempo desidera riuscire a volare da solo,  con le proprie ali , ribadendo al mondo intero che è un animale libero : “Lady Bird”.
Così come nella notte dei tempi, si ripercorrerà il sentiero di Adamo e si preferirà capire da soli cosa sia il bene e  cosa sia il male, rischiando certo di farsi male, ma riuscendo in tal modo a sentirsi liberi ed adulti.
Solo a quel punto “ Lady Bird” potrà ritornare a chiamarsi Cristine.




FIGLIA MIA


Chiunque abbia la fortuna di poter esprimere le parole “figlia mia”, non dovrebbe mai cercare d’impedirne la possibilità ad un altro genitore, sia che si tratti del padre o della madre naturale nei confronti di quelli adottivi o viceversa; men che mai, inoltre, nei confronti dell’altro membro della coppia che ha dato la vita a quel figlio.
Eppure, troppe volte assistiamo alla guerra dell’odio e della paura per il controllo dei figli e/o per accaparrarsene totalmente la gestione, come se l’amore potesse avere un limite ed avesse un senso privarne un altro per riuscire a goderne.
Come se l’amore del proprio figlio potesse essere ottenuto attraverso il suo possesso e la proibizione  dei  rapporti con l’altro, negandogli la possibilità della compagnia , della confidenza , dell’esempio, dell’amore dell’altro genitore.
E’ la paura che domina, a quel punto, l’azione della persona, cercando di troncare quel rapporto d’amore che, in realtà, ha permesso lo stesso concepimento di quella creatura “ figlia mia”.
Amore e paura si mescolano nel rapporto fra le persone e diventano i motori del loro stesso comportamento.
E’ di questo argomento  che desidera parlarci Laura Bispuri  nel suo nuovo film “ Figlia mia”,  recentemente presentato  al 68º festival internazionale di Berlino. Dopo la sua opera precedente “ Vergine giurata” ,affiancata nuovamente  nella sceneggiatura da Francesca Manieri, si addentra  con un punto di vista femminile nell’intreccio dei rapporti fra tre donne: Angelica, madre naturale di Vittoria , una ragazza che vive  in una situazione marginale e di degrado, spesso ubriaca  e facilmente disponibile a rapporti saltuari con gli uomini  alla ricerca disperata di affetto e denaro; Vittoria, una bambina di dieci anni dai capelli rossi e dai lineamenti particolari, poco comuni in Sardegna, che l’avvicinano naturalmente ad Angelica; Tina , la madre adottiva , che ha aiutato Angelica  a partorire sua figlia , dopo averla trovata sofferente ai margini di un sentiero, e che poi si è presa cura da quel momento di Vittoria, crescendola come la sua unica e vera figlia.
Tre grandi attrici ci conducono per mano nell’esplorazione delle emozioni e dei pensieri dei loro personaggi. Dico tre perché anche la piccola  Sara Casu, nella parte di Vittoria, riesce ad appassionarci al suo personaggio, mostrandoci con vera bravura la sua naturale evoluzione. Le altre due sono Valeria Golino e Alba Rohrwacher, rispettivamente  Tina e Angelica, la madre adottiva e quella naturale di Vittoria, che ci regalano due belle interpretazioni dei loro personaggi: dense e piene di  sfaccettature.
Amore e paura sono i protagonisti del film, articolandosi nell’intreccio della, vicenda.La ricerca dell’amore filiale e materno ed il modo particolare in cui  questo si manifesta; ma, nello stesso tempo , la paura di non averlo , di perderlo, di non mantenerlo.
La paura che ognuno di noi vive in ogni momento della sua vita  può essere paralizzante e fonte di avversione e di odio; oppure, può e deve essere naturale strumento di osservazione dei problemi e dei limiti  con cui ci rapportiamo. La paura dovrebbe essere uno dei migliori strumenti di prevenzione e di analisi dei rischi e delle difficoltà a cui andiamo incontro, per poterle superare e vivere con maggiore pienezza la nostra vita.
Può essere, tuttavia, la causa della nostra rinuncia a vivere un’esistenza pienamente soddisfacente, la fonte di sentimenti di odio e rivalsa nei confronti di chi riteniamo colpevole delle nostre difficoltà. Può portarci ad impedirci ed impedire di vivere.
Il superamento, da parte di Vittoria, della paura di calarsi in un cunicolo , stretto e buio , dove forse solo lei può entrare,  alla ricerca di un improbabile tesoro, della cui esistenza la madre naturale è convinta, rappresenta  la scoperta di un reale grande tesoro per la sua vita: la capacità del coraggio, di andare a vedere la realtà e di trovare se stessi in fondo al cunicolo, la capacità di andare avanti per sè e per le persone che ami.
Laura Bispuri ci conduce con il suo film nel dedalo del rapporto fra questi sentimenti , con mano delicata e senza aprioristici giudizi di valore,  mostrando sempre una   grande attenzione e solidarietà per i problemi espressi dai  suoi personaggi.
La vicenda ha come sfondo ed ambientazione gli splendidi paesaggi naturali della Sardegna, valorizzati dalla bella fotografia di  Vladan Radovic. Completano il cast  il montaggio di Carlotta Cristiani, le musiche originali di Nando Di Cosimo, i costumi di Antonella Cannarozzi, la scenografia di Ilaria Sadun





THE SHAPE OF WATER

Un film , una favola garbata e niente affatto banale sulla realtà della solitudine e della poca attenzione per la dignità dell'uomo presente nelle nostre società.
 E' anche, tuttavia, un racconto dell'apertura , della solidarietà e della decisione di non accettare con rassegnazione tutto questo. Come in ogni favola , poi, si racconta che chi scelse questa strada alla fine visse felice e contento .
Bella l'ambientazione negli USA anni cinquanta , la musica e le canzoni che ci accompagnano durante la visione.
 Bravi tutti gli attori. e bravo Guillermo del Toro, già premiato a Venezia ed in corsa per l'Oscar.
Desidero aggiungere una seconda osservazione, legata proprio all'ambientazione del film negll'America degli anni '50. In ogni favola un elemento importante è costituito dall'individuazione del cattivo . In " the shape of water" mi sembra che , non a caso , si sia identificata questa figura nell'apparato militare  ed istituzionale degli  USA di quell'epoca e, per analogia, anche del suo equivalente sovietico, in piena guerra fredda. Sono loro che si muovono senza alcun interesse reale per le persone o per l'entità che stanno studiando. Sono loro che svolgono la funzione del " cattivo ".
La domanda che nasce spontanea, a questo punto, è perchè Del Toro abbia scelto quest' ambientazione e quel periodo  per raccontarci la sua favola. A pensar male  spesso s'indovina ed una spiegazione potrebbe essere data proprio dal cambiamento recente  avvenuto nella società americana con l'elezione di Trump alla sua guida.
 Se ci pensiamo bene, il valore della persona , la sua liberazione,  la sua importanza anche nei confronti dell'establishment era sta rivendicata con forza dai movimenti  dei diritti civili , studenteschi e d'opinione degli anni '60,  che avevano radicalmente contestato proprio quel modo di vivere e di ragionare dell'America che ci viene presentata dal film. . I presidenti democratici e repubblicani che si sono succeduti alla guida degli USA ne sono stati  in qualche modo influenzati e/condizionati.
 Oggi, sembra invece che quella generazione abbia esaurito il suo compito e che  quell'America voglia ritornare, prendendosi una rivincita storica. Questo film in qualche modo  la combatte mostrandoci la bellezza dell'incontro tra anime diverse.
Tornando alla bravura degli attori,  non possiamo non sottolineare quella di Sally Hawkins che nel film è  Elisa Esposito,  candidata all'Oscar per la migliore attrice protagonista,  e che avevamo già ammirato nel film "Blue Jasmine" di Woody Allen , per il quale ha ricevuto la sua prima candidatura agli Oscar nella sezione miglior attrice non protagonista. Accanto a lei  c'è Octavia Spencer ( Zelda Delilah Fuller)  che ricordiamo nel  film The Help (2011), per il quale ha vinto l'Oscar alla miglior attrice non protagonista oltre che per la  sua interpretazione di Dorothy Vaughan ne "Il diritto di contare (2016)".Tra le figure maschili  è sembrato particolarmente convincente Michael Shannon  nel ruolo del   col. Richard Strickland . L'attore è stato candidato in passato per l'Oscar  come miglior attore non protagonista  per il film " Revolutionary Road" e  nel 2010  ha preso  parte alla serie televisiva " Boardwalk Empire - L'impero del crimine".
Un bel film  candidato a  complessivi 13 Oscar.





Ore 15:17 - Attacco al treno

Il film , diretto da Clint Eastwood, è basato sull'autobiografia "The 15:17 to Paris: The True Story of a Terrorist, a Train, and Three American Heroes" di Jeffrey E. Stern, Spencer Stone, Anthony Sadler e Alek Skarlatos e racconta del  tentato attacco terroristico del 21 agosto 2015 sul treno Thalys 9364 diretto da Amsterdam a Parigi, sventato da tre coraggiosi giovani soldati americani che erano in vacanza in giro per l'Europa.
Il loro gesto permise di salvare  la vita di oltre 500 passeggeri ed è stato premiato   con il conferimento  da parte del Presidente  Hollande della legione d'Onore , la più alta decorazione francese. E' importante sottolineare come nel film  Stone, Sadler e Skarlatos interpretino se stessi.
Eastwood ci parla  ancora una volta  dell'eroismo , della necessità di fare qualcosa nelle situazioni di crisi e di emergenza e di come  quest'azione salvi non solo chi viene aiutato ma anche chi la compie, sostenendolo nel suo percorso di vita  e nella sua crescita personale.
E' questo spesso un tema centrale del lavoro di questo regista, che abbiamo ammirato anche come attore nel ruolo di personaggi capaci di attuare questi comportamenti. Il massimo lo ha forse realizzato in   " Gran Torino" dove è stato allo stesso tempo regista e protagonista.
Quello che Eastwood non manca di sottolineare è anche come questa modalità d'intervento, l'azione eroica, può essere alla portata di tutti noi e spesso rappresenti lo sbocco naturale  di un percorso di vita, posto dinanzi ad una situazione eccezionale.
E' per questo che in questo film  il regista, dopo averci mostrato nelle immagini iniziali  le scene principali dell'assalto al treno, torna successivamente indietro nel tempo raccontandoci il percorso di formazione dei tre ragazzi protagonisti del film .Il loro incontrarsi da bambini ,lo sviluppo della loro amicizia, gli interessi e i valori con cui  sono cresciuti , gli obiettivi che hannno cercato di realizzare e che in  qualche modo li caratterizzeranno nelle loro azioni future e nel loro modo di reagire a degli eventi imprevisti ed eccezionali.
Si potrebbe obiettare ad Eastwood che la sua macchina da presa  tenda a sfumare la dimensione sociale, di cui comunque si occupa, per concentrarsi sull'azione eroica, sul gesto individuale. E' probabilmente una scelta! Eastwood non si occupa delle azioni  sociali collettive, dei sentimenti e delle scelte intellettuali conseguenti o della formazione e descrizione dei movimenti di opinione . No, la sua attenzione è rivolta all'aspetto strettamente personale  ed individuale, all'azione esemplare del singolo di fronte ad una situazione drammatica  e di emergenza,  anche se la stessa ha poi rilevanza sociale all'interno della comunità in cui vivono i suoi protagonisti.
A margine non possiamo che rallegrarci ed essere orgogliosi  per le splendide immagini delle bellezze artistiche  e monumentali delle città di Roma e Venezia mostrate nel film in relazione al viaggio in Europa dei tre giovani americani .
Ancora una volta Eastwood ha saputo interessare lo spettatore dalla prima all'ultima scena aiutato nella sceneggiatura dalla giovane trentacinquenne Dorothy Blyskal, alla prima scrittura per il cinema dopo alcune esperienze come segretaria di edizione e assistente di produzione in altri film  tra cui "Logan" e "Sully". 

A CASA TUTTI BENE



Il nuovo film di Muccino  " A casa tutti bene"  si addentra  all'interno di un'analisi disincantata dei rapporti familiari e di coppia . L'occasione è data dal  festeggiamento delle nozze d'oro della coppia capostipite che riunisce attorno a se  tutte le altre.  Quelle  di tutti i parenti riuniti nello splendido scenario di una villa  all'interno dell'isola  di Ischia . Vecchi e nuovi problemi  di relazione   avranno modo di svilupparsi attorno ai vari personaggi  in quasi tutte le tipologie possibili  per poi spiegarci con la voce di Stefania Sandrelli che la problematicità è forse la normalità della vita di coppia. Muccino riesce  grazie anche alla bravura degli attori  a coinvolgerci nella sua storia aiutandosi poi con dei momenti musicali che  riuniscono l'intera famiglia attorno al pianoforte dove il bravo Gianmarco Tognazzi , forse il componente più " marginale" del gruppo, riesce invece ogni volta a coinvolgere tutti in rari momenti di unità affettiva. Per ognuno ,comunque,  vi sarà il compito di coniugare il proprio futuro ed il  desiderio di felicità ed autenticità con un bilancio della propria vita di relazione.
Non posso  chiudere questa breve riflessione senza citare  i principali  attori di questo film , i cui volti sono parte viva del panorama cinematografico italiano e che  hanno contribuito non poco  ad appassionarci alla vita dei loro personaggi : Stefano Accorsi, Carolina Crescentini, Elena Cucci, Tea Falco, Pierfrancesco Favino, Claudia Gerini, Massimo Ghini, Sabrina Impacciatore, Gianfelice Imparato, Ivano Marescotti, Giulia Michelini, Sandra Milo, Giampaolo Morelli, Stefania Sandrelli, Valeria Solarino, Gianmarco Tognazzi


L’INSULTO


Sono passati molti anni dalla fine della guerra civile in Libano,  combattuta in tutto il paese fra il 1975 ed il 1990; ma, i motivi di contrasto ed  i rancori accumulati fra le diverse etnie e parti sociali non si  sono ancora  spenti.
D’altra parte, quel conflitto nato  dal  contrasto tra la componente cristiana , preoccupata ed infastidita dal massiccio arrivo nel territorio dei  profughi palestinesi, e la componente musulmana  aveva sconvolto la vita del Libano per anni ed  era cessato solo in seguito ad una occupazione dell’esercito siriano, la cui presenza  fu successivamente definita “ fraterna” dall’accordo “d’intesa nazionale”  firmato Il 22 ottobre 1989 dai deputati libanesi riunitisi a  Ta’if in Arabia Saudita.
Bisognerà aspettare il 2005 perché I Siriani lascino il paese sotto la spinta delle manifestazioni popolari conosciute come “ la rivoluzione dei cedri”.
La guerra civile ha segnato la vita di tante persone e vi sono stati episodi di vera crudeltà sia dall’una che dall’altra parte.
La  prima strage più importante fu quella di Qarantina, nel gennaio del 1976,  in cui furono uccise circa 1000/1500 persone  di una baraccopoli prevalentemente musulmana posta nel quartiere cristiano di Beirut, controllata da forze della OLP e abitata da curdi ,siriani e palestinesi. La risposta della controparte non si fece attendere  e pochi giorni dopo  ebbe luogo il massacro di Damur, una città cristiana  a sud di Beirut, in cui ca. 500 persone  furono uccise ed il rimanente  fu costretto a fuggire.
La strage di Damur è alla base della rabbia e dei ricordi di  Tony Hanna   uno dei protagonisti de  “L’insulto “ un film del 2017 diretto da Ziad Doueiri.
Tony ci viene presentato fin dalle prime scene come un appassionato seguace del partito  d’ispirazione cristiano/patriottica di  Bashir Gemayel, il leader politico assassinato nel 1982,  figlio di Pierre Gemayel, fondatore delle Falangi libanesi. Il suo odio antico verso la presenza palestinese in Libano avrà modo di uscire fuori in tutta la sua pienezza grazie ad un banale contrasto , un piccolo litigio seguito da un insulto da parte di  Yasser Abdallah Salameh, un capo operaio  palestinese.
Il pretesto banale  innesca un contrasto pesante tra le persone  e serve al regista per un’escalation della trama  e della narrazione  filmica che coinvolge l’intera società Libanese. Una collettività che porta ancora vive le ferite mai rimarginate degli antichi contrasti e che mal  sopporta la forzata convivenza fra etnie  e religioni diverse.
Eppure, il rispetto fra le persone è possibile se solo si avesse l’occasione o la consapevolezza di guardarsi con un occhio libero dal pregiudizio e dall’odio politico e di parte. Nessuno è in fondo innocente! I diversi comportamenti sono tutti potenzialmente lesivi dell’integrità dell’altro e se solo riuscissimo ad andare oltre il nostro primitivo risentimento,  potremmo scorgere la strada del rispetto per chi, ai nostri stessi occhi, forse ne è meritevole,  iniziando la strada difficile e mai scontata della riconciliazione.
Tutto questo non è facile e per nulla scontato se lo stesso regista  Ziad Doueiri, tornato dalla mostra di  Venezia dove aveva presentato il film,  è stato arrestato, processato e prosciolto da un tribunale militare, dopo essere stato accusato di aver "cospirato con il nemico" per aver girato il film “ Attak” in Israele cinque anni fa. Ai cittadini libanesi è infatti proibito visitare un paese con cui il Libano è ufficialmente in guerra. Il cineasta 54enne, che ha studiato in America (era l'operatore di Quentin Tarantino in Le iene, Pulp Fiction e Jackie Brown), era stato arrestato domenica sera subito dopo l'atterraggio a Beirut.
“L’Insulto” è un  film è intenso e coinvolgente, interpretato magistralmente da tutti gli attori fra cui spiccano in particolar modo i due  litiganti : Adel Karam nel ruolo di  Tony Anna  e Kamel El Basha ( Yasser Abdallah Salameh) che  ha vinto la Coppa Volpi  per la miglior interpretazione maschile alla 74ª Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia.
Mi sono piaciute molto anche le principali interpreti femminili:  Diamand Bou Abboud  nel ruolo della giovane avvocatessa  Nadine Wehbe  e  Rita Hayek  nel ruolo di Shirine  , moglie  di Tony Anna .
Il film,  la cui sceneggiatura è stata curata dallo stesso  Ziad Doueiri e dalla sua compagna Joelle Touma, è stato selezionato per rappresentare il Libano ai premi Oscar 2018 nella categoria  per il miglior film in lingua straniera e, personalmente, ritengo sia tra i favoriti.
Ziad Doueiri, che  ha studiato negli USA (era l'operatore di Quentin Tarantino in Le iene, Pulp Fiction e Jackie Brown), in precedenza ha firmato la regia  di   West Beyrouth (1998), Lila dice ( 2004) e The Attak ( 2012).



ELLA & JOHN

John conosce quasi a memoria interi brani delle pagine di Hemingway; ma ,spesso, non ricorda neanche dove si trova e perchè. Gli è sempre piaciuta la letteratura, di cui è stato insegnante, e gli  autori come Joice ed Hemingway, di cui dice che la prosa così secca e scarna è quasi poetica. Mantiene  una buona forma fisica, nonostante la tarda  età, e riesce a guidare ancora bene il suo amato Camper; ma, senza Ella, si sente perduto.
Ella , sua moglie e compagna di vita, mantiene ancora un aspetto giovanile  con la sua parrucca  castana ed il rossetto; ma, un male incurabile le lascia ormai pochi giorni da vivere.
Il destino di Ella, a quel punto, è solo quello di un letto confortevole in una stanza di ospedale , in una clinica o a casa, fino all'ultimo respiro, circondata dai suoi cari.
Per John il futuro probabile è quello di occupare un angolo silenzioso di una casa di riposo .
Si può pensare di restare giovani  nonostante il passare degli anni?
Ella e John pensano   che forse sia possibile  anche fino alla morte e preferiscono partire da Boston con il loro mitico "Leisure Seeker" in un "viaggio contromano", come ci racconta  Michael Zadoorian nel suo bellissimo romanzo da cui Paolo Virzì ha curato la trasposizione cinematografica nel suo primo film in lingua inglese.
Ella e John, interpretati rispettivamente da due miti del cinema come Helen Mirren e Donald Sutherland, partono quindi verso i  luoghi e le atmosfere del loro passato; ma, anche, con un nuovo obiettivo: un regalo di Ella per John...la visita del museo della casa di Hemingway  a  Key West.
Lasciati di stucco i propri figli , che scoprono l'accaduto quando i genitori sono già in viaggio . Ella e John ripercorrono i luoghi , le immagini , le atmosfere, i ricordi del loro passato, scoprendo ancora dentro di sé la capacità di meravigliarsi della bellezza , il piacere di ascoltare la musica che scorre insieme alla strada , gli incontri casuali con gli altri, il piacere di stare insieme, del loro amore.
 Scopriranno e metteranno   a posto episodi e parti del loro passato .Subiranno i problemi della loro condizione ma non si pentiranno mai delle loro scelte, neanche di quella del loro ..................ultimo viaggio.
Al margine della storia  dei nostri protagonisti,  Virzì ci mostra un' America attorno che è cambiata rispetto a  quella vissuta in gioventù da questi eterni giovani vecchi.
Sono parti di una  generazione e di un sogno americano  che, in qualche caso, ci stanno già  lasciando. 


LOVELESS




Senza amore è il titolo, il contenuto ed il messaggio del film.
Senza amore, la vita e le relazioni fra le persone si esauriscono. Anche i più importanti rapporti affettivi  non riescono più a soddisfarci, diventando al contrario insopportabili.
Non rimane che la separazione, più o meno consenziente, o la fuga, come quella irreversibile di Alyosha.
Eppure, continueremo a rimproverare l’altro per la nostra infelicità e riproporremo infinitamente di nuovo la stessa modalità di rapporto fondata sul nostro desiderio di appagamento e di soddisfazione, curandoci scarsamente di quella dell’altro.
Siamo sicuramente più attenti ad ottenere un like sui socials che frequentiamo, piuttosto che un vero e intimo sorriso da parte di una persona reale.
E’ questo il quadro della relazione fra le persone e della stessa moderna società russa che ci mostra Zvyagintsev in questo duro e crudo film che ci lascia senza alcun finale consolatorio.
Loveless è un film diretto da  Andrej Zvjagincev , scritto dallo stesso in collaborazione con Oleg Negin e  interpretato da Maryana Spivak, Aleksey Rozin, Matvey Novikov, Marina Vasilyeva, Andris Keiss.  Produzione Russia, 2017. Il film è stato selezionato per rappresentare la Russia agli Oscar 2108 nella categoria per il miglior film in lingua straniera ed ha ricevuto il premio della giuria al Festival di Cannes- 2017.



LA RUOTA DELLE MERAVIGLIE






Il nuovo film di Woody Allen, La Ruota delle Meraviglie (Wonder Wheel),2017, ambientato nei primi anni cinquanta  a Coney Island ,con la spiaggia . il brulicare della gente e la spettacolare Ruota panoramica costruita negli anni venti sullo sfondo ( quasi a simboleggiare  il lento  svolgersi dell’esistenza) si addentra nella  vita dei quattro personaggi centrali della storia, raccontandocene  le  frustrazioni , i desideri, le debolezze,  le speranze. Stupenda la fotografia di Storaro , la ricostruzione dell’atmosfera dell’epoca e la scelta dei brani musicali che ci accompagnano per tutta la durata del film.
La coppia  dei protagonisti  Ginny (Kate Winslet) e Humpty (Jim Belushi) sposatisi in seconde nozze, vivono li nei pressi della boardwalk, in una modesta baracca, svolgendo degli umili lavori.
 Lei ,ex attrice , aveva avuto un’avventura con un suo collega di scena e Il marito, che amava, dopo averli sorpresi, amareggiato e deluso era sparito per sempre, lasciandola a struggersi per il rimorso  insieme al suo figlioletto.
Lui, dopo la morte della moglie , era rimasto deluso dalla figlia che, nonostante  il suo diniego, aveva sposato un gangster e si era dato all’alcool.
 Distrutti ed amareggiati, avevano provato a sorreggersi a vicenda e ricostruirsi una vita. Adesso, erano lì a provarci, trovandosi comunque a combattere il malessere del figlioletto di Ginny  che si esprimeva in una tendenza alla piromania ed alla fuga. Forse l’unico modo immaginato in cuor suo per sfuggire a un destino come quello di sua  madre.
 Cosi’ come in qualche modo avevano conosciuto l’amore ,adesso, in quello strano connubio di sopravvivenza che era la loro unione, questo  non sembrava essere più presente, lasciando nei loro cuori una costante ombra di malinconia e di rimpianto.
Ma la ruota della vita non si ferma mai  ed ecco che Ginny  si trova ad incontrare, durante una passeggiata in riva al mare,  il giovane bagnino Mickey (Justin Timberlake), con aspirazioni da commediografo, con cui intreccia una relazione clandestina . Humpty, nel mentre, ritrova la speranza nel futuro  con il ritorno della figlia Carolina (Juno Temple) che gli chiede asilo dopo essere scappata dal marito gangster che la cerca per ucciderla.
La ruota della vita continua a girare ed il motore che ne assicura il movimento non si ferma mai ,intrecciando  inesorabilmente fra di loro le vite di tutti i protagonisti.
 E’ anche una ruota delle meraviglie perché è questo che forse, inconsciamente, ognuno continua testardamente a cercare : di essere stupito dalla bellezza dell’esistenza e di ricercare la felicità, sottovalutandone i costi e le possibili conseguenze.
La desolante esperienza quotidiana comune è tuttavia, per molti, quella della gestione del fallimento  attraverso una  triste accettazione della rinuncia. Ricetta  altrettanto deludente contro di cui spesso l’unica soluzione possibile sembra la fuga o la distruzione di tutto ; magari, attraverso il fuoco purificatore del  figlioletto di Ginny.
La nostra naturale ricerca della felicità, però,  non ci lascia mai e ci ricorda continuamente quello che abbiamo perduto o che non abbiamo ancora trovato.
L’impulso irrinunciabile ed irresistibile che guida la nostra vita  non è comunque necessariamente  portatore di equilibrio ; anzi, spesso, al contrario, è possibile che ci porti a scontrarci con tutto ciò che lo ostacola, anche quando è legittimo .
Le categorie morali non riescono a guidarci nelle nostre scelte perché il senso d’innocenza di cui siamo  pieni ,quando crediamo di perseguire solo il nostro diritto naturale ad essere felici, ci fa pensare che tutto il resto non conti.

Tutto il resto, invece,  sarà importane per il futuro e la realizzazione della nostra felicità e della nostra vita. Se spinti dai nostri impulsi, considerati sempre innocenti ed irrinunciabili, oltrepasseremo i limiti del rispetto dell’altro, inevitabilmente saremo coinvolti nel baratro della conseguenza negativa delle nostre azioni. La stessa realizzazione di ciò che desideriamo  andrà rapidamente in fumo lasciandoci da soli a piangere sui nostri errori . Cercheremo a quel punto , nel migliore dei casi, una strada per  sopravvivere cercando disperatamente una qualsiasi forma di serenità  anche a costo di  compromessi e dell’accantonamento dei nostri sogni ; ma,  l’impulso inarrestabile della ricerca della felicità continuerà a covare  all’interno dei nostri cuori ed irrisolto  sarà pronto a sfociare in un nuovo incendio. 


SMETTO QUANDO VOGLIO AD HONOREM




Salvateci, non dal gas nervino, ma dall'ipocrisia e dal malcostume dei potenti.
Salvateci da quest'Italia decadente ed ignorante anche nelle sue critiche più esacerbate nei confronti di un sistema iniquo e ingiusto.
Le migliori intelligenze di questo Paese , disperse e disprezzate , fuggitive  in cerca di salvezza, sono la nostra possibile speranza di cambiamento.
Quando in questo film Sydney Sibilia ci mostra la loro sensibilità nei confronti di altri giovani che, come loro, sono innamorati della ricerca e della conoscenza,  mentre inevitabilmente li aspetta un destino di trascuratezza ed ignavia da parte proprio di chi dovrebbe  valorizzarli ed utilizzarli per il nostro bene comune, forse, c'è ancora da sperare nel futuro del nostro Paese.
Il terzo film del ciclo " Smetto quando voglio" è forse quello in cui Sibilia ha voluto lasciare un messaggio di speranza e d'inquietudine. Non se l'è sentita di partecipare al gioco al massacro che caratterizza la nostra epoca e ci priva di ogni ragionevole speranza.
Si, è vero, ci ha mostrato come delle giovani eccellenze siano capaci di eccellere anche nel male, se ne sono costretti; ma, nel suo ultimo film, che conclude in maniera impeccabile il ciclo, ci spiega che non è questo il destino di chi ha la fortuna e il dono della cultura e dell'intelligenza .
No, è il servizio per il bene comune la loro passione. E’ la conoscenza e l'indagine che essi bramano.  E’ l'integrità che essi sognano per il loro ed il nostro futuro.
Vi consiglio la visione di questo film, di cui si parla troppo poco e che invece colpisce nel segno con una disamina drammatica di uno dei mali italiani : Il profondo spreco delle risorse  e della persona a  favore di uno stupido potere, privo esso stesso di speranza, di ambizione e di significato.
Fortunatamente, in ogni settore, c'è gente di buona volontà che si adopera perché si vada avanti e la banda dei nostri ricercatori troverà un aiuto insperato anche da parte di una giovane poliziotta, al di fuori di ogni ragionevole canone.

Un film importante, diretto e scritto da Sydney Sibilia ed interpretato magistralmente da una coralità di giovani attori che continuano a portare avanti la qualità del cinema italiano.

THE SQUARE

“The Square” è il nome dell’opera di un'artista argentina acquistata da Christian, curatore di un museo d'arte moderna e contemporanea di Stoccolma.
Essa è, in realtà, il perimetro di un quadrato piazzato a terra con una targa in cui è scritto: "Il Quadrato è un santuario di fiducia e altruismo. Al suo interno tutti dividiamo gli stessi diritti e doveri."
In qualche modo, potrebbe e dovrebbe simulare le nostre società in cui le regole costituzionali rappresentano il patto iniziale, " il contratto sociale " che ne permette la nascita ed in cui ogni cittadino dovrebbe avere gli stessi diritti e gli stessi doveri. La realtà della vita, che circonda il protagonista e che tutti noi giornalmente osserviamo, è tuttavia molto diversa.
 Ognuno di noi si muove, anche in buona fede, tentando di vivere nel modo più corretto e solidale possibile; ma, in realtà, il suo personale “quadrato" non corrisponde all'intero consesso sociale, ma ad una sfera estremamente limitata di persone. Essa può comprendere i familiari, gli amici più cari, colleghi di lavoro e pochi altri. Come ognuno di noi, Christian vede, come "esterni" alla società e al suo quadrato, i marginali che, insistentemente, chiedono l'elemosina e la sua continua solidarietà, i passanti sconosciuti, le persone che occasionalmente incontra per i più svariati motivi e che servono a realizzare i propri obiettivi e bisogni, senza lasciarsene coinvolgere troppo. È indicativo a tal proposito l’atteggiamento narcisista e scostante nei confronti della bionda giornalista con cui aveva avuto un rapporto sessuale
Non tutti possono entrare nel quadrato e questo aspetto è evidenziato in modo sconvolgente anche dal filmato che la società di marketing sceglie di realizzare per pubblicizzare l'iniziativa del museo con la presentazione dell’opera " the square”. In esso, una piccola bionda mendicante si avvicina lentamente al quadrato e, prima di riuscire ad oltrepassarne il perimetro, esplode scomparendo in una nuvola di fumo.
La scena è molto forte e susciterà indignazione, risultando virale sul web. Christian dovrà scusarsi pubblicamente e dimettersi dal suo ruolo per non averla neanche valutata e vista prima della sua diffusione, mostrando ancora una volta come spesso le conseguenze colpevoli dei nostri atteggiamenti possono essere determinate anche dall'indifferenza o, peggio, dall'incuria con cui li poniamo in essere.
 Spesso, i nostri comportamenti diventano cattivi solo perché provocati da un torto subito o dalla nostra indifferenza e disattenzione. Possono andare oltre le nostre intenzioni e risultare lesivi dell'altro. Il film ci farà vedere come Christian, per recuperare il proprio portafoglio e lo smartphone rubatogli, metterà delle lettere minatorie in tutte le buche della posta degli inquilini di un palazzo di una zona popolare all'interno del quale ha individuato la possibile abitazione del ladro. Riavrà le sue cose ma la sua azione, incurante degli effetti su tutti gli altri, procurerà delle conseguenze pesanti specialmente nei confronti di chi, innocente, si è sentito offeso e discriminato dalle sue accuse.
 Quando siamo provocati, possiamo reagire personalmente anche in maniera eccessiva e violenta mettendo in moto un meccanismo che supera le nostre intenzioni e propaga nel sociale ulteriori difficoltà. Il regista non tralascia ancora di simboleggiare tutto questo anche nel rapporto fra lo  spettatore e le opere dell'arte contemporanea: Ciò appare ad esempio nelle scene  in cui ci mostra il dialogo tra il curatore e la giornalista con i rumori cacofonici di un'opera d'arte audiovisiva sullo sfondo; la cena con il performer che eccede nella sua trasgressione provocando un eccesso d'ira delle persone che lo picchieranno selvaggiamente in gruppo; la conferenza stampa disturbata dallo spettatore con la sindrome di Tourette, che risulta oggettivamente fastidioso nonostante gli inviti ad essere comprensivi a perdonarne le intemperanze .
La società nel suo complesso, la visione del “quadrato" all'interno di cui dovremmo collaborare l'un l'altro è lontana dalla sua realizzazione. D'altra parte, non è che ognuno di noi ,singolarmente, può risolvere tutto, ci spiega Christian durante il suo intervento davanti alla stampa riunita per le comunicazioni successive allo scandalo provocato dal video virale.   Deve essere lo Stato ad agire, per rimuovere le diverse problematiche presenti.
Christian cercherà di rimediare alle sue azioni accettando di sporcarsi personalmente con la realtà più difficile (la scena in cui cerca una lettera in mezzo alla spazzatura è emblematica); ma, la buona volontà personale può non essere sufficiente a rimediare quello che è stato messo in moto, anche involontariamente, dalle nostre azioni.
Il film non offre soluzioni e lascia allo spettatore il compito della riflessione su questi temi.
Ci rimane forse solo la possibilità di un costante impegno personale, sociale e politico come risposta alle nostre difficoltà ed ai problemi delle persone bisognose d'aiuto che osserviamo attorno a noi.
La regia di Ruben Östlund forse poteva essere più incisiva e diretta nella trattazione del tema principale; ma, ha voluto, nello stesso tempo, parlarci del ruolo dell'arte contemporanea, utilizzandone in qualche modo le modalità.
Positiva l'interpretazione di Claes Bang nel ruolo del protagonista e di Elisabeth Moss (la giornalista Anne) e Terry Notary (nella parte del performer Oleg, l’uomo belva). Il film ha vinto quest’anno la Palma d'oro al Festival di Cannes e sancisce definitivamente, sulla scena internazionale, il valore di questo giovane regista svedese che aveva già vinto nel 2014 la sezione Un Certain Regard al Festival di Cannes con il film "Forza maggiore".




THE PLACE


Cosa siamo disposti a fare per perseguire ciò che vogliamo?
Non stiamo parlando solo dei desideri  più futili, ma anche delle necessità più gravi , della protezione degli affetti più cari.
Come ci rapportiamo , in questo caso, con noi stessi e con la morale ?
L'ipotesi che guida il film di Genovese è che vi sia una profonda differenza fra quello che percepiamo originariamente possibile fare e ciò che realmente siamo in grado o vogliamo fare, quando siamo messi nel concreto di fronte alle nostre responsabilità morali .
Quando siamo messi di fronte, cioè, alle precise persone  che, in carne ed ossa, subiranno le conseguenze fisiche e morali delle nostre azioni. Quando rimbalzeranno su  noi stesi le conseguenze delle nostre scelte.
Il fine , forse, non giustifica i mezzi, come parte di una certa tradizione culturale umana continua a ripeterci.
La potenza dell'impulso vitale e del desiderio, che riteniamo comunemente più forte di ogni imperativo morale , nella vita reale si deve misurare e rapportare con le conseguenze delle nostre azioni nei confronti degli altri e  del nostro divenire .
Come cambierà il nostro stesso essere a causa della natura delle nostre scelte?  
Saremo soddisfatti del nostro cambiamento o ci detesteremo?
Quale sarà il nostro rapporto con le persone con cui s'intreccerà la nostra vita?
Come le guarderemo negli occhi mentre cerchiamo di utilizzarle per raggiungere i nostri obiettivi;ma, soprattutto, vogliamo utilizzarle o desideriamo  avere la possibilità d'incontrarle ?
Ecco che nello svolgimento concreto della nostra esistenza la potenza del desiderio,  la mela d' Adamo ed Eva, s'incontra con l'albero del bene e del male , con la coscienza, con la morale;  una morale  non astratta e filosofica, ma che ti guarda con gli occhi delle persone  e del tuo stesso animo ,che cambia proprio in base alla tue scelte.
Queste sono le riflessioni che impetuosamente  sono state provocate dalla visione del film " The Place " di  Paolo Genovese. Il luogo dove le persone, disposte a qualsiasi cosa pur di conseguire quello di cui hanno bisogno, incontrano il bravo Mastandrea che è ,forse, la materializzazione   esternalizzata di noi stesi  e che distribuisce le prove da superare, aggiungendo un semplice " si può fare".
Genovese  si è in parte ispirato per il soggetto del film alla serie televisiva "The Booth at the End"andata in onda in Nord America nel 2010 e creata da Christopher Kubasik. In questa si segue il destino di alcune persone  che fanno dei patti con un uomo senza nome , che sembra avere il potere di far avverare  un loro desiderio, in cambio di un compito che egli stesso gli assegna dopo aver consultato la sua agenda . La frase che può sintetizzare  l'argomento centrale della serie  è "fin dove saresti disposto a spingerti per ottenere quello che vuoi?"
Mi era molto piaciuto " Perfetti sconosciuti", ma non avrei mai immaginato che nel suo nuovo film  Genovese si sarebbe misurato con un  un tema così complesso ed anche ambizioso.  Di questo film  mi è piaciuto soprattutto la sua provocazione. Il suo chiederci di guardare con maggiore  attenzione alla condizione  della complessità umana.
Il chiederci di confrontarci,  non in astratto ma in concreto,  non  solo con i nostri desideri ma anche con le difficoltà e le persone reali che abbiamo intorno e che sono quelle che, alla fine,  misureranno insieme a noi il successo della nostra vita e delle nostre scelte.
Bravissimi e credibili tutti gli attori, da Alessandro Borghi a Sabrina Ferilli e Giulia Lazzarini, da Marco Giallini, a Vinicio Marchioni, Valerio Mastandrea, Silvio Muccino e Rocco Papaleo, dalla bella Vittoria Puccini ad Alba Rohrwacher, che ci portano con mano leggera all'interno  delle loro storie. Ancora una volta, così come è successo  in " Perfetti sconosciuti", la forza della storia sta tutta nell'intreccio  del racconto delle emozioni delle persone ; mentre, il luogo fisico delle inquadrature rimane sempre lo stesso: "The Place".

LA RAGAZZA NELLA NEBBIA

Non è abituale vedere sugli schermi cinematografici una pellicola italiana di genere thriller. Una vera e propria storia d'investigazione su di un delitto, con gli inevitabili colpi di scena.
E' stato quindi con piacere ed una certa sorpresa che ho visto  l'opera prima di Donato Carrisi , trasposizione cinematografica di uno dei suoi più noti romanzi: " La ragazza nella nebbia".
 Carrisi è un buon autore  e i  suoi romanzi hanno un notevole successo di pubblico e di critica. Il suo libro " Il suggeritore"  è stato  premio bancarella nel 2009 .
L’esordio come regista è sicuramente positivo. Pur beneficiando del fatto di essere già autore del soggetto, ha saputo trasporlo con un'adeguata sceneggiatura che, forse, solo nel finale doveva forse  essere più didascalica e chiara.
L'ambientazione nella piccola comunità montana di Avechot è perfettamente funzionale alle atmosfere e all'ambientazione sociale della storia. Il cast è sicuramente importante , da Tony Servillo ad Alessio Boni a Jean Reno. Mi è piaciuta molto anche l'interpretazione di Lucrezia Guidone.
In un paese montano, avvolto dalla nebbia, la sedicenne Anna Lou dai lunghi capelli rossi , sparirà  improvvisamente  dopo essere uscita di casa per andare, come sempre,  nei locali della Confraternita a cui appartengono gli stessi  suoi genitori.
 Quale sarà stata la sua fine?
Cosa sarà successo in quei trecento metri da casa in cui è sicuramente avvenuta la scomparsa della ragazza?
 E' l'ennesima vittima di un serial killer o lo strumento scelto dall'assassino per conseguire il suo " scopo"?
Il male si annida anche in un piccolo centro di montagna e, alla fine, è il reale protagonista della storia. Quello che la rende interessante agli occhi dello spettatore e del vasto pubblico. Quello che richiama l'afflusso dei  giornalisti e dei mass media,  che ne spettacolarizzano  le  mosse.
"il peggior peccato del diavolo è la vanità" ci racconta, tuttavia, uno dei protagonisti del film: un professore d'italiano nel corso di una sua lezione in classe. Sarà questo che permetterà di sciogliere i nodi della matassa.
Come in ogni buona storia d'investigazione, da quelle firmate da Agata Christie o altri ancora, lo spettatore sarà condotto per mano, attraverso diversi indizi, verso il sospetto nei confronti di un personaggio. Contemporaneamente, tuttavia, gli saranno dati altri elementi da valutare per confermare quanto sospetta o per cambiare del tutto le sue convinzioni. Non mancheranno i colpi di scena, anche se non saranno mai gratuiti e fuorvianti. Un film interessante che tiene avvinto lo spettatore per tutta la sua durata.
Il  male  comunque, alla fine , sarà punito anche se forse per ottenere questo risultato se ne alimenterà ancora dell’altro.


DETROIT




Il film ci parla degli scontri di Detroit del 1967, scatenati dall'intervento della polizia in un locale privo di licenza per la vendita di alcolici, durante una festa privata.
Alla fine di quei giorni di rivolta si contavano 43 morti, 1.189 feriti, oltre 7.200 arresti e più di 2.000 edifici distrutti; forse, troppo per il reato da cui tutto era iniziato!
Erano anni in cui la battaglia per i diritti civili  degli afroamericani  era nel pieno del suo svolgimento  e con esso anche l’insofferenza delle parti. In quell’occasione , il Governatore dello Stato del Michigan  inviò la Guardia Nazionale  per sedare la rivolta e il Presidente Lyndon Johnson lo appoggiò, facendogli dare un aiuto dall’esercito.
Il  clima pesante e un leader come Martin Luther King sarebbe stato ucciso l’anno seguente, nel 1968.
Il film centra la sua attenzione, in particolare, sull’irruzione della polizia all’interno di un Motel , convinta che nello stesso si nascondesse un cecchino  che aveva aperto il fuoco contro i militari  da una finestra. In realtà si era trattato di una pistola giocattolo; ma, tutto costituisce  l’occasione da un lato  per   la descrizione dei metodi sbrigativi e violenti dei poliziotti,  che arrivano  a forme di tortura ed a veri e propri omicidi, e dall’altro per parlare di quei fatti che rappresentano una ferita profonda, ancora aperta  nella coscienza civile americana.
Del resto, non ci si può più illudere che si stia parlando di fenomeni del passato,  quando,  di nuovo, qualche tempo fa diversi quartieri di afroamericani sono insorti per la morte di un giovane in seguito ad uno scontro con degli agenti. Il malessere è ancora presente, pur se qualche passo avanti è stato fatto e  gli USA hanno avuto anche un Presidente di colore.  Oggi il panorama americano è contraddittorio e preoccupante  e gli USA non trasmettono  un’immagine di spirito democratico, impegnato contro ogni forma di razzismo.
 Ben vengano dunque film come questo e registi come  Kathryn Bigelow pronti a coinvolgerci  nella  riflessione  sulla “ questione afroamericana”.
Una piccola nota,  ai margini  del tema centrale del  film , è data  dal fatto che ci viene mostrato come spesso la polizia locale sia stata quella che ha assunto  gli atteggiamenti più aggressivi  e persecutori. Questo  ci è stato raccontato in tanti altri film,  che hanno trattato lo stesso  tema. Anche nel nostro Paese,  a volte, le amministrazioni  locali ,  più che rappresentare un esempio di democrazia,  assumono e avvalorano   atteggiamenti reazionari di contrasto ai cambiamenti  che, magari ,il Governo Centrale  è in grado invece di perseguire.




VITTORIA E ABDUL




Vittoria e Abdul (Victoria & Abdul) è un film del 2017 diretto da Stephen Frears e francamente mi aspettavo di più dal regista di Philomena (2013), anche se già con Florence (Florence Foster Jenkins) (2016) l'aspetto ironico e grottesco sembrava interessarlo sempre di più . 

Il film è basato sull'omonimo libro di Shrabani Basu e  racconta la storia vera dell'amicizia tra la Regina Vittoria, a cui presta il volto una sempre  grande  Judi Dench, e il suo segretario indiano Abdul Karim interpretato da Ali Fazal.

Sembra che solo nel 2010  i diari di Abdul Karim  siano stati scoperti  con la possibilità di ricostruire quindi  questa storia.

Oltre alla bellezza consueta della fotografia , dei costumi e dell'ambientazione, mi aspettavo che Frears  sfruttasse meglio l'occasione di questa storia. Poteva essere il racconto dell'incontro interessante , quasi sfidante , fra due culture vissuto attraverso dei personaggi  di eccezione. 

La storia, invece, lascia solo accarezzare questa realtà, per perdersi in aspetti forse secondari e per poi sviluppare molto di più il tema del razzismo e della rivolta  della Corte inglese nei confronti di questa " Strana coppia". Lo stesso aspetto dell'affetto e della fedeltà di Abdul nei confronti della Regina Vittoria sembra a volte caricato e poco reale.
 La lenta decadenza fisica, ma non mentale nè affettiva,  e la morte della regina  sono forse uno degli aspetti invece magistrali della rappresentazione.

In realtà, le notizie storiche  di questo incontro ci riferiscono che il Munshi( il maestro)  Abdul ebbe un relativo successo a Corte,   non solo nei confronti della Regina, per l'esotismo e la curiosità suscitata dal suo modo di vestire,  dai cibi e le altre usanze indiane.

Quella che risulta vera   è l'avversione provata dal principe Edoardo evidenziata  nel film; ma, che  nella realtà sembra sia stata molto più forte. 
Addirittura,  insieme ad altri nobili, egli  mosse ad Abdul  l'accusa di essere una spia della Lega Patriottica Musulmana e d'influenzare la regina a parteggiare per i Musulmani. La regina respinse queste accuse tacciando la corte di razzismo ( fonte wikipedia).

Il film pur lasciandosi vedere,  grazie soprattutto alla bravura della Dench ( mentre il personaggio di Abdul è troppo stigmatizzato in un'unica espressione di affetto e fedeltà ),mi sembra alla fine un'occasione mancata. 
La rappresentazione dell'incontro fra due culture così diverse ed importanti  come quella dell'Impero Britannico e quella musulmana/indiana meritavano forse un maggiore approfondimento.

AMMORE E MALAVITA




Quando Carlo Buccirosso inizia a cantare nel classico vibrato della canzone napoletana  mentre, chiuso    all'interno della bara,  si chiede  chi diavolo sia il defunto  di cui si sta celebrando il funerale, inevitabilmente lo spettatore comincia a sorridere per poi liberare l'animo in una risata che l'accompagnerà durante tutta  la proiezione del film. 
I Manetti Bros ci regalano dopo "Song e Napule " un'altro film ambientato nella capitale partenopea, aggiungendo a un  copione  del tipo "azione -poliziesco"  una solida  base d'ironia  e  romanticismo.
Il tutto  all'interno di una struttura di "musical-sceneggiata", che guarda con amore ed interesse alla realtà napoletana.
C'è chi ha visto anche l'influenza del  Musical americano; ma, più che al recente La La Land , il richiamo esplicito è nei confronti di Flashdance e della sua splendida canzone "What a feeling " che, modificata con un  testo in napoletano,  ci regala uno dei momenti da "applauso" del film.
Cantata da una superba Serena Rossi  e con la scena ravvivata dal  balletto, ci racconta  del riconoscimento del primo amore di Fatima in occasione dell'incontro con  Giampaolo Morelli ( Ciro) altro ottimo protagonista del  film. 
Piacevole e misurato l'inserimento dei brani musicali e  dei balletti all'interno della sceneggiatura. La Napoli presentata è quella  resa famosa nello stereotipo di serials come Gomorra ; ma, i Manetti Bros ci suggeriscono, tramite le vicende dei loro personaggi, una supremazia comunque dell'amore e della voglia di vivere sulle catene  del vissuto e dei ruoli  anche criminali imposti dalla dura realtà quotidiana.
C'è uno sguardo innamorato su Napoli , la cui bellezza viene alla fine celebrata nel brano       " Nun è Napule". Bravissimi tutti gli interpreti, dai citati Serena Rossi e Giampaolo Morelli  a Carlo Buccirosso,  Claudia Gerini e Raiz.
Presentato al Festival del Cinema di Venezia, il film ha avuto un ottimo riscontro sia nella critica che fra il pubblico. Adesso , proiettato nelle sale italiane  ,  impone all'interesse del largo pubblico il lavoro di questo duo registico che , accompagnato  da un gruppo di fedeli collaboratori, abbiamo imparato ad apprezzare già  nella serie televisiva de '"L'ispettore Coliandro" e nel gia citato film " Song e Napule".


Aspettiamo con curiosità il prossimo lavoro dei Manetti Bros. Dove sarà ambientato? Continueranno ad esplorare la realtà di Napoli  e criminal/poliziesca o imboccheranno nuove strade? Lo vedremo! 


TRENO DI NOTTE PER LISBONA





Il caso è quello che, quasi sempre,  occupa la nostra esistenza; ma, non nel senso del fato o del destino, che l'incontro ci permette di realizzare, quanto come  pura e semplice occasionalità degli eventi che ci riguardano e/o da cui siamo momentaneamente coinvolti .
E' questo uno dei temi centrali del film "Treno di notte per Lisbona (Night Train to Lisbon)" del 2013, diretto da Bille August e  basato sull'omonimo romanzo scritto da Pascal Mercier nel 2004
L'altro tema sviluppato è quello della potenza della passione, non solo fisica o sensuale, ma anche culturale.
 In genere, la voglia di approfondire , di conoscere  la realtà che ci circonda e di coglierne il senso profondo. Questo anche quando, per riuscirci, siamo costretti a fare delle scelte importanti  che possono  compromettere la nostra tranquillità e sicurezza personale.
Il gioco sta tutto qua: nella capacità, pur partendo dalla pura casualità, di cogliere la possibilità di vita  e di crescita personale che ci viene presentata.
La storia intensa e coinvolgente di questo film inizia proprio dall'incontro casuale , nella città di Berna, del prof.  Raimund Gregorius ( un ottimo Jeremy Irons)  con una ragazza che sta per buttarsi giù da un ponte. L'istinto immediato, che spinge il professore a  salvarla,  gli aprirà gli occhi su di un nuovo mondo, legato alla trama di vita di alcuni giovani esponenti della società di Lisbona, coinvolti nella lotta rivoluzionaria contro il regime dittatoriale di Salazar e oggetto della sua repressione. Nel cercare di rintracciare  la ragazza che ha salvato, e che è improvvisamente scappata via, il prof. Gregorius  viene rapito anche dall'interesse per le parole e la stessa vita dell'autore di un libro di proprietà della  giovane.  Gli eventi lo porteranno quindi a prendere un treno per Lisbona  e in  quella città ricostruirà la vicenda e la vita narrata nel libro, che scoprirà essere alla base del gesto disperato di quella ragazza.A Lisbona, soprattutto, Gregorius troverà la possibilità di cambiare la sua esistenza ed a viverla  come forse aveva sempre desiderato .
Ci riuscirà ?
Saprà dire di si all'invito a restare  per abbracciare una nuova vita?
Questa è sempre la scelta  di fronte a cui siamo posti.
La chiave  di tutto è forse sempre  quella di seguire la passione, sia quando questa  è sbocciata lentamente ed è stata curata  con assiduità nel corso del tempo, sia quando scoppia improvvisa e coinvolgente come quella fra i  due giovani di Lisbona di cui uno era l' autore del libro   Amadeu de Prado  interpretato da  Jack Huston  e l'altro la giovane  Estefânia ( Mélanie Laurent )
Una stupenda Lisbona appare sullo sfondo di questa storia,  con un'atmosfera  intensa e coinvolgente per un film imperdibile.

Ancora una volta il regista danese Bille August ci ha regalato una storia importante che ci fa riflettere. Ricordiamo  altre sue importanti opere come  la "Pelle alla conquista del mondo", tratto dal romanzo di Martin Andersen  Nexo , premiato con l'Oscar al miglior film straniero e la Palma d'oro  nel 1988  e  " Le migliori intenzioni" ( 1992) tratto da una sceneggiatura autobiografica di Ingmar Bergman con cui rivinse la Palma d'oro. Personalmente  desidero ricordare anche  " La casa degli spiriti" tratta dal romanzo di Isabel Allende ,  "Il senso di Smilla per la neve"  e Il colore della libertà - Goodbye Bafana (Goodbye Bafana) (2007).

L'ORDINE DELLE COSE




L'ordine delle cose risponde a necessità e problemi che superano il singolo caso umano per entrare nell'ambito generale e politico dell'interesse collettivo.
Interessi delle nazioni, rappresentati dalla politica che non sempre trova le soluzioni ideali per i rapporti fra le popolazioni.
Cosa può fare pertanto un funzionario di una struttura istituzionale?
Cercare di fare bene il lavoro/missione che gli è stata affidato/a, per ottenere e conseguire l'obiettivo necessario.
Tutto questo sta nell'ordine delle cose e, forse, è inevitabile.
Forse? Perché forse?
Perché davanti ad ognuno di noi, come tanti anni fa sottolineava il filosofo francese Sartre, c'è il dito puntato dell'altro a chiedere attenzione, amore, giustizia. A chiederci conto delle nostre scelte.
Cosa possiamo fare davanti a questo?
È questo il dilemma morale ed umano che Andrea Segre ci mostra nel suo film e che dilania l'animo, il cuore e la mente del protagonista del film, un ottimo Paolo Pierobon nel ruolo di Corrado, un alto funzionario del Ministero degli Interni con il compito di stipulare in Libia degli accordi con i potentati locali che portino ad una riduzione sostanziale degli sbarchi clandestini d’immigrati sulle coste italiane
Quando conducendo brillantemente la sua missione in Libia, s'imbatte in una giovane donna, rinchiusa in uno dei cosiddetti luoghi di contenimento, che chiede il suo aiuto, Il protagonista entra in una spirale di sentimenti ed avvenimenti che lo coinvolgono personalmente.
Il volto di una singola persona, il suo dolore, la sua richiesta d’aiuto non sono più un problema generico; ma, un incontro umano preciso che mette in discussione tutto.
Di fronte a questo Corrado, il preciso e capace funzionario dello Stato, penserà e cercherà seriamente di aggirare “l’ordine delle cose”, che lui stesso ha contribuito ad edificare e per una volta, una sola volta, penserà che sia giusto infrangere quelle regole, che ritiene, comunque, necessarie.
Andrea Segre non vuole darci soluzioni, non ci dice cosa bisogna fare; ci chiede, invece, di guardare con occhio attento e con disponibilità d’animo ai problemi che si pongono nel rapporto con una gran parte del continente africano.
Un mondo in forte destabilizzazione, molti dei cui componenti guardano con speranza all’Europa.
Il regista non segue il percorso dell’analisi politica; ma, ci racconta di uomini e donne che s’incontrano e vivono sentimenti. idee, dolori, necessità e ci chiede forse d’interrogarci ed informarci meglio su quello che sta succedendo e di valutare, quindi, se siamo soddisfatti dell’”Ordine delle cose”.
Il film è stato presentato alla 74° Mostra d'Arte Cinematografica di Venezia, tra le Proiezioni speciali, suscitando un generale apprezzamento.
Fra gli interpreti troviamo, oltre ad un efficace Paolo Pierobon, anche Giuseppe Battiston che ha già collaborato con Segre nel film teatrale “Come il Peso dell’acqua” del 2014 a firma dello stesso, insieme a Marco Paolini e Stefano Liberti.
Andrea Segre, a partire dal suo primo documentario” Lo sterminio dei popoli zingari”, (1998) ha lavorato sempre a opere sui problemi della marginalità di etnie, popoli e culture, regalandoci dei quadri belli e complessi di queste realtà che lo collocano fra i migliori giovani registi italiani a cui guardare con attenzione ed interesse



FORTUNATA




Sergio Castellitto e Margaret Mazzantini ci hanno regalato una storia  sul diritto alla vita , alla libertà , all'autodeterminazione,  spesso messe in dubbio, nella nostra società, da un'eccessiva sperequazione sociale che  mantiene in uno stato  di marginalità  troppe persone.
 E' "Fortunata"  la protagonista femminile  del film a rappresentare pienamente questa " sfortunata"condizione, giocando abilmente sulle parole.
 Mentre viene sballottata da un capo all'altro della città, per trovare quel minimo di mezzi necessari alla sopravvivenza quotidiana sua e di sua figlia, non sembra godere di alcun diritto e di alcuna possibilità . Al contrario, a valere  sui suoi sogni e sul suo desiderio di emancipazione, ingrassano gli strozzini e le  altre persone con cui entra in contatto.
Quello che nessuno potrà toglierle sono, tuttavia,  il suo amore di madre , la sua antica amicizia e solidarietà con Chicano,  il suo desiderio di vivere.
In questa condizione , lo stesso concetto di giustizia, di "bene" come possono essere applicati  su degli esseri disperati che lottano per la sopravvivenza,  sostanzialmente abbandonati e marginalizzati dalla cosiddetta gente " normale?
Come possiamo limitarci a condannare i loro errori ,senza preoccuparci di salvare le persone che li commettono , dandogli  un'opportunità di cambiamento?
"Fortunata" non è solo un'elegia della lotta per la sopravvivenza, per il diritto alla vita e la speranza di poterla migliorare;  è anche un film di denuncia sociale,  che sottolinea, senza  retorica,  le difficoltà e la durezza di una periferia e di una marginalità  che vivono accanto a noi e, forse, sono anche il frutto di una società in cui le disuguaglianze sono ulteriormente aumentate .
La periferia romana( Tor Pignattara) è una delle protagoniste del film , insieme alle sue trasformazioni  come, prima fra tutte, l'importante presenza d'immigrati.
Quella stessa periferia che ci fa venire alla mente i film di Pasolini ,con la loro stessa forza ed intensità sia di partecipazione alla vita delle persone che di sottintesa denuncia sociale . "Fortunata" è un film che dimostra la maturità tecnica e creativa della coppia Castellitto Mazzantini,  circondata da un cast di attori  di altissimo livello.
Una  grande Jasmine Trinca  ( Fortunata) insieme a Alessandro Borghi ( Chicano) ,  allo psicologo  Stefano Accorsi , al marito  separato Edoardo Pesce,  ad una ottima  Hanna Schygulla nel ruolo della vecchia madre, ex attrice, ormai fuori di testa di Chicano  e non ultima la brava piccola Nicole Centanni nel ruolo della figlia di Fortunata:Barbara. Commoventi le ultime inquadrature sulle note della canzone Vivere di Vasco Rossi .
Un film duro, intenso e bello !
La pellicola è stata presentata in concorso al Festival di Cannes dove Jasmine Trinca ha ricevuto il premio "Un Certain Regard" come miglior attrice. La stessa ha vinto anche il nastro d'argento 2017  insieme ad Alessandro Borghi come miglior attore non protagonista e ad  Alessandro Rolla per il migliore sonoro in presa diretta.




BOGEY

Humphrey  Bogart, "Bogey", è  stato uno dei primi volti del cinema americano che ho imparato ad amare. Mentre nelle sale affollate dei cinema di periferia della fine degli anni anni ‘50, inizi degli anni ‘60,  partecipavamo al rito collettivo delle risate a crepapelle guardando il grandissimo Totò, Nino Taranto o Peppino (senza dimenticare tutti gli altri eroi del cinema italiano), ci esaltavamo con i film western e i grandi Kolossals della storia romana come “ la Tunica” o “Ben Hur” o seguivamo con interesse la commedia americana che ci mostrava la ricchezza e la modernità del Paese che aveva vinto la Guerra e le prime tensioni giovanili di “Gioventù Bruciata”, l’arrivo della televisione ci permise di scoprire il grande cinema americano degli anni precedenti ed a cavallo della guerra.
La televisione ci faceva vedere ,  comodamente seduti nella poltrona di casa,  tantissimi films e conoscere, con i suoi cicli dedicati, i maggiori registi ed attori americani.
Vedevamo così il James Stewart  de” La vita è meravigliosa” o Spencer Tracy o  appunto H. Bogart che dapprima ci mostrò il suo  lato peggiore , quello  rude e cattivo del gangster, per poi  incarnare il perfetto detective ne “ Il mistero del falco” e nel “ grande sonno” per poi, più maturo e vissuto, rappresentare tutti noi in storie d’amore dense di sentimento  come “ Casablanca “ e Sabrina”.
Humphrey DeForest Bogart nasce a New York il  25 dicembre 1899 . Giovanissimo, finite le scuole superiori, decide di arruolarsi volontario in marina, appena dopo l'entrata in  guerra degli Stati Uniti nel primo conflitto mondiale. Terminato il servizio militare, un amico d'infanzia, figlio di un produttore teatrale, gli procura dei lavori dietro le quinte dei palcoscenici di Brooklyn e successivamente lavora stabilmente a Broadway  recitando in ben ventuno produzioni sino al 1929 .Dopo una prima esperienza cinematografica deludente ritorna  sulle scene teatrali ed in quel periodo stringe una grande amicizia con Spencer Tracy , che durerà  tutta la vita. Tra il 1932 e il 1935 partecipa ad altre sette produzioni teatrali, l'ultima delle quali è “La foresta pietrificata” di Robert E. Sherwood. Gli viene assegnata la parte di Duke Mantee, pericoloso killer evaso, mentre la parte del protagonista va all'amico Leslie Howard. Quando la Warner Brothers compra i diritti de” La foresta pietrificata” e decide di realizzarne un film , grazie all’amicizia di Leslie Howard riesce ad ottenere  il ruolo di Duke per cui era stato scelto in precedenza  Edward G. Robinson.

Il film esce nel 1936 e Bogart guadagna una serie di entusiastiche recensioni, 

Le pellicole interpretate da Bogart a tutto il 1940 sono ben trentanove. Benché molto spesso calato in personaggi minori, riuscì egualmente  a mostrare  la sua  capacità d’interpretazione di ruoli drammatici.

Oltre al già citato “La foresta pietrificata”, ricordiamo “Strada sbarrata” e soprattutto “ Gli angeli con la faccia sporca”

Ricordiamo ancora “ I ruggenti anni Venti” e “Strada maestra”, quest'ultimo diretto da Raoul Walsh.

Una grande interpretazione che porrà Bogart all’attenzione generale sarà tuttavia  nel 1941“Una pallottola per Roy”, ancora una volta per la regia di Walsh.

Sempre del 1941 è l'altro film che impone Bogart come grande protagonista:” Il mistero del falco”, che vede esordire alla regia  il suo amico John Huston. Il personaggio di Sam Spade è destinato a caratterizzare la figura di Bogart nell'immaginario collettivo con il suo classico  impermeabile chiaro, il  cappello floscio a larghe tese e l’eterna sigaretta all'angolo della bocca molto simile, per noi appassionati della lettura dei romanzi di Salgari, all’ “ ennesima sigaretta” del tenebroso Yanez de Gomera.

Huston lo dirige nuovamente in “Agguato ai tropici” del 1942.

E’ quasi marginalmente che  Bogart incontra, a quel punto, uno dei film più importanti della sua carriera. Il film a basso costo, diretto da Michael Curtiz e basato su una sceneggiatura più volte cambiata in corso d’opera, diventerà un classico della storia del cinema  ed otterrà l'Oscar per il miglior film, migliore regia e migliore sceneggiatura non originale. Stiamo parlando di “Casablanca” e dell’importante storia d’amore vissuta dai due protagonisti, Humphrey Bogart assieme a Ingrid Bergman, in una  splendida Parigi per poi ritrovarsi   a Casablanca, in Marocco, durante gli anni della guerra.

Nel 1944 Bogart recita nel film “ Acque del Sud “tratto dal romanzo “Avere e non avere” di Ernest Hemingway, dove incontra  e s’innamora della giovane e bella esordiente Lauren Bacall.

La coppia si sposa nel 1945 e lavorerà ancora insieme sul set de “Il grande sonno”(The Big Sleep) un film del 1946 diretto da Howard Hawks. Avvincente la trama  tratta da un romanzo di Chandler  e magnifica l’interpretazione di Bogart e della Bacall. 

Nel 1948 John Huston offre all'amico Humphrey un altro capolavoro,” Il tesoro della Sierra Madre.” Un film pieno d’avventura e di forti passioni.

E’ ancora John Huston a offrirgli un altro ruolo da antologia nel film “ La regina d'Africa” in cui duetterà con Katerine Hepburn e per cui finalmente Bogart conquisterà l’Oscar per la migliore interpretazione maschile protagonista.
Dopo La regina d'Africa, Bogart, ormaial vertice della sua carriera, può permettersi di scegliere i copioni a lui graditi. Uno dei film che interpreterà è uno dei miei preferiti e si chiama “Ultima minaccia (Deadline - U.S.A.), del 1952 diretto da Richard Brooks. In esso Bogart interpreta il ruolo di un direttore di un giornale che si oppone alla cessione del quotidiano dopo la morte dell'editore per portare a termine una campagna contro un'organizzazione criminale. In questo ruolo Bogart appare come uno degli esponenti di quell’America Liberal ed impegnata civilmente che tanto ha affascinato lo spettatore europeo

Dopo diversi altri films come “ Essi vivranno”, sulla guerra di Corea, la commedia “Non siamo angeli”, “La mano sinistra di Dio” e “ Il tesoro dell'Africa”, arriva un altro film indimenticabile :” Sabrina” , in cui Bogart  duetta con una stupenda Audrey Hepburn . E’ particolare pensare  come sia  in “ Casablanca”, sia anche in questo film, la citta di Parigi rimanga nello sfondo o nell’orizzonte di questa storia d’amore.

Intensa e forte l’interpretazione di Bogart nel film successivo “ L'ammutinamento del Caine”, che gli fa ottenere la terza candidatura all'Oscar 


Con “Ore disperate” (1955) Bogart torna, dopo molti anni, ad interpretare la figura di un gangster: uno spietato criminale che, evaso dalla prigione assieme ad alcuni suoi complici, tiene in ostaggio una tranquilla famiglia. Film molto intenso ed in cui Bogart viene spesso odiato dallo spettatore per il ruolo svolto.

Il colosso d'argilla (The Harder They Fall) è un film successivo del 1956 diretto da Mark Robson. Girato in bianco e nero, è ambientato nel mondo del pugilato ed è liberamente ispirato alla figura di Primo Carnera. 

Fu mentre girava questo film che Bogart accusò i primi sintomi del male che lo avrebbe ucciso nel gennaio 1957, pochi mesi dopo l'uscita del film nelle sale, avvenuta il 9 maggio 1956. Si trattava di un cancro. Scompariva così uno dei simboli del cinema americano che rimarrà per sempre nel nostro cuore con le sue belle ed intense interpretazioni


SONG TO SONG




Dopo la Palma d’oro al Festival di Cannes di qualche anno fa con “The Tree of life” Terrence Malick, forse uno dei più stimati registi statunitensi, torna a dirigere “Song to Song”, che, come si dicono i due protagonisti, dovrebbe segnare il ritmo della loro vita e della loro storia d’amore.
Da canzone in canzone , da un’ispirazione all’altra, la vita artistica e reale dovrebbero fondersi nella bellezza. 
Così non è!
L’esigenza della propria realizzazione, vissuta come desiderio di successo e come ipotesi di totale libertà da tutti i possibili condizionamenti, si rivela, alla fine, una strada molto pericolosa ed incapace da sola di assicurare un senso compiuto e salvifico alla propria vita .
Siamo a Austin, città di festival musicali e popolata da rock stars, impresari e personaggi che ruotano attorno a questo mondo artistico. Malick si avvale dell’interpretazione di alcuni fra i più importanti attori del momento  come Ryan Gosling, Rooney Mara, Natalie Portman, Michael Fassbender e Cate Blanchett e affiancati da guest star come Patti Smith e Iggy Pop, particolarmente interessanti come testimonianze dell’importanza dei sentimenti  all’interno proprio di quel mondo che può apparire  effimero, vacuo e sempre alla ricerca del piacere.
L’esercizio smodato della propria libertà senza il senso del limite e del rispetto di un progetto comune, senza      l’importanza dell’ ”altro” (che si realizza grazie all’amore per la propria compagna o anche per quello in cui si crede o per la realtà che ci circonda ), può portarci anche alla nostra distruzione o a quella di chi ci sta vicino . Attraverso la storia dei suoi protagonisti, Malick , come in altre sue opere,  ha parlato ancora una volta della vacuità del successo e della fama e dei pericoli del piacere fine a se stesso e della dissolutezza. 
Lo fa procedendo tecnicamente con un susseguirsi di scene che seguono il pensiero e la confidenza dell’anima dei diversi personaggi. Sensazioni e riflessioni che s’intrecciano l’una all’altra, conducendoci verso il dolore, l’amarezza e le scelte di ognuno di loro. Spesso il film dà la sensazione di una estrema lentezza, di un senso di vuoto, di una frammentazione dei sentimenti e della narrazione . In parte è un effetto voluto ma a volte ,personalmente, avrei accelerato alcuni tempi.
Un film comunque intenso, interessante, particolare. Bella la fotografia di Emmanuel Lubezki.





MOONLIGHT




Chiron non ha avuto fortuna neanche nella notte forse socialmente più importante della sua vita : quella degli Oscar.
Il protagonista, il regista Barry Jenkins , produttori, attori e tutta l’equipe che ha collaborato alla realizzazione di “ Moonlight” hanno dovuto, infatti, aspettare che si facesse chiarezza sull’errore, che aveva portato ad una iniziale premiazione  di “ La la land” , per poter finalmente salire a loro volta sul palco e ricevere gli applausi e  l’Oscar per il miglior film dell’anno.
Moonlight ha potuto così aggiungere questo premio a quelli già ottenuti con la premiazione  di  Mahershala Ali  per miglior attore non protagonista  e di Barry Jenkins e Tarell Alvin McCraney per la migliore sceneggiatura non originale.
Basato sull'opera teatrale “ In Moonlight Black Boys Look Blue” dello stesso Tarell Alvin McCraney , il film ci parla delle difficoltà e della solitudine  che caratterizzano il percorso di una giovane vita  nei quartieri periferici americani. La narrazione è suddivisa in tre parti in cui il protagonista è ancora bambino , quindi adolescente ed infine giovane adulto.
Il “ piccoletto”, il bambino nero che osserviamo muoversi solo e spaventato nella prima parte del film non ha una casa,  né una famiglia che possano definirsi tali ed, alla fine, forse neanche un nome con cui essere chiamato (almeno un   riferimento ad una sua dignità identitaria). L’unica figura presente ,o per meglio dire assente, è quella femminile di una madre che si occupa di lui solo per manifestargli la terribile ambiguità dei propri sentimenti, divisi fra il fastidio e l’intralcio della presenza del figlio  nella sua vita e la coscienza di provare per lui un affetto materno insopprimibile.
La realtà vissuta dal  “ piccoletto “ sarà tuttavia quella di una madre da odiare.
Assente,  perché perennemente presa fra l’assunzione di droga e l’esercizio della prostituzione, e terribilmente presente quando lo scaccia di casa perché impegnata a  svolgere la “ professione”  o quando lo rimprovera per aver fatto tardi o non essere ancora andato a scuola.
 Per il resto, il “ piccoletto “ vive nella più completa solitudine,  in balia  della strada , dei suoi pericoli e delle sue difficoltà. La sua sostanziale diversità attirerà poi  i “bulli” , i cani da guardia del gregge che si sentono in dovere di punire e perseguitare  tutti coloro che con il loro atteggiamento e comportamento attirano la loro attenzione , rappresentando già questo un elemento di colpa.
 Sfuggendo ad una di queste persecuzioni “il piccoletto” incontrerà l’unica figura maschile adulta di riferimento della sua vita: Juan, lo spacciatore di origine cubana, che si prenderà cura di lui, insieme alla sua donna “Teresa”, anche se occasionalmente.
Sarà Juan ad insegnargli a rilassarsi nell’acqua ed imparare a nuotare e a  tentare di essere comunque se stesso. Sarà Juan a raccontargli che sotto i raggi della luna i piccoli bambini neri diventano “blu”: belli e magici, come gli aveva spiegato tanti anni prima una vecchia signora.
Il rapporto con l’acqua , con il mare sotto i raggi della luna saranno una delle aree di rifugio per il giovane “ Chiron”. Solo in quella situazione potrà sentirsi anche lui “ blu” e finalmente, senza paura né agitazione, potrà stare sdraiato nel silenzio , di fronte al  mare  ad ascoltare  i battiti del suo cuore.
Tutto intorno, tuttavia, la situazione è sempre più pesante. Morto Juan, l’unica figura di riferimento positivo rimane la sua donna Teresa, che tuttavia, per Chiron, non ha la stessa rilevanza di quella dello scomparso. La figura di Juan non doveva scontrarsi con quella di un padre mai conosciuto; mentre, Teresa si misura con quella reale di una madre sempre più pesante.  Le persecuzioni continuano e l’unico momento di vera serenità rimane quello  davanti al mare, sotto i raggi della luna.
Sarà proprio in quella situazione che dividerà   quel momento d’intimità e di verità  con l’unico amico presente nella sua adolescenza in un miscuglio di sensazioni  che avranno pure un risvolto sessuale. Un’amicizia contraddittoria e inaffidabile che dietro la pressione persecutoria del bullismo porterà proprio l’amico Kevin a massacrarlo di pugni lì per la strada, davanti ai suoi nemici. Ma la misura è colma, ed il giovane Chiron,  seguendo in cuor suo la figura di riferimento maschile adulta di Juan,  prima prenderà a sediate il capo dei “ Bulli”, lasciandolo a terra  e poi, dopo un periodo di galera , giovane e possente adulto   diventerà uno spacciatore di droga   rispettato e temuto dai suoi gregari.
Il simbolo del successo  sarà come per Juan la macchina  di lusso con cui si sposta per il quartiere ,  e poi  la pesante collana dorata  al collo  ed altro ancora.
E’ solo a questo punto che potrà forse fare i conti con il proprio passato.
Sarà disposto, quindi, a rivedere la madre, accettandone il tardivo pentimento e la manifestazione d’amore. Accetterà anche di rivedere l’amico inaffidabile e controverso della sua adolescenza, che ha rappresentato, comunque, l’unica sua esperienza affettiva.
I due  giovani adulti , reduci ognuno dalle proprie esperienze, si rincontreranno  riuscendo ad aprire ancora il loro cuore e forse tentando un futuro di amici , di amanti o chissà cosa?
Non  importa,  se ,comunque, riusciranno ad aiutarsi reciprocamente  ad essere se stessi e riscoprirsi “ blu” sotto i raggi della luna.






LA LA LAND





Damien Chazelle, dopo averci regalato Whiplash (2014),   ritorna con la sua terza regia cinematografica a parlarci di noi, dei nostri sogni e dell’amore con il film La La land.
Per questo film   ha già ottenuto diversi Golden Globe e ben 14 nomination ai premi Oscar 2017, tra i quali quello per miglior film, migliore regia e migliore sceneggiatura originale; mentre. al suo compagno di studi di Harvard, Justin Hurwitz, si devono quelli per le due canzoni originali “City of stars” e “Audition”, oltre alla migliore colonna sonora.
Chazelle ci parla dei nostri sogni, oltre che della difficoltà della loro realizzazione, all’interno delle stagioni di un’importante storia d’amore fra i due protagonisti; due stupendi attori come Ryan Gosling e Emma Stone, che possiamo ammirare nella loro completezza d’interpreti anche nel ballo e nel canto.
L’avvio del film, in Cinemascope, ci apre la visione alla bellezza e grandezza dell’immagine e del suono. Splendida la scena del balletto iniziale. La stagione della “primavera”ci presenta i due protagonisti e ci racconta di come i nostri sogni, le nostre passioni si siano formate lentamente attraverso l’amore per le cose e le persone del nostro passato. Sono quelle che fanno parte della nostra formazione personale e culturale ispirando le passioni ed i sogni che desideriamo realizzare per dare senso alla nostra vita.
In questa prima parte della narrazione,  i nostri protagonisti ci raccontano quelle che sono le loro passioni. Per Sebastian è il jazz classico. Quello dove, attraverso la creatività e lo scontro fra melodie e strumenti, si realizzava l’incontro fra persone diverse. Il suo sogno è di riuscire a ricreare quelle atmosfere in un proprio locale dove poter suonare quella musica con il suo strumento, il pianoforte, privo di condizionamenti.
Per Mia è la magia del teatro, del cinema, della narrazione e recitazione quella che fin da piccola è stata instillata nella sua mente e nel suo cuore dalla presenza vitale della zia.
Per Chazelle è forse il mondo del cinema e del musical quello che lo affascina e che gli fa utilizzare volutamente, in tutta la fase della primavera e dell’estate, delle scene che richiamano alla mente quelle dei films di Fred Astaire o dei musicals di quegli  anni .
L’amore di Mia e Sebastian diventa la forza per ottenere il coraggio di credere fino in fondo nella possibilità di riuscire a raggiungere i propri sogni e di vivere le proprie passioni. Tutto questo anche se, nella fase della loro realizzazione, questo potrà comportare la necessità di adeguarsi gradualmente ad una realtà concreta e diversa da quella che si pensava e anche se il loro amore e la possibilità di continuarlo a vivere sarà messa a dura prova dalla lontananza e dagli impegni di lavoro.
Potrebbe essere visto come la descrizione di quello che ognuno di noi ha vissuto con il passaggio all’età adulta e l’accettazione del principio di realtà che, senza impedirci di provare a realizzare i nostri sogni e le nostre passioni, ci costringe ,tuttavia, a cercare di portarle avanti tenendo conto delle difficoltà reali e concrete che incontriamo.
In questa prima fase è stupenda la presentazione della canzone “City of stars”.
In particolare, mi colpisce il momento in cui il protagonista la canta al tramonto su di un pontile che per un momento mi fa pensare a quello di “Ostia lido” e mi vede magicamente camminare, al suo posto, ascoltando le note magiche della chitarra di un anziano suonatore di strada.



Altrettanto bello ed affascinante  appare il ballo fra le stelle dei due protagonisti in visita al Planetarium, in cui spiccano il volo sulle ali del loro amore e della loro fantasia, come può capitare a qualunque coppia in amore.
È in “Autunno” che si pongono le basi della realizzazione futura dei sogni e contemporaneamente della difficoltà di continuare a vivere il loro amore, proprio quando si dichiarano l’un l’altra che si ameranno “per sempre”.
È in “Autunno” che il film raggiunge toni di commozione quando, durante l’audizione per il ruolo di protagonista in un film sperimentale, Mia racconta della zia e , insieme al regista, invita a brindare a chiunque nella vita provi a seguire i propri sogni.
A tutti gli artisti di qualunque disciplina che, con le loro opere, ci permettono di ascoltare le nostre emozioni e nello stesso tempo di riviverle.
 A tutti noi che amiamo e sogniamo ed a tutti i disastri inevitabili che combiniamo vivendo.
Nell’ultima stagione “Inverno” assisteremo poi alla dicotomia fra l’amore dei due protagonisti, che ormai vivono una vita separata e diversa, e la realizzazione completa dei propri sogni.
Ognuno ha realizzato ciò che desiderava; ma, come spesso accade anche ad ognuno di noi, non sempre il sentiero della realizzazione dei propri sogni e la soddisfazione della propria vita si sposa con la felicità.
La serenità, a volte, prende il suo posto; ma l’immagine della felicità, dell’amore che poteva essere vissuto fino in fondo e che doveva essere vissuto ritorna improvviso per via dell’incontro casuale dei protagonisti all’interno del locale jazz che Sebastian ha finalmente realizzato e sulle note della loro musica.
Il sorriso rassicurante di Sebastian a Mia, alla fine dell’esecuzione del brano al pianoforte, le farà capire che il lor sentimento è e sarà comunque importante ed incancellabile; ma, che è giusto che ognuno continui ormai per la sua strada.
L’applauso spontaneo in sala alla fine del film, in un mercoledì pomeriggio frequentato da anziani spettatori, mi fa pensare che “La la land” ci ha parlato in qualche modo di noi stessi, delle nostre emozioni e dei nostri sogni e che probabilmente vincerà l’Oscar 2017 per miglior film



L'ORA LEGALE




Un amarissimo che fa benissimo ! 
Potrebbe essere questo,  parafrasando un antico slogan pubblicitario,  il primo immediato commento  al divertente ma graffiante film di Ficarra e Picone "L'ora legale" .
I due attori si confermano bravissimi  nella loro interpretazione e capaci di seguire il filo del loro discorso proponendolo con un "sequel" di battute e situazioni veramente divertenti, al limite del grottesco. 
Il tema affrontato è molto attuale  e ci riguarda tutti . E' fondato sul grande malcontento del cittadino di fronte all'insipienza, alla corruzione ed al disastro dei servizi  dell'Amministrazione  Pubblica e della classe politica che la dirige.
Passo dopo passo, ci mostra come questa realtà sia profondamente radicata in una cultura  sociale pressocché inesistente  ed incapace, alla fine, di esprimere un senso di rispetto della collettività , della cosa pubblica e di produrre quindi una classe dirigente adeguata.
Il messaggio che Ficarra e Picone ci raccontano nel corso del film  è che quando l'operazione " cambiamento" o la nuova Direzione Istituzionale ( in questo caso il nuovo sindaco) non sono il risultato di un profondo mutamento culturale della popolazione, subito dopo il primo momento di esaltazione , quando si  è toccati personalmente, nelle proprie   abitudini egoistiche   o nei privilegi, riesplode il malcontento e la protesta. 
 E' anche vero che il cambiamento non può essere improvviso e richiede il lento modificarsi dei costumi ed un necessario equilibrio, per evitare delle eccessive conseguenze sociali ed il possibile peso insopportabile delle  misure deliberate; tuttavia, non è possibile che il sostegno e l'approvazione di una politica finalmente onesta non possa durare    più dell'arco di tempo dell'ora legale, per tornare , subito dopo, al naturale andamento vissuto durante  il periodo  dell' ora solare.
Fra una risata e l'altra , lo spettatore viene portato quindi a riflettere  su come egli stesso reagirebbe al cambiamento;  mentre una dopo l'altra, ineffabilmente, gli scorrono davanti le misure deliberate dal nuovo sindaco "onesto" che ha a cuore il benessere reale del paese: dalla raccolta rifiuti differenziata con l'impegno relativo  da parte del cittadino , alla chiusura cautelativa di una fabbrica, con la perdita di lavoro conseguente, a causa della reiterata mancanza di misure  volte alla riduzione degli scarichi inquinanti ecc ecc.  
Geniale poi  la presentazione del "picciotto", espressione di un potere quasi mafioso,  che interviene nel piccolo paesino della Sicilia con le sembianze e la parlata di un romano verace frequentante gli ambienti ministeriali . Un ribaltamento della raffigurazione dei poteri occulti, anche se  vengono presentati accanto ad  un vecchio che non parla ma osserva tutto e che ci ricorda l'immagine del  capo mafia di paese. 
Quella che è estremamente chiara, è la lucidità di questi poteri  quando dicono : " Se l'onesta prende piede, anche solo in un piccolo paese della Sicilia,  si può diffondere rapidamente in tutto il territorio italiano e sarebbe un disastro!"
Risate a volontà in questo film di Ficarra e Picone, che ancora una volta si confermano protagonisti del panorama cinematografico italiano e della commedia di costume;  ma, come alla fine di ogni buon pranzo o di un'abbuffata,  ci sta sempre un buon "amaro" che rimane in bocca, uscendo dalla sala. 

CAFE' SOCIETY ( 2016)



C’inoltriamo senza pensarci troppo, coinvolti dalla calda fotografia e dalle musiche avvolgenti,
all’interno dell’America degli anni trenta, guidati dalla voce del narratore.
Le atmosfere calde e vivaci di Hollywood e di New York sono abilmente differenziate dal colore della fotografia, curata dall’italiano Vittorio Storaro che ha scelto dei toni più chiari e netti per descrivere New York (a parte una splendida inquadratura di un tramonto aranciato) e quella quasi dorata, d’altri tempi, di Hollywood.
 E poi, c’è l’America che tutti abbiamo immaginato, immersa in quei colori e con un sottofondo jazz che ci accompagna per tutta la durata del film.
Se pensiamo per un attimo che quell’America, che ci appare così vitale, sotto la guida di Roosevelt stava appena uscendo dalla “Grande Depressione” e la paragoniamo per un attimo alle contemporanee atmosfere europee, c’è da restare attoniti.
Ci avvince nel film quel farci sentire partecipi, quasi dentro le scene, in mezzo ai passanti o agli avventori del café, delle vicende dei nostri protagonisti.
Del delicato sentimento che li avvolge e che forse non li lascerà mai, anche quando la vita prenderà strade diverse e li accompagnerà verso altre persone o li farà diventare genitori.
Quel sentimento delicato ed avvolgente che nasce con la timidezza incredibilmente e contraddittoriamente quasi sfrontata di Bobby (Jesse Eisenberg) e con la grazia dolce ed adorante di Vonnie (una stupenda Kristen Stewart) che accompagnerà i loro pensieri ed i loro sogni forse per tutta la vita.
Non credo che Allen potesse scegliere un modo migliore per chiudere il film se non con una semplice e delicata scena, quasi noncurante del sentimento che si leggeva negli occhi di Bobby.a cui faceva eco a distanza quello degli occhi di Vonnie.
Quasi a sottolineare la trascuratezza e la disattenzione della vita reale verso i sentimenti profondi che spesso albergano e travagliano la nostra mente ed i nostri cuori.
Nessuna crudeltà in tutto questo, ma solo la triste indifferente vita quotidiana.
Una vita che, citando una frase del film, tipica della malinconica arguzia di Woody Allen, appare spesso come una “commedia scritta da un sadico che fa il commediografo”
Si potrebbe ancora parlare ed indagare sulle motivazioni che l’hanno spinto a realizzare questo film e perché in queste modalità, ma credo che quanto già detto ci lasci intuire già tutto.
Allen ci sta vicino con la sua voce fuori campo e ci racconta e descrive i due protagonisti mentre li seguiamo muoversi indaffarati all’interno della realtà familiare e lavorativa d’ogni giorno, senza che la macchina da presa sposi più di tanto il loro punto di vista, se non nei rari momenti d’intimità necessari..
E’ l’America con i suoi grattacieli e le strade affollate, il jazz, i gangsters, il mondo del cinema ed i locali alla moda; sono Bobby, Vonnie e gli altri, sono i ricordi della famiglia ebrea, sono i sentimenti che albergano silenziosi nei nostri cuori e tutti noi spettatori insieme al regista i veri protagonisti del film 

FUOCOAMMARE



E la nonna racconta che tanti anni fa, durante l’ultima guerra, le luci rosse dei bengala, lanciati nella notte, tingevano di rosso il colore del mare, come se ci fosse il fuoco.
Di nuovo, oggi, il mare si tinge di rosso, come allora, di notte,  a ricordarci che forse, in modo diverso, stiamo assistendo ad un’altra guerra!
Fuocoammare non è solo poi il titolo del film, ma anche di una musica, ispirata da quelle immagini e ricordi di guerra, che viene trasmessa dalla radio locale con l’opportuna dedica ai vari mariti e pescatori impegnati nella pesca, di notte, a mare.
Le immagini del film di Gianfranco Rosi, premiato con l’Orso d’oro al festival di Berlino, entrano nelle case e nella vita quotidiana della gente di Lampedusa. La nonna si aggira nella sua cucina mentre prepara i calamari freschi, appena pescati, immersi in un sugo che, al solo vederlo, ti fa venire l’acquolina in bocca.
Quel sugo che condisce gli spaghetti risucchiati avidamente dalla bocca di Samuele, durante il pasto a tavola con il padre e la nonna, mentre si chiacchiera del mare e delle difficoltà dell’iniziazione del ragazzo alla vita del pescatore o del marinaio.
“Devi andare sul molo galleggiante sull’acqua e starci il tempo che occorre per imparare a non soffrire più il mal di mare” …. Lo farai? – Certo risponde Samuele.
E lo farà, fra gli spari del suo fucile a pompa immaginario ed un’escursione in campagna, a caccia  con la fionda.
L’anello di congiunzione fra il ragazzo ed i migranti che arrivano sull’isola è rappresentato dal medico condotto che, con la stessa amorevole cura, si occupa di ognuno di quei poveretti e, allo stesso modo, del ragazzo che gli parla dei suoi disturbi di respirazione.
E’ la narrazione del medico che ci porta con mano a guardare in viso la sofferenza dei migranti, prima in mare sui barconi, poi salvati e registrati all’arrivo e poi all’interno del centro d’accoglienza.
Avrei preferito che il film finisse con l’incontro del ragazzo Samuele con un bambino dei migranti.
 Mi sarebbe piaciuto che avessero potuto parlare fra di loro, anche comprendendosi con difficoltà, restando impauriti o magari imparando a giocare insieme.
Mi è mancato questo momento d’incontro che, forse, è la vera “mancanza”che viviamo tutti, all’interno di questo immenso dramma. Siamo disposti anche ad aiutarli nei centri d’accoglienza; ma, quanti di noi sarebbero disposti a cambiare le proprie abitudini di vita, le condizioni di lavoro, la propria cultura, per stabilire un vero dialogo con loro?
Samuele, nella notte, munito di una torcia, si avventura invece nella campagna, e scopre sui rami di un albero un piccolo uccellino con cui dialoga cinguettando come può.
Il film finisce e mi lascia un vuoto, mentre scorrono i titoli di coda tra la musica di “fuocoammare”.

Se possiamo provare a cinguettare e dialogare con un uccellino, forse possiamo provare a confrontarci e vivere insieme anche con un migrante.


FRANTZ
























“Siamo noi i veri responsabili delle morti dei nostri figli” afferma il sig. Hoffmeister (Ernst Stotzner) l’anziano medico del paese, padre di Frantz, di fronte ai suoi amici e conoscenti che gli avevano rifiutato un giro di birra perché responsabile di avere ricevuto in casa un giovane francese.
 “ Siamo noi che li abbiamo mandati al fronte e che poi abbiamo brindato con boccali di birra, festeggiando la morte di migliaia di giovani francesi; mentre, a loro volta, i padri francesi festeggiavano la morte di migliaia di giovani tedeschi, bevendo bicchieri di vino”.
 Questo sentimento di distacco dalla guerra, dal nazionalismo che la genera, viene poi di nuovo rappresentato quando, nel secondo tempo, sarà la giovane tedesca Anna, in viaggio in Francia, a sentire l’ostilità contro i tedeschi, ancora presente a guerra finita, in un canto della “ Marsigliese” in cui l’orgoglio nazionale coinvolge, uno dopo l’altro, tutti gli avventori di un bar- café dove lei si trova.
 La scena ricorda quella celebre di “ Casablanca”; ma, a differenza di quella, non suscita nello spettatore la solidarietà per l’orgoglio di un popolo ferito dalla dominazione tedesca.
 Al contrario, quasi disturba quell’esibizione di nazionalismo che aveva coinvolto migliaia di vite in un percorso di guerra senza ritorno.
In questo, la fredda descrizione in bianco e nero di una Germania e di una Francia del 1919, uscite piene di dolore personale dal primo conflitto mondiale, non ci risulta datato e/o privo d’interesse; anzi, ci fa riflettere sulle conseguenze, sempre in agguato, di un nazionalismo contro di cui, sembra a volte invano, si mobilitarono, ad esempio, i fondatori del progetto Europeo nel secondo dopoguerra e che, comunque, affligge anche i nostri giorni.
Francois Ozon, affermato regista francese nato a Parigi nel 1967, non ha partecipato, né ha visto con i propri occhi le manifestazioni pacifiste che scossero in quegli anni l’America e l’Europa, portando vanti l’idea di un modo più nuovo basato sulla fratellanza; ma vede oggi molti parallelismi con il mondo che racconta nel suo film.
 Il risorgere del nazionalismo, la richiesta del ripristino e della difesa delle frontiere con i discussi “ muri”, che anche in Francia si fa sempre più attuale, dà la sensazione che il passato possa ritornare.
Ma non è questo il solo tema di cui parla il film “Frantz”, presentato alla 73° mostra di Venezia dove ha riscosso un buon successo di pubblico e di critica.
Ozon,  in questo film,  ripropone la trasposizione di un testo teatrale di Maurice Rostand del 1930, ”L'homme que j'ai tué”, già portato sullo schermo da Ernst Lubitsch. All’interno del clima sociale descritto, egli scava, invece, nel particolare  del sentimento personale. Affronta, pertanto, il senso di colpa di chi ha ucciso perché inevitabilmente in guerra si è trovato davanti alla  scelta impossibile tra la vita e la morte, quello più indefinito di chi non sa o non vuole riprendere  il senso della propria vita  per paura  ed il rimorso di abbandonare  la fedeltà a chi è morto. Sarà il perdono e forse quello strano miscuglio irrazionale fra verità e menzogna a fornire gli strumenti e la strada per superare il senso di colpa e ritornare alla vita.
Sarà comunque il perdono l’unica strada possibile per giustificare e superare anche la menzogna e riconsegnare al colore dell’inquadratura, alla nuova vita, Anna, la giovane donna fidanzata del povero Frantz, mentre paradossalmente ammira, all’interno delle sale del Louvre insieme con un giovane sconosciuto, un dipinto di Manet intitolato “ Le suicidé”.
Quel quadro le fa desiderare” la voglia di vivere”, così come aveva compreso dopo il suo tentato suicidio.
Sarà ancora il perdono a farle capire che non può esservi soluzione alla perdita  di un amore con una sua finta sostituzione riparatrice.
 Il viaggio di Anna in Francia sarà, sotto quest’aspetto, chiarificatore.
 La vita tornerà a colori solo perdonando  il male  e ritornando a guardare avanti con nuova fiducia e disponibilità. Ozon ha scelto di raccontare il dolore di quel periodo storico  in bianco e nero così come  è anche forse la nostra memoria. Il colore è stato scelto,  invece,  per indicare la vita presente sia nei flashback, sia in  particolari inquadrature ambientali, sia nella scena finale.
Bella l’interpretazione dei due protagonisti: Adrien e Anna.

Adrien è Pierre Niney, talento in ascesa del cinema francese, vincitore due anni fa del premio César come miglior attore nel ruolo di  Yves Saint-Laurent. Anna  è interpretata dalla giovanissima attrice tedesca  Paula Beer  che ha saputo dare forza e sensibilità, con grande senso della misura, a quest’importante personaggio.  

AL DI LA DELLE MONTAGNE





Il nuovo film di Jia Zhang-Ke ci parla di una donna contesa fra due amici innamorati e della sua vita; ma, in qualche modo, mi sembra, ci parli, per parafrasi, della stessa Cina.
La storia si svolge in un arco di tempo di ca. 25 anni, iniziando alla vigilia del nuovo secolo in corso e trovando la sua conclusione in un futuro in divenire nel 2025.
Il regista ci accompagna in quest’arco di tempo, facendoci immaginare, anche, l’utilizzo di una diversa tecnologia di ripresa.
 Dalla telecamera portatile delle prime scene fino alla possibile alta definizione delle ultime. La stessa dimensione dello schermo va progressivamente ampliandosi.
Tao, la protagonista, è una ragazza di Fenyang in una regione “Al di là delle montagne”. La prima scena la ritrae mentre balla, insieme con altri giovani, in attesa del nuovo anno. La stessa musica la raggiungerà di nuovo, insieme ad una ritrovata speranza di vita, in una giornata nevosa di venticinque anni dopo mentre, ballando in aperta campagna con accanto il suo cane, avrà il presentimento del prossimo ritorno del figlio.
Un figlio allontanatole dal marito, affascinato dal capitalismo e lui stesso imprenditore, da cui si è separata e che ha gestito la formazione del bambino, ormai divenuto giovane uomo.
Zhang, il marito, è stato un padre che ha gestito la crescita di suo figlio separandolo completamente   dalle sue radici, trasferendosi insieme a lui in Australia e facendogli frequentare una scuola d’elite che gli ha insegnato a pensare ed esprimersi in inglese creando paradossalmente una difficoltà di rapporto con lui stesso, che non ha mai imparato quella lingua.
Tao, 25 anni prima, era stata contesa da due amici innamorati.
Uno era Zhang proprietario di una stazione di servizio che desiderava diventare un ricco capitalista e le proponeva tutti i vantaggi e i miti del lusso, della ricchezza e del progresso.
L’altro Lianzi, umile minatore, semplice e legato ai valori della tradizione.
La stessa Cina si è trovata nel dilemma fra i valori tradizionali ed un progresso legato ai valori capitalisti ed a modelli di comportamento delle società occidentali.
Tao sceglie il futuro promesso da Zhang perdendo il rapporto con il fido Lianzi che disperato preferisce lasciare la casa e la città.
Ma la realtà non è quella che s’immaginava e Tao quindici anni dopo è sola e separata dal marito e dal figlio che ha avuto nel matrimonio. Zhang vive a Pechino con un’altra donna. Ricco e potente ha ottenuto l’affidamento del figlio che ha chiamato Dollar come la moneta americana. 
L’occasione per rivedere il figlio è costituita dalla morte del nonno, il padre di Tao. Il bambino sembra quasi un estraneo e stenta nel rapporto con la madre che resterà comunque un ricordo fondamentale nella sua crescita.Tao in quell’occasione, consegnerà al figlio piccolo una copia delle chiavi della sua casa, spiegandogli che sarà sempre disponibile per lui.
Crescendo, quel ragazzo, quando si ritroverà adulto ed incapace anche di un semplice dialogo con il padre, guardando quelle chiavi, capirà che il suo futuro non sarà possibile senza un ritorno alle sue radici ed al rapporto con la madre.
Qualcosa di simile è probabile che il regista immagini per il suo Paese: la Cina.
Il suo futuro, pur pieno di progresso e di contenuti appresi dalle società occidentali, non potrà ragionevolmente dispiegarsi in un progetto di vita pieno e soddisfacente senza un riferimento preciso alle origini ed alle radici della propria cultura.




Un padre, una figlia





Ho aspettato a lungo prima di cercare di comprendere le emozioni ed i pensieri che mi erano rimasti dentro, dopo la visione di questo film.
La sensazione più forte, su cui mi sono poi soffermato, è che forse il regista abbia cercato di sottolineare come possano esistere mille buoni motivi per giustificare, all'interno della nostra mente e del nostro cuore, la decisione o meglio la disponibilità di corrompere e/o di farci corrompere per ottenere un risultato che riteniamo giusto.
Tutto questo porta, tuttavia, ad una responsabilità: quella d’alimentare in qualche modo lo scadimento della qualità della vita della società cui apparteniamo.
 Non solo, ma di alimentare il potere di chi vive all'interno di questo sistema di relazioni corrotte.
Come possiamo poi lamentarci dello scadimento della classe politica che ci rappresenta, del livello di corruzione che mortifica la meritocrazia ecc. se, in qualche modo, per un qualunque motivo ne siamo stati partecipi?
Il regista ci mostra le conseguenze di tutto questo all’interno di una società come quella della Romania, uscita da non molto tempo da un regime autoritario, di derivazione socialista, di cui si criticava proprio la corruzione; ma, la situazione non sembra essere molto migliorata se il protagonista deve tentare con tutte le sue forze di riuscire a far studiare la figlia in Inghilterra, sperando che possa trasferirsi lì per sempre, una volta completati gli studi.
Spesso poi (e questa è l'ultima lezione del film) tutto questo può avvenire anche per qualcosa di non richiesto dall'altro, per cui ci si batte.  In questo caso è la figlia, la beneficiaria del privilegio per cui si è scatenato il processo di scambio illegale e di corruzione, che non era interessata più di tanto ad ottenere il risultato tanto agognato dal padre.
Ancora pIù emblematica, ripensandoci, è la frase che il padre rivolge alla figlia dicendole: " Se non ce la farai, vuol dire che tutta la nostra vita non avrà avuto senso".
 Come si possono caricare a tal punto di responsabilità i nostri figli per la realizzazione dei nostri progetti?
No, ognuno ha la responsabilità di perseguire da solo i propri obiettivi, condividendoli se vuole, ma senza pretendere niente da nessuno e men che mai dai propri cari e dai propri figli, che dovranno essere liberi anche di contraddirli.
Alla fine, forse, il film, che lo spettatore segue comunque con intensità, è meno banale di quanto possa immediatamente sembrare e costringe a misurarsi con temi che affliggono il nostro vivere sociale sotto qualsiasi latitudine.
Un grazie dunque al regista e sceneggiatore romeno Cristian Mongiu, che con questo film ha ottenuto Il Prix de la mise en scène al Festival di Cannes 2016, assegnato al miglior regista dei film in concorso nella selezione ufficiale.
Mongiu ha già ottenuto, in precedenza, la Palma d’oro nel 2007 al Festival di Cannes con il suo secondo lungometraggio “ 4 mesi, 3 settimane, 2 giorni “, e si è fatto conoscere dal grande pubblico anche con l’altro film “Oltre le colline”.
Convincente la recitazione di Adrian Titieni nella parte di Romeo, il padre, e di Lia Bugnar nel ruolo di Magda, la figlia.

Bravi anche i principali attori di contorno fra cui ricordiamo Maria –Victoria Dragus nel ruolo di Eliza e Rares Andrici nel ruolo di Marius.

VELOCE COME IL VENTO (2016)




Ma come guidi….Come al Luna park?
Prendi le curve tonde ?!?
Le devi tagliare ….Le devi tagliare – grida Loris alla sorella Giulia, diciassettenne pilota di talento ma, ancora grezza, che deve crescere per poter vincere il campionato italiano GT.
Quel campionato bisogna vincerlo, altrimenti, Minotti, il produttore, che ne ha finanziato la partecipazione, si prenderà la casa.
A quel punto, Giulia e il fratellino Nico, rimasti orfani e ancora minorenni dopo la morte del padre, colpito da infarto   ai box durante la gara della figlia, verrebbero divisi e affidati ad altri, perché lui, Loris, è un tossico.
Non è affidabile, non guadagna niente e, senza casa, sono  persi.
Eppure, dovevi vedere, come lo guardavano tutti mentre accompagnava Giulia ai box, prima della gara.
- Guarda chi c’è: “Il ballerino”!
 Si, era stato “Il ballerino”, veloce come il vento. Era stato proprio lui, Loris Di Martino, uno dei piloti italiani più forti della categoria GT; ma, erano passati dieci anni e, dopo la divisione fra i genitori e i litigi con il padre, aveva mandato tutti al diavolo.
Si, era un tossico!  E allora?
Alla morte del padre era tornato per rivedere la sua casa e i suoi fratelli: Giulia e Nico. Nico gli si era affezionato. Capiva che Loris era forte ….. era figo!
Giulia, era Lei quella veramente in gamba!
Ooh! Non era mica facile la ragazza …eeh! Quando s’inc…va, non ce n’era per nessuno!
Ma poi, avevano trovato un accordo. La sua presenza aveva permesso ai fratelli minorenni di restare nella casa, insieme a lui; poi, aveva aiutato Giulia a migliorarsi come pilota e si vedeva che lei era contenta e imparava bene.
Ora, aveva fatto quella caz…..ta e aveva rovinato tutto!
Prima, il litigio con quello stron…. E poi l’incidente di Giulia che si era risvegliata, che la gara era già finita ed il campionato GT perso, proprio mentre era li, lì per vincerlo.
Avevano perso la casa con quello che comportava. Nico portato via e affidato a degli estranei. Nico che ormai voleva stare con lui, col Loris, Giulia che non gli parlava e lui nella   mer……
Minotti ….la faccio io la gara … “ L’Italian race” ,… quella che avevi proposta a Giulia per saldare il debito con te e riavere la casa.
Quella è una corsa per disperati , Loris ! Pensaci bene- gli aveva risposto Minotti –
 E il Loris gli aveva detto che la gara andava bene per lui . Perché... di disperati veri... ne sono rimasti pochi. E lui era uno di quelli .
Stefano Accorsi , Matilda De Angelis ed anche il piccolo Giulio Pugnaghi (Nico) ci raccontano con grande partecipazione e bravura questa storia diretta da Matteo Rovere, liberamente ispirata alla vita del pilota di rally Carlo Capone. 
Stefano Accorsi ,premiato col Nastro d’argento come miglior attore protagonista , non è una sorpresa e si conferma uno degli attori italiani più bravi;ma, personalmente ,mi è molto piaciuta Matilda De Angelis che avevo già apprezzato nello sceneggiato televisivo “ Tutto può succedere” .La stessa è stata premiata col premio Biraghi ed inoltre come migliore attrice rivelazione al Premio Flaiano ed al Festival di Taormina
La conclusione del film vede i tre fratelli che finalmente si abbracciano, formando quella famiglia che non erano mai stati: Ognuno mantenendo la propria vita, diversa da quella degli altri, ma uniti nell’affetto e nella solidarietà. Senza pretendere che nessuno sia diverso da quello che è.Un finale che non risulta banale, né consolatorio, ma che ci aiuta ad avere un punto di vista positivo rispetto ai disagi vissuti soprattuto dai figli delle coppie separate
Un’ ultima parola d’apprezzamento per l’equilibrio della costruzione del film, che ci avvince e ci carica d’adrenalina, coinvolgendoci nella guida dei bolidi sui circuiti del campionato GT, mentre si svolge questa storia.





WHIPLASH






Qual è il nostro più grande pregio che, in certe situazioni,  può trasformarsi in difetto?
Forse, proprio la capacità d’adattamento, che ci ha reso leaders fra gli organismi viventi e ci ha permesso di sopravvivere a mille ostacoli e difficoltà, trovando sempre la soluzione ai nostri problemi.
Quest’osservazione potrebbe sembrare un controsenso, perché la capacità d’adattamento comporta lo sforzo importante di plasmare se stessi alla realtà che ci circonda; ma, allo stesso tempo, dentro questa capacità, c’è la pigrizia estrema del risparmio delle energie e la disponibilità a farsi cambiare da ciò che ci circonda, se non riusciamo a adattarlo alle nostre esigenze.
Un intreccio inestricabile, quindi fra passività ed attività.
Questa coscienza della sostanziale pigrizia umana fa essere. Terence Fletcher, uno spietato ed inesorabile insegnante musicista per evitare che uno qualunque dei suoi allievi possa essere soddisfatto delle proprie prestazioni e non arrivare a più alti livelli artistici.
“Non esistono in qualsiasi lingua del mondo due parole più pericolose di "bel lavoro" dice Terence Fletcher ad Andy.
 Un “ bel lavoro” può essere una definizione mortale,   per un musicista in crescita, e portarlo a non cercare mai di superarsi.
 Ma, qual’è il limite oltre il quale spronare un allievo può trasformarsi in una vera e propria persecuzione ed ottenere il risultato opposto di scoraggiarlo ed allontanarlo da questo percorso?
Il più grande sassofonista di tutti i tempi, John Coltrane, non si scoraggiò di fronte alla violenza con cui fu rimproverato dal suo maestro.
Un John Coltrane non molla mai! Io ho la tranquillità di aver provato con tutti mezzi di non permettere che un artista non si manifestasse nel pieno delle sue possibilità e si accontentasse di restare un mediocre suonatore-risponde Fletcher-
Il film prende il nome dal brano musicale su cui si svolgerà l’apprendistato del batterista, Andrew,fino alla sua esplosione artistica.
Il racconto è tutto concentrato sul rapporto fra insegnante ed allievo e sul ruolo che l’esercizio, la passione, il sacrificio rivestono, in qualunque attività, per poter raggiungere traguardi ambiziosi.
IL giovane allievo, dopo aver abbandonato la scuola di musica e denunciato (in incognito) l’insegnamento   del maestro, ottenendone l’allontanamento, lo rincontra per caso ed è convinto a partecipare ad un importante spettacolo, sotto la sua direzione artistica.
La vendetta del maestro, durante lo spettacolo, porta Andy ad uscire di scena disperato; ma, alla fine, non molla e ritornato sul palco, mentre Fletcher sta per presentare un nuovo pezzo che non conosce, attacca a suonare, dando l’avvio a tutta la band, il brano Caravan, concludendo con uno splendido assolo sotto gli occhi, alla fine, complici del maestro.
 Molto non viene detto, molto viene forse tralasciato, ma senza grandi pretese il film ci porta alla fine senza pause e con il buon ritmo della batteria.
Diretto da Damien Chazelle e interpretato da Miles Teller e da J.K.Simmons, il film ha ottenuto tre oscar: il primo a Simmons come Miglior attore non protagonista, il secondo a Tom Cross per il Miglior Montaggio e l’ultimo a Craig Mann, Ben Wilkins e Thomas Curley per il Miglior sonoro.


WE WERE YOUNG-ON VOULAIT TOUT CASSER



La dolce ala del mare  è quella che porterà  il protagonista oltre Capo Horn, come aveva sognato sempre, fin da bambino ; ma che, tuttavia, questa volta  lo accompagnerà alla fine dei suoi giorni.
Si, perché quello che non  sopporterà di ripetere  sono le immagini della morte del padre, afflitto dal suo  stesso male : la lenta e progressiva perdita della forze in un quadro di solitudine.
No……. meglio inseguire l’ultimo sogno in mare e poi ……………………………












Sogno come quelli che hanno illuminato la sua gioventù e quella dei suoi migliori amici.
Sono questi la sua unica e vera famiglia : quella che non  lo abbandonerà mai  e lo seguirà,  con il pensiero, fino all’ultimo istante. 
Uniti per sempre.
Da questa esperienza ognuno di loro riceverà una sferzata salutare per la propria vita e cercherà di riprenderne il senso , la direzione e la luce.
Diretto da Philippe Guillard ed interpetrato magistralmente da   Kad Merad, Benoit Magimel, Charles Berling, Vincent Moscato , Jean Francois Cayrey ( i cinque amici)   “On voulait tout casser”  è un film  francese del 2015.

Ancora una volta la cinematografia francese ci regala  storie di una  garbata ma profonda riflessione sul nostro vivere quotidiano.


LA PAZZA GIOIA





Meno male che ci sei tu!
Dice una delle due protagoniste all'altra che, sorridendo, si schermisce dicendo:  'chi io? " .
Il tenero abbraccio che le unisce suggella la nascita di una bella amicizia.
Si, l'amicizia fra due o più persone , l'unica cosa bella che, come l'amore, ti può accompagnare nella vita per superare le difficoltà.
La cura dell'una per l'altra che, per la prima volta, regala ad ognuna di queste due giovani donne l'esperienza dell'attenzione di qualcuno nei loro confronti . 
Loro, la cui unica esperienza fino a quel momento è stata l'abbandono , l'utilizzo per interesse dei loro sentimenti, la privazione di ciò che c'è di più caro, la sofferenza sorda ed infinita dentro il cuore. Tutte cose che poi infieriscono ancora su di te, facendoti stare male,  deprimendoti ed, alla fine , facendoti diventare così debole ed incapace di controllare il tuo dolore, da renderti  socialmente inaffidabile . 
Si, la società le sta curando, fortunatamente, all'interno di strutture che non sono più solo gli OPG; ma, quanta difficoltà e quanta mancanza di mezzi mantengono  una sproporzione fra ciò che bisognerebbe fare e ciò che si fa!
Paolo Virzì ci regala con " La pazza gioia" uno dei suoi più bei film; anche se, per me, il più amato rimane "La prima cosa bella". 

Che dire delle due interpreti ? Magnifiche!
Micaela Ramazzotti è una delle attrici italiane che amo di più; ma, da oggi, assieme a lei aggiungo Valeria Bruni Tedeschi, che  avevamo già apprezzato nel " Capitale umano" dello stesso regista.
"La pazza gioia" è il titolo del film, ma è anche la frase di felicità e liberazione che esclamano le due protagoniste quando, dopo aver sottratto l'auto ad un squallido corteggiatore, capiscono di potersi muovere verso la gestione della propria vita, l'una insieme all'altra, verso la pazza gioia . 

Gioia per l'attesa di felicità, pazza perché solo vivendo la propria pazzia, conclamata dagli altri ma vissuta a modo proprio, c'è una speranza di libertà.
La società in cui viviamo, che è l'ambiente in cui è cresciuta e si è sviluppata la sofferenza delle due donne, non è certo molto equilibrata.

Di sicuro, potremo dire che le due donne non sono riuscite a crescere, assumendo dentro di se il principio di realtà. Potremo dire che la loro reazione alla sofferenza  è incontrollata , pericolosa per se e per gli altri. Potremo dire mille altre cose; ma, di certo, non  ci possiamo esimere dall'osservare lo squallore, l'interesse,la prepotenza,l'indifferenza che è presente in molti comportamenti normali e prevale all'interno di molte relazioni.
Un film importante, quindi , ben diretto, pensato e realizzato, con due attrici bravissime che rimangono nella nostra mente e nel nostro cuore.



Non essere cattivo


Ho visto “ non essere cattivo” ,per puro caso, in streaming sul mio computer. Ne avevo sentito parlare distrattamente e avevo sentito dire che la storia, ambientata ad Ostia, parlava di aspetti della marginalità e della delinquenza di borgata. Qualcosa di attuale sulla linea di “Accattone” di Pasolini.
Curioso, ho voluto vederlo e, fin dalle prime scene, ho riconosciuto con piacere la sabbia ,qualche bar del lungo mare , aspetti di quel tratto di città fra Ostia e l’Idroscalo particolarmente suggestivi per me, immigrato a Roma, proveniente da una città di mare.
Subito dopo, la forza della storia si è impadronita con forza della mia attenzione, lasciandomi senza fiato , con un amaro in bocca fino alla fine e con la sensazione di aver visto un buon film.
La storia di due giovani di borgata, cresciuti come fratelli e divisi solo da scelte di vita diverse ma mai dimentichi dell’affetto fraterno, ti porta per mano lungo tutto il racconto fino alla dura, semplice, in fondo giusta, morte violenta di uno dei due protagonisti e la fine dubbiosa e piena d’incertezze nell’animo dell’altro “ fratello” che, ad un anno di distanza, incontra la compagna delle’amico morto e ne conosce il figlio di cui non sapeva l’esistenza.
La parola fine arriva improvvisa e violenta fra il pianto e l’ampio sorriso rivolto al piccolo bimbo in fasce da parte di Vittorio sopravvissuto a Cesare.
Sono gli “ultimi” che gridano, parlano, si sfogano , amano, ridono , piangono, si drogano , lavorano, sognano, uccidono e chiedono forse di non essere cattivi i protagonisti del film. Ma è possibile?
Possono gli “ ultimi” , privati di una vita dignitosa e posti ai margini della nostra società avere il coraggio e la forza di non essere cattivi ? Innanzitutto per salvare se stessi e le persone che amano, prima ancora che per diventare dei buoni cittadini?
C’è una qualsiasi speranza per loro? C’è una qualsiasi speranza per noi, se non sapremo dare una risposta plausibile , convincente , praticabile a questa domanda?
Siamo certi che la distribuzione ineguale delle ricchezze , il cui livello è ulteriormente aumentato nei nostri giorni, sia compatibile con una società che abbia i minimi connotati delle pari opportunità e dignità per ogni suo componente?
Il regista del film Claudio Caligari non c’è più.
”Non essere cattivo” è uscito postumo dopo la sua morte a completare la trilogia dedicata alla rappresentazione della marginalità , della devianza e della sofferenza della vita degli “ultimi” descritta in “ amore tossico” e “ L’odore della notte” .
Ha avuto l’opportunità di portare a termine pochi film nell’arco della sua vita ma non certo per mancanza d’ispirazione. Racconta Valerio Mastandrea , suo amico che un giorno Caligari gli disse:
“ 'Muoio come uno stronzo. E ho fatto solo due film'. Se n'è uscito così, ad un semaforo rosso di viale dell'Oceano Atlantico circa un anno fa. Stavamo andando insieme a parlare con un amico oncologo in ospedale. La risposta ce l'avevo pronta ma l'ho lasciato godere di questa sua epica attitudine alle frasi epiche che accompagneranno per sempre tutti quelli che lo hanno conosciuto. Ho aspettato il verde in un altrettanto epico silenzio . Ripartendo ho detto 'c'è gente che ne ha fatti trenta ed è molto più stronza di te'. Il suono leggero della sua risata soffocata mi ha suggerito il suo darmi ragione, confermato dall'annuire ripetuto della sua testa grande.”
Personalmente lo ringrazio per essere riuscito a regalarci “ Non essere cattivo”.


I BAMBINI SANNO





L’altra sera, in una Roma infuocata dall’afa, nell’arena dell’isola Tiberina, Walter Veltroni ha raccontato, con affettuosa partecipazione, l’incontro con i bambini del suo ultimo film.
“I bambini sanno” è un dialogo, volutamente paritario- ci spiega  Veltroni- con ca. 30 bambini, fra i nove e i 12 anni, sui più importanti temi della nostra vita: Amore, Felicità, Dio, La crisi sociale e tanti altri ancora.
Paritario, perché -dice Walter- non ho mai voluto pormi in una posizione più elevata di giudizio nei loro confronti, come spesso, invece, è la loro comune esperienza nell’incontro con il mondo adulto. In quel caso, tendono naturalmente a tacere o rispondere con le parole che pensano siano più gradite a chi li esamina.
Si, l’incontro diventa quasi un esame. Questo, nel corso della lavorazione del film, non è mai successo; anzi, il materiale raccolto è stato ben superiore a quello che poi è stato il risultato che voi vedrete nel film, ridotto dopo un’ampia e dolorosa fase di montaggio.
Non è stato facile scegliere fra le diverse testimonianze; ma, il criterio che ho utilizzato è stato, almeno, quello di non escludere nessun bambino –aggiunge Walter, dopo la proiezione del film e rispondendo alle domande dell’intervistatore-.
Anche la scelta dei 39 bambini, fra i ca. 300 che si sono presentati ai provini, non è stata facile. Mi sono lasciato guidare dall’istinto e dalla luce che intravedevo nei loro occhi.
Veltroni racconta ancora, con profonda partecipazione, l’arricchimento personale ricevuto, ascoltando le considerazioni, i pensieri e le emozioni dei bambini intervistati. Ricorda la saggezza e la maturità di Kevin, un bambino filippino la cui mamma lavora in Italia come badante, che, alla domanda su cosa sia la felicità, risponde senza esitazione: sognare!
Ricorda  la simpatia di un altro bambino di nove anni che, come un moderno latin lover, si destreggiava nel rapporto con tre fidanzatine.
Ricorda ancora, sottolineandone la gravità,  la risposta di Julius, un bambino zingaro di nove anni, che, interrogato su cosa chiederebbe  di concreto a Dio, risponde  che vorrebbe che aggiustasse il mondo e che portasse un panino e una bottiglia d’acqua alla sua sorellina, che non ha niente per sé.
Non senza commozione, Walter sottolinea ancora la delicatezza e la maturità di una  giovane ragazza di dodici anni, appassionata scrittrice, che, dopo la morte del padre,  per attutire il dolore della mancanza  gli mandava degli SMS con il telefono nella speranza che potesse riceverli e raccontarle come stava.
Il film procede così,  senza falsa retorica, avanti nel dialogo fra il regista intervistatore e i bambini, accompagnato da una delicata ed intensa musica  in cui prevalgono le note del pianoforte. Forse diventa un po’ monocorde e ripetitivo nella parte centrale; ma , alla fine , si riprende.
L’ultimo saluto, la scena finale del film, ci descrive l’emozione del piccolo zingaro che,  intervistato lì, in quello spiazzo del suo campo, alla domanda su che cosa gli piacerebbe vedere,  risponde: il mare. Non sono mai stato al mare! Non l’ho mai visto!
La macchina da presa, a questo punto, lo mostra mentre si avvia, all’interno di una pineta, in direzione in uno sfondo azzurro fra gli alberi, un misto fra cielo e mare.
Poi, il mare finalmente!
Il bambino  cammina fra gli spruzzi e le onde, felice, schizzando l’acqua e bagnandosi;   mentre, per la prima volta, sta in mezzo al mare.


QUARTET





Dustin Hoffman ci ha regalato, dopo le tante prove magistrali come attore, un gradevole primo film da regista con “ Quartet”, opera dove affronta con mano sicura e delicata il tema della vecchiaia.
E’ questo un tema difficile e preoccupante, specialmente per quella generazione dei baby boomers, che guarda con preoccupazione il suo avvicinarsi e osserva il modo in cui l’affrontano i fratelli maggiori.
“Quartet”  si fa apprezzare subito per la scelta dell’ambientazione, la campagna inglese che circonda la casa di riposo per musicisti e cantanti: Beecham House, e per la fotografia, sempre su toni morbidi.
La casa di riposo è la risposta collettiva di questi artisti alla loro uscita di scena dal mondo dello spettacolo organizzato, alla loro solitudine personale, alla vecchiaia.
Non a caso le frasi più belle del film sono quelle in cui i membri del “quartetto “riflettono sugli aspetti della solidarietà: “ In questa casa, ci prendiamo cura l’uno dell’altro”, o quando, per convincere la più recalcitrante a partecipare allo spettacolo organizzato in occasione dell’anniversario di Verdi, uno dei componenti del quartetto le spiega che finalmente potrà esibirsi senza tener conto della critica ma solo per il piacere del canto.
Stare insieme, rielaborando le proprie esperienze ed i propri ricordi, e affrontando insieme la gestione di una vecchiaia che può essere ancora uno degli aspetti della “vita”.
Come dirà la dottoressa dello staff medico della casa di riposo al momento della presentazione dello spettacolo: “ sono commossa e ringrazio tutti gli ospiti della casa per quello che ci danno. Per la voglia di vivere che ci trasmettono”
La preparazione dello spettacolo è l’occasione per regalare ancora la propria esperienza e sensibilità agli altri e contemporaneamente un po’ di passione a se stessi.
Il tempo non è ancora finito ed è bella l’inquadratura dei due innamorati, perduti da troppo tempo, che si ritrovano stringendosi la mano, l’una nell’altra, proprio durante lo spettacolo.
Immagini ben diverse da quelle che vediamo quotidianamente per i nostri cari che vivono insieme alle “badanti “ di turno.
Persone sole insieme con altre persone sole. Nonostante i nostri sforzi, tutte lontane dai propri cari e dal mondo che scorre fuori della casa.
Si potrà stare anche male, si potrà litigare e gioire, si potrà passeggiare e giocare nei giardini di Beecham House ma in una dimensione che continua ad essere sociale.
Una pagina particolare è anche data dalla scena in cui, all’interno di una lezione sul significato dell’opera lirica, si realizza un confronto fra l’anziano cantante lirico ed un ragazzo adolescente amante del Rap. E’ la musica, il sentimento che esprime, che unisce le due realtà apparentemente così diverse. Ancora una volta l’incontro fra l’esperienza e la giovinezza produce il risultato più bello e fa sì che il giovane rapper sia lo spettatore più attento ed entusiasta dello spettacolo.“Quartet”, dopo essere passato attraverso la descrizione dell’ambiente. della vita e dei sentimenti dei personaggi, si chiude con la ricongiunzione e l’esibizione degli artisti che avevano dato, tanti anni prima, un’interpretazione magistrale del Quartetto del Rigoletto il cui ascolto ci accompagnerà con i titoli di coda…… Bella figlia dell'amore, schiavo son de'vezzi tuoi; con un detto, un detto sol tu puoi le mie pene, le mie pene consolar. Vieni e senti del mio core il frequente palpitar, con un detto, un detto sol tu puoi le mie pene, le mie pene consolar……………………………………………………………….

Grazie Dustin.


Mamma Roma





Mamma Roma ci parla del desiderio di riscatto sociale di una povera donna di una borgata romana che finisce invece nella più profonda disperazione.
Pasolini, che non era romano e che giunge nella città eterna solo nei primi anni 50, è stato forse uno dei più grandi cantori di questa città e soprattutto degli abitanti delle sue borgate. Sono loro, infatti, i protagonisti e gli eroi delle sue opere forse più belle come il romanzo “ i ragazzi di vita” e i primi film come “Accattone” e proprio “Mamma Roma”.
Le borgate romane sono anch’esse protagoniste del film offrendo la loro ambientazione allo svolgimento della storia. Gli interni e gli esterni della casa dove vive Mamma Roma, all'inizio del film sono girati al "Palazzo dei Ferrovieri" di Casal Bertone. Quando, in seguito, cambia casa, questa si trova al villaggio INA CASA del quartiere popolare del Quadraro.
Gli esterni poi dove s’incontrano i ragazzi del quartiere sono girati nell'adiacente Parco degli Acquedotti.
 Il film è del 1962 . Scritto e diretto da Pier Paolo Pasolini è il secondo film del regista dopo Accattone e la sceneggiatura, scritta insieme al suo amico Sergio Citti , trae spunto da un evento realmente accaduto: la tragica morte di un giovane detenuto nel carcere di Regina Coeli, legato al letto di contenzione.

Mamma Roma è il nome che il personaggio, interpretato da un’incredibile Anna Magnani, porta su di se rappresentando quasi tutta la Roma dolente. Quella che per sopravvivere si dibatte giornalmente in uno spazio angusto e miserabile pieno di violenza ma anche di una triste solidarietà tra gli ultimi ;come quella espressa dalla collega “ di vita” Biancofiore, che cerca di alleviare gli sproloqui deliranti serali di Mamma Roma offrendole un sorso della sua fiaschetta di liquore o quella del vicino del banco frutta al mercato che cerca di rassicurarla quando apprende che il figlio Ettore è stato messo “ al gabbio”.
Ettore , l’unica sua gioia e speranza. L’unico motivo per lottare ed ingoiare ogni giorno il boccone amaro dell’umiliazione e della violenza nella speranza di procurarsi i mezzi per cambiare vita e dare a lui le possibilità che lei non ha avuto. Ettore cresciuto solo a Guidonia mentre la madre continuava a “battere” per riuscire un giorno a dargli un futuro diverso.
 Ora finalmente sembrava esserci riuscita. I suo pappone :Carmine (Franco Citti) si era sposato e l’aveva lasciata libera. Lei , adesso, aveva un banco di frutta al mercato e poteva riprendersi il figlio e cambiare quartiere.
Quel figlio che le era cresciuto lontano e che ora poteva finalmente stringere al petto, mentre gli insegnava a ballare nel soggiorno di casa sua. Quel figlio che era già un giovanotto e che doveva stare attenta a non fare perdere dietro le cattive compagnie o le gonne di qualche smorfiosetta.
Certo, era difficile tenerlo a bada : Non aveva studiato , non faceva niente tutto il giorno mentre l’aspettava ed era facile che si perdesse. Doveva trovargli un lavoro e c’era riuscita ,inventandosi un trabocchetto per convincere il proprietario di un ristorante ad assumerlo come cameriere.
I singhiozzi sono irrefrenabili quando da lontano lo guarda servire ai tavoli, bello come il sole
Ma la vita è dura e il passato ti segna inesorabilmente!
Carmine , il suo giovane amante pappone, che l’aveva lasciata libera sposandosi, si è stancato di lavorare e di condurre una vita regolare . Torna a cercarla e le chiede, con le buone e con le cattive, di tornare a battere per lui …..altrimenti……….. Altrimenti racconterà al figlio la verità su sua madre .
Quale verità? ………… Che è…. na mignotta.       
E così, per continuare il sogno della redenzione, bisognerà mischiare il sacro col profano e Mamma Roma, finito di lavorare al banco della frutta, la sera ritorna a battere per le strade ritrovando la sua amica Biancofiore e tornando ad ubriacarsi per alleviare i suoi deliri.
Questa triste e dolente umanità non si libera da sola !
E’ questa forse l’amara lezione sociale che Pasolini cerca di raccontarci.
Anche se qualcuno può farcela, ci sarà sempre una Mamma Roma i cui sforzi sono destinati a concludersi nella sconfitta, perché una classe sociale non si elimina da sola senza una profonda rivoluzione collettiva dell’intera società.
Ettore verrà comunque a sapere la verità su sua madre a causa della confidenza della ragazza con cui si vede al Parco degli acquedotti dove passa gran parte del suo tempo con gli amici: Bruna , la sua ragazza, gli racconta tutto e così Ettore non avrà più voglia né di lavorare , né di sperare in un miglioramento sociale per far contenta sua madre
 Che gliene importa a lui di sua madre ?
La vita è dura e spietata . Gli altri ragazzi del quartiere si danno da fare e rimediano qualche soldo anche rubando qualcosa. Perché non provarci?
Ma le cose non vanno bene . Ettore finisce in carcere. Malato si ribella e viene messo in detenzione isolata e morirà tra i deliri della febbre legato ad un letto di contenzione, invocando la madre.
Tutto è finito.
Mamma Roma, informata della sorte del figlio, corre a casa seguita da un gruppetto di gente del mercato. Arrivata, si getta in preda alla disperazione sul letto di Ettore, abbracciando i suoi vestiti. Tenta poi il suicidio gettandosi dalla finestra, ma viene fermata in tempo dal gruppetto che l'ha seguita. Nell’ultima scena, Mamma Roma è lì , alla finestra della camera del figlio , trattenuta dalla gente del mercato che l’ha voluta seguire e non la lascia sola, impedendole di morire.
Sembra desistere dal suo intento trovando una misera rassegnazione mentre guarda in lontananza la cupola della basilica di San Giovanni Bosco.
Forse la fede e la carnosa , umana, solidarietà popolare l’aiuteranno a vivere.


Vi PRESENTO TONI ERDMANN





Vi presento Toni Erdmann è un film del 2016 ( Germania) diretto da una giovane regista quarantenne Maren Ade. Il film è stato presentato in concorso al Festival di Cannes dove ha ottenuto il premio Fipresci della critica internazionale). Successivamente, ha ottenuto diversi riconoscimenti agli European film Awards , tutti nelle categorie più rilevanti, ed ha ricevuto la candidatura agli Oscar come miglior film in lingua straniera.
Maren Ade è una regista, sceneggiatrice e produttrice cinematografica tedesca. Dopo aver lavorato  alla realizzazione  di due cortometraggi “ Ebene 9” (2000) e “Vegas” (2001), ha esordito nel 2003  con “Der Wald vor lauter Bäumen “. Il suo secondo film “ Alle Andersen” ( 2009) ha vinto l'Orso d'argento a Berlino, gran premio della giuria.
“Vi presento Toni Erdmann “ è un film costruito con attenzione  e con lentezza attorno al rapporto fra un padre ed una figlia; ma, è anche il confronto fra diversi modelli di comportamento sociale. Si addentra all’interno delle contraddizioni economiche presenti nelle nostre società e nei problemi connessi ad uno sviluppo economico improntato all’efficienza, ma poco attento alle conseguenze sociali;  ma, soprattutto, in ultimo si addentra in quella che è, per ognuno di noi, la ragione di vivere, o meglio quello che ci permette di affrontare e vivere con pienezza la nostra vita.
Winfred Conradi è un insegnante di musica in pensione che ama mettere in ridicolo tutto e che riesce attraverso lo scherzo , la creazione di personaggi immaginari ed  il travestimento a colorare  una vita altrimenti sostanzialmente solitaria e priva di grandi soddisfazioni .
Ines , la figlia , sembra invece il suo opposto. E’ la manager di una società di consulenza internazionale che ha spesso il compito di riorganizzare le aziende clienti operando dei drastici tagli di personale. Lucida, determinata, a tratti cattiva, la ritroviamo a Bucarest  proprio nel pieno della sua attività di consulenza con tutti i problemi che comporta.
Il risvolto umano di questa situazione non è semplice e la vita personale della donna  ne risente profondamente, privandola di reali amicizie disinteressate e di una vera vita affettiva. Il contagio fra i due protagonisti avviene nella maniera più insolita.
Il padre Winfred,  percependo le difficoltà della figlia e desiderando rivederla  e ristabilire con lei un contatto umano, piomba a Bucarest e sotto le vesti di un personaggio immaginario : “Toni Erdmann” irrompe nella vita della figlia che, dopo una iniziale irritazione, si presta al gioco . Assistiamo, a partire da quel momento, ad una continua misurazione silenziosa di diversi punti di vista su tutti gli aspetti della vita lavorativa e personale di Ines.
Winfred Conradi diventa Toni Erdmann grazie ad una dentiera finta ed una parrucca. il gesto del mettersi e togliersi la dentiera rappresenterà il continuo alternarsi della messinscena.
Sarebbe troppo semplice pensare che la questione posta da questo racconto consista nello  scegliere fra questi due comportamenti o questi mondi a confronto. In realtà, nessuno dei due convince completamente neanche lo stesso protagonista. Man mano che la storia si svolge, Ines accetterà di mettere in discussione parte del suo atteggiamento inserendo in esso l’elemento dell’imprevedibilità e della non convenzionalità. Windred, da parte sua,  farà sparire lentamente il personaggio di “Toni” dapprima rivelandone la falsità dopo aver suonato e cantato insieme alla figlia la canzone che forse racchiude il senso della storia e ,dopo, partecipando alla festa “ nudista” per il compleanno di Ines completamente travestito da una specie di scimmione,  personaggio mitologico bulgaro, che non permette il suo riconoscimento. Solo la figlia potrà finalmente abbracciarlo, da sola,  chiamandolo papà.
Quando Ines canta il brano suonato al pianoforte dal padre, ancora nel personaggio di Toni Erdmann, accettando di recitare il ruolo della sua segretaria, ci troviamo forse davanti alla scena più profonda e commovente del film.
Le parole  della canzone di Whitney Houston  “Greatest Love of All” ci raccontano  ,da un lato, il desiderio di un padre di far crescere i propri figli infondendo in loro la sicurezza di se stessi e la gioia di vivere  e dall’altro il quasi incosciente desiderio dei figlio di trovare   in quella figura di riferimento  quasi le sembianze di un eroe da seguire ed in cui riporre la propria sicurezza . Ma gli eroi non esistono o comunque non si trovano facilmente a propria disposizione e la cosa più importante per tutti noi è imparare ad amare noi stessi, la vita che ci è stata regalata e contare sulle nostre forze.
Quando in ultimo Ines, tornata a casa in occasione della morte della nonna, accetterà di truccarsi mettendo anche lei, come il padre, la dentiera finta ed un canestro in testa, come una parrucca, non sarà dunque per l’accettazione o la ripetizione asettica del modo di fare burlesco del padre.
Nel suo silenzio assorto, cercherà di farci capire come sarà sempre più importante, partendo dalla fiducia in se stessi, decidere il modo migliore di vivere gli impegni che ci siamo assunti e la vita che stiamo conducendo: ognuno a modo suo, ma con l’identico desiderio di renderla unica.
Credo che possa essere interessante concludere questa riflessione riportando alcune frasi del testo della canzone della Huston cantata e suonata da padre e figlia:
“Io credo che I bambini siano il nostro futuro…………Mostragli tutta la bellezza che hanno dentro………………….. Tutti cercano un eroe…….Le persone hanno bisogno di qualcuno a cui guardare.. Io non ho mai trovato nessuno che soddisfi le mie necessità……… Così ho imparato a contare solo su me stessa…………………………………….
Ho deciso molto tempo fa di non rimanere mai nell’ombra di nessuno. Se sbaglio, se riesco, almeno vivo come credo. Non importa cosa prendono da me, non possono togliermi la mia dignità perché il più grande amore di tutti, lo sto vivendo io. Io ho trovato il più grande amore di tutti dentro me. Il più grande amore di tutti è facile da ottenere Imparando ad amare te stesso.”












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