In questo blog raccolgo i racconti , i quadri , le poesie realizzate nel corso degli anni e che verranno ulteriormente prodotte.
Benvenuti e grazie per l'attenzione.
In questa pagina troverete raccolte recensioni su diversi film e articoli su registi cinematografici
LE VELE SCARLATTE
Pietro Marcello dopo averci regalato la bella versione
cinematografica del romanzo Martin Eden di Jack London, ritorna con il film " Le vele
Scarlatte" ( titolo originale " L'Envol") al suo esordio in un' opera in lingua
francese. Il film è la trasposizione del romanzo russo “Vele scarlatte” del
1923 di Aleksandr Grin ed è ambientato in un piccolo paese della Normandia dove
ritorna reduce dalla prima guerra mondiale il soldato Raphael. Egli si qualifica come
"L'uomo di Marie", che è purtroppo morta ed ha lasciato una bimba, Juliette ,che è sua figlia ma di cui lui ignorava l'esistenza.
Raphael si prende cura di Juliette ed è aiutato da
una vedova di buon cuore , Madame
Adeline, che li accoglie nella sua fattoria. La donna gli
racconterà delle tragiche circostanze in
cui è morta Marie, di stenti e malattia dopo essere stata violentata quando
comunque era già madre di Juliette e
tutto questo non mette in dubbio la paternità di Raphael. Il film continua a raccontarci della
difficile esistenza di questo diverso nucleo familiare poco accettato dalla
comunità del paese in cui vive.
Marie non era mai stata ben giudicata e Madame Adeline è una donna considerata strana e dedita ad
esperienze di stregoneria. Raphael, nonostante sia un bravissimo falegname ,
per il suo carattere burbero è tenuto ai
margini ella comunità ed inoltre viene condannato da tutti per un omissione di
soccorso che ha portato alla morte per
annegamento di un paesano che lui era a conoscenza essere il violentatore di
Marie.
La stessa Juliette, ormai cresciuta e dal
carattere indipendente solitario e sognatore, viene tenuta ai margini ma nello stesso tempo desiderata senza alcuna forma di rispetto.
L 'ambientazione è molto bella e curata nelle immagini e nella fotografia e ci trasporta
lontano nel tempo all'interno della realtà vissuta dai protagonisti. Juliette
ama la musica : suona un vecchio pianoforte
e canta dolcemente le sue emozioni ed i suoi sogni , rafforzati dalle
predizioni di una donna ,definita da tutti una strega che vive in mezzo alla
campagna, vicino al fiume , e che le ha
predetto che un giorno lei prenderà il volo con delle vele scarlatte e
realizzerà i suoi sogni.
La storia descritta in questo interessante film è
principalmente quella di donne che, nella prima metà del secolo scorso, quando non erano ben inserite nei ruoli sociali definiti per loro, vivevano con difficoltà il proprio
desiderio di vita e di felicità, spesso considerate strane e da non
rispettare .
Il sogno del paradiso in terra, non nell'aldilà, per queste donne è forse da
definire stregoneria ? O essere di facili
costumi quando la tua vita non è stata lineare e codificata ?
Dal cielo
arriverà per Juliette, con un piccolo aeroplano con delle vele scarlatte nelle ali, qualcuno che la porterà via verso una vita nuova.
Pietro Marcello Ha curato la sceneggiatura del
film insieme a Maurizio Braucci e Maud
Ameline.
Il film è stato presentato in anteprima il 18
maggio 2022 alla Quinzaine des Réalisateurs del 75º Festival di Cannes per poi
essere distribuito nelle sale cinematografiche
nel 2023.
Bella l'interpretazione della giovane attrice Juliette Jouan nl
ruolo di Juliette. Una citazione anche
per Raphaël Thiéry nel ruolo di Raphaël, di Noémie Lvovsky in quello di
Madame Adeline , di Yolande Moreau, con degli incredibili occhi azzurri, nel
ruolo di Yolande, la maga, e del sempre
bravo Louis Garrel in quello di Jean.
Belle ed intense sia la fotografia
di Marco Graziaplena che le
musiche di Gabriel Yared.
A CHIARA
Dopo quasi cinque
anni dal film “ A Ciambra” il giovane regista italo americano Jonas Carpignano ritorna a girare le scene del
suo nuovo film “ A chiara” nella
località di Gioia Tauro, in quella Calabria
che ha trovato una nuova attenzione nazionale a causa della presenza
straripante della 'ndrangheta.
Il regista ne ha
scritto anche il soggetto e curato la sceneggiatura ed il suo sguardo, la sua
attenzione si fermano accanto alle
sensazioni di vita di una giovane ragazza: Chiara, che ha il solo torto di amare profondamente
la sua famiglia , la mamma , le sorelle con cui
divide risate, abbracci e vita, il padre
a cui è profondamente legata.
Una ragazza che
improvvisamente scoprirà, a quindici anni, che la sua non è una famiglia come
tutte le altre, ma è invece accusata di
vivere di malaffare ,di commercio di droga , che suo padre è improvvisamente
sparito per non essere arrestato.
Chiara non può
accettare il rispettoso silenzio di fronte a quello che non si può dire o che
non si può ancora capire alla sua età . Verrà posta nella triste condizione di
dover abbandonare i propri affetti familiari per essere protetta dallo Stato
fino alla sua maggiore età, evitando il probabile destino di crescere come
futura delinquente. Come sempre, tuttavia,
la contraddizione è presente nei nostri cuori e nella nostra mente ed è
parte irrinunciabile di noi stessi . Chiara desidera la verità non per
allontanarsi ma per sapere. Desidera poter amare, come ha sempre fatto, la sua
famiglia e vivere insieme a loro, anche se non ne condivide la modalità e la
subordinazione al malaffare.
Desidera certo
nuove opportunità di vita ma non se questo significa l’allontanamento dai suoi
affetti. Eppure, la vita è contraddizione costante e Jonas Carpignano ci mostra con chiarezza
come negarlo sia perfettamente inutile e falso.
Chiara dovrà
accettare in se le sue contraddizioni, cercando di capire cosa sarà meglio per
lei stessa e per il suo futuro.
Chiara , la
protagonista della storia , è stupendamente interpretata dalla giovane Swamy Rotolo, che già
aveva lavorato con Carpignano nel film “A Ciambra”.
Per la sua interpretazione in “ A Chiara” ha ricevuta il Davide di
Donatello 2022 come miglior attrice protagonista. Interessante il fatto che
quasi tutti gli attori che hanno recitato nel film il ruolo dei suoi familiari
sono nella realtà dei componenti della
sua vera famiglia Rotolo.
Il nuovo film di Marco Bellocchio " Il Traditore" ci ricorda
uno dei capitoli più importanti della lotta alla Mafia nel nostro Paese. Quel
momento, forse irripetibile, in cui, grazie alla collaborazione di Don Masino
Buscetta, il giudice Falcone riuscì a comprendere le caratteristiche
dell'organizzazione criminale " Cosa nostra" e inferirle un colpo
devastante facendone condannare il vertice.
La lotta fra la nuova mafia di Corleone e la vecchia dirigenza
palermitana per il controllo della " Cupola" aveva cambiato le regole
del gioco e introdotto il grande affare della droga, che aveva aumentato gli
introiti e l'internazionalità di questa organizzazione criminale . I
perdenti venivano decimati senza pietà o
rispetto per i familiari. In questa situazione Buscetta ritenne che per
proteggere la propria vita e quella della sua nuova famiglia che aveva creato in Sud America gli convenisse collaborare con la
giustizia.Inizia così quel capitolo di storia Italiana così complesso e
importante che Bellocchio ha voluto far rivivere e far conoscere con la narrazione di questo
film anche ai più giovani che non hanno avuto la possibilità di vivere quei
momenti.Il racconto di Bellocchio si sofferma particolarmente anche sulla
personalità , sull'aspetto umano dei diversi protagonisti mostrandone i punti di forza , le debolezze,
le evidenti incoerenze . Alla fine "Il traditore" Buscetta appare come
quello che, forse meno di tutti gli altri, ha cambiato il suo modo di
pensare e di vivere. Ottima, ancora una volta, la prova di attore di
Pierfrancesco Favino, che riesce ad incarnare Buscetta con grande credibilità.
Sul finale del film, ho scoperto,
con sorpresa e con piacere, che Don Masino Buscetta amava la musica e una
canzone che mi piace molto :"Historia de un amor" , ( scritta
nel 1955 dal compositore panamense Carlos Eleta Almarán ) che canta nelle
ultime scene e questo me lo ancora di più fatto sentire reale ed umano .Certo,
come affermava senza mezzi termini
Falcone, anche la Mafia dei vecchi tempi
delle regole d'onore, quella che non permetteva che fossero coinvolti le
donne e i bambini, era composta da delinquenti ed assassini e Buscetta era uno
di loro; ma, pur con questa premessa, era nata una certa forma di rispetto
reciproco fra Falcone e Buscetta, forse per la lotta comune che, seppur per motivi iniziali diversi, li contrapponeva a "Cosa
nostra".Uniti nel rischio comune della vita che, comunque, avevano deciso
di mettere in conto . Questo rispetto farà si che Buscetta , alla morte di
Falcone , decida di scoperchiare il livello più alto dell'organizzazione "
Cosa nostra" .Quello che la lega ai poteri forti e alla politica. Buscetta
ha avuto la fortuna di poter morire a casa sua per cause naturali e circondato
dai suoi cari. Falcone e Borsellino non hanno avuto questa possibilità; ma,
sono stati tremendamente falciati da una volontà assassina priva di qualsiasi
dignità.
FRANK CAPRA - Un siciliano in America
Frank Capra è stato uno dei registi americani che meglio hanno rappresentato
ai miei occhi quell’atmosfera e quel senso di speranza che
contraddistinsero l’esperienza del New Deal: la risposta alla Grande Depressione
economica che si dispiegò durante la presidenza di Franklin Delano Roosevelt. Grazie
ad un diverso rapporto fra Stato e cittadino , fra Stato ed Economia si riuscì
a superare quel senso d’impotenza e di sfiducia che aveva caratterizzato i primi anni della Grande Depressione
, riportando una nuova fiducia e speranza nel futuro nel cittadino americano.
Il“ New Deal” fu un nuovo corso, la cui riuscita era anche affidata alla volontà ed
all’impegno del cittadino .Un uomo semplice e comune, ma capace di battersi
contro le ingiustizie e pretendere un futuro diverso per se , per i suoi cari e
per la comunità in cui viveva.
Quest’uomo viene mirabilmente descritto
nei films di Frank Capra che , insieme
forse a Walt Disney, è stato il regista che ha maggiormente rappresentato questo nuovo
clima nel mondo del cinema.
Un siciliano negli USA, Frank Russell Capra nacque a Bisacquino, in provincia di Palermo, il 18 maggio del 1897,
ultimogenito dei sette figli di Salvatore Capra, un fruttivendolo, e di Rosaria
"Serah" Nicolosi. Emigra negli
Stati Uniti con la sua famiglia all’età di sei anni e si stabilisce a Los Angeles, in California.Nel
1922, a San Francisco, dopo aver compiuto limitate esperienze di aiuto-regia,
si propone come regista a Walter Montague, produttore dei Fireside Studios,
dirigendo il cortometraggio Fultah Fisher's Boarding House. Era ancora l’epoca del cinema muto e i films dovevano costare poco ed essere
girati rapidamente. Fra il il 1927 ed il 1928
Capra gira ben sette film , da “That Certain Thing” a “Il potere della
stampa”.Il passaggio al sonoro avviene con un primo esperimento ibrido “La
nuova generazione (1929)” mentre il primo film totalmente sonoro è il
poliziesco “ L'affare Donovan (1929)”. Successivamente, mentre gira una trilogia di films d’avventura incentrata
sul progresso tecnologico e precisamente , “Femmine del mare (1928)”, “Diavoli
volanti (1929)” e “Dirigibile (1931) Frank Capra incontra quella che sarà una
delle attrici più importanti dei suoi films : Barbara Stanwyck. Con lei
realizzerà “ Femmine di lusso (1930)”,” La donna del miracolo (1931)” ,“
Proibito (1932)” presentato con successo alla prima edizione della Mostra del
cinema di Venezia e “L'amaro tè del generale Yen (1933). Femmine di lusso (Ladies
of Leisure) fu realizzato con la sceneggiatura di Jo Swerling e basato sul
lavoro teatrale Ladies of the Evening di Milton Herbert Gropper, rappresentato con grande
successo di pubblico a Broadway con la regia di David Belasco. E’ una storia in
cui il sentimento d’amore trionfa nei confronti delle differenze sociali e del
benpensante senso comune.Kay Arnold, interpretata da Barbara Stanwyck, è una giovane ragazza
che posa come modella per il quadro di un artista figlio di facoltosi industriali.
Fra i due sboccia immediatamente l’amore che viene tuttavia apertamente
contrastato dai genitori dell’artista, venuti a conoscenza del passato non lineare di Kay, che invece
desiderano che il figlio Jerry sposi la fidanzata prescelta per lui. Nonostante
tutto, le suppliche della madre fanno breccia nel cuore di Kay che, per non
danneggiare il futuro di Jerry ,decide di sparire partendo per Cuba . Dot, la
migliore amica di Kay, corre ad avvisare Jerry ma i due arrivano al porto troppo tardi: la nave ha
lasciato il molo. Nel frattempo, sulla nave Kay , pentita della sua decisione
si butta in mare e così il film si conclude con la scena del suo risveglio in
ospedale con Jerry al suo capezzale.
Durante questo
periodo gira anche un film con Jean Harlow dal titolo “ La donna di platino (1931)”.Dopo aver diretto il film “Signora
per un giorno (1933)” , grazie al quale ottiene la prima nomination all'Oscar
come migliore regista, nell’anno successivo ottiene un grande successo di
critica e di pubblico con un film che è rimasto nella storia del cinema sia per lui che per gli attori che
vi hanno recitato : “Accadde una notte” con una stupenda Claudette Colbert ed
una grande Clark Gable. E’ il primo film a conquistare i cinque Oscar maggiori
(miglior film, miglior regia, miglior sceneggiatura, miglior attore
protagonista e miglior attrice protagonista) e Frank Capra
viene riconosciuto come uno dei registi più importanti del cinema
americano.
Nel film la viziata
ereditiera Ellie Andrews, scappata dallo yacht del padre, per raggiungere New York e sposare
l'aviatore King Westley, considerato dal genitore solo un ambizioso arrampicatore
sociale, durante il suo travagliato percorso ha modo d’incontrare, conoscere ed
innamorarsi del giornalista Pietro Warne,
rimasto senza lavoro per il proprio comportamento inaffidabile, che la
riconosce e decide di accompagnarla ed aiutarla in cambio di uno scoop
esclusivo. Durante queste peripezie assisteremo a due scene “ indimenticabili”.
La prima sarà quella dell’erezione delle “ mura di Gerico” ( una coperta su una fune tesa a dividerli )nella stanza
del motel in cui sono costretti a dormire insieme facendosi passare per marito
e moglie. La seconda sarà quella della lezione che si daranno reciprocamente
sulle modalità di esecuzione della
richiesta dell’autostop. Anche questa volta le differenze sociali verranno
superate nel modo migliore e con la prevalenza dei buoni sentimenti.
Siamo già nel
1934. L’economia americana è in grande depressione e nel suo discorso
d’inaugurazione del suo mandato presidenziale del 4 marzo 1933 Franklin
Delano Roosevelt dichiara: “ Sono
convinto che, se c'è qualcosa da temere, è la paura stessa, il terrore
sconosciuto, immotivato e ingiustificato che paralizza. Dobbiamo sforzarci di
trasformare una ritirata in una avanzata. […] Chiederò al Congresso l'unico
strumento per affrontare la crisi. Il potere di agire ad ampio raggio, per
dichiarare guerra all'emergenza. Un potere grande come quello che mi verrebbe
dato se venissimo invasi da un esercito straniero.”
In questi anni
Frank Capra diventerà il cantore del “ New Deal” e i suoi films parleranno
proprio del coraggio della speranza. I
cinque film girati tra il 1936 e il 1941, da “È arrivata la felicità” a “Arriva
John Doe”, ottengono complessivamente trentuno nomination e sei premi Oscar,
oltre ad un grande successo di pubblico. “ È arrivata la felicità” ottiene
l’Oscar 1937 per la miglior regia.” Orizzonte perduto” ottiene l’Oscar 1938
per il miglior montaggio e la migliore scenografia. “ L’eterna illusione”
l’Oscar 1939 per il miglior film e la migliore regia.” Mr. Smith va a
Washington” ottiene l’Oscar 1940 per la miglior sceneggiatura originale.
È arrivata la
felicità (Mr. Deeds Goes to Town)
fu il primo film di questo ciclo. Quello che colpisce proprio in questa narrazione è che l’eroe è
un uomo comune si ma della piccola e media borghesia. E’ un pioccolo
imprenditore o un giornalista o un rappresentante politico che smuovono
le acque solo grazie al loro impegno civico , alla capacità di assumersi le
responsabilità collettive ed avere quel coraggio della speranza che serve a
cambiare il mondo. E’ questo il modello della rivoluzione americana del New
Deal. Non un cambiamento dell’ordine costituito ma la possibilità di renderlo
umano grazie all’impegno del cittadino . Un impegno che riuscirà a limitare
lo strapotere del ricco e del potente subordinandolo al bene comune. Questo è
stato il sogno americano e la risposta del New Deal da un lato alla crisi del
valore del libero mercato già messo in crisi dai grandi monopoli e dalla Crisi economica e
dall’altro alle suggestioni rivoluzionarie socialiste , all’esperienza della
Rivoluzione Russa , alle esperienze del nazismo e del fascismo europee.
Nel film “ E’
arrivata la felicità “ il compito dell’eroe
viene assunto da un giovane uomo della periferia e della campagna
americana: Mr Deeds ( un grande Gary Cooper) che nel suo piccolo villaggio
nel Vermont sfida le conseguenze disatrose della Grande depressione dando
lavoro nella sua , è capitano volontario dei vigili del fuoco, suona la tuba
nella banda del paese e scrive rime
per le cartoline di auguri .Inaspettatamente a sconvolgere la sua vita
arriverà un’enorme eredità di 20 milioni di dollari, da un lontano zio che
neppure conosceva. Trasferitosi suo malgrado a New York per le incombenze
relative alla gestione dell’eredità e degli affari del defunto il giovane Deeds sarà investito da un
turbinio di avvenimenti , d’interessi contrastanti e di sentimenti: La sua
indole generosa lo porterà ad essere tradito e preso in giro diventando
lo “ zimbello “ della città. Tradito proprio dalla donna di cui si era
innamorato e deluso da questa nuova vita e dalle persone che ha incontrato Deeds decide di disfarsi dell’eredità ,
utilizzandola per acquistare terra e
bestiame per gli agricoltori rovinati dalla crisi economica, e tornarsene quindi
al suo paese. La sua volontà viene tuttavia bloccata da una causa legale volta a farlo interdire per insanità
mentale. Al processo Deeds deluso rifiuta addirittura di difendersi ma
quando la ragazza di cui è innamorato
interviene davanti al giudice per difenderlo. Mostrando di e ricambiare il suo amore , decide di
reagire. Intervenendo a sua volta contesta tutte le accuse spiegando che sono
così scorrete da definire folle la generosità e la solidarietà verso gli
altri mentre nel contempo esaltano e richiedono che un comportamento normale
sia improntato al senso dell’avidità e della grettezza. Il suo discorso sarà
così convincente da convincere il giudice a dichiarare che l’imputato è forse l’uomo più sano di
mente che sia mai entrato in quell’aula.
Orizzonte perduto (Lost Horizon) è il secondo grande film del periodo d’oro
di Frank Capra e si basa sulla trasposizione cinematografica dell’omonimo
romanzo di James Hilton. Quel mondo lontano perduto all’interno della catena
dell’Himalaya in cui i protagonisti
saranno scaraventati : Shangri-La ,
racchiude tutti i valori che Capra ritiene importanti per il futuro dell’umanità
e la realizzazione personale di ognuno di noi. Alla fine del film , infatti , Robert,
il protagonista ( interpretato da Ronald Colman), non potrà che considerare quel luogo come il traguardo della sua vita e,
nonostante sia fuggito via, desidererà tornare a Shangri-La , un posto di grande bellezza ,
dove la vita scorre in armonia con la natura e le persone, dove ritroverà il
suo amore e dove il tempo sembra essersi
fermato in un eterno presente, con la promessa di una incredibile longevità.
Subito dopo Capra dirige “L'eterna illusione (You Can't
Take It with You)” (1938) con cui ottiene l’Oscar per la miglior regia e d il
miglior film. Il film è tratto da una commedia
vincitrice del Premio Pulitzer scritta da George S. Kaufman e
Moss Hart. Ancora una volta il centro del discorso è la critica alla sete del
guadagno , all’importanza del denaro come motivazione fondamentale delle
azioni e delle scelte umane. La
narrazione si svolge nel confronto fra
due famiglie attorno al tema del potere e della ricchezza contrastate da forze contraddittorie : Da un lato li
divide l’interesse economico e dall’altro potrebbe unirle l’amore dei due
giovani figli. La famiglia
Vanderhof-Sycamore, guidata dal nonno Martin Vanderhof, è una famiglia
bizzarra, dove ognuno è libero di seguire le proprie aspirazioni artistiche. In
contrapposizione, la famiglia Kirby è diretta dal cinico banchiere Anthony P.
Kirby, che sta cercando di comprare tutti i terreni necessari per impiantare
una fabbrica di armi; proprio Martin Vanderhof (Lionel Barrymore) è l'unico che
si rifiuta di vendere la sua proprietà. Mentre
l’interesse li divide, sboccia invece
l’amore fra Alice Sycamore, nipote di Martin, e Tony Kirby( James Stewart), il figlio del banchiere. Tutto sembra portare
ad un finale negativo; ma, invece, la
situazione si risolve nel corso di un delicato colloquio fra Martin Vanderhof ed il banchiere Anthony P. Kirby, dopo la decisione di Tony
di lasciare la banca del padre e la fuga di Alice dalla città. La voce di Martin
Vanderhof spiegherà ad Anthony P. Kirby quali siano le cose fondamentali della
vita e come il denaro non sia la cosa
più importante, perché non lo si può portare con sé dopo la morte.(da cui il
titolo originale, You Can't Take It With You).
E’ ancora James
Stewart ad incarnare il giovane Senatore, improvvisamente proiettato
all’interno del mondo della politica, protagonista del film “ Mr Smith va a Washington
(Mr. Smith Goes to Washington) (1939)” Questa volta, sotto l’obiettivo di
Capra cadono i giochi e i contrasti dei parlamentari
della massima Istituzione americana: Il Senato della Repubblica ed il loro rapporto con gli interessi
economici delle varie Lobbies a cui sono legati. Ancora una volta Capra affida
la vittoria sui meschini interessi economici particolari ad un’azione esemplare.
Il giovane Senatore Smith, per
difendersi dalle accuse ordite contro di lui e smascherare gli avversari ,interviene
in aula con un discorso che continuerà per oltre 23 ore consecutive
fino a quando ,vinto dalla fatica e dal disgusto, cadrà a terra svenuto.
Il giovane Senatore non è un professionista della politica; al contrario, era
stato eletto proprio per la sua ingenuità ,con l’intenzione di manovrarlo a
piacimento. I giochi invece sono
scoperti e battuti da questo semplice cittadino come tanti che, nel momento in
cui si trova a dover agire per
difendere quello in cui crede, non esita un attimo a mettere in gioco tutto se stesso. Il
messaggio, ribadito in questo film, è che
il bene comune è molto più importante dell’interesse economico dei pochi ricchi
e potenti . L’unica garanzia per un corretto funzionamento delle istituzioni .
del mercato , dell’economia dell’intera società è nell’impegno del cittadino
comune, unica vera colonna della democrazia americana . Era questa la
rivoluzione ideale del New Deal che Capra sposa pienamente. Smith vince la sua
battaglia ed il suo maggior oppositore ,
il Senatore Paine, che lo accusava ingiustamente , oppresso dal rimorso,
confesserà la propria indegnità
L’ultimo film che
possiamo considerare come parte
integrante del ciclo dedicato al sostegno del new Deal e all’impegno
sociale è “Arriva John Doe (Meet John
Doe) (1941)” che viene distribuito già dopo l’inizio della seconda guerra
mondiale. Ritorna nel ruolo di protagonista Gary Cooper ( John Doe / John
Willough 'il lungo') ed in quello femminile Barbara Stanwyck ( nel ruolo della
giornalista Anna Mitchell).
Tutto il racconto
del film parte dal licenziamento della giornalista di cronaca rosa Anna Mitchell che a questo punto reagisce scrivendo una lettera al giornale a nome di una persona inventata “John Doe”,
la quale afferma che si suiciderà entro
un anno a causa della profonda delusione che prova nei confronti di una società
priva di umanità , di solidarietà verso chi è debole ed in difficoltà . Una
società profondamente egoista. La lettera pubblicata ha un successo enorme e suscita
un’altrettanto forte aspettativa nel pubblico dei lettori di tutta gli States.
La giornalista rivela di essere stata la reale autrice della lettera, viene
riassunta ed, insieme al direttore del giornale, decide di dare un seguito alla
storia ,che è diventata un successo giornalistico, cercando una persona a cui fare interpretare fisicamente
John Doe. La scelta cade su di un ex giocatore di baseball diventato un
vagabondo, John Willough detto il lungo. La storia continua con
successo ma quando il potente di turno cercherà di sfruttare il successo del
personaggio e di utilizzare i suoi fans per ottenere il voto alle elezioni, il
suo progetto sarà combattuto e distrutto proprio dalla giornalista e da John
Doe che si ribelleranno e sveleranno la falsità di tutto il racconto. Ancora
una volta è solo la coscienza civica e
l’impegno personale a garantire la qualità della società e delle sue
istituzioni.
L’impegno degli
USA nella guerra non poteva lasciare
Capra estraneo ad una qualche
forma di partecipazione diretta. Fra il il 1942 e il 1945 decide, pertanto, di arruolarsi nell'esercito degli Stati Uniti, su invito del
Capo di Stato Maggiore, il generale George C. Marshall, per coordinare la
propaganda bellica attraverso lo strumento cinematografico. Si dedica quindi
alla supervisione e realizzazione di una serie di documentari divulgativi, per
conto del Dipartimento della Difesa, sul tema “ Why We Fight” ("Perché
combattiamo").Il primo episodio della serie “Preludio alla guerra”,
ottiene nel 1943 l'Oscar per il miglior documentario. Subito dopo questa
esperienza e quasi sul finire della guerra
si dedica alla realizzazione di un film che presenta una certa
discontinuità rispetto all’impegno precedente, quasi una sorta di “divertissement”: “Arsenico e vecchi merletti” (1944), tratto
da una pièce teatrale di Joseph Kesselring e magistralmente interpretato da un
ottimo Cary Grant.
Il clima degli
States era decisamente cambiato. Morto Roosevelt nel 1945 e concluso il periodo
bellico Gli USA si ritrovano ad essere
l’unica nazione quasi illesa dai danni
della guerra che erano stati invece gravissimi in tutte le altre . Il Paese era
decisamente uscito dalla crisi economica e si avviava verso un periodo di
benessere diffuso in cui la classe media aveva un ruolo centrale nella società.
La guerra fredda stava iniziando e Truman era preoccupato di fronteggiare il
mondo comunista e contemporaneamente
aumentava la sua influenza economica politica e militare sul mondo
occidentale diventandone la guida indiscussa. In questo nuovo clima, Capra
continua, invece, ad affermare nelle sue
opere i valori e i temi a lui più cari e realizza due film che rappresentano
forse il suo testamento spirituale : “ La vita è meravigliosa” del 1947 e “ Lo
stato dell’unione” del 1948. La vita è meravigliosa (It's a Wonderful Life), pur
rappresentando uno dei film più belli diretti da Capra, ebbe un relativo successo commerciale; forse,
proprio per il mutato clima sociale in cui i temi trattati da Capra perdevano
il primitivo mordente. James Stewart ritorna protagonista della pellicola con
un’interpretazione da storia del cinema; ma, pur candidato, non ottenne l’oscar
per il miglior attore protagonista. Nel corso degli anni il film è stato,
tuttavia, ampiamente rivalutato ed è diventato quasi un classico del periodo
natalizio.
George Bailey il
protagonista del film si trova a vivere
la vigilia di Natale del 1945 in uno stato di profonda depressione . La sua
vita è stata interamente dedicata ad una grande apertura e generosità verso gli
altri che ha aiutato in mille modi . E’ stato anche un grande innamorato della
vita ma ha dovuto rinunciare ai viaggi che ha sempre sognato di fare
utilizzando i soldi risparmiati per il salvataggio dell’azienda di famiglia(
una piccola società di prestiti e mutui che ha sempre aiutato i più bisognosi)
o per aiutare altre persone. La mattina della vigilia di Natale, lo zio Billy è incaricato di versare in banca
8.000 dollari, necessari per onorare una scadenza di pagamento dell’azienda di
George; tuttavia, mentre sta parlando in Banca , perde di vista il denaro e non
effettua l’operazione di versamento. La somma era di vitale importanza e
l’azienda rischia di fallire e cadere nelle mani del vecchio Henry Potter,
l’uomo più ricco di Bedford Falls che è anche il proprietario della banca .E’ lui che , per puro caso, si ritrova in possesso dei soldi persi dallo zio di George; ma, decide di non
restituirli per mettere in difficoltà George e impossessarsi della sua azienda .
George è disperato la sua piccola società è sull’orlo del
fallimento , tutti i suoi cari e le persone che gli hanno dato fiducia si
troverebbero in difficoltà. Lui non vede altra soluzione che il suicidio.
Mentre medita questo terribile gesto , mille voci di preghiera si levano verso il cielo per chiedere di
aiutarlo.. In Paradiso , San Giuseppe consiglia Dio di mandare in terra un
angelo custode per salvare George. In quel momento è di turno l’angelo di seconda classe Clarence Oddbody a cui Dio prometterà la
promozione in prima classe, con relativa crescita delle ali, in caso di buona
riuscita della sua missione di
salvataggio di George. Clarence scende quindi sulla terra e un attimo prima che George tenti il
suicidio buttandosi da un ponte , è lui stesso
a gettarsi in acqua costringendo
a quel punto George a tuffarsi a sua
volta ma con l’intento di salvarlo. Clarence, subito dopo, spiega a George la
sua missione ed ovviamente non viene creduto. A questo punto per convincerlo lo trasporta in una realtà
parallela facendogli vedere cosa sarebbe accaduto nel suo paese se George non
fosse mai esistito. Senza di lui, il fratello Harry è morto annegato da
bambino, il signor Gower è diventato un
povero ubriacone che ha trascorso la vita in galera, lo zio Billy è stato
internato in un ospedale psichiatrico, l'amata moglie Mary è rimasta zitella e
i loro quattro figli non sono mai nati, la mamma di George vive in solitudine
facendo l'affittacamere. Senza George Bailey, la tranquilla cittadina di
Bedford Falls si è trasformata in Pottersville, un covo di vizio e
malaffare in cui tutto appartiene a Potter. Gli esempi e le scene continuano,
convincendo George dell’importanza del valore della sua vita e portandolo a pregare Clarence di farlo
tornare a vivere. L’angelo esaudisce il suo desiderio e così la notte di Natale
George può tornare a casa ad abbracciare i suoi cari. Quella notte magica
George verrà salvato per la seconda volta
dai parenti e dai suoi concittadini
che avvertiti dalla moglie Mary e dallo zio Billy, portano il denaro per
salvarlo dalla bancarotta, facendogli il più bel regalo di Natale. Fra i soldi
, all’interno della cesta , George troverà anche una copia del libro Tom Sawyer
con una dedica scritta da Clarence che
lo ringrazia per avergli fatto ottenere le ali grazie al successo della sua
missione e ricordandogli che un uomo non
è mai un fallito se ha degli amici attorno a se.
Ancora una volta
Capra ci parla di solidarietà , di coraggio , di amore e lo fa costruendo una
moderna favola. Certo, è solo un film! E’ solo una favola! La realtà è ben
diversa!…..Ma …. ne siamo certi?
Il secondo film che
può in qualche modo rappresentare il testamento spirituale di Capra è “Lo stato
dell'Unione (State of the Union) (1948)” il cui soggetto è tratto da un ‘opera
di di Howard Lindsay e Russel Crouse vincitrice del Pulitzer. In questo
film si ritorna a parlare del mondo istituzionale e politico, criticandone la
doppiezza e la mancanza di trasparenza. Il protagonista ,l'industriale Grant
Matthews ( Spencer Tracy), viene convinto dalla proprietaria di un quotidiano e
sua amante , Kay Thorndyke( Angela Lansbury), a candidarsi per il partito
repubblicano nelle elezioni primarie per la presidenza degli Stati Uniti. Nonostante
la moglie Mary( Katharine Hepburn), sia
a conoscenza del tradimento del marito lo accompagna nella campagna elettorale.
Alla fine Grant capisce che sta tradendo i suoi principi a causa del potere,si
rende conto del meccanismo corrotto in cui è stato coinvolto e decide di
ritirare la sua candidatura e lasciare la politica. Ancora una volta il
messaggio che esce fuori chiaro e forte dai film di questo grande regista è che
il potere non può servire per alimentare un proprio tornaconto personale ma
come servizio alla comunità.
Nel periodo
successivo Capra girerà vari remake dei suoi stessi film come ad esempio “ La
gioia della vita” (1950) che
riprende il film “ Strettamente confidenziale
( 1934) e “Angeli con la pistola” (1961)
da “Signora per un giorno 1933) con un
cast prestigioso composto da Glenn Ford nel ruolo del protagonista, Peter Falk,
Bette Davis e Ann Margret.
Girerà ancora due
nuovi film. Il primoè “È arrivato
lo sposo (Here Comes the Groom) “(1951) con Bing Crosby;mentre, nel 1959, realizzerà “ Un uomo da
vendere “ con Frank Sinatra . Il film otterrà l’Oscar 1960 per la migliore
canzone.
In seguito, dopo aver
sperimentato anche il lavoro in
televisione fra il 1956 ed il 1958, realizzando una serie di documentari a
carattere scientifico, decide poco più
che sessantenne di ritirarsi dalla sua attività
artistica.Da quel
momento, si limiterà a qualche apparizione pubblica solo in occasione di
conferenze o di festival cinematografici.
Nel 1982 gli verrà
assegnato il Leone d’Oro alla carriera nella Mostra del Cinema di Venezia e il Life Achievement Award da parte dell’American
Film Institute con la seguente motivazione: «La sua opera ha mantenuto vivo il
significato del Sogno americano per generazioni di moviegoers in
passato e nel presente, ed è per questo che l'American Film Institute gli rende
onore con il Life Achievement».
FINE
I VILLEGGIANTI
Valeria Bruni Tedeschi mette in scena sullo schermo una
tragedia in tre atti “ I villeggianti”
,ambientata in una splendida villa sul mare della Costa Azzurra, con un epilogo
finale in cui spiega ai protagonisti, con le immagini e le parole del
personaggio di un fratello defunto, che
in realtà sono già morti. Il loro modo di vivere o meglio di sopravvivere
è molto vicino al mondo dei defunti ,
privo com’è di speranza , di capacità di vedere ed amare veramente l’altro che
ti sta vicino.
Dominati da un profondo malessere esistenziale i diversi
personaggi si muovono invocando aiuto;
ma, allo stesso tempo, sono incapaci di vedere
e rapportarsi con chi gli sta accanto. Personalmente trovo
insopportabile, ad esempio, la mancanza di significativa attenzione verso
l’unica bambina presente , figlia adottiva della protagonista.
E’ una tragedia personale , familiare ,sociale e filosofica. Personale perché evidenzia la solitudine , i traumi non
risolti , il bisogno d’amore vissuto come realtà a cui appoggiarsi per riuscire
a sopravvivere piuttosto che come capacità di rapporto, di scambio di
sentimenti e di cura dell’altro.
Familiare perchè ci mostra una famiglia distrutta anche per la mancanza dell’unica figura
maschile che si era in qualche modo
presa cura delle sorelle, facendole
sentire amate pur se spesso criticate :un fratello da poco venuto a mancare.
Una famiglia che non è riuscita a proteggere la figlia, che bambina ha subito una violenza. Tragedia Sociale
e filosofica espressa nella mancanza
totale di un vero senso del rispetto nelle relazioni di lavoro e nella concezione filosofico politica ben evidenziata in un
dialogo fra l’industriale ormai non più in attività , marito della sorella
della protagonista, e la sceneggiatrice
che dichiara di essere “di
sinistra”. Nella spiegazione delle sue posizioni “essere di sinistra” vuol dire rendersi
conto che la natura è malvagia e basata sulla legge del più forte, ma che in qualche modo lo sforzo costante
nella storia di chi la pensa diversamente può gradualmente migliorare le relazioni
umane e le condizioni dei più deboli.
Questa teoria evoluzionista e storicista,
alla fine, condanna le persone ad una visione pessimistica della realtà , ad una natura
matrigna che naturalmente ci fa stare male, ci emargina e che forse , chissà quando, potrà migliorare
. Come se le caratteristiche della società in cui viviamo non fossero, invece, il frutto della
responsabilità delle nostre azioni quotidiane.
Un senso di disagio , di disperazione e di tragedia pervade tutta la narrazione che è una storia anche di
separazione. All’inizio del film si dice, infatti, che il divorzio è una delle
peggiori esperienze umane da sopportare.
Valeria Bruni Tedeschi
con “ I villeggianti” è giunta al
suo quarto film ,dopo “ E’ più facile per un cammello “ ( 2003), “Attrici “ del
2006 e “ Baciami ancora “ del 2009. Le sue opere hanno sempre un carattere
fortemente autobiografico e spesso descrivono una sensibilità difficile e
problematica. Voglio sperare che nella sua vita reale prevalga uno sguardo di
speranza sull’avvenire.
Fra gli interpreti sottolineiamo l’interpretazione di Valeria
Golino ( nel ruolo della sorella Elena) , di Riccardo Scamarcio ( Luca) e Noèmie Lvovsky nel ruolo di Nathalie la sceneggiatrice del film della protagonista
Anna ( Valeria Bruni Tedeschi).
L'uomo
che uccise Don Chisciotte
Certo, Don Chisciotte può anche
essere ucciso; ma, ci sarà sempre qualcuno disposto a prenderne il posto.
Ci sarà sempre qualcuno
desideroso di uscire allo scoperto, lasciare una vita oscura e monotona ed
impugnare la lancia e la durlindana per combattere i fantasmi e gli incubi
della sua mente o gli orrori della società che lo circonda. Tutto, pur di
liberare il mondo dal male e , novello
cavaliere, raggiungere e liberare il
cuore dell’amata.
Accanto a lui ci sarà sempre un
Sancho Panza, scudiero e compagno fedele.
Un servitore desideroso
d’apprendere, di collaborare alle gesta del cavaliere e, se sarà il caso, anche
disposto a rischiare la vita per salvarlo.
Con questo film “L'uomo che
uccise Don Chisciotte (The Man Who Killed Don Quixote)”,liberamente
ispirato al Don Chisciotte di Miguel de Cervantes, Terry Gilliam[g1]
ci trasporta in una dimensione
particolare, alternando la visione
fantastica al ricordo e alla
realtà presente, in un gioco rappresentativo funzionale, comunque, alla
crescita del sentimento e dell’animo del protagonista.
E’ particolarmente riuscito l’intreccio fra la
ricerca artistica del protagonista (Toby) e l’esplodere del suo sentimento
amoroso verso Angelica.
Convincenti e bravi Adam
Driver (Toby Grisoni) , Joana Ribeiro ( Angelica) e Jonathan Pryce ( Javier “ Don Chisciotte”)
Il film è anche noto come uno dei più tormentati
tentativi di formazione di un’opera cinematografica . Ci sono voluti, infatti, ben otto tentativi e quasi vent’anni da
parte del regista per la sua realizzazione.
Lo ringraziamo per la sua
costanza che ci ha permesso di poter gustare questo film avvolgente e
affascinante.
Il
film è stato presentato fuori concorso al 71° Festival di Cannes come film di chiusura dello stesso.
FIRST MAN
“Questo è un piccolo passo per l’uomo, ma un
grande balzo per l’umanità”.
Con queste parole Neil Armstrong commentava lo
sbarco sulla Luna del primo essere umano.
Quanta
naturalezza e semplicità nel descrivere quel semplice gesto , passo
finale di un lungo processo che ha impegnato l’intera umanità e la sua storia!
Quanta fatica , quanta casualità, quanta
determinazione , quanto ….. quanto….. quanto…..racchiude dentro di se quel
singolo gesto umano!
In “ First man”, Damien Chazelle desidera parlarci dell’impresa, ma anche dell’uomo che l’ha vissuta in prima
persona, e di come e per quali
motivazioni e casualità si è ritrovato a viverla.
Al di fuori di ogni trionfalismo, il film cerca dunque di seguire il percorso
individuale che ha portato quella singola persona ad incarnare, nel suo piccolo
passo, il più grande progresso scientifico dell’umanità.
Uno dei motori
di quell’uomo è stato ,forse, la perdita della sua bambina, che l’ha
portato a cercare un cambiamento per
elaborare quel lutto ; ma, sicuramente , lo hanno anche affascinato l’immensità dello spazio e la possibilità del
superamento del limite
Quando nelle prove di selezione alla
NASA gli verrà chiesto cosa pensa di
quel progetto, Armstrong risponderà che la missione ci permetterà di vedere cose che finora non abbiamo potuto
vedere . Ci permetterà di avere un punto di vista diverso. Di osservare e
comprendere meglio la stessa realtà che viviamo.
Ma quanto dolore è ancora presente in
quella missione!
Quante incertezze sia tecniche, sia umane, prima di essere scelto come primo
uomo a scendere sulla Luna ed essere capace di arrivare al traguardo!
La prima parte di quel cammino ci regala forse
una delle scene più belle del film , mentre assistiamo al primo Rendez vous mai effettuato nello spazio, nell’ambito
della missione Gemini 8, fra la navicella spaziale di Armstong e il veicolo senza equipaggio Agena .
Quando l’aggancio viene effettuato , all’interno
di uno spazio circostante
sereno ed infinito, sulle note composte da
Justin Hurwitz , che improvvisamente ci richiamano alla mente
la musica di LaLaLand, il sorriso che si stampa sulla faccia dei piloti
ed il generale entusiasmo della sala comandi
di Houston oltrepassa, nella sua
coralità, ogni singola motivazione personale
o nazionalistica, per consegnarci la contentezza di un progresso
raggiunto da ogni essere umano.
In quel momento, Chazelle ci conduce per mano oltre la pur presente competizione fra USA e URSS all’interno
della guerra fredda, oltre la
contestazione dell’opportunità economica
della missione , oltre le inefficienze
tecniche ed i pericoli che, pure, oggettivamente esistono e possono
compromettere il futuro dell’intero progetto.
Subito dopo la soddisfazione, tuttavia, la
complessità e la contraddizione presente in ogni realtà si manifestano brutalmente
con gli errori tecnici e la morte di un
equipaggio di colleghi ed amici che erano forse quelli originariamente prescelti per il primo allunaggio
.
Armstrong dovrà di nuovo elaborare il lutto
della morte e dedicare tutte le sue energie al progetto, trascurando
i suoi affetti familiari e cercando solo li , nello spazio una nuova occasione , un nuovo punto di vista
per ritornare a vedere con occhi diversi la realtà. Quella è la strada da percorrere per farcela . Se non cerchiamo
di superare i nostri limiti, non progrediremo e non riusciremo ad essere di
nuovo presenti ed amare la nostra vita.
Nelle scene finali del film Chazelle ritorna su
questo punto, utilizzando le immagini e
le parole di J. F. Kennedy che insistono
sulla necessità, per un Paese, di affrontare e superare i propri limiti.
Potremmo cercare di fare delle cose facili , dice Kennedy, ma vogliamo invece
affrontare le cose difficili per andare avanti
.
“ First man” (2018) è un film diretto da Damien Chazelle e scritto da Josh Singer ,
già premio Oscar per la sceneggiatura de “Il caso Spotlight”,con protagonisti
Ryan Gosling e Claire Foy.
La pellicola costituisce l’adattamento cinematografico della biografia
ufficiale di Neil A. Armstrong, scritta
da James R. Hansen e pubblicata nel 2005.
Neil Armstrong entrò alla NASA nel 1962. Dopo
varie missioni, partecipò all'Apollo 11 e divenne, il 20 luglio 1969, il primo
uomo a mettere piede sulla Luna.
QUASI NEMICI - L'IMPORTANTE È AVERE RAGIONE (2017)Titolo orginale: Le brio
Non sempre, essere portatori di
idee o esigenze giuste permette di avere
ragione in un confronto o addirittura
di essere capaci di portare avanti le
proprie aspirazioni.
Il film, provocatoriamente ma con molta attenzione, ci fa riflettere su
quello che è verificabile nell’esperienza di vita di ognuno di noi . Non basta
essere nel giusto ; è altrettanto importante sapere portare avanti le proprie idee e le proprie giuste esigenze
in modo da risultare vincenti ed
accettati dagli altri .
Questo è doppiamente vero se si considera la consolidata abilità ad
operare in tal senso da parte della classe dirigente rispetto ai ceti poveri e/o
marginali. Risulta, a tal fine, particolarmente interessante la scelta del film di applicare questo principio proprio alla
figura di una giovane studentessa di giurisprudenza non solo di un ceto sociale modesto, ma anche
appartenente ad una minoranza etnica. Proprio “Lei “ capirà, a sue spese, come sia
importante imparare e seguire un
percorso di formazione ( in questo caso di Retorica) per fare in modo che alla ragione di partenza si accoppi il
risultato vincente nel confronto con gli
altri, facendo in modo che le sue posizioni risultino vincenti.
E’ questa una lezione importante soprattutto per i più giovani e per chi
parte da condizioni disagiate. Devono imparare al più presto a saper portare
avanti le proprie esigenze in maniera vincente.
Solo in tal modo potranno trasformare veramente la loro condizione ed
ottenere i risultati che desiderano, rifuggendo da un possibile atteggiamento
vittimista o, alternativamente,
eccessivamente estremista che li porterebbe verso pericolose posizioni
devianti
Al loro primo incontro, la studentessa
ed il professore di Retorica entreranno
immediatamente in conflitto. Lui utilizzerà, per avere ragione nel loro
confronto , la tecnica più spregiudicata e meno rispettosa dell’altro presente all’interno delle sue regole dialettiche : l’insulto.
Quando non si hanno argomenti,
le spiegherà in seguito , l’insulto funziona sempre e mette l’altro in condizioni di debolezza. A
niente servirà l’indignazione o la rabbia se anzi, con il probabile abbandono e rifiuto dello scontro, regaleranno la vittoria all’avversario. Sarà
pertanto divertente vedere come nella scena finale del film i due protagonisti
, ormai capaci entrambi di gestire con
successo le tecniche della retorica e della dialettica , si divertiranno ad
insultarsi a vicenda rinsaldando nel mentre un possibile rapporto di stima e
amicizia.
Daniel Auteuil e Camelia Jordana, sotto la regia di Yvan Attal , ci conducono
piacevolmente per mano, durante tutto il film, facendoci gradualmente
appassionare al percorso di formazione della giovane studentessa sulla base
delle leggi della retorica ed allo sviluppo del loro confronto umano e dialettico.
Contemporaneamente, il percorso della giovane donna verso la
professione di avvocato e l’affermazione sociale, grazie alle tecniche
imparate, rappresenteranno anche una possibile strada di emancipazione proposta al suo gruppo sociale ed etnico di
riferimento, ben rappresentato nella
descrizione delle relazioni e del quartiere da cui proviene la ragazza.
Abbiamo già apprezzato la Jordana nel film “ Due sotto il burqa” ed
adesso la ritroviamo nel ruolo di una studentessa di
giurisprudenza dell’Università di Parigi 2 , Neila Salah.
Per questa interpretazione ha
vinto il premio César come migliore
promessa femminile del Cinema Francese. Convincente e bravo come sempre Daniel
Auteuil nel ruolo del burbero professore di Retorica .
.
A STAR IS BORN
Bradley Cooper, al suo
esordio nella regia, ci regala “A star is born”, liberamente ispirato al remake
del film “ E’ nata una stella “ del 1937; ma, soprattutto, a quello del
1954 diretto da George Cukor ed
interpretato da una grande Judy Garland.
Cooper ha collaborato,
inoltre, alla sceneggiatura ed ha partecipato
alla produzione del film, oltre ad esserne il protagonista insieme ad una magnifica
Lady Gaga con cui , fra l’altro, è
autore di tutte le canzoni del film.
La musica è la vera
protagonista del film, attorno e dentro cui si sviluppa la storia.
Traspare, nella visione
del film, una intensa passione per la musica che Cooper e Lady Gaga non mancano
di trasmettere allo spettatore, grazie alla loro vissuta ed intensa interpretazione delle figure dei due artisti del mondo della musica
rock.
Di Bradley Cooper abbiamo potuto apprezzare da tempo la sua
capacità recitativa, che lo colloca all’interno dei vertici mondiali; ma,
grazie a questo film, dobbiamo apprezzare anche la sua ottima regia e sceneggiatura e ,soprattutto, il livello
estremamente raffinato delle canzoni e
relativi testi che ha saputo creare insieme
a Lady Gaga.
Quest’ultima ,poi , è una vera rivelazione!
Interpreta il ruolo della protagonista con una
sensibilità, priva di sbavature, e con una intensità emotiva da attrice
consumata. Conoscevamo già le sue doti canore e di autrice; ma , le stesse vengono confermate e ingigantite dalla sua
bella interpretazione del personaggio di
“Ally”.
L’amore e la stima di
Jack , già affermata rockstar, permetteranno ad Ally di sbocciare come donna, come cantante ed
autrice, fino a diventare un’ affermata star. Tutto questo, mentre
contemporaneamente assisteremo al
declino di Jack, tormentato da un difficile passato familiare e dalla dipendenza
da droghe ed alcool. Proprio l’amore, che permette il riscatto e l’esplodere di
Ally, non riuscirà invece a salvare Jack che, forse proprio per amore,
preferirà sacrificarsi per consentire ad Ally di continuare a vivere intensamente
la sua vita di artista.
In quest’opera l’amore
non riesce a svolgere in pieno la sua
azione salvifica e ci ricorda , come spesso accade nella vita, che il
dolore antico , presente e nuovo sono spesso ineliminabili e forse insopportabili.
Ci rimane il messaggio artistico che, comunque, consegna i due protagonisti all’eternità
,grazie alla nostra fruizione della bellezza che hanno creato con
le canzoni che hanno composto, frutto del loro amore reciproco e per la vita.
MAMMA MIA! CI RISIAMO
Certo, non era facile fare il sequel di “Mamma mia”, lo splendido
film del 2008 con le musiche degli Abba
che narrava la delicata storia di Donna , della figlia e
dei suoi possibili tre padri raccontata
nella rarefatta atmosfera della sperduta
isola greca di Kalokairi( in realtà, le riprese di questo film sono state
effettuate nell’isola di Lissa in Croazia) .
Se per un attimo, tuttavia,
cerchiamo di non fare paragoni e proviamo a vedere questo film come una
creatura unica, possiamo apprezzarne, soprattutto, la carica vitale e sensuale
che caratterizza le pagine della sua narrazione. Il film ripercorre la
storia di Donna Sheridan facendola
rivivere dopo la sua morte prematura nel
ricordo della figlia Sophie. Sono passati cinque anni dagli avvenimenti narrati
nel film precedente, Donna è morta da un anno e Sophie ha deciso
di restare nell’isola, dove è cresciuta con la madre, e trasformare
il suo Bred & Breakfast in un hotel: il “ Bella Donna”.
La storia scorre insieme alle
musiche degli Abba sui problemi legati all’inaugurazione dell’Hotel e sulle
scelte di vita di Sophie e del marito
circondati sempre dall’affetto dei tre possibili padri e delle amiche della
madre. Sarà il ricordo della madre, della sua voglia di scoprire il senso della
vita seguendo sempre il suo desiderio,
anche quando il buon senso indicherebbe
il contrario, che l’aiuteranno a continuare la sua impresa, rimanendo legata alla sua isola e ai suoi
affetti . La sua scoperta maternità sarà poi un motivo di ulteriore identificazione con la madre e con il suo modo
di vivere. Nove mesi dopo, quando battezzerà il figlio nella stessa chiesa in
cui venticinque anni prima Donna battezzava la neonata Sophie,durante la
cerimonia , apparirà Donna nelle
sembianze amate di Meryl Streep e in un
insieme di fantasia e di realtà darà l'ultimo saluto a Sophie ,al nipotino e a
tutti noi spettatori.
Il film scritto e diretto da Ol
Parker aggiunge al riconfermato cast precedente una fantastica Lily James
nel ruolo di Donna giovane, Jeremy
Irvine,
Hugh Skinner, Josh Dylan, Alwexa Davies e Jessica Keenan Wynn, ,
rispettivamente nei ruoli Sam, Harry,
Bill, Rosie e Tanya da giovani. Al cast stellare precedente si aggiungono
ancora Cher nel ruolo di Ruby Sheridan , la madre di Donna, e Andy Garcia nel ruolo di Fernando Cienfuegos, scelto da Sophie come direttore del nascente albergo e che, all’arrivo
della nonna Ruby, si scopre essere stato un suo grande amore. Bello a questo
proposito il duetto di Cher e Garcia sulle note della canzone “ Fernando”.
COCO
Coco è un film
d'animazione del 2017 diretto da Lee Unkrich e Adrian Molina, che ne hanno curato anche il soggetto insieme a Jason Katze
Matthew Aldrich; mentre, la sceneggiatura è stata realizzata da Adrian
Molina e Matthew Aldrich.
Il film, distribuito
dalla Walt Disney Pictures, è stato
prodotto e creato dalla Pixar Animation Studios ( dal 2006 parte del
gruppo Disney) ed ha ottenuto due Oscar
2018 , per il miglior film d'animazione e per la migliore canzone con "Remember Me".
Con questo film, si
ritorna nell'incanto del mondo
Disney che ha accompagnato la
fanciullezza di molti di noi. Ci si parla della
voglia di vivere , di quell'amore speciale esistente fra un padre ed una figlia , della
bellezza della musica , dell'importanza dei rapporti familiari.
Sarà il giovane Miguel a
condurci per mano lungo tutta la storia,
mosso dalla sua passione per la musica ,
per la chitarra dell'innominabile tris-nonno che suona di nascosto , dal
desiderio di conciliare l'inconciliabile : il suo amore per i familiari e per
la musica.
Perchè questo rifiuto
della musica e di ogni cosa che la
ricordi in questa famiglia?
Perchè nella foto che ritrae il gruppo
familiare originario, quello della tris-nonna e della figlia Coco, non è visibile il volto del tris-nonno , strappato dalla foto?
Tutto inizia da una
coppia che si amava profondamente, così come amava la musica.
Essi cantavano insieme accompagnati dalla
chitarra dell'uomo, il trisnonno, che componeva anche le canzoni. Un giorno,
dopo sposati e dopo che era nata la piccola Coco, Il tris nonno era andato via,
perchè desiderava portare la sua arte al
mondo intero, mentre la moglie voleva fermarsi , mettere radici in un posto e crescere in armonia la figlia.
La moglie non lo aveva più perdonato, e da quel giorno
la musica era stata bandita da quella casa per
tutte le generazioni a venire .
La musica, tuttavia, rimane nei nostri cuori e
c'era una canzone che il trisnonno aveva scritto per la figlia Coco, a cui la
cantava ogni sera prima di andare via,
che diceva " Ricordami "
e che ritorna sempre nel cuore e nella mente del piccolo Miguel,
spingendolo inevitabilmente verso la musica nonostante tutte le proibizioni.
Quella canzone e quella passione
porteranno Miguel , attraverso un lungo
percorso avventuroso fra la realtà e
l'aldilà, a ricomporre l'unità di quella famiglia, ridandole le radici con la rivalutazione completa del ricordo
del trisnonno, che era morto proprio prima di poter tornare a casa come
desiderava.
Il ricordo è importante
per l'unità della famiglia e per la stessa speranza nel futuro ,
perchè in esso rimaniamo vivi , in quello di chi ci ama o ci
ha amato.
Il ricordo rivivrà e farà
rivivere in un attimo speciale il padre nella mente di una vecchia Coco , bisnonna
di Miguel, che riuscirà a cantare
insieme a lui , balbettando, la canzone
" ricordami" in una delle scene più commoventi del film , rompendo il
tabù del divieto della musica presente in quella famiglia e ridandole una vita
piena.
E' particolarmente toccante la scelta della
rappresentazione del delicato e tenero
amore del padre nei confronti della piccola Coco, che accompagna tutto il film
e che, con la canzone "Ricordami" , ci rimane nel cuore a proiezione conclusa.
LADY BIRD
“Lady
Bird” è un film statunitense del 2017 scritto e diretto da Greta Gerwig ed
interpretato da Saoirse Ronan( nel ruolo della protagonista Cristine) , Laurie
Metcalf( la madre), Tracy Letts, Lucas Hedges e Timothée Chalamet. Ha ottenuto
cinque nomination ai Premi Oscar 2018 di
cui una per il miglior film, per miglior attrice a Saoirse Ronan, miglior
attrice non protagonista a Laurie Metcalf, migliore sceneggiatura originale e
miglior regista a Greta Gerwig.
La
narrazione si svolge a Sacramento ( California) e ci parla del momento di
passaggio dall’adolescenza all’età adulta di una giovane donna Christine
"Lady Bird" McPherson, studentessa dell'ultimo anno di un liceo
cattolico della periferia della città. E una storia che potremmo definire
intimista ed universale perché centra l’obiettivo della macchina da presa su
quelle che sono le problematiche di quell’età: il contrasto con i genitori, la
gestione dei rapporti di amicizia, la prima esplorazione e conoscenza dei
rapporti amorosi e sessuali, il desiderio di realizzarsi secondo i propri
desideri e non seguendo acriticamente quanto è già previsto per noi,
specialmente dai genitori, ma non solo.
L’inevitabile
anticonformismo , a tratti ribelle , non esce comunque mai al di fuori dei
normali canoni di devianza momentanea propri di quell’età ed il film rimane
all’interno di una dinamica sostanzialmente personale ed intima
senza mai avventurarsi in discorsi di tipo diverso ( di carattere
sociale, politico ecc.) pur mostrandoci i cambiamenti
e le nuove caratteristiche comportamentali della periferia americana
contemporanea.
Da
un lato “Lady Bird” , come ogni adolescente, chiede alla sua famiglia maggiore
attenzione per i suoi desideri e per il modo in cui vorrebbe vivere; dall’altro, inevitabilmente, il genitore
richiama la giovane alle proprie responsabilità familiari e sociali ed
all’impegno necessario per raggiungere qualunque obiettivo.
Sembra
un dialogo fra sordi; ma, in realtà, ognuno di noi ricorda quelle improvvise ed
inaspettate manifestazioni di affetto dei propri genitori che hanno messo in
crisi e cambiato i nostri giudizi su di
loro, facendoceli poi apprezzare per la loro dedizione e per i sacrifici che
avevano affrontato .
Il
giovane di ogni tempo desidera riuscire a volare da solo, con le proprie ali , ribadendo al mondo
intero che è un animale libero : “Lady Bird”.
Così
come nella notte dei tempi, si ripercorrerà il sentiero di Adamo e si preferirà
capire da soli cosa sia il bene e cosa
sia il male, rischiando certo di farsi male, ma riuscendo in tal modo a
sentirsi liberi ed adulti.
Solo
a quel punto “ Lady Bird” potrà ritornare a chiamarsi Cristine.
FIGLIA MIA
Chiunque abbia la fortuna di poter esprimere le
parole “figlia mia”, non dovrebbe mai cercare d’impedirne la possibilità ad un
altro genitore, sia che si tratti del padre o della madre naturale nei
confronti di quelli adottivi o viceversa; men che mai, inoltre, nei confronti
dell’altro membro della coppia che ha dato la vita a quel figlio.
Eppure, troppe volte assistiamo alla guerra
dell’odio e della paura per il controllo dei figli e/o per accaparrarsene
totalmente la gestione, come se l’amore potesse avere un limite ed avesse un
senso privarne un altro per riuscire a goderne.
Come se l’amore del proprio figlio potesse
essere ottenuto attraverso il suo possesso e la proibizione dei
rapporti con l’altro, negandogli la possibilità della compagnia , della confidenza
, dell’esempio, dell’amore dell’altro genitore.
E’ la paura che domina, a quel punto, l’azione
della persona, cercando di troncare quel rapporto d’amore che, in realtà, ha
permesso lo stesso concepimento di quella creatura “ figlia mia”.
Amore e paura si mescolano nel rapporto fra le
persone e diventano i motori del loro stesso comportamento.
E’ di questo argomento che desidera parlarci Laura Bispuri nel suo nuovo film “ Figlia mia”, recentemente presentato al 68º festival internazionale di Berlino.
Dopo la sua opera precedente “ Vergine giurata” ,affiancata nuovamente nella sceneggiatura da Francesca Manieri, si
addentra con un punto di vista femminile
nell’intreccio dei rapporti fra tre donne: Angelica, madre naturale di Vittoria
, una ragazza che vive in una situazione
marginale e di degrado, spesso ubriaca e
facilmente disponibile a rapporti saltuari con gli uomini alla ricerca disperata di affetto e denaro;
Vittoria, una bambina di dieci anni dai capelli rossi e dai lineamenti particolari,
poco comuni in Sardegna, che l’avvicinano naturalmente ad Angelica; Tina , la
madre adottiva , che ha aiutato Angelica
a partorire sua figlia , dopo averla trovata sofferente ai margini di un
sentiero, e che poi si è presa cura da quel momento di Vittoria, crescendola
come la sua unica e vera figlia.
Tre grandi attrici ci conducono per mano
nell’esplorazione delle emozioni e dei pensieri dei loro personaggi. Dico tre
perché anche la piccola Sara Casu, nella
parte di Vittoria, riesce ad appassionarci al suo personaggio, mostrandoci con
vera bravura la sua naturale evoluzione. Le altre due sono Valeria Golino e
Alba Rohrwacher, rispettivamente Tina e
Angelica, la madre adottiva e quella naturale di Vittoria, che ci regalano due
belle interpretazioni dei loro personaggi: dense e piene di sfaccettature.
Amore e paura sono i protagonisti del film,
articolandosi nell’intreccio della, vicenda.La ricerca dell’amore filiale e
materno ed il modo particolare in cui
questo si manifesta; ma, nello stesso tempo , la paura di non averlo ,
di perderlo, di non mantenerlo.
La paura che ognuno di noi vive in ogni momento
della sua vita può essere paralizzante e
fonte di avversione e di odio; oppure, può e deve essere naturale strumento di
osservazione dei problemi e dei limiti
con cui ci rapportiamo. La paura dovrebbe essere uno dei migliori
strumenti di prevenzione e di analisi dei rischi e delle difficoltà a cui
andiamo incontro, per poterle superare e vivere con maggiore pienezza la nostra
vita.
Può essere, tuttavia, la causa della nostra
rinuncia a vivere un’esistenza pienamente soddisfacente, la fonte di sentimenti
di odio e rivalsa nei confronti di chi riteniamo colpevole delle nostre
difficoltà. Può portarci ad impedirci ed impedire di vivere.
Il superamento, da parte di Vittoria, della
paura di calarsi in un cunicolo , stretto e buio , dove forse solo lei può
entrare, alla ricerca di un improbabile
tesoro, della cui esistenza la madre naturale è convinta, rappresenta la scoperta di un reale grande tesoro per la
sua vita: la capacità del coraggio, di andare a vedere la realtà e di trovare
se stessi in fondo al cunicolo, la capacità di andare avanti per sè e per le
persone che ami.
Laura Bispuri ci conduce con il suo film nel
dedalo del rapporto fra questi sentimenti , con mano delicata e senza
aprioristici giudizi di valore,
mostrando sempre una grande
attenzione e solidarietà per i problemi espressi dai suoi personaggi.
La vicenda ha come sfondo ed ambientazione gli
splendidi paesaggi naturali della Sardegna, valorizzati dalla bella fotografia di Vladan Radovic.
Completano il cast il montaggio di
Carlotta Cristiani, le musiche originali di Nando Di Cosimo, i costumi di
Antonella Cannarozzi, la scenografia di Ilaria Sadun
THE SHAPE OF WATER
Un film , una favola garbata e niente affatto banale sulla realtà della
solitudine e della poca attenzione per la dignità dell'uomo presente nelle
nostre società.
E' anche, tuttavia, un racconto
dell'apertura , della solidarietà e della decisione di non accettare con
rassegnazione tutto questo. Come in ogni favola , poi, si racconta che chi
scelse questa strada alla fine visse felice e contento .
Bella l'ambientazione negli USA anni cinquanta , la musica e le canzoni
che ci accompagnano durante la visione.
Bravi tutti gli attori. e bravo
Guillermo del Toro, già premiato a Venezia ed in corsa per l'Oscar.
Desidero aggiungere una seconda osservazione, legata proprio all'ambientazione
del film negll'America degli anni '50. In ogni favola un elemento importante è
costituito dall'individuazione del cattivo . In " the shape of water"
mi sembra che , non a caso , si sia identificata questa figura nell'apparato militare ed istituzionale degli USA di quell'epoca e, per analogia, anche del
suo equivalente sovietico, in piena guerra fredda. Sono loro che si muovono
senza alcun interesse reale per le persone o per l'entità che stanno studiando.
Sono loro che svolgono la funzione del " cattivo ".
La domanda che nasce spontanea, a questo punto, è perchè Del Toro abbia
scelto quest' ambientazione e quel periodo
per raccontarci la sua favola. A pensar male spesso s'indovina ed una spiegazione potrebbe
essere data proprio dal cambiamento recente
avvenuto nella società americana con l'elezione di Trump alla sua guida.
Se ci pensiamo bene, il valore
della persona , la sua liberazione, la
sua importanza anche nei confronti dell'establishment era sta rivendicata con
forza dai movimenti dei diritti civili ,
studenteschi e d'opinione degli anni '60,
che avevano radicalmente contestato proprio quel modo di vivere e di
ragionare dell'America che ci viene presentata dal film. . I presidenti
democratici e repubblicani che si sono succeduti alla guida degli USA ne sono
stati in qualche modo influenzati
e/condizionati.
Oggi, sembra invece che quella
generazione abbia esaurito il suo compito e che
quell'America voglia ritornare, prendendosi una rivincita storica.
Questo film in qualche modo la combatte
mostrandoci la bellezza dell'incontro tra anime diverse.
Tornando alla bravura degli attori,
non possiamo non sottolineare quella di Sally Hawkins che nel film
è Elisa Esposito, candidata all'Oscar per la migliore attrice
protagonista, e che avevamo già ammirato
nel film "Blue Jasmine" di Woody Allen , per il quale ha ricevuto la
sua prima candidatura agli Oscar nella sezione miglior attrice non
protagonista. Accanto a lei c'è Octavia
Spencer ( Zelda Delilah Fuller) che
ricordiamo nel film The Help (2011), per
il quale ha vinto l'Oscar alla miglior attrice non protagonista oltre che per
la sua interpretazione di Dorothy
Vaughan ne "Il diritto di contare (2016)".Tra le figure maschili è sembrato particolarmente convincente
Michael Shannon nel ruolo del col. Richard Strickland . L'attore è stato
candidato in passato per l'Oscar come
miglior attore non protagonista per il
film " Revolutionary Road" e
nel 2010 ha preso parte alla serie televisiva " Boardwalk
Empire - L'impero del crimine".
Un bel film candidato a complessivi 13 Oscar.
Ore 15:17 - Attacco al treno
Il film , diretto da Clint Eastwood, è basato sull'autobiografia
"The 15:17 to Paris: The True Story of a Terrorist, a Train, and Three
American Heroes" di Jeffrey E. Stern, Spencer Stone, Anthony Sadler e Alek
Skarlatos e racconta del tentato attacco
terroristico del 21 agosto 2015 sul treno Thalys 9364 diretto da Amsterdam a
Parigi, sventato da tre coraggiosi giovani soldati americani che erano in
vacanza in giro per l'Europa.
Il loro gesto permise di salvare
la vita di oltre 500 passeggeri ed è stato premiato con il conferimento da parte del Presidente Hollande della legione d'Onore , la più alta
decorazione francese. E' importante sottolineare come nel film Stone, Sadler e Skarlatos interpretino se
stessi.
Eastwood ci parla ancora una
volta dell'eroismo , della necessità di
fare qualcosa nelle situazioni di crisi e di emergenza e di come quest'azione salvi non solo chi viene aiutato
ma anche chi la compie, sostenendolo nel suo percorso di vita e nella sua crescita personale.
E' questo spesso un tema centrale del lavoro di questo regista, che
abbiamo ammirato anche come attore nel ruolo di personaggi capaci di attuare
questi comportamenti. Il massimo lo ha forse realizzato in " Gran Torino" dove è stato allo
stesso tempo regista e protagonista.
Quello che Eastwood non manca di sottolineare è anche come questa
modalità d'intervento, l'azione eroica, può essere alla portata di tutti noi e
spesso rappresenti lo sbocco naturale di
un percorso di vita, posto dinanzi ad una situazione eccezionale.
E' per questo che in questo film
il regista, dopo averci mostrato nelle immagini iniziali le scene principali dell'assalto al treno,
torna successivamente indietro nel tempo raccontandoci il percorso di
formazione dei tre ragazzi protagonisti del film .Il loro incontrarsi da
bambini ,lo sviluppo della loro amicizia, gli interessi e i valori con cui sono cresciuti , gli obiettivi che hannno
cercato di realizzare e che in qualche
modo li caratterizzeranno nelle loro azioni future e nel loro modo di reagire a
degli eventi imprevisti ed eccezionali.
Si potrebbe obiettare ad Eastwood che la sua macchina da presa tenda a sfumare la dimensione sociale, di cui
comunque si occupa, per concentrarsi sull'azione eroica, sul gesto individuale.
E' probabilmente una scelta! Eastwood non si occupa delle azioni sociali collettive, dei sentimenti e delle
scelte intellettuali conseguenti o della formazione e descrizione dei movimenti
di opinione . No, la sua attenzione è rivolta all'aspetto strettamente personale ed individuale, all'azione esemplare del
singolo di fronte ad una situazione drammatica
e di emergenza, anche se la
stessa ha poi rilevanza sociale all'interno della comunità in cui vivono i suoi
protagonisti.
A margine non possiamo che rallegrarci ed essere orgogliosi per le splendide immagini delle bellezze
artistiche e monumentali delle città di
Roma e Venezia mostrate nel film in relazione al viaggio in Europa dei tre
giovani americani .
Ancora una volta Eastwood ha saputo interessare lo spettatore dalla
prima all'ultima scena aiutato nella sceneggiatura dalla giovane
trentacinquenne Dorothy Blyskal, alla prima scrittura per il cinema dopo alcune
esperienze come segretaria di edizione e assistente di produzione in altri
film tra cui "Logan" e "Sully".
A CASA TUTTI BENE
Il nuovo film di Muccino " A
casa tutti bene" si addentra all'interno di un'analisi disincantata dei
rapporti familiari e di coppia . L'occasione è data dal festeggiamento delle nozze d'oro della coppia
capostipite che riunisce attorno a se
tutte le altre. Quelle di tutti i parenti riuniti nello splendido
scenario di una villa all'interno
dell'isola di Ischia . Vecchi e nuovi
problemi di relazione avranno modo di svilupparsi attorno ai vari
personaggi in quasi tutte le tipologie
possibili per poi spiegarci con la voce
di Stefania Sandrelli che la problematicità è forse la normalità della vita di
coppia. Muccino riesce grazie anche alla
bravura degli attori a coinvolgerci
nella sua storia aiutandosi poi con dei momenti musicali che riuniscono l'intera famiglia attorno al
pianoforte dove il bravo Gianmarco Tognazzi , forse il componente più "
marginale" del gruppo, riesce invece ogni volta a coinvolgere tutti in
rari momenti di unità affettiva. Per ognuno ,comunque, vi sarà il compito di coniugare il proprio
futuro ed il desiderio di felicità ed
autenticità con un bilancio della propria vita di relazione.
Non posso chiudere questa breve
riflessione senza citare i
principali attori di questo film , i cui
volti sono parte viva del panorama cinematografico italiano e che hanno contribuito non poco ad appassionarci alla vita dei loro
personaggi : Stefano Accorsi, Carolina Crescentini, Elena Cucci, Tea Falco,
Pierfrancesco Favino, Claudia Gerini, Massimo Ghini, Sabrina Impacciatore,
Gianfelice Imparato, Ivano Marescotti, Giulia Michelini, Sandra Milo, Giampaolo
Morelli, Stefania Sandrelli, Valeria Solarino, Gianmarco Tognazzi
L’INSULTO
Sono passati molti anni dalla
fine della guerra civile in Libano,
combattuta in tutto il paese fra il 1975 ed il 1990; ma, i motivi di
contrasto ed i rancori accumulati fra le
diverse etnie e parti sociali non si
sono ancora spenti.
D’altra parte, quel conflitto
nato dal
contrasto tra la componente cristiana , preoccupata ed infastidita dal
massiccio arrivo nel territorio dei
profughi palestinesi, e la componente musulmana aveva sconvolto la vita del Libano per anni
ed era cessato solo in seguito ad una
occupazione dell’esercito siriano, la cui presenza fu successivamente definita “ fraterna”
dall’accordo “d’intesa nazionale”
firmato Il 22 ottobre 1989 dai deputati libanesi riunitisi a Ta’if
in Arabia Saudita.
Bisognerà aspettare il 2005
perché I Siriani lascino il paese sotto la spinta delle manifestazioni popolari
conosciute come “ la rivoluzione dei cedri”.
La guerra civile ha segnato la
vita di tante persone e vi sono stati episodi di vera crudeltà sia dall’una che
dall’altra parte.
La prima strage più importante fu quella di
Qarantina, nel gennaio del 1976, in cui
furono uccise circa 1000/1500 persone di
una baraccopoli prevalentemente musulmana posta nel quartiere cristiano di
Beirut, controllata da forze della OLP e abitata da curdi ,siriani e
palestinesi. La risposta della controparte non si fece attendere e pochi giorni dopo ebbe luogo il massacro di Damur, una città
cristiana a sud di Beirut, in cui ca.
500 persone furono uccise ed il
rimanente fu costretto a fuggire.
La strage di Damur è alla base
della rabbia e dei ricordi di Tony Hanna
uno dei protagonisti de
“L’insulto “ un film del 2017 diretto da Ziad Doueiri.
Tony ci viene presentato fin dalle prime scene come un appassionato
seguace del partito d’ispirazione
cristiano/patriottica di Bashir Gemayel,
il leader politico assassinato nel 1982,
figlio di Pierre Gemayel, fondatore delle Falangi libanesi. Il
suo odio antico verso la presenza palestinese in Libano avrà modo di uscire
fuori in tutta la sua pienezza grazie ad un banale contrasto , un piccolo
litigio seguito da un insulto da parte di Yasser Abdallah Salameh, un capo
operaio palestinese.
Il pretesto banale innesca un contrasto pesante tra le
persone e serve al regista per
un’escalation della trama e della
narrazione filmica che coinvolge
l’intera società Libanese. Una collettività che porta ancora vive le ferite mai
rimarginate degli antichi contrasti e che mal
sopporta la forzata convivenza fra etnie
e religioni diverse.
Eppure, il rispetto fra le
persone è possibile se solo si avesse l’occasione o la consapevolezza di
guardarsi con un occhio libero dal pregiudizio e dall’odio politico e di parte.
Nessuno è in fondo innocente! I diversi comportamenti sono tutti potenzialmente
lesivi dell’integrità dell’altro e se solo riuscissimo ad andare oltre il
nostro primitivo risentimento, potremmo
scorgere la strada del rispetto per chi, ai nostri stessi occhi, forse ne è
meritevole, iniziando la strada
difficile e mai scontata della riconciliazione.
Tutto questo non è facile e per
nulla scontato se lo stesso regista Ziad Doueiri, tornato dalla
mostra di Venezia dove aveva presentato
il film, è stato arrestato, processato e
prosciolto da un tribunale militare, dopo essere stato accusato di aver "cospirato
con il nemico" per aver girato il film “ Attak” in Israele cinque anni fa.
Ai cittadini libanesi è infatti proibito visitare un paese con cui il Libano è
ufficialmente in guerra. Il cineasta 54enne, che ha studiato in America (era l'operatore
di Quentin Tarantino in Le iene, Pulp Fiction e Jackie Brown), era stato
arrestato domenica sera subito dopo l'atterraggio a Beirut.
“L’Insulto” è un film è intenso e coinvolgente, interpretato
magistralmente da tutti gli attori fra cui spiccano in particolar modo i
due litiganti : Adel Karam nel ruolo
di Tony Anna e
Kamel El Basha ( Yasser Abdallah Salameh) che ha vinto la Coppa Volpi per la miglior interpretazione maschile alla
74ª Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia.
Mi sono piaciute molto anche le principali interpreti femminili: Diamand Bou Abboud nel ruolo della giovane avvocatessa Nadine Wehbe
e Rita Hayek nel ruolo di Shirine , moglie
di Tony Anna .
Il film, la cui sceneggiatura è stata curata dallo
stesso Ziad Doueiri e dalla sua compagna
Joelle Touma, è stato selezionato per rappresentare il Libano ai premi
Oscar 2018 nella categoria per il
miglior film in lingua straniera e, personalmente, ritengo sia tra i favoriti.
Ziad Doueiri, che ha studiato negli USA (era l'operatore di
Quentin Tarantino in Le iene, Pulp Fiction e Jackie Brown), in precedenza ha
firmato la regia di West Beyrouth (1998), Lila dice ( 2004) e
The Attak ( 2012).
ELLA & JOHN
John conosce quasi a memoria interi brani delle pagine di Hemingway; ma
,spesso, non ricorda neanche dove si trova e perchè. Gli è sempre piaciuta la
letteratura, di cui è stato insegnante, e gli
autori come Joice ed Hemingway, di cui dice che la prosa così secca e
scarna è quasi poetica. Mantiene una
buona forma fisica, nonostante la tarda
età, e riesce a guidare ancora bene il suo amato Camper; ma, senza Ella,
si sente perduto.
Ella , sua moglie e compagna di vita, mantiene ancora un aspetto
giovanile con la sua parrucca castana ed il rossetto; ma, un male
incurabile le lascia ormai pochi giorni da vivere.
Il destino di Ella, a quel punto, è solo quello di un letto confortevole
in una stanza di ospedale , in una clinica o a casa, fino all'ultimo respiro,
circondata dai suoi cari.
Per John il futuro probabile è quello di occupare un angolo silenzioso
di una casa di riposo .
Si può pensare di restare giovani
nonostante il passare degli anni?
Ella e John pensano che forse
sia possibile anche fino alla morte e
preferiscono partire da Boston con il loro mitico "Leisure Seeker" in
un "viaggio contromano", come ci racconta Michael Zadoorian nel suo bellissimo romanzo
da cui Paolo Virzì ha curato la trasposizione cinematografica nel suo primo
film in lingua inglese.
Ella e John, interpretati rispettivamente da due miti del cinema come
Helen Mirren e Donald Sutherland, partono quindi verso i luoghi e le atmosfere del loro passato; ma,
anche, con un nuovo obiettivo: un regalo di Ella per John...la visita del museo
della casa di Hemingway a Key West.
Lasciati di stucco i propri figli , che scoprono l'accaduto quando i
genitori sono già in viaggio . Ella e John ripercorrono i luoghi , le immagini
, le atmosfere, i ricordi del loro passato, scoprendo ancora dentro di sé la
capacità di meravigliarsi della bellezza , il piacere di ascoltare la musica
che scorre insieme alla strada , gli incontri casuali con gli altri, il piacere
di stare insieme, del loro amore.
Scopriranno e metteranno a posto episodi e parti del loro passato
.Subiranno i problemi della loro condizione ma non si pentiranno mai delle loro
scelte, neanche di quella del loro ..................ultimo viaggio.
Al margine della storia dei
nostri protagonisti, Virzì ci mostra un'
America attorno che è cambiata rispetto a
quella vissuta in gioventù da questi eterni giovani vecchi.
Sono parti di una generazione e
di un sogno americano che, in qualche
caso, ci stanno già lasciando.
LOVELESS
Senza amore è il titolo, il contenuto ed il messaggio del film.
Senza amore, la vita e le relazioni fra le persone si esauriscono. Anche
i più importanti rapporti affettivi non
riescono più a soddisfarci, diventando al contrario insopportabili.
Non rimane che la separazione, più o meno consenziente, o la fuga, come
quella irreversibile di Alyosha.
Eppure, continueremo a rimproverare l’altro per la nostra infelicità e
riproporremo infinitamente di nuovo la stessa modalità di rapporto fondata sul
nostro desiderio di appagamento e di soddisfazione, curandoci scarsamente di
quella dell’altro.
Siamo sicuramente più attenti ad ottenere un like sui socials che
frequentiamo, piuttosto che un vero e intimo sorriso da parte di una persona
reale.
E’ questo il quadro della relazione fra le persone e della stessa
moderna società russa che ci mostra Zvyagintsev in questo duro e crudo film che
ci lascia senza alcun finale consolatorio.
Loveless è un film diretto da Andrej Zvjagincev , scritto dallo stesso in collaborazione con Oleg
Negin e interpretato da Maryana Spivak, Aleksey
Rozin, Matvey Novikov, Marina Vasilyeva, Andris Keiss. Produzione Russia, 2017. Il film è stato selezionato per rappresentare la Russia agli
Oscar 2108 nella categoria per il miglior film in lingua straniera ed ha
ricevuto il premio della giuria al Festival di Cannes- 2017.
LA RUOTA DELLE MERAVIGLIE
Il nuovo film di Woody Allen, La Ruota delle Meraviglie (Wonder
Wheel),2017, ambientato nei primi anni cinquanta a Coney Island ,con la spiaggia . il
brulicare della gente e la spettacolare Ruota panoramica costruita negli anni
venti sullo sfondo ( quasi a simboleggiare
il lento svolgersi dell’esistenza)
si addentra nella vita dei quattro
personaggi centrali della storia, raccontandocene le
frustrazioni , i desideri, le debolezze,
le speranze. Stupenda la fotografia di Storaro , la ricostruzione
dell’atmosfera dell’epoca e la scelta dei brani musicali che ci accompagnano
per tutta la durata del film.
La coppia dei protagonisti Ginny (Kate Winslet) e Humpty (Jim Belushi)
sposatisi in seconde nozze, vivono li nei pressi della boardwalk, in una
modesta baracca, svolgendo degli umili lavori.
Lei ,ex attrice , aveva avuto
un’avventura con un suo collega di scena e Il marito, che amava, dopo averli
sorpresi, amareggiato e deluso era sparito per sempre, lasciandola a struggersi
per il rimorso insieme al suo
figlioletto.
Lui, dopo la morte della moglie , era rimasto deluso dalla figlia che,
nonostante il suo diniego, aveva sposato
un gangster e si era dato all’alcool.
Distrutti ed amareggiati, avevano
provato a sorreggersi a vicenda e ricostruirsi una vita. Adesso, erano lì a
provarci, trovandosi comunque a combattere il malessere del figlioletto di
Ginny che si esprimeva in una tendenza
alla piromania ed alla fuga. Forse l’unico modo immaginato in cuor suo per
sfuggire a un destino come quello di sua
madre.
Cosi’ come in qualche modo
avevano conosciuto l’amore ,adesso, in quello strano connubio di sopravvivenza
che era la loro unione, questo non
sembrava essere più presente, lasciando nei loro cuori una costante ombra di
malinconia e di rimpianto.
Ma la ruota della vita non si ferma mai
ed ecco che Ginny si trova ad
incontrare, durante una passeggiata in riva al mare, il giovane bagnino Mickey (Justin
Timberlake), con aspirazioni da commediografo, con cui intreccia una relazione
clandestina . Humpty, nel mentre, ritrova la speranza nel futuro con il ritorno della figlia Carolina (Juno
Temple) che gli chiede asilo dopo essere scappata dal marito gangster che la
cerca per ucciderla.
La ruota della vita continua a girare ed il motore che ne assicura il
movimento non si ferma mai ,intrecciando
inesorabilmente fra di loro le vite di tutti i protagonisti.
E’ anche una ruota delle
meraviglie perché è questo che forse, inconsciamente, ognuno continua
testardamente a cercare : di essere stupito dalla bellezza dell’esistenza e di
ricercare la felicità, sottovalutandone i costi e le possibili conseguenze.
La desolante esperienza quotidiana comune è tuttavia, per molti, quella
della gestione del fallimento attraverso
una triste accettazione della rinuncia.
Ricetta altrettanto deludente contro di
cui spesso l’unica soluzione possibile sembra la fuga o la distruzione di tutto
; magari, attraverso il fuoco purificatore del
figlioletto di Ginny.
La nostra naturale ricerca della
felicità, però, non ci lascia mai e ci
ricorda continuamente quello che abbiamo perduto o che non abbiamo ancora
trovato.
L’impulso irrinunciabile ed
irresistibile che guida la nostra vita
non è comunque necessariamente
portatore di equilibrio ; anzi, spesso, al contrario, è possibile che ci
porti a scontrarci con tutto ciò che lo ostacola, anche quando è legittimo .
Le categorie morali non riescono
a guidarci nelle nostre scelte perché il senso d’innocenza di cui siamo pieni ,quando crediamo di perseguire solo il
nostro diritto naturale ad essere felici, ci fa pensare che tutto il resto non
conti.
Tutto il resto, invece, sarà importane per il futuro e la
realizzazione della nostra felicità e della nostra vita. Se spinti dai nostri
impulsi, considerati sempre innocenti ed irrinunciabili, oltrepasseremo i
limiti del rispetto dell’altro, inevitabilmente saremo coinvolti nel baratro
della conseguenza negativa delle nostre azioni. La stessa realizzazione di ciò
che desideriamo andrà rapidamente in
fumo lasciandoci da soli a piangere sui nostri errori . Cercheremo a quel punto
, nel migliore dei casi, una strada per
sopravvivere cercando disperatamente una qualsiasi forma di
serenità anche a costo di compromessi e dell’accantonamento dei nostri
sogni ; ma, l’impulso inarrestabile della
ricerca della felicità continuerà a covare
all’interno dei nostri cuori ed irrisolto sarà pronto a sfociare in un nuovo incendio.
SMETTO QUANDO VOGLIO AD HONOREM
Salvateci, non dal gas nervino, ma
dall'ipocrisia e dal malcostume dei potenti.
Salvateci da quest'Italia decadente ed ignorante
anche nelle sue critiche più esacerbate nei confronti di un sistema iniquo e
ingiusto.
Le migliori intelligenze di questo Paese ,
disperse e disprezzate , fuggitive in
cerca di salvezza, sono la nostra possibile speranza di cambiamento.
Quando in questo film Sydney Sibilia ci mostra
la loro sensibilità nei confronti di altri giovani che, come loro, sono
innamorati della ricerca e della conoscenza,
mentre inevitabilmente li aspetta un destino di trascuratezza ed ignavia
da parte proprio di chi dovrebbe
valorizzarli ed utilizzarli per il nostro bene comune, forse, c'è ancora
da sperare nel futuro del nostro Paese.
Il terzo film del ciclo " Smetto quando
voglio" è forse quello in cui Sibilia ha voluto lasciare un messaggio di
speranza e d'inquietudine. Non se l'è sentita di partecipare al gioco al
massacro che caratterizza la nostra epoca e ci priva di ogni ragionevole
speranza.
Si, è vero, ci ha mostrato come delle giovani
eccellenze siano capaci di eccellere anche nel male, se ne sono costretti; ma,
nel suo ultimo film, che conclude in maniera impeccabile il ciclo, ci spiega
che non è questo il destino di chi ha la fortuna e il dono della cultura e
dell'intelligenza .
No, è il servizio per il bene comune la loro
passione. E’ la conoscenza e l'indagine che essi bramano. E’ l'integrità che essi sognano per il loro
ed il nostro futuro.
Vi consiglio la visione di questo film, di cui
si parla troppo poco e che invece colpisce nel segno con una disamina
drammatica di uno dei mali italiani : Il profondo spreco delle risorse e della persona a favore di uno stupido potere, privo esso
stesso di speranza, di ambizione e di significato.
Fortunatamente, in ogni settore, c'è gente di
buona volontà che si adopera perché si vada avanti e la banda dei nostri
ricercatori troverà un aiuto insperato anche da parte di una giovane poliziotta,
al di fuori di ogni ragionevole canone.
Un film importante, diretto e scritto da Sydney
Sibilia ed interpretato magistralmente da una coralità di giovani attori che
continuano a portare avanti la qualità del cinema italiano.
THE SQUARE
“The Square” è il nome dell’opera di
un'artista argentina acquistata da Christian, curatore di un museo d'arte
moderna e contemporanea di Stoccolma.
Essa è, in realtà, il perimetro di un quadrato
piazzato a terra con una targa in cui è scritto: "Il Quadrato è un
santuario di fiducia e altruismo. Al suo interno tutti dividiamo gli stessi
diritti e doveri."
In qualche modo, potrebbe e dovrebbe simulare
le nostre società in cui le regole costituzionali rappresentano il patto
iniziale, " il contratto sociale " che ne permette la nascita ed in
cui ogni cittadino dovrebbe avere gli stessi diritti e gli stessi doveri. La
realtà della vita, che circonda il protagonista e che tutti noi giornalmente
osserviamo, è tuttavia molto diversa.
Ognuno
di noi si muove, anche in buona fede, tentando di vivere nel modo più corretto
e solidale possibile; ma, in realtà, il suo personale “quadrato" non
corrisponde all'intero consesso sociale, ma ad una sfera estremamente limitata
di persone. Essa può comprendere i familiari, gli amici più cari, colleghi di
lavoro e pochi altri. Come ognuno di noi, Christian vede, come
"esterni" alla società e al suo quadrato, i marginali che,
insistentemente, chiedono l'elemosina e la sua continua solidarietà, i passanti
sconosciuti, le persone che occasionalmente incontra per i più svariati motivi
e che servono a realizzare i propri obiettivi e bisogni, senza lasciarsene
coinvolgere troppo. È indicativo a tal proposito l’atteggiamento narcisista e
scostante nei confronti della bionda giornalista con cui aveva avuto un
rapporto sessuale
Non tutti possono entrare nel quadrato e
questo aspetto è evidenziato in modo sconvolgente anche dal filmato che la
società di marketing sceglie di realizzare per pubblicizzare l'iniziativa del
museo con la presentazione dell’opera " the square”. In esso, una piccola
bionda mendicante si avvicina lentamente al quadrato e, prima di riuscire ad
oltrepassarne il perimetro, esplode scomparendo in una nuvola di fumo.
La scena è molto forte e susciterà indignazione,
risultando virale sul web. Christian dovrà scusarsi pubblicamente e dimettersi
dal suo ruolo per non averla neanche valutata e vista prima della sua
diffusione, mostrando ancora una volta come spesso le conseguenze colpevoli dei
nostri atteggiamenti possono essere determinate anche dall'indifferenza o,
peggio, dall'incuria con cui li poniamo in essere.
Spesso,
i nostri comportamenti diventano cattivi solo perché provocati da un torto
subito o dalla nostra indifferenza e disattenzione. Possono andare oltre le
nostre intenzioni e risultare lesivi dell'altro. Il film ci farà vedere come
Christian, per recuperare il proprio portafoglio e lo smartphone rubatogli,
metterà delle lettere minatorie in tutte le buche della posta degli inquilini
di un palazzo di una zona popolare all'interno del quale ha individuato la
possibile abitazione del ladro. Riavrà le sue cose ma la sua azione, incurante
degli effetti su tutti gli altri, procurerà delle conseguenze pesanti
specialmente nei confronti di chi, innocente, si è sentito offeso e
discriminato dalle sue accuse.
Quando
siamo provocati, possiamo reagire personalmente anche in maniera eccessiva e
violenta mettendo in moto un meccanismo che supera le nostre intenzioni e
propaga nel sociale ulteriori difficoltà. Il regista non tralascia ancora di
simboleggiare tutto questo anche nel rapporto fra lo spettatore e le opere dell'arte contemporanea:
Ciò appare ad esempio nelle scene in cui
ci mostra il dialogo tra il curatore e la giornalista con i rumori cacofonici
di un'opera d'arte audiovisiva sullo sfondo; la cena con il performer che
eccede nella sua trasgressione provocando un eccesso d'ira delle persone che lo
picchieranno selvaggiamente in gruppo; la conferenza stampa disturbata dallo
spettatore con la sindrome di Tourette, che risulta oggettivamente fastidioso
nonostante gli inviti ad essere comprensivi a perdonarne le intemperanze .
La società nel suo complesso, la visione del
“quadrato" all'interno di cui dovremmo collaborare l'un l'altro è lontana
dalla sua realizzazione. D'altra parte, non è che ognuno di noi ,singolarmente,
può risolvere tutto, ci spiega Christian durante il suo intervento davanti alla
stampa riunita per le comunicazioni successive allo scandalo provocato dal
video virale. Deve essere lo Stato ad
agire, per rimuovere le diverse problematiche presenti.
Christian cercherà di rimediare alle sue
azioni accettando di sporcarsi personalmente con la realtà più difficile (la
scena in cui cerca una lettera in mezzo alla spazzatura è emblematica); ma, la
buona volontà personale può non essere sufficiente a rimediare quello che è
stato messo in moto, anche involontariamente, dalle nostre azioni.
Il film non offre soluzioni e lascia allo
spettatore il compito della riflessione su questi temi.
Ci rimane forse solo la possibilità di un
costante impegno personale, sociale e politico come risposta alle nostre
difficoltà ed ai problemi delle persone bisognose d'aiuto che osserviamo
attorno a noi.
La regia di Ruben Östlund forse poteva essere
più incisiva e diretta nella trattazione del tema principale; ma, ha voluto,
nello stesso tempo, parlarci del ruolo dell'arte contemporanea, utilizzandone
in qualche modo le modalità.
Positiva l'interpretazione di Claes Bang nel
ruolo del protagonista e di Elisabeth Moss (la giornalista Anne) e Terry Notary
(nella parte del performer Oleg, l’uomo belva). Il film ha vinto quest’anno la
Palma d'oro al Festival di Cannes e sancisce definitivamente, sulla scena
internazionale, il valore di questo giovane regista svedese che aveva già vinto
nel 2014 la sezione Un Certain Regard al Festival di Cannes con il film
"Forza maggiore".
THE PLACE
Cosa siamo disposti a fare per perseguire ciò che vogliamo?
Non stiamo parlando solo dei desideri
più futili, ma anche delle necessità più gravi , della protezione degli
affetti più cari.
Come ci rapportiamo , in questo caso, con noi stessi e con la morale ?
L'ipotesi che guida il film di Genovese è che vi sia una profonda
differenza fra quello che percepiamo originariamente possibile fare e ciò che
realmente siamo in grado o vogliamo fare, quando siamo messi nel concreto di
fronte alle nostre responsabilità morali .
Quando siamo messi di fronte, cioè, alle precise persone che, in carne ed ossa, subiranno le
conseguenze fisiche e morali delle nostre azioni. Quando rimbalzeranno su noi stesi le conseguenze delle nostre scelte.
Il fine , forse, non giustifica i mezzi, come parte di una certa
tradizione culturale umana continua a ripeterci.
La potenza dell'impulso vitale e del desiderio, che riteniamo
comunemente più forte di ogni imperativo morale , nella vita reale si deve
misurare e rapportare con le conseguenze delle nostre azioni nei confronti
degli altri e del nostro divenire .
Come cambierà il nostro stesso essere a causa della natura delle nostre
scelte?
Saremo soddisfatti del nostro cambiamento o ci detesteremo?
Quale sarà il nostro rapporto con le persone con cui s'intreccerà la
nostra vita?
Come le guarderemo negli occhi mentre cerchiamo di utilizzarle per
raggiungere i nostri obiettivi;ma, soprattutto, vogliamo utilizzarle o desideriamo avere la possibilità d'incontrarle ?
Ecco che nello svolgimento concreto della nostra esistenza la potenza
del desiderio, la mela d' Adamo ed Eva,
s'incontra con l'albero del bene e del male , con la coscienza, con la morale; una morale
non astratta e filosofica, ma che ti guarda con gli occhi delle
persone e del tuo stesso animo ,che
cambia proprio in base alla tue scelte.
Queste sono le riflessioni che impetuosamente sono state provocate dalla visione del film
" The Place " di Paolo Genovese.
Il luogo dove le persone, disposte a qualsiasi cosa pur di conseguire quello di
cui hanno bisogno, incontrano il bravo Mastandrea che è ,forse, la
materializzazione esternalizzata di noi
stesi e che distribuisce le prove da
superare, aggiungendo un semplice " si può fare".
Genovese si è in parte ispirato
per il soggetto del film alla serie televisiva "The Booth at the
End"andata in onda in Nord America nel 2010 e creata da Christopher
Kubasik. In questa si segue il destino di alcune persone che fanno dei patti con un uomo senza nome ,
che sembra avere il potere di far avverare
un loro desiderio, in cambio di un compito che egli stesso gli assegna
dopo aver consultato la sua agenda . La frase che può sintetizzare l'argomento centrale della serie è "fin dove saresti disposto a spingerti
per ottenere quello che vuoi?"
Mi era molto piaciuto " Perfetti sconosciuti", ma non avrei
mai immaginato che nel suo nuovo film
Genovese si sarebbe misurato con un
un tema così complesso ed anche ambizioso. Di questo film mi è piaciuto soprattutto la sua
provocazione. Il suo chiederci di guardare con maggiore attenzione alla condizione della complessità umana.
Il chiederci di confrontarci, non
in astratto ma in concreto, non solo con i nostri desideri ma anche con le
difficoltà e le persone reali che abbiamo intorno e che sono quelle che, alla
fine, misureranno insieme a noi il
successo della nostra vita e delle nostre scelte.
Bravissimi e credibili tutti gli attori, da Alessandro Borghi a Sabrina
Ferilli e Giulia Lazzarini, da Marco Giallini, a Vinicio Marchioni, Valerio
Mastandrea, Silvio Muccino e Rocco Papaleo, dalla bella Vittoria Puccini ad
Alba Rohrwacher, che ci portano con mano leggera all'interno delle loro storie. Ancora una volta, così
come è successo in " Perfetti
sconosciuti", la forza della storia sta tutta nell'intreccio del racconto delle emozioni delle persone ;
mentre, il luogo fisico delle inquadrature rimane sempre lo stesso: "The
Place".
LA RAGAZZA NELLA
NEBBIA
Non è abituale vedere sugli schermi
cinematografici una pellicola italiana di genere thriller. Una vera e propria
storia d'investigazione su di un delitto, con gli inevitabili colpi di scena.
E' stato quindi con piacere ed una certa
sorpresa che ho visto l'opera prima di
Donato Carrisi , trasposizione cinematografica di uno dei suoi più noti
romanzi: " La ragazza nella nebbia".
Carrisi
è un buon autore e i suoi romanzi hanno un notevole successo di
pubblico e di critica. Il suo libro " Il suggeritore" è stato
premio bancarella nel 2009 .
L’esordio come regista è sicuramente positivo.
Pur beneficiando del fatto di essere già autore del soggetto, ha saputo
trasporlo con un'adeguata sceneggiatura che, forse, solo nel finale doveva
forse essere più didascalica e chiara.
L'ambientazione nella piccola comunità montana
di Avechot è perfettamente funzionale alle atmosfere e all'ambientazione
sociale della storia. Il cast è sicuramente importante , da Tony Servillo ad
Alessio Boni a Jean Reno. Mi è piaciuta molto anche l'interpretazione di
Lucrezia Guidone.
In un paese montano, avvolto dalla nebbia, la
sedicenne Anna Lou dai lunghi capelli rossi , sparirà improvvisamente dopo essere uscita di casa per andare, come
sempre, nei locali della Confraternita a
cui appartengono gli stessi suoi
genitori.
Quale
sarà stata la sua fine?
Cosa sarà successo in quei trecento metri da
casa in cui è sicuramente avvenuta la scomparsa della ragazza?
E'
l'ennesima vittima di un serial killer o lo strumento scelto dall'assassino per
conseguire il suo " scopo"?
Il male si annida anche in un piccolo centro
di montagna e, alla fine, è il reale protagonista della storia. Quello che la
rende interessante agli occhi dello spettatore e del vasto pubblico. Quello che
richiama l'afflusso dei giornalisti e
dei mass media, che ne spettacolarizzano le
mosse.
"il peggior peccato del diavolo è la
vanità" ci racconta, tuttavia, uno dei protagonisti del film: un
professore d'italiano nel corso di una sua lezione in classe. Sarà questo che
permetterà di sciogliere i nodi della matassa.
Come in ogni buona storia d'investigazione, da
quelle firmate da Agata Christie o altri ancora, lo spettatore sarà condotto
per mano, attraverso diversi indizi, verso il sospetto nei confronti di un
personaggio. Contemporaneamente, tuttavia, gli saranno dati altri elementi da
valutare per confermare quanto sospetta o per cambiare del tutto le sue
convinzioni. Non mancheranno i colpi di scena, anche se non saranno mai
gratuiti e fuorvianti. Un film interessante che tiene avvinto lo spettatore per
tutta la sua durata.
Il
male comunque, alla fine , sarà
punito anche se forse per ottenere questo risultato se ne alimenterà ancora
dell’altro.
DETROIT
Il film ci parla degli scontri di Detroit del
1967, scatenati dall'intervento della polizia in un locale privo di licenza per
la vendita di alcolici, durante una festa privata.
Alla fine di quei giorni di rivolta si
contavano 43 morti, 1.189 feriti, oltre 7.200 arresti e più di 2.000 edifici
distrutti; forse, troppo per il reato da cui tutto era iniziato!
Erano anni in cui la battaglia per i diritti
civili degli afroamericani era nel pieno del suo svolgimento e con esso anche l’insofferenza delle parti.
In quell’occasione , il Governatore dello Stato del Michigan inviò la Guardia Nazionale per sedare la rivolta e il Presidente Lyndon
Johnson lo appoggiò, facendogli dare un aiuto dall’esercito.
Il clima pesante e un leader come Martin Luther
King sarebbe stato ucciso l’anno seguente, nel 1968.
Il film centra la sua attenzione, in
particolare, sull’irruzione della polizia all’interno di un Motel , convinta
che nello stesso si nascondesse un cecchino
che aveva aperto il fuoco contro i militari da una finestra. In realtà si era trattato di
una pistola giocattolo; ma, tutto costituisce l’occasione da un lato per
la descrizione dei metodi sbrigativi e violenti dei poliziotti, che arrivano
a forme di tortura ed a veri e propri omicidi, e dall’altro per parlare di
quei fatti che rappresentano una ferita profonda, ancora aperta nella coscienza civile americana.
Del resto, non ci si può più illudere che si
stia parlando di fenomeni del passato,
quando, di nuovo, qualche tempo
fa diversi quartieri di afroamericani sono insorti per la morte di un giovane
in seguito ad uno scontro con degli agenti. Il malessere è ancora presente, pur
se qualche passo avanti è stato fatto e
gli USA hanno avuto anche un Presidente di colore. Oggi il panorama americano è contraddittorio
e preoccupante e gli USA non
trasmettono un’immagine di spirito
democratico, impegnato contro ogni forma di razzismo.
Ben
vengano dunque film come questo e registi come Kathryn Bigelow pronti a coinvolgerci nella
riflessione sulla “ questione
afroamericana”.
Una piccola nota, ai margini
del tema centrale del film , è
data dal fatto che ci viene mostrato
come spesso la polizia locale sia stata quella che ha assunto gli atteggiamenti più aggressivi e persecutori. Questo ci è stato raccontato in tanti altri film, che hanno trattato lo stesso tema. Anche nel nostro Paese, a volte, le amministrazioni locali ,
più che rappresentare un esempio di democrazia, assumono e avvalorano atteggiamenti reazionari di contrasto ai
cambiamenti che, magari ,il Governo Centrale è in grado invece di perseguire.
VITTORIA E ABDUL
Vittoria e Abdul (Victoria & Abdul) è un film del 2017 diretto da Stephen Frears e francamente mi aspettavo di più dal regista di Philomena (2013), anche se già con Florence (Florence Foster Jenkins) (2016) l'aspetto ironico e grottesco sembrava interessarlo sempre di più .
Il film è basato sull'omonimo libro di Shrabani Basu e racconta la storia vera dell'amicizia tra la Regina Vittoria, a cui presta il volto una sempre grande Judi Dench, e il suo segretario indiano Abdul Karim interpretato da Ali Fazal.
Sembra che solo nel 2010 i diari di Abdul Karim siano stati scoperti con la possibilità di ricostruire quindi questa storia.
Oltre alla bellezza consueta della fotografia , dei costumi e dell'ambientazione, mi aspettavo che Frears sfruttasse meglio l'occasione di questa storia. Poteva essere il racconto dell'incontro interessante , quasi sfidante , fra due culture vissuto attraverso dei personaggi di eccezione.
La storia, invece, lascia solo accarezzare questa realtà, per perdersi in aspetti forse secondari e per poi sviluppare molto di più il tema del razzismo e della rivolta della Corte inglese nei confronti di questa " Strana coppia". Lo stesso aspetto dell'affetto e della fedeltà di Abdul nei confronti della Regina Vittoria sembra a volte caricato e poco reale.
La lenta decadenza fisica, ma non mentale nè affettiva, e la morte della regina sono forse uno degli aspetti invece magistrali della rappresentazione.
In realtà, le notizie storiche di questo incontro ci riferiscono che il Munshi( il maestro) Abdul ebbe un relativo successo a Corte, non solo nei confronti della Regina, per l'esotismo e la curiosità suscitata dal suo modo di vestire, dai cibi e le altre usanze indiane.
Quella che risulta vera è l'avversione provata dal principe Edoardo evidenziata nel film; ma, che nella realtà sembra sia stata molto più forte.
Addirittura, insieme ad altri nobili, egli mosse ad Abdul l'accusa di essere una spia della Lega Patriottica Musulmana e d'influenzare la regina a parteggiare per i Musulmani. La regina respinse queste accuse tacciando la corte di razzismo ( fonte wikipedia).
Il film pur lasciandosi vedere, grazie soprattutto alla bravura della Dench ( mentre il personaggio di Abdul è troppo stigmatizzato in un'unica espressione di affetto e fedeltà ),mi sembra alla fine un'occasione mancata.
La rappresentazione dell'incontro fra due culture così diverse ed importanti come quella dell'Impero Britannico e quella musulmana/indiana meritavano forse un maggiore approfondimento.
AMMORE E MALAVITA
Quando Carlo Buccirosso inizia a cantare nel classico vibrato della canzone napoletana mentre, chiuso all'interno della bara, si chiede chi diavolo sia il defunto di cui si sta celebrando il funerale, inevitabilmente lo spettatore comincia a sorridere per poi liberare l'animo in una risata che l'accompagnerà durante tutta la proiezione del film.
I Manetti Bros ci regalano dopo "Song e Napule " un'altro film ambientato nella capitale partenopea, aggiungendo a un copione del tipo "azione -poliziesco" una solida base d'ironia e romanticismo.
Il tutto all'interno di una struttura di "musical-sceneggiata", che guarda con amore ed interesse alla realtà napoletana.
C'è chi ha visto anche l'influenza del Musical americano; ma, più che al recente La La Land , il richiamo esplicito è nei confronti di Flashdance e della sua splendida canzone "What a feeling " che, modificata con un testo in napoletano, ci regala uno dei momenti da "applauso" del film.
Cantata da una superba Serena Rossi e con la scena ravvivata dal balletto, ci racconta del riconoscimento del primo amore di Fatima in occasione dell'incontro con Giampaolo Morelli ( Ciro) altro ottimo protagonista del film.
Piacevole e misurato l'inserimento dei brani musicali e dei balletti all'interno della sceneggiatura. La Napoli presentata è quella resa famosa nello stereotipo di serials come Gomorra ; ma, i Manetti Bros ci suggeriscono, tramite le vicende dei loro personaggi, una supremazia comunque dell'amore e della voglia di vivere sulle catene del vissuto e dei ruoli anche criminali imposti dalla dura realtà quotidiana.
C'è uno sguardo innamorato su Napoli , la cui bellezza viene alla fine celebrata nel brano " Nun è Napule". Bravissimi tutti gli interpreti, dai citati Serena Rossi e Giampaolo Morelli a Carlo Buccirosso, Claudia Gerini e Raiz.
Presentato al Festival del Cinema di Venezia, il film ha avuto un ottimo riscontro sia nella critica che fra il pubblico. Adesso , proiettato nelle sale italiane , impone all'interesse del largo pubblico il lavoro di questo duo registico che , accompagnato da un gruppo di fedeli collaboratori, abbiamo imparato ad apprezzare già nella serie televisiva de '"L'ispettore Coliandro" e nel gia citato film " Song e Napule".
Aspettiamo con curiosità il prossimo lavoro dei Manetti Bros. Dove sarà ambientato? Continueranno ad esplorare la realtà di Napoli e criminal/poliziesca o imboccheranno nuove strade? Lo vedremo!
TRENO DI NOTTE PER LISBONA
Il caso è quello che, quasi sempre, occupa la nostra esistenza; ma, non nel senso del fato o del destino, che l'incontro ci permette di realizzare, quanto come pura e semplice occasionalità degli eventi che ci riguardano e/o da cui siamo momentaneamente coinvolti .
E' questo uno dei temi centrali del film "Treno di notte per Lisbona (Night Train to Lisbon)" del 2013, diretto da Bille August e basato sull'omonimo romanzo scritto da Pascal Mercier nel 2004
L'altro tema sviluppato è quello della potenza della passione, non solo fisica o sensuale, ma anche culturale.
In genere, la voglia di approfondire , di conoscere la realtà che ci circonda e di coglierne il senso profondo. Questo anche quando, per riuscirci, siamo costretti a fare delle scelte importanti che possono compromettere la nostra tranquillità e sicurezza personale.
Il gioco sta tutto qua: nella capacità, pur partendo dalla pura casualità, di cogliere la possibilità di vita e di crescita personale che ci viene presentata.
La storia intensa e coinvolgente di questo film inizia proprio dall'incontro casuale , nella città di Berna, del prof. Raimund Gregorius ( un ottimo Jeremy Irons) con una ragazza che sta per buttarsi giù da un ponte. L'istinto immediato, che spinge il professore a salvarla, gli aprirà gli occhi su di un nuovo mondo, legato alla trama di vita di alcuni giovani esponenti della società di Lisbona, coinvolti nella lotta rivoluzionaria contro il regime dittatoriale di Salazar e oggetto della sua repressione. Nel cercare di rintracciare la ragazza che ha salvato, e che è improvvisamente scappata via, il prof. Gregorius viene rapito anche dall'interesse per le parole e la stessa vita dell'autore di un libro di proprietà della giovane. Gli eventi lo porteranno quindi a prendere un treno per Lisbona e in quella città ricostruirà la vicenda e la vita narrata nel libro, che scoprirà essere alla base del gesto disperato di quella ragazza.A Lisbona, soprattutto, Gregorius troverà la possibilità di cambiare la sua esistenza ed a viverla come forse aveva sempre desiderato .
Ci riuscirà ?
Saprà dire di si all'invito a restare per abbracciare una nuova vita?
Questa è sempre la scelta di fronte a cui siamo posti.
La chiave di tutto è forse sempre quella di seguire la passione, sia quando questa è sbocciata lentamente ed è stata curata con assiduità nel corso del tempo, sia quando scoppia improvvisa e coinvolgente come quella fra i due giovani di Lisbona di cui uno era l' autore del libro Amadeu de Prado interpretato da Jack Huston e l'altro la giovane Estefânia ( Mélanie Laurent )
Una stupenda Lisbona appare sullo sfondo di questa storia, con un'atmosfera intensa e coinvolgente per un film imperdibile.
Ancora una volta il regista danese Bille August ci ha regalato una storia importante che ci fa riflettere. Ricordiamo altre sue importanti opere come la "Pelle alla conquista del mondo", tratto dal romanzo di Martin Andersen Nexo , premiato con l'Oscar al miglior film straniero e la Palma d'oro nel 1988 e " Le migliori intenzioni" ( 1992) tratto da una sceneggiatura autobiografica di Ingmar Bergman con cui rivinse la Palma d'oro. Personalmente desidero ricordare anche " La casa degli spiriti" tratta dal romanzo di Isabel Allende , "Il senso di Smilla per la neve" e Il colore della libertà - Goodbye Bafana (Goodbye Bafana) (2007).
L'ORDINE DELLE COSE
L'ordine delle cose risponde a necessità e problemi che superano il
singolo caso umano per entrare nell'ambito generale e politico dell'interesse
collettivo.
Interessi delle nazioni, rappresentati dalla politica che non sempre
trova le soluzioni ideali per i rapporti fra le popolazioni.
Cosa può fare pertanto un funzionario di una struttura istituzionale?
Cercare di fare bene il lavoro/missione che gli è stata affidato/a, per
ottenere e conseguire l'obiettivo necessario.
Tutto questo sta nell'ordine delle cose e, forse, è inevitabile.
Forse? Perché forse?
Perché davanti ad ognuno di noi, come tanti anni fa sottolineava il
filosofo francese Sartre, c'è il dito puntato dell'altro a chiedere attenzione,
amore, giustizia. A chiederci conto delle nostre scelte.
Cosa possiamo fare davanti a questo?
È questo il dilemma morale ed umano che Andrea Segre ci mostra nel suo
film e che dilania l'animo, il cuore e la mente del protagonista del film, un
ottimo Paolo Pierobon nel ruolo di Corrado, un alto funzionario del Ministero
degli Interni con il compito di stipulare in Libia degli accordi con i
potentati locali che portino ad una riduzione sostanziale degli sbarchi clandestini
d’immigrati sulle coste italiane
Quando conducendo brillantemente la sua missione in Libia, s'imbatte in una
giovane donna, rinchiusa in uno dei cosiddetti luoghi di contenimento, che
chiede il suo aiuto, Il protagonista entra in una spirale di sentimenti ed
avvenimenti che lo coinvolgono personalmente.
Il volto di una singola persona, il suo dolore, la sua richiesta d’aiuto
non sono più un problema generico; ma, un incontro umano preciso che mette in
discussione tutto.
Di fronte a questo Corrado, il preciso e capace funzionario dello Stato,
penserà e cercherà seriamente di aggirare “l’ordine delle cose”, che lui stesso
ha contribuito ad edificare e per una volta, una sola volta, penserà che sia
giusto infrangere quelle regole, che ritiene, comunque, necessarie.
Andrea Segre non vuole darci soluzioni, non ci dice cosa bisogna fare;
ci chiede, invece, di guardare con occhio attento e con disponibilità d’animo ai
problemi che si pongono nel rapporto con una gran parte del continente africano.
Un mondo in forte destabilizzazione, molti dei cui componenti guardano
con speranza all’Europa.
Il regista non segue il percorso dell’analisi politica; ma, ci racconta
di uomini e donne che s’incontrano e vivono sentimenti. idee, dolori, necessità
e ci chiede forse d’interrogarci ed informarci meglio su quello che sta
succedendo e di valutare, quindi, se siamo soddisfatti dell’”Ordine delle cose”.
Il film è stato presentato alla 74° Mostra d'Arte Cinematografica di
Venezia, tra le Proiezioni speciali, suscitando un generale apprezzamento.
Fra gli interpreti troviamo, oltre ad un efficace Paolo Pierobon, anche Giuseppe
Battiston che ha già collaborato con Segre nel film teatrale “Come il Peso dell’acqua”
del 2014 a firma dello stesso, insieme a Marco Paolini e Stefano Liberti.
Andrea Segre, a partire dal suo primo documentario” Lo sterminio dei
popoli zingari”, (1998) ha lavorato sempre a opere sui problemi della marginalità
di etnie, popoli e culture, regalandoci dei quadri belli e complessi di queste realtà
che lo collocano fra i migliori giovani registi italiani a cui guardare con attenzione
ed interesse
FORTUNATA
Sergio Castellitto e Margaret Mazzantini ci hanno regalato
una storia sul diritto alla vita , alla
libertà , all'autodeterminazione, spesso
messe in dubbio, nella nostra società, da un'eccessiva sperequazione sociale
che mantiene in uno stato di marginalità troppe persone.
E'
"Fortunata" la protagonista
femminile del film a rappresentare
pienamente questa " sfortunata"condizione, giocando abilmente sulle
parole.
Mentre viene
sballottata da un capo all'altro della città, per trovare quel minimo di mezzi
necessari alla sopravvivenza quotidiana sua e di sua figlia, non sembra godere
di alcun diritto e di alcuna possibilità . Al contrario, a valere sui suoi sogni e sul suo desiderio di
emancipazione, ingrassano gli strozzini e le
altre persone con cui entra in contatto.
Quello che nessuno potrà toglierle sono, tuttavia, il suo amore di madre , la sua antica
amicizia e solidarietà con Chicano, il
suo desiderio di vivere.
In questa condizione , lo stesso concetto di giustizia, di
"bene" come possono essere applicati
su degli esseri disperati che lottano per la sopravvivenza, sostanzialmente abbandonati e marginalizzati
dalla cosiddetta gente " normale?
Come possiamo limitarci a condannare i loro errori ,senza
preoccuparci di salvare le persone che li commettono , dandogli un'opportunità di cambiamento?
"Fortunata" non è solo un'elegia della lotta per
la sopravvivenza, per il diritto alla vita e la speranza di poterla
migliorare; è anche un film di denuncia
sociale, che sottolinea, senza retorica,
le difficoltà e la durezza di una periferia e di una marginalità che vivono accanto a noi e, forse, sono anche
il frutto di una società in cui le disuguaglianze sono ulteriormente aumentate
.
La periferia romana( Tor Pignattara) è una delle
protagoniste del film , insieme alle sue trasformazioni come, prima fra tutte, l'importante presenza
d'immigrati.
Quella stessa periferia che ci fa venire alla mente i film
di Pasolini ,con la loro stessa forza ed intensità sia di partecipazione alla
vita delle persone che di sottintesa denuncia sociale . "Fortunata" è
un film che dimostra la maturità tecnica e creativa della coppia Castellitto
Mazzantini, circondata da un cast di
attori di altissimo livello.
Una grande Jasmine
Trinca ( Fortunata) insieme a Alessandro
Borghi ( Chicano) , allo psicologo Stefano Accorsi , al marito separato Edoardo Pesce, ad una ottima
Hanna Schygulla nel ruolo della vecchia madre, ex attrice, ormai fuori
di testa di Chicano e non ultima la
brava piccola Nicole Centanni nel ruolo della figlia di Fortunata:Barbara.
Commoventi le ultime inquadrature sulle note della canzone Vivere di Vasco
Rossi .
Un film duro, intenso e bello !
La pellicola è stata presentata in concorso al Festival di
Cannes dove Jasmine Trinca ha ricevuto il premio "Un Certain Regard"
come miglior attrice. La stessa ha vinto anche il nastro d'argento 2017 insieme ad Alessandro Borghi come miglior
attore non protagonista e ad Alessandro
Rolla per il migliore sonoro in presa diretta.
BOGEY
Humphrey Bogart, "Bogey", è stato uno dei primi volti del cinema
americano che ho imparato ad amare. Mentre nelle sale affollate dei cinema di
periferia della fine degli anni anni ‘50, inizi degli anni ‘60, partecipavamo al rito collettivo delle risate
a crepapelle guardando il grandissimo Totò, Nino Taranto o Peppino (senza
dimenticare tutti gli altri eroi del cinema italiano), ci esaltavamo con i film
western e i grandi Kolossals della storia romana come “ la Tunica” o “Ben Hur”
o seguivamo con interesse la commedia americana che ci mostrava la ricchezza e
la modernità del Paese che aveva vinto la Guerra e le prime tensioni giovanili
di “Gioventù Bruciata”, l’arrivo della televisione ci permise di scoprire il
grande cinema americano degli anni precedenti ed a cavallo della guerra.
La televisione ci faceva vedere , comodamente seduti nella poltrona di casa, tantissimi films e conoscere, con i suoi
cicli dedicati, i maggiori registi ed attori americani.
Vedevamo così il James Stewart de” La vita è meravigliosa” o Spencer Tracy o appunto H. Bogart che dapprima ci mostrò il
suo lato peggiore , quello rude e cattivo del gangster, per poi incarnare il perfetto detective ne “ Il
mistero del falco” e nel “ grande sonno” per poi, più maturo e vissuto,
rappresentare tutti noi in storie d’amore dense di sentimento come “ Casablanca “ e Sabrina”.
Humphrey DeForest Bogart nasce a New York il 25 dicembre 1899 . Giovanissimo, finite le
scuole superiori, decide di arruolarsi volontario in marina, appena dopo
l'entrata in guerra degli Stati Uniti
nel primo conflitto mondiale. Terminato il servizio militare, un amico
d'infanzia, figlio di un produttore teatrale, gli procura dei lavori dietro le
quinte dei palcoscenici di Brooklyn e successivamente lavora stabilmente a
Broadway recitando in ben ventuno
produzioni sino al 1929 .Dopo una prima esperienza cinematografica deludente
ritorna sulle scene teatrali ed in quel
periodo stringe una grande amicizia con Spencer Tracy , che durerà tutta la vita. Tra il 1932 e il 1935
partecipa ad altre sette produzioni teatrali, l'ultima delle quali è “La
foresta pietrificata” di Robert E. Sherwood. Gli viene assegnata la parte di
Duke Mantee, pericoloso killer evaso, mentre la parte del protagonista va
all'amico Leslie Howard. Quando la Warner Brothers compra i diritti de” La
foresta pietrificata” e decide di realizzarne un film , grazie all’amicizia di
Leslie Howard riesce ad ottenere il ruolo
di Duke per cui era stato scelto in precedenza Edward G. Robinson.
Il film esce nel 1936 e Bogart guadagna una
serie di entusiastiche recensioni,
Le pellicole interpretate da Bogart a tutto il
1940 sono ben trentanove. Benché molto spesso calato in personaggi minori,
riuscì egualmente a mostrare la sua capacità d’interpretazione di ruoli drammatici.
Oltre al già citato “La foresta pietrificata”,
ricordiamo “Strada sbarrata” e soprattutto “ Gli angeli con la faccia sporca”
Ricordiamo ancora “ I ruggenti anni Venti” e “Strada
maestra”, quest'ultimo diretto da Raoul Walsh.
Una grande interpretazione che porrà Bogart
all’attenzione generale sarà tuttavia nel 1941“Una pallottola per Roy”, ancora una
volta per la regia di Walsh.
Sempre del 1941 è l'altro film che impone
Bogart come grande protagonista:” Il mistero del falco”, che vede esordire alla
regia il suo amico John Huston. Il
personaggio di Sam Spade è destinato a caratterizzare la figura di Bogart
nell'immaginario collettivo con il suo classico impermeabile chiaro, il cappello floscio a larghe tese e l’eterna
sigaretta all'angolo della bocca molto simile, per noi appassionati della
lettura dei romanzi di Salgari, all’ “ ennesima sigaretta” del tenebroso Yanez
de Gomera.
Huston lo dirige nuovamente in “Agguato ai
tropici” del 1942.
E’ quasi marginalmente che Bogart incontra, a quel punto, uno dei film
più importanti della sua carriera. Il film a basso costo, diretto da Michael
Curtiz e basato su una sceneggiatura più volte cambiata in corso d’opera,
diventerà un classico della storia del cinema ed otterrà l'Oscar per il miglior film,
migliore regia e migliore sceneggiatura non originale. Stiamo parlando di
“Casablanca” e dell’importante storia d’amore vissuta dai due protagonisti,Humphrey Bogart assieme
a Ingrid Bergman, in una splendida
Parigi per poi ritrovarsi a Casablanca, in Marocco, durante gli anni
della guerra.
Nel 1944 Bogart recita nel film “ Acque del
Sud “tratto dal romanzo “Avere e non avere” di Ernest Hemingway, dove
incontra e s’innamora della giovane e
bella esordiente Lauren Bacall.
La coppia si sposa nel 1945 e lavorerà ancora
insieme sul set de “Il grande sonno”(The Big Sleep) un film del 1946 diretto da
Howard Hawks. Avvincente la trama tratta
da un romanzo di Chandler e magnifica
l’interpretazione di Bogart e della Bacall.
Nel 1948 John Huston offre all'amico Humphrey
un altro capolavoro,” Il tesoro della Sierra Madre.” Un film pieno d’avventura
e di forti passioni.
E’ ancora John Huston a offrirgli un altro
ruolo da antologia nel film “ La regina d'Africa” in cui duetterà con Katerine
Hepburn e per cui finalmente Bogart conquisterà l’Oscar per la migliore
interpretazione maschile protagonista.
Dopo La regina d'Africa, Bogart, ormaial
vertice della sua carriera, può permettersi di scegliere i copioni a lui
graditi. Uno dei film che interpreterà è uno dei miei preferiti e si chiama “Ultima
minaccia (Deadline - U.S.A.), del 1952 diretto da Richard Brooks. In esso
Bogart interpreta il ruolo di un direttore di un giornale che si oppone alla
cessione del quotidiano dopo la morte dell'editore per portare a termine una
campagna contro un'organizzazione criminale. In questo ruolo Bogart appare come
uno degli esponenti di quell’America Liberal ed impegnata civilmente che tanto
ha affascinato lo spettatore europeo
Dopo diversi altri films come “ Essi vivranno”,
sulla guerra di Corea, la commedia “Non siamo angeli”, “La mano sinistra di Dio”
e “ Il tesoro dell'Africa”, arriva un altro film indimenticabile :” Sabrina” ,
in cui Bogart duetta con una stupenda
Audrey Hepburn . E’ particolare pensare
come sia in “ Casablanca”, sia anche
in questo film, la citta di Parigi rimanga nello sfondo o nell’orizzonte di
questa storia d’amore.
Intensa e forte l’interpretazione di Bogart nel
film successivo “ L'ammutinamento del Caine”, che gli fa ottenere la terza
candidatura all'Oscar
Con “Ore disperate” (1955) Bogart torna, dopo
molti anni, ad interpretare la figura di un gangster: uno spietato criminale
che, evaso dalla prigione assieme ad alcuni suoi complici, tiene in ostaggio
una tranquilla famiglia. Film molto intenso ed in cui Bogart viene spesso
odiato dallo spettatore per il ruolo svolto.
Il colosso d'argilla (The Harder They Fall) è
un film successivo del 1956 diretto da Mark Robson. Girato in bianco e nero, è
ambientato nel mondo del pugilato ed è liberamente ispirato alla figura di
Primo Carnera.
Fu mentre girava questo film che Bogart accusò i
primi sintomi del male che lo avrebbe ucciso nel gennaio 1957, pochi mesi dopo
l'uscita del film nelle sale, avvenuta il 9 maggio 1956. Si trattava di un cancro.
Scompariva così uno dei simboli del cinema americano che rimarrà per sempre nel
nostro cuore con le sue belle ed intense interpretazioni
SONG TO SONG
Dopo la Palma d’oro al Festival di Cannes di qualche anno fa con “The
Tree of life” Terrence Malick, forse uno dei più stimati registi statunitensi,
torna a dirigere “Song to Song”, che, come si dicono i due protagonisti,
dovrebbe segnare il ritmo della loro vita e della loro storia d’amore.
Da canzone in canzone , da un’ispirazione all’altra, la vita artistica e
reale dovrebbero fondersi nella bellezza.
Così non è!
L’esigenza della propria realizzazione, vissuta come desiderio di
successo e come ipotesi di totale libertà da tutti i possibili condizionamenti,
si rivela, alla fine, una strada molto pericolosa ed incapace da sola di
assicurare un senso compiuto e salvifico alla propria vita .
Siamo a Austin, città di festival musicali e popolata da rock stars,
impresari e personaggi che ruotano attorno a questo mondo artistico. Malick si
avvale dell’interpretazione di alcuni fra i più importanti attori del momento come Ryan Gosling, Rooney Mara, Natalie Portman,
Michael Fassbender e Cate Blanchett e affiancati da guest star come Patti Smith
e Iggy Pop, particolarmente interessanti come testimonianze dell’importanza dei
sentimenti all’interno proprio di quel
mondo che può apparire effimero, vacuo e
sempre alla ricerca del piacere.
L’esercizio smodato della propria libertà senza il senso del limite e
del rispetto di un progetto comune, senza
l’importanza dell’ ”altro” (che si realizza grazie all’amore per la
propria compagna o anche per quello in cui si crede o per la realtà che ci
circonda ), può portarci anche alla nostra distruzione o a quella di chi ci sta
vicino . Attraverso la storia dei suoi protagonisti, Malick , come in altre sue
opere, ha parlato ancora una volta della
vacuità del successo e della fama e dei pericoli del piacere fine a se stesso e
della dissolutezza.
Lo fa procedendo tecnicamente con un susseguirsi di scene che seguono il
pensiero e la confidenza dell’anima dei diversi personaggi. Sensazioni e
riflessioni che s’intrecciano l’una all’altra, conducendoci verso il dolore,
l’amarezza e le scelte di ognuno di loro. Spesso il film dà la sensazione di
una estrema lentezza, di un senso di vuoto, di una frammentazione dei sentimenti
e della narrazione . In parte è un effetto voluto ma a volte ,personalmente,
avrei accelerato alcuni tempi.
Un film comunque intenso, interessante, particolare. Bella la fotografia
di Emmanuel Lubezki.
MOONLIGHT
Chiron non ha avuto fortuna
neanche nella notte forse socialmente più importante della sua vita : quella
degli Oscar.
Il protagonista, il regista Barry Jenkins , produttori, attori e
tutta l’equipe che ha collaborato alla realizzazione di “ Moonlight” hanno
dovuto, infatti, aspettare che si facesse chiarezza sull’errore, che aveva
portato ad una iniziale premiazione di “
La la land” , per poter finalmente salire a loro volta sul palco e ricevere gli
applausi e l’Oscar per il miglior film
dell’anno.
Moonlight ha potuto così aggiungere questo premio a quelli già ottenuti
con la premiazione di Mahershala Ali per miglior attore non protagonista e di Barry Jenkins e Tarell Alvin McCraney per
la migliore sceneggiatura non originale.
Basato sull'opera teatrale “ In Moonlight Black Boys Look Blue” dello
stesso Tarell Alvin McCraney , il film ci parla delle difficoltà e della
solitudine che caratterizzano il percorso
di una giovane vita nei quartieri
periferici americani. La narrazione è suddivisa in tre parti in cui il
protagonista è ancora bambino , quindi adolescente ed infine giovane adulto.
Il “ piccoletto”, il bambino nero che osserviamo muoversi solo e spaventato
nella prima parte del film non ha una casa,
né una famiglia che possano definirsi tali ed, alla fine, forse neanche
un nome con cui essere chiamato (almeno un
riferimento ad una sua dignità identitaria). L’unica figura presente ,o
per meglio dire assente, è quella femminile di una madre che si occupa di lui
solo per manifestargli la terribile ambiguità dei propri sentimenti, divisi fra
il fastidio e l’intralcio della presenza del figlio nella sua vita e la coscienza di provare per
lui un affetto materno insopprimibile.
La realtà vissuta dal “
piccoletto “ sarà tuttavia quella di una madre da odiare.
Assente, perché perennemente
presa fra l’assunzione di droga e l’esercizio della prostituzione, e
terribilmente presente quando lo scaccia di casa perché impegnata a svolgere la “ professione” o quando lo rimprovera per aver fatto tardi o
non essere ancora andato a scuola.
Per il resto, il “ piccoletto “
vive nella più completa solitudine, in
balia della strada , dei suoi pericoli e
delle sue difficoltà. La sua sostanziale diversità attirerà poi i “bulli” , i cani da guardia del gregge che
si sentono in dovere di punire e perseguitare
tutti coloro che con il loro atteggiamento e comportamento attirano la
loro attenzione , rappresentando già questo un elemento di colpa.
Sfuggendo ad una di queste
persecuzioni “il piccoletto” incontrerà l’unica figura maschile adulta di riferimento
della sua vita: Juan, lo spacciatore di origine cubana, che si prenderà cura di
lui, insieme alla sua donna “Teresa”, anche se occasionalmente.
Sarà Juan ad insegnargli a rilassarsi nell’acqua ed imparare a nuotare e
a tentare di essere comunque se stesso.
Sarà Juan a raccontargli che sotto i raggi della luna i piccoli bambini neri
diventano “blu”: belli e magici, come gli aveva spiegato tanti anni prima una vecchia
signora.
Il rapporto con l’acqua , con il mare sotto i raggi della luna saranno
una delle aree di rifugio per il giovane “ Chiron”. Solo in quella situazione
potrà sentirsi anche lui “ blu” e finalmente, senza paura né agitazione, potrà
stare sdraiato nel silenzio , di fronte al
mare ad ascoltare i battiti del suo cuore.
Tutto intorno, tuttavia, la situazione è sempre più pesante. Morto Juan,
l’unica figura di riferimento positivo rimane la sua donna Teresa, che tuttavia,
per Chiron, non ha la stessa rilevanza di quella dello scomparso. La figura di Juan
non doveva scontrarsi con quella di un padre mai conosciuto; mentre, Teresa si misura
con quella reale di una madre sempre più pesante. Le persecuzioni continuano e l’unico momento
di vera serenità rimane quello davanti
al mare, sotto i raggi della luna.
Sarà proprio in quella situazione che dividerà quel momento d’intimità e di verità con l’unico amico presente nella sua
adolescenza in un miscuglio di sensazioni
che avranno pure un risvolto sessuale. Un’amicizia contraddittoria e
inaffidabile che dietro la pressione persecutoria del bullismo porterà proprio
l’amico Kevin a massacrarlo di pugni lì per la strada, davanti ai suoi nemici. Ma
la misura è colma, ed il giovane Chiron,
seguendo in cuor suo la figura di riferimento maschile adulta di Juan, prima prenderà a sediate il capo dei “ Bulli”,
lasciandolo a terra e poi, dopo un
periodo di galera , giovane e possente adulto
diventerà uno spacciatore di droga rispettato e temuto dai suoi gregari.
Il simbolo del successo sarà come
per Juan la macchina di lusso con cui si
sposta per il quartiere , e poi la pesante collana dorata al collo ed altro ancora.
E’ solo a questo punto che potrà forse fare i conti con il proprio
passato.
Sarà disposto, quindi, a rivedere la madre, accettandone il tardivo
pentimento e la manifestazione d’amore. Accetterà anche di rivedere l’amico
inaffidabile e controverso della sua adolescenza, che ha rappresentato,
comunque, l’unica sua esperienza affettiva.
I due giovani adulti , reduci
ognuno dalle proprie esperienze, si rincontreranno riuscendo ad aprire ancora il loro cuore e
forse tentando un futuro di amici , di amanti o chissà cosa?
Non importa, se ,comunque, riusciranno ad aiutarsi
reciprocamente ad essere se stessi e
riscoprirsi “ blu” sotto i raggi della luna.
LA LA LAND
Damien Chazelle, dopo averci regalato
Whiplash (2014), ritorna con la sua
terza regia cinematografica a parlarci di noi, dei nostri sogni e dell’amore
con il film La La land.
Per questo film ha già ottenuto diversi Golden Globe e ben 14
nomination ai premi Oscar 2017, tra i quali quello per miglior film, migliore
regia e migliore sceneggiatura originale; mentre. al suo compagno di studi di Harvard,
Justin Hurwitz, si devono quelli per le due canzoni originali “City of stars” e
“Audition”, oltre alla migliore colonna sonora.
Chazelle ci parla dei nostri
sogni, oltre che della difficoltà della loro realizzazione, all’interno delle
stagioni di un’importante storia d’amore fra i due protagonisti; due stupendi attori
come Ryan Gosling e Emma Stone, che possiamo ammirare nella loro completezza d’interpreti
anche nel ballo e nel canto.
L’avvio del film, in Cinemascope,
ci apre la visione alla bellezza e grandezza dell’immagine e del suono.
Splendida la scena del balletto iniziale. La stagione della “primavera”ci
presenta i due protagonisti e ci racconta di come i nostri sogni, le nostre
passioni si siano formate lentamente attraverso l’amore per le cose e le
persone del nostro passato. Sono quelle che fanno parte della nostra formazione
personale e culturale ispirando le passioni ed i sogni che desideriamo
realizzare per dare senso alla nostra vita.
In questa prima parte della
narrazione, i nostri protagonisti ci
raccontano quelle che sono le loro passioni. Per Sebastian è il jazz classico.
Quello dove, attraverso la creatività e lo scontro fra melodie e strumenti, si
realizzava l’incontro fra persone diverse. Il suo sogno è di riuscire a
ricreare quelle atmosfere in un proprio locale dove poter suonare quella musica
con il suo strumento, il pianoforte, privo di condizionamenti.
Per Mia è la magia del teatro,
del cinema, della narrazione e recitazione quella che fin da piccola è stata
instillata nella sua mente e nel suo cuore dalla presenza vitale della zia.
Per Chazelle è forse il mondo del
cinema e del musical quello che lo affascina e che gli fa utilizzare volutamente,
in tutta la fase della primavera e dell’estate, delle scene che richiamano alla
mente quelle dei films di Fred Astaire o dei musicals di quegli anni .
L’amore di Mia e Sebastian diventa
la forza per ottenere il coraggio di credere fino in fondo nella possibilità di
riuscire a raggiungere i propri sogni e di vivere le proprie passioni. Tutto
questo anche se, nella fase della loro realizzazione, questo potrà comportare
la necessità di adeguarsi gradualmente ad una realtà concreta e diversa da quella
che si pensava e anche se il loro amore e la possibilità di continuarlo a
vivere sarà messa a dura prova dalla lontananza e dagli impegni di lavoro.
Potrebbe essere visto come la
descrizione di quello che ognuno di noi ha vissuto con il passaggio all’età adulta
e l’accettazione del principio di realtà che, senza impedirci di provare a
realizzare i nostri sogni e le nostre passioni, ci costringe ,tuttavia, a cercare
di portarle avanti tenendo conto delle difficoltà reali e concrete che
incontriamo.
In questa prima fase è stupenda
la presentazione della canzone “City of stars”.
In particolare, mi colpisce il
momento in cui il protagonista la canta al tramonto su di un pontile che per un
momento mi fa pensare a quello di “Ostia lido” e mi vede magicamente camminare,
al suo posto, ascoltando le note magiche della chitarra di un anziano suonatore
di strada.
Altrettanto bello ed affascinante
appare il ballo fra le stelle dei due
protagonisti in visita al Planetarium, in cui spiccano il volo sulle ali del
loro amore e della loro fantasia, come può capitare a qualunque coppia in
amore.
È in “Autunno” che si pongono le
basi della realizzazione futura dei sogni e contemporaneamente della difficoltà
di continuare a vivere il loro amore, proprio quando si dichiarano l’un l’altra
che si ameranno “per sempre”.
È in “Autunno” che il film
raggiunge toni di commozione quando, durante l’audizione per il ruolo di
protagonista in un film sperimentale, Mia racconta della zia e , insieme al
regista, invita a brindare a chiunque nella vita provi a seguire i propri sogni.
A tutti gli artisti di qualunque
disciplina che, con le loro opere, ci permettono di ascoltare le nostre
emozioni e nello stesso tempo di riviverle.
A tutti noi che amiamo e sogniamo ed a tutti i
disastri inevitabili che combiniamo vivendo.
Nell’ultima stagione “Inverno”
assisteremo poi alla dicotomia fra l’amore dei due protagonisti, che ormai
vivono una vita separata e diversa, e la realizzazione completa dei propri
sogni.
Ognuno ha realizzato ciò che
desiderava; ma, come spesso accade anche ad ognuno di noi, non sempre il
sentiero della realizzazione dei propri sogni e la soddisfazione della propria vita
si sposa con la felicità.
La serenità, a volte, prende il
suo posto; ma l’immagine della felicità, dell’amore che poteva essere vissuto
fino in fondo e che doveva essere vissuto ritorna improvviso per via dell’incontro
casuale dei protagonisti all’interno del locale jazz che Sebastian ha finalmente
realizzato e sulle note della loro musica.
Il sorriso rassicurante di
Sebastian a Mia, alla fine dell’esecuzione del brano al pianoforte, le farà
capire che il lor sentimento è e sarà comunque importante ed incancellabile; ma,
che è giusto che ognuno continui ormai per la sua strada.
L’applauso spontaneo in sala alla
fine del film, in un mercoledì pomeriggio frequentato da anziani spettatori, mi
fa pensare che “La la land” ci ha parlato in qualche modo di noi stessi, delle
nostre emozioni e dei nostri sogni e che probabilmente vincerà l’Oscar 2017 per
miglior film
L'ORA LEGALE
Un amarissimo che fa benissimo !
Potrebbe essere questo, parafrasando un antico slogan pubblicitario, il primo immediato commento al divertente ma graffiante film di Ficarra e Picone "L'ora legale" .
I due attori si confermano bravissimi nella loro interpretazione e capaci di seguire il filo del loro discorso proponendolo con un "sequel" di battute e situazioni veramente divertenti, al limite del grottesco.
Il tema affrontato è molto attuale e ci riguarda tutti . E' fondato sul grande malcontento del cittadino di fronte all'insipienza, alla corruzione ed al disastro dei servizi dell'Amministrazione Pubblica e della classe politica che la dirige.
Passo dopo passo, ci mostra come questa realtà sia profondamente radicata in una cultura sociale pressocché inesistente ed incapace, alla fine, di esprimere un senso di rispetto della collettività , della cosa pubblica e di produrre quindi una classe dirigente adeguata.
Il messaggio che Ficarra e Picone ci raccontano nel corso del film è che quando l'operazione " cambiamento" o la nuova Direzione Istituzionale ( in questo caso il nuovo sindaco) non sono il risultato di un profondo mutamento culturale della popolazione, subito dopo il primo momento di esaltazione , quando si è toccati personalmente, nelle proprie abitudini egoistiche o nei privilegi, riesplode il malcontento e la protesta.
E' anche vero che il cambiamento non può essere improvviso e richiede il lento modificarsi dei costumi ed un necessario equilibrio, per evitare delle eccessive conseguenze sociali ed il possibile peso insopportabile delle misure deliberate; tuttavia, non è possibile che il sostegno e l'approvazione di una politica finalmente onesta non possa durare più dell'arco di tempo dell'ora legale, per tornare , subito dopo, al naturale andamento vissuto durante il periodo dell' ora solare.
Fra una risata e l'altra , lo spettatore viene portato quindi a riflettere su come egli stesso reagirebbe al cambiamento; mentre una dopo l'altra, ineffabilmente, gli scorrono davanti le misure deliberate dal nuovo sindaco "onesto" che ha a cuore il benessere reale del paese: dalla raccolta rifiuti differenziata con l'impegno relativo da parte del cittadino , alla chiusura cautelativa di una fabbrica, con la perdita di lavoro conseguente, a causa della reiterata mancanza di misure volte alla riduzione degli scarichi inquinanti ecc ecc.
Geniale poi la presentazione del "picciotto", espressione di un potere quasi mafioso, che interviene nel piccolo paesino della Sicilia con le sembianze e la parlata di un romano verace frequentante gli ambienti ministeriali . Un ribaltamento della raffigurazione dei poteri occulti, anche se vengono presentati accanto ad un vecchio che non parla ma osserva tutto e che ci ricorda l'immagine del capo mafia di paese.
Quella che è estremamente chiara, è la lucidità di questi poteri quando dicono : " Se l'onesta prende piede, anche solo in un piccolo paese della Sicilia, si può diffondere rapidamente in tutto il territorio italiano e sarebbe un disastro!"
Risate a volontà in questo film di Ficarra e Picone, che ancora una volta si confermano protagonisti del panorama cinematografico italiano e della commedia di costume; ma, come alla fine di ogni buon pranzo o di un'abbuffata, ci sta sempre un buon "amaro" che rimane in bocca, uscendo dalla sala.
CAFE' SOCIETY ( 2016)
C’inoltriamo senza pensarci
troppo, coinvolti dalla calda fotografia e dalle musiche avvolgenti,
all’interno dell’America degli
anni trenta, guidati dalla voce del narratore.
Le atmosfere calde e vivaci di
Hollywood e di New York sono abilmente differenziate dal colore della
fotografia, curata dall’italiano Vittorio Storaro che ha scelto dei toni più
chiari e netti per descrivere New York (a parte una splendida inquadratura di
un tramonto aranciato) e quella quasi dorata, d’altri tempi, di Hollywood.
E poi, c’è l’America che tutti abbiamo immaginato, immersa in quei
colori e con un sottofondo jazz che ci accompagna per tutta la durata del film.
Se pensiamo per un attimo che
quell’America, che ci appare così vitale, sotto la guida di Roosevelt stava
appena uscendo dalla “Grande Depressione” e la paragoniamo per un attimo alle
contemporanee atmosfere europee, c’è da restare attoniti.
Ci avvince nel film quel farci
sentire partecipi, quasi dentro le scene, in mezzo ai passanti o agli avventori
del café, delle vicende dei nostri protagonisti.
Del delicato sentimento che li
avvolge e che forse non li lascerà mai, anche quando la vita prenderà strade
diverse e li accompagnerà verso altre persone o li farà diventare genitori.
Quel sentimento delicato ed
avvolgente che nasce con la timidezza incredibilmente e contraddittoriamente
quasi sfrontata di Bobby (Jesse Eisenberg) e con la grazia dolce ed adorante di
Vonnie (una stupenda Kristen Stewart) che accompagnerà i loro pensieri ed i
loro sogni forse per tutta la vita.
Non credo che Allen potesse
scegliere un modo migliore per chiudere il film se non con una semplice e
delicata scena, quasi noncurante del sentimento che si leggeva negli occhi di
Bobby.a cui faceva eco a distanza quello degli occhi di Vonnie.
Quasi a sottolineare la
trascuratezza e la disattenzione della vita reale verso i sentimenti profondi
che spesso albergano e travagliano la nostra mente ed i nostri cuori.
Nessuna crudeltà in tutto questo,
ma solo la triste indifferente vita quotidiana.
Una vita che, citando una frase
del film, tipica della malinconica arguzia di Woody Allen, appare spesso come
una “commedia scritta da un sadico che fa il commediografo”
Si potrebbe ancora parlare ed
indagare sulle motivazioni che l’hanno spinto a realizzare questo film e perché
in queste modalità, ma credo che quanto già detto ci lasci intuire già tutto.
Allen ci sta vicino con la sua
voce fuori campo e ci racconta e descrive i due protagonisti mentre li seguiamo
muoversi indaffarati all’interno della realtà familiare e lavorativa d’ogni
giorno, senza che la macchina da presa sposi più di tanto il loro punto di
vista, se non nei rari momenti d’intimità necessari..
E’ l’America con i suoi grattacieli e le strade affollate, il jazz, i
gangsters, il mondo del cinema ed i locali alla moda; sono Bobby, Vonnie e gli
altri, sono i ricordi della famiglia ebrea, sono i sentimenti che albergano
silenziosi nei nostri cuori e tutti noi spettatori insieme al regista i veri
protagonisti del film
FUOCOAMMARE
E la nonna racconta che tanti anni fa, durante
l’ultima guerra, le luci rosse dei bengala, lanciati nella notte, tingevano di
rosso il colore del mare, come se ci fosse il fuoco.
Di nuovo, oggi, il mare si tinge di rosso, come
allora, di notte, a ricordarci che
forse, in modo diverso, stiamo assistendo ad un’altra guerra!
Fuocoammare non è solo poi il titolo del film, ma
anche di una musica, ispirata da quelle immagini e ricordi di guerra, che viene
trasmessa dalla radio locale con l’opportuna dedica ai vari mariti e pescatori
impegnati nella pesca, di notte, a mare.
Le immagini del film di Gianfranco Rosi, premiato
con l’Orso d’oro al festival di Berlino, entrano nelle case e nella vita
quotidiana della gente di Lampedusa. La nonna si aggira nella sua cucina mentre
prepara i calamari freschi, appena pescati, immersi in un sugo che, al solo
vederlo, ti fa venire l’acquolina in bocca.
Quel sugo che condisce gli spaghetti risucchiati
avidamente dalla bocca di Samuele, durante il pasto a tavola con il padre e la
nonna, mentre si chiacchiera del mare e delle difficoltà dell’iniziazione del
ragazzo alla vita del pescatore o del marinaio.
“Devi andare sul molo galleggiante sull’acqua e
starci il tempo che occorre per imparare a non soffrire più il mal di mare” ….
Lo farai? – Certo risponde Samuele.
E lo farà, fra gli spari del suo fucile a pompa
immaginario ed un’escursione in campagna, a caccia con la fionda.
L’anello di congiunzione fra il ragazzo ed i migranti che
arrivano sull’isola è rappresentato dal medico condotto che, con la stessa
amorevole cura, si occupa di ognuno di quei poveretti e, allo stesso modo, del
ragazzo che gli parla dei suoi disturbi di respirazione.
E’ la narrazione del medico che ci porta con mano a
guardare in viso la sofferenza dei migranti, prima in mare sui barconi, poi
salvati e registrati all’arrivo e poi all’interno del centro d’accoglienza.
Avrei preferito che il film finisse con l’incontro
del ragazzo Samuele con un bambino dei migranti.
Mi sarebbe
piaciuto che avessero potuto parlare fra di loro, anche comprendendosi con
difficoltà, restando impauriti o magari imparando a giocare insieme.
Mi è mancato questo momento d’incontro che, forse, è la vera
“mancanza”che viviamo tutti, all’interno di questo immenso dramma. Siamo
disposti anche ad aiutarli nei centri d’accoglienza; ma, quanti di noi
sarebbero disposti a cambiare le proprie abitudini di vita, le condizioni di
lavoro, la propria cultura, per stabilire un vero dialogo con loro?
Samuele, nella notte, munito di una torcia, si
avventura invece nella campagna, e scopre sui rami di un albero un piccolo
uccellino con cui dialoga cinguettando come può.
Il film finisce e mi lascia un vuoto, mentre
scorrono i titoli di coda tra la musica di “fuocoammare”.
Se possiamo provare a cinguettare e dialogare con un
uccellino, forse possiamo provare a confrontarci e vivere insieme anche con un
migrante.
FRANTZ
“Siamo noi i veri responsabili delle
morti dei nostri figli” afferma il sig. Hoffmeister
(Ernst Stotzner) l’anziano medico del paese, padre di Frantz, di fronte ai
suoi amici e conoscenti che gli avevano rifiutato un giro di birra perché responsabile
di avere ricevuto in casa un giovane francese.
“ Siamo noi che li abbiamo mandati al fronte e che poi abbiamo
brindato con boccali di birra, festeggiando la morte di migliaia di giovani
francesi; mentre, a loro volta, i padri francesi festeggiavano la morte di
migliaia di giovani tedeschi, bevendo bicchieri di vino”.
Questo sentimento di distacco dalla guerra, dal nazionalismo che
la genera, viene poi di nuovo rappresentato quando, nel secondo tempo, sarà la
giovane tedesca Anna, in viaggio in Francia, a sentire l’ostilità contro i
tedeschi, ancora presente a guerra finita, in un canto della “ Marsigliese” in
cui l’orgoglio nazionale coinvolge, uno dopo l’altro, tutti gli avventori di un
bar- café dove lei si trova.
La scena ricorda quella celebre di “ Casablanca”; ma, a differenza
di quella, non suscita nello spettatore la solidarietà per l’orgoglio di un
popolo ferito dalla dominazione tedesca.
Al contrario, quasi disturba quell’esibizione di nazionalismo che
aveva coinvolto migliaia di vite in un percorso di guerra senza ritorno.
In questo, la fredda descrizione in
bianco e nero di una Germania e di una Francia del 1919, uscite piene di dolore
personale dal primo conflitto mondiale, non ci risulta datato e/o privo
d’interesse; anzi, ci fa riflettere sulle conseguenze, sempre in agguato, di un
nazionalismo contro di cui, sembra a volte invano, si mobilitarono, ad esempio,
i fondatori del progetto Europeo nel secondo dopoguerra e che, comunque,
affligge anche i nostri giorni.
Francois Ozon, affermato regista
francese nato a Parigi nel 1967, non ha partecipato, né ha visto con i propri
occhi le manifestazioni pacifiste che scossero in quegli anni l’America e
l’Europa, portando vanti l’idea di un modo più nuovo basato sulla fratellanza;
ma vede oggi molti parallelismi con il mondo che racconta nel suo film.
Il risorgere del nazionalismo, la richiesta del ripristino e della
difesa delle frontiere con i discussi “ muri”, che anche in Francia si fa
sempre più attuale, dà la sensazione che il passato possa ritornare.
Ma non è questo il solo tema di cui
parla il film “Frantz”, presentato alla 73° mostra di Venezia dove ha riscosso
un buon successo di pubblico e di critica.
Ozon,
in questo film, ripropone la
trasposizione di un testo teatrale di Maurice Rostand
del 1930, ”L'homme que
j'ai tué”, già portato sullo schermo da Ernst Lubitsch. All’interno
del clima sociale descritto, egli scava, invece, nel particolare del sentimento personale. Affronta,
pertanto, il senso di colpa di chi ha ucciso perché inevitabilmente in guerra
si è trovato davanti alla scelta
impossibile tra la vita e la morte, quello più indefinito di chi non sa o non
vuole riprendere il senso della propria
vita per paura ed il rimorso di abbandonare la fedeltà a chi è morto. Sarà il perdono e
forse quello strano miscuglio irrazionale fra verità e menzogna a fornire gli
strumenti e la strada per superare il senso di colpa e ritornare alla vita.
Sarà comunque il
perdono l’unica strada possibile per giustificare e superare anche la menzogna
e riconsegnare al colore dell’inquadratura, alla nuova vita, Anna, la giovane
donna fidanzata del povero Frantz, mentre paradossalmente ammira, all’interno
delle sale del Louvre insieme con un giovane sconosciuto, un dipinto di Manet
intitolato “ Le suicidé”.
Quel quadro le fa desiderare”
la voglia di vivere”, così come aveva compreso dopo il suo tentato suicidio.
Sarà
ancora il perdono a farle capire che non può esservi soluzione alla
perdita di un amore con una sua finta
sostituzione riparatrice.
Il viaggio di Anna in Francia sarà, sotto
quest’aspetto, chiarificatore.
La vita tornerà a colori solo perdonando il male
e ritornando a guardare avanti con nuova fiducia e disponibilità. Ozon
ha scelto di raccontare il dolore di quel periodo storico in bianco e nero così come è anche forse la nostra memoria. Il colore è
stato scelto, invece, per indicare la vita presente sia nei flashback, sia in
particolari inquadrature ambientali, sia nella scena finale.
Bella l’interpretazione dei due protagonisti: Adrien e Anna.
Adrien è Pierre Niney, talento in ascesa del
cinema francese, vincitore due anni fa del premio César come miglior attore nel
ruolo di Yves Saint-Laurent. Anna è interpretata dalla giovanissima attrice
tedesca Paula
Beer che ha saputo dare forza e
sensibilità, con grande senso della misura, a quest’importante
personaggio. AL DI LA DELLE MONTAGNE
Il nuovo film di Jia Zhang-Ke ci
parla di una donna contesa fra due amici innamorati e della sua vita; ma, in
qualche modo, mi sembra, ci parli, per parafrasi, della stessa Cina.
La storia si svolge in un arco di
tempo di ca. 25 anni, iniziando alla vigilia del nuovo secolo in corso e
trovando la sua conclusione in un futuro in divenire nel 2025.
Il regista ci accompagna in
quest’arco di tempo, facendoci immaginare, anche, l’utilizzo di una diversa
tecnologia di ripresa.
Dalla telecamera portatile delle prime scene fino alla possibile
alta definizione delle ultime. La stessa dimensione dello schermo va
progressivamente ampliandosi.
Tao, la protagonista, è una
ragazza di Fenyang in una regione “Al di là delle montagne”. La prima scena la
ritrae mentre balla, insieme con altri giovani, in attesa del nuovo anno. La
stessa musica la raggiungerà di nuovo, insieme ad una ritrovata speranza di
vita, in una giornata nevosa di venticinque anni dopo mentre, ballando in
aperta campagna con accanto il suo cane, avrà il presentimento del prossimo
ritorno del figlio.
Un figlio allontanatole dal
marito, affascinato dal capitalismo e lui stesso imprenditore, da cui si è
separata e che ha gestito la formazione del bambino, ormai divenuto giovane
uomo.
Zhang, il marito, è stato un
padre che ha gestito la crescita di suo figlio separandolo completamente dalle sue radici, trasferendosi insieme a
lui in Australia e facendogli frequentare una scuola d’elite che gli ha
insegnato a pensare ed esprimersi in inglese creando paradossalmente una
difficoltà di rapporto con lui stesso, che non ha mai imparato quella lingua.
Tao, 25 anni prima, era stata
contesa da due amici innamorati.
Uno era Zhang proprietario di una
stazione di servizio che desiderava diventare un ricco capitalista e le
proponeva tutti i vantaggi e i miti del lusso, della ricchezza e del progresso.
L’altro Lianzi, umile minatore,
semplice e legato ai valori della tradizione.
La stessa Cina si è trovata nel
dilemma fra i valori tradizionali ed un progresso legato ai valori capitalisti
ed a modelli di comportamento delle società occidentali.
Tao sceglie il futuro promesso da
Zhang perdendo il rapporto con il fido Lianzi che disperato preferisce lasciare
la casa e la città.
Ma la realtà non è quella che
s’immaginava e Tao quindici anni dopo è sola e separata dal marito e dal figlio
che ha avuto nel matrimonio. Zhang vive a Pechino con un’altra donna. Ricco e
potente ha ottenuto l’affidamento del figlio che ha chiamato Dollar come la
moneta americana.
L’occasione per rivedere il
figlio è costituita dalla morte del nonno, il padre di Tao. Il bambino sembra
quasi un estraneo e stenta nel rapporto con la madre che resterà comunque un
ricordo fondamentale nella sua crescita.Tao in quell’occasione, consegnerà al
figlio piccolo una copia delle chiavi della sua casa, spiegandogli che sarà
sempre disponibile per lui.
Crescendo, quel ragazzo, quando
si ritroverà adulto ed incapace anche di un semplice dialogo con il padre,
guardando quelle chiavi, capirà che il suo futuro non sarà possibile senza un
ritorno alle sue radici ed al rapporto con la madre.
Qualcosa di simile è probabile
che il regista immagini per il suo Paese: la Cina.
Il suo futuro, pur pieno di
progresso e di contenuti appresi dalle società occidentali, non potrà
ragionevolmente dispiegarsi in un progetto di vita pieno e soddisfacente senza
un riferimento preciso alle origini ed alle radici della propria cultura.
Un padre, una figlia
Ho
aspettato a lungo prima di cercare di comprendere le emozioni ed i pensieri che
mi erano rimasti dentro, dopo la visione di questo film.
La
sensazione più forte, su cui mi sono poi soffermato, è che forse il regista
abbia cercato di sottolineare come possano esistere mille buoni motivi per
giustificare, all'interno della nostra mente e del nostro cuore, la decisione o
meglio la disponibilità di corrompere e/o di farci corrompere per ottenere un
risultato che riteniamo giusto.
Tutto
questo porta, tuttavia, ad una responsabilità: quella d’alimentare in qualche
modo lo scadimento della qualità della vita della società cui apparteniamo.
Non solo, ma di alimentare il potere di chi
vive all'interno di questo sistema di relazioni corrotte.
Come
possiamo poi lamentarci dello scadimento della classe politica che ci
rappresenta, del livello di corruzione che mortifica la meritocrazia ecc. se,
in qualche modo, per un qualunque motivo ne siamo stati partecipi?
Il
regista ci mostra le conseguenze di tutto questo all’interno di una società
come quella della Romania, uscita da non molto tempo da un regime autoritario,
di derivazione socialista, di cui si criticava proprio la corruzione; ma, la
situazione non sembra essere molto migliorata se il protagonista deve tentare
con tutte le sue forze di riuscire a far studiare la figlia in Inghilterra,
sperando che possa trasferirsi lì per sempre, una volta completati gli studi.
Spesso poi (e questa è l'ultima lezione del film) tutto
questo può avvenire anche per qualcosa di non richiesto dall'altro, per cui ci
si batte. In questo caso è la figlia,
la beneficiaria del privilegio per cui si è scatenato il processo di scambio
illegale e di corruzione, che non era interessata più di tanto ad ottenere il
risultato tanto agognato dal padre.
Ancora
pIù emblematica, ripensandoci, è la frase che il padre rivolge alla figlia
dicendole: " Se non ce la farai, vuol dire che tutta la nostra vita non
avrà avuto senso".
Come si possono caricare a tal punto di
responsabilità i nostri figli per la realizzazione dei nostri progetti?
No,
ognuno ha la responsabilità di perseguire da solo i propri obiettivi,
condividendoli se vuole, ma senza pretendere niente da nessuno e men che mai
dai propri cari e dai propri figli, che dovranno essere liberi anche di
contraddirli.
Alla
fine, forse, il film, che lo spettatore segue comunque con intensità, è meno
banale di quanto possa immediatamente sembrare e costringe a misurarsi con temi
che affliggono il nostro vivere sociale sotto qualsiasi latitudine.
Un
grazie dunque al regista e sceneggiatore romeno Cristian Mongiu, che con questo
film ha ottenuto IlPrix de la mise en scène al
Festival di Cannes 2016, assegnato al miglior regista dei film in
concorso nella selezione ufficiale.
Mongiu
ha già ottenuto, in precedenza, la Palma d’oro nel 2007 al Festival di Cannes
con il suo secondo lungometraggio “ 4 mesi, 3 settimane, 2 giorni “, e si è fatto conoscere
dal grande pubblico anche con l’altro film “Oltre le colline”.
Convincente la
recitazione di Adrian Titieni nella parte di Romeo, il padre, e di Lia Bugnar
nel ruolo di Magda, la figlia.
Bravi anche i
principali attori di contorno fra cui ricordiamo Maria –Victoria Dragus nel
ruolo di Eliza e Rares Andrici nel ruolo di Marius.
VELOCE COME IL VENTO (2016)
Ma come guidi….Come al Luna park?
Prendi le curve tonde ?!?
Le devi tagliare ….Le devi tagliare – grida Loris alla sorella
Giulia, diciassettenne pilota di talento ma, ancora grezza, che deve crescere
per poter vincere il campionato italiano GT.
Quel campionato bisogna vincerlo, altrimenti, Minotti, il
produttore, che ne ha finanziato la partecipazione, si prenderà la casa.
A quel punto, Giulia e il fratellino Nico, rimasti orfani e
ancora minorenni dopo la morte del padre, colpito da infarto ai box durante la gara della figlia,
verrebbero divisi e affidati ad altri, perché lui, Loris, è un tossico.
Non è affidabile, non guadagna niente e, senza casa, sono persi.
Eppure, dovevi vedere, come lo guardavano tutti mentre accompagnava
Giulia ai box, prima della gara.
- Guarda chi c’è: “Il ballerino”!
Si, era stato “Il
ballerino”, veloce come il vento. Era stato proprio lui, Loris Di Martino, uno
dei piloti italiani più forti della categoria GT; ma, erano passati dieci anni e,
dopo la divisione fra i genitori e i litigi con il padre, aveva mandato tutti
al diavolo.
Si, era un tossico! E
allora?
Alla morte del padre era tornato per rivedere la sua casa e i
suoi fratelli: Giulia e Nico. Nico gli si era affezionato. Capiva che Loris era
forte ….. era figo!
Giulia, era Lei quella veramente in gamba!
Ooh! Non era mica facile la ragazza …eeh! Quando s’inc…va, non
ce n’era per nessuno!
Ma poi, avevano trovato un accordo. La sua presenza aveva
permesso ai fratelli minorenni di restare nella casa, insieme a lui; poi, aveva
aiutato Giulia a migliorarsi come pilota e si vedeva che lei era contenta e
imparava bene.
Ora, aveva fatto quella caz…..ta e aveva rovinato tutto!
Prima, il litigio con quello stron…. E poi l’incidente di Giulia
che si era risvegliata, che la gara era già finita ed il campionato GT perso,
proprio mentre era li, lì per vincerlo.
Avevano perso la casa con quello che comportava. Nico portato
via e affidato a degli estranei. Nico che ormai voleva stare con lui, col Loris,
Giulia che non gli parlava e lui nella
mer……
Minotti ….la faccio io la gara … “ L’Italian race” ,… quella che
avevi proposta a Giulia per saldare il debito con te e riavere la casa.
Quella è una corsa per disperati , Loris ! Pensaci bene- gli
aveva risposto Minotti –
E il Loris gli aveva
detto che la gara andava bene per lui . Perché... di disperati veri... ne sono
rimasti pochi. E lui era uno di quelli .
Stefano Accorsi , Matilda De
Angelis ed anche il piccolo Giulio Pugnaghi (Nico) ci raccontano con grande
partecipazione e bravura questa storia diretta da Matteo Rovere, liberamente ispirata alla vita del pilota dirally Carlo Capone.
Stefano Accorsi ,premiato col Nastro d’argento come miglior
attore protagonista , non è una sorpresa e si conferma uno degli attori
italiani più bravi;ma, personalmente ,mi è molto piaciuta Matilda De Angelis
che avevo già apprezzato nello sceneggiato televisivo “ Tutto può succedere”
.La stessa è stata premiata col premio Biraghi ed inoltre come migliore attrice
rivelazione al Premio Flaiano ed al Festival di Taormina
La conclusione del film vede i tre fratelli che finalmente si
abbracciano, formando quella famiglia che non erano mai stati: Ognuno
mantenendo la propria vita, diversa da quella degli altri, ma uniti nell’affetto
e nella solidarietà. Senza pretendere che nessuno sia diverso da quello che
è.Un finale che non risulta banale, né consolatorio, ma che ci aiuta ad avere
un punto di vista positivo rispetto ai disagi vissuti soprattuto dai figli
delle coppie separate
Un’ ultima parola d’apprezzamento per l’equilibrio della
costruzione del film, che ci avvince e ci carica d’adrenalina, coinvolgendoci
nella guida dei bolidi sui circuiti del campionato GT, mentre si svolge questa
storia.
WHIPLASH
Qual è il nostro più grande
pregio che, in certe situazioni, può
trasformarsi in difetto?
Forse, proprio la capacità
d’adattamento, che ci ha reso leaders fra gli organismi viventi e ci ha
permesso di sopravvivere a mille ostacoli e difficoltà, trovando sempre la
soluzione ai nostri problemi.
Quest’osservazione potrebbe
sembrare un controsenso, perché la capacità d’adattamento comporta lo sforzo
importante di plasmare se stessi alla realtà che ci circonda; ma, allo stesso
tempo, dentro questa capacità, c’è la pigrizia estrema del risparmio delle
energie e la disponibilità a farsi cambiare da ciò che ci circonda, se non
riusciamo a adattarlo alle nostre esigenze.
Un intreccio inestricabile,
quindi fra passività ed attività.
Questa coscienza della
sostanziale pigrizia umana fa essere. Terence Fletcher, uno spietato ed
inesorabile insegnante musicista per evitare che uno qualunque dei suoi allievi
possa essere soddisfatto delle proprie prestazioni e non arrivare a più alti
livelli artistici.
“Non esistono in qualsiasi lingua del mondo due parole più
pericolose di "bel lavoro" dice Terence Fletcher ad Andy.
Un “ bel lavoro” può essere una definizione mortale, per un musicista in crescita, e portarlo a
non cercare mai di superarsi.
Ma, qual’è il limite oltre il quale spronare un allievo può
trasformarsi in una vera e propria persecuzione ed ottenere il risultato
opposto di scoraggiarlo ed allontanarlo da questo percorso?
Il più grande sassofonista di
tutti i tempi, John Coltrane, non si scoraggiò di fronte alla violenza con cui
fu rimproverato dal suo maestro.
Un John Coltrane non molla mai!
Io ho la tranquillità di aver provato con tutti mezzi di non permettere che un
artista non si manifestasse nel pieno delle sue possibilità e si accontentasse
di restare un mediocre suonatore-risponde Fletcher-
Il film prende il nome dal brano
musicale su cui si svolgerà l’apprendistato del batterista,Andrew,fino
alla sua esplosione artistica.
Il racconto è tutto concentrato
sul rapporto fra insegnante ed allievo e sul ruolo che l’esercizio, la
passione, il sacrificio rivestono, in qualunque attività, per poter raggiungere
traguardi ambiziosi.
IL giovane allievo, dopo aver
abbandonato la scuola di musica e denunciato (in incognito) l’insegnamento del maestro, ottenendone l’allontanamento,
lo rincontra per caso ed è convinto a partecipare ad un importante spettacolo,
sotto la sua direzione artistica.
La vendetta del maestro, durante
lo spettacolo, porta Andy ad uscire di scena disperato; ma, alla fine, non molla
e ritornato sul palco, mentre Fletcher sta per presentare un nuovo pezzo che
non conosce, attacca a suonare, dando l’avvio a tutta la band, il brano
Caravan, concludendo con uno splendido assolo sotto gli occhi, alla fine,
complici del maestro.
Molto non viene detto, molto viene forse tralasciato, ma senza
grandi pretese il film ci porta alla fine senza pause e con il buon ritmo della
batteria.
Diretto da Damien Chazelle e
interpretato da Miles Teller e da J.K.Simmons, il film ha ottenuto tre oscar:
il primo a Simmons come Miglior attore non protagonista, il secondo a Tom Cross
per il Miglior Montaggio e l’ultimo a Craig Mann, Ben Wilkins e Thomas Curley
per il Miglior sonoro.
WE WERE YOUNG-ON VOULAIT TOUT CASSER
La dolce ala del mare è quella che porterà il protagonista oltre Capo Horn, come aveva sognato sempre, fin da bambino ; ma che, tuttavia, questa volta lo accompagnerà alla fine dei suoi giorni.
Si, perché quello che non sopporterà di ripetere sono le immagini della morte del padre, afflitto dal suo stesso male : la lenta e progressiva perdita della forze in un quadro di solitudine.
No……. meglio inseguire l’ultimo sogno in mare e poi ……………………………
Sogno come quelli che hanno illuminato la sua gioventù e quella dei suoi migliori amici.
Sono questi la sua unica e vera famiglia : quella che non lo abbandonerà mai e lo seguirà, con il pensiero, fino all’ultimo istante.
Uniti per sempre.
Da questa esperienza ognuno di loro riceverà una sferzata salutare per la propria vita e cercherà di riprenderne il senso , la direzione e la luce.
Diretto da Philippe Guillard ed interpetrato magistralmente da Kad Merad, Benoit Magimel, Charles Berling, Vincent Moscato , Jean Francois Cayrey ( i cinque amici) “On voulait tout casser” è un film francese del 2015.
Ancora una volta la cinematografia francese ci regala storie di una garbata ma profonda riflessione sul nostro vivere quotidiano. LA PAZZA GIOIA
Meno male che ci sei tu!
Dice una delle due protagoniste all'altra che, sorridendo, si schermisce dicendo: 'chi io? " .
Il tenero abbraccio che le unisce suggella la nascita di una bella amicizia.
Si, l'amicizia fra due o più persone , l'unica cosa bella che, come l'amore, ti può accompagnare nella vita per superare le difficoltà.
La cura dell'una per l'altra che, per la prima volta, regala ad ognuna di queste due giovani donne l'esperienza dell'attenzione di qualcuno nei loro confronti . Loro, la cui unica esperienza fino a quel momento è stata l'abbandono , l'utilizzo per interesse dei loro sentimenti, la privazione di ciò che c'è di più caro, la sofferenza sorda ed infinita dentro il cuore. Tutte cose che poi infieriscono ancora su di te, facendoti stare male, deprimendoti ed, alla fine , facendoti diventare così debole ed incapace di controllare il tuo dolore, da renderti socialmente inaffidabile .
Si, la società le sta curando, fortunatamente, all'interno di strutture che non sono più solo gli OPG; ma, quanta difficoltà e quanta mancanza di mezzi mantengono una sproporzione fra ciò che bisognerebbe fare e ciò che si fa! Paolo Virzì ci regala con " La pazza gioia" uno dei suoi più bei film; anche se, per me, il più amato rimane "La prima cosa bella". Che dire delle due interpreti ? Magnifiche!
Micaela Ramazzotti è una delle attrici italiane che amo di più; ma, da oggi, assieme a lei aggiungo Valeria Bruni Tedeschi, che avevamo già apprezzato nel " Capitale umano" dello stesso regista. "La pazza gioia" è il titolo del film, ma è anche la frase di felicità e liberazione che esclamano le due protagoniste quando, dopo aver sottratto l'auto ad un squallido corteggiatore, capiscono di potersi muovere verso la gestione della propria vita, l'una insieme all'altra, verso la pazza gioia . Gioia per l'attesa di felicità, pazza perché solo vivendo la propria pazzia, conclamata dagli altri ma vissuta a modo proprio, c'è una speranza di libertà. La società in cui viviamo, che è l'ambiente in cui è cresciuta e si è sviluppata la sofferenza delle due donne, non è certo molto equilibrata. Di sicuro, potremo dire che le due donne non sono riuscite a crescere, assumendo dentro di se il principio di realtà. Potremo dire che la loro reazione alla sofferenza è incontrollata , pericolosa per se e per gli altri. Potremo dire mille altre cose; ma, di certo, non ci possiamo esimere dall'osservare lo squallore, l'interesse,la prepotenza,l'indifferenza che è presente in molti comportamenti normali e prevale all'interno di molte relazioni. Un film importante, quindi , ben diretto, pensato e realizzato, con due attrici bravissime che rimangono nella nostra mente e nel nostro cuore.
Non essere cattivo
Ho visto “ non essere cattivo” ,per puro caso, in streaming sul mio computer. Ne avevo sentito parlare distrattamente e avevo sentito dire che la storia, ambientata ad Ostia, parlava di aspetti della marginalità e della delinquenza di borgata. Qualcosa di attuale sulla linea di “Accattone” di Pasolini.
Curioso, ho voluto vederlo e, fin dalle prime scene, ho riconosciuto con piacere la sabbia ,qualche bar del lungo mare , aspetti di quel tratto di città fra Ostia e l’Idroscalo particolarmente suggestivi per me, immigrato a Roma, proveniente da una città di mare.
Subito dopo, la forza della storia si è impadronita con forza della mia attenzione, lasciandomi senza fiato , con un amaro in bocca fino alla fine e con la sensazione di aver visto un buon film.
La storia di due giovani di borgata, cresciuti come fratelli e divisi solo da scelte di vita diverse ma mai dimentichi dell’affetto fraterno, ti porta per mano lungo tutto il racconto fino alla dura, semplice, in fondo giusta, morte violenta di uno dei due protagonisti e la fine dubbiosa e piena d’incertezze nell’animo dell’altro “ fratello” che, ad un anno di distanza, incontra la compagna delle’amico morto e ne conosce il figlio di cui non sapeva l’esistenza.
La parola fine arriva improvvisa e violenta fra il pianto e l’ampio sorriso rivolto al piccolo bimbo in fasce da parte di Vittorio sopravvissuto a Cesare.
Sono gli “ultimi” che gridano, parlano, si sfogano , amano, ridono , piangono, si drogano , lavorano, sognano, uccidono e chiedono forse di non essere cattivi i protagonisti del film. Ma è possibile?
Possono gli “ ultimi” , privati di una vita dignitosa e posti ai margini della nostra società avere il coraggio e la forza di non essere cattivi ? Innanzitutto per salvare se stessi e le persone che amano, prima ancora che per diventare dei buoni cittadini?
C’è una qualsiasi speranza per loro? C’è una qualsiasi speranza per noi, se non sapremo dare una risposta plausibile , convincente , praticabile a questa domanda?
Siamo certi che la distribuzione ineguale delle ricchezze , il cui livello è ulteriormente aumentato nei nostri giorni, sia compatibile con una società che abbia i minimi connotati delle pari opportunità e dignità per ogni suo componente?
Il regista del film Claudio Caligari non c’è più.
”Non essere cattivo” è uscito postumo dopo la sua morte a completare la trilogia dedicata alla rappresentazione della marginalità , della devianza e della sofferenza della vita degli “ultimi” descritta in “ amore tossico” e “ L’odore della notte” .
Ha avuto l’opportunità di portare a termine pochi film nell’arco della sua vita ma non certo per mancanza d’ispirazione. Racconta Valerio Mastandrea , suo amico che un giorno Caligari gli disse:
“ 'Muoio come uno stronzo. E ho fatto solo due film'. Se n'è uscito così, ad un semaforo rosso di viale dell'Oceano Atlantico circa un anno fa. Stavamo andando insieme a parlare con un amico oncologo in ospedale. La risposta ce l'avevo pronta ma l'ho lasciato godere di questa sua epica attitudine alle frasi epiche che accompagneranno per sempre tutti quelli che lo hanno conosciuto. Ho aspettato il verde in un altrettanto epico silenzio . Ripartendo ho detto 'c'è gente che ne ha fatti trenta ed è molto più stronza di te'. Il suono leggero della sua risata soffocata mi ha suggerito il suo darmi ragione, confermato dall'annuire ripetuto della sua testa grande.”
Personalmente lo ringrazio per essere riuscito a regalarci “ Non essere cattivo”. I BAMBINI SANNO
L’altra sera, in una Roma
infuocata dall’afa, nell’arena dell’isola Tiberina, Walter Veltroni ha raccontato, con
affettuosa partecipazione, l’incontro con i bambini del suo ultimo film.
“I bambini
sanno” è un dialogo, volutamente paritario- ci spiega Veltroni- con ca. 30
bambini, fra i nove e i 12 anni, sui più importanti temi della nostra vita:
Amore, Felicità, Dio, La crisi sociale e tanti altri ancora.
Paritario,
perché -dice Walter- non ho mai voluto pormi in una posizione più elevata di
giudizio nei loro confronti, come spesso, invece, è la loro comune esperienza
nell’incontro con il mondo adulto. In quel caso, tendono naturalmente a tacere
o rispondere con le parole che pensano siano più gradite a chi li esamina.
Si,
l’incontro diventa quasi un esame. Questo, nel corso della lavorazione del
film, non è mai successo; anzi, il materiale raccolto è stato ben superiore a
quello che poi è stato il risultato che voi vedrete nel film, ridotto dopo
un’ampia e dolorosa fase di montaggio.
Non è stato
facile scegliere fra le diverse testimonianze; ma, il criterio che ho
utilizzato è stato, almeno, quello di non escludere nessun bambino –aggiunge
Walter, dopo la proiezione del film e rispondendo alle domande
dell’intervistatore-.
Anche la
scelta dei 39 bambini, fra i ca. 300 che si sono presentati ai provini, non è
stata facile. Mi sono lasciato guidare dall’istinto e dalla luce che
intravedevo nei loro occhi.
Veltroni
racconta ancora, con profonda partecipazione, l’arricchimento personale
ricevuto, ascoltando le considerazioni, i pensieri e le emozioni dei bambini
intervistati. Ricorda la saggezza e la maturità di Kevin, un bambino filippino
la cui mamma lavora in Italia come badante, che, alla domanda su cosa sia la
felicità, risponde senza esitazione: sognare!
Ricorda la simpatia di un altro bambino di nove anni
che, come un moderno latin lover, si destreggiava nel rapporto con tre
fidanzatine.
Ricorda
ancora, sottolineandone la gravità, la
risposta di Julius, un bambino zingaro di nove anni, che, interrogato su cosa
chiederebbe di concreto a Dio,
risponde che vorrebbe che aggiustasse
il mondo e che portasse un panino e una bottiglia d’acqua alla sua sorellina,
che non ha niente per sé.
Non senza
commozione, Walter sottolinea ancora la delicatezza e la maturità di una giovane ragazza di dodici anni, appassionata
scrittrice, che, dopo la morte del padre,
per attutire il dolore della mancanza
gli mandava degli SMS con il telefono nella speranza che potesse
riceverli e raccontarle come stava.
Il film procede così,
senza falsa retorica, avanti nel dialogo fra il regista intervistatore e
i bambini, accompagnato da una delicata ed intensa musica in cui prevalgono le note del pianoforte.
Forse diventa un po’ monocorde e ripetitivo nella parte centrale; ma , alla
fine , si riprende.
L’ultimo
saluto, la scena finale del film, ci descrive l’emozione del piccolo zingaro
che, intervistato lì, in quello spiazzo
del suo campo, alla domanda su che cosa gli piacerebbe vedere, risponde: il mare. Non sono mai stato al
mare! Non l’ho mai visto!
La macchina
da presa, a questo punto, lo mostra mentre si avvia, all’interno di una pineta,
in direzione in uno sfondo azzurro fra gli alberi, un misto fra cielo e mare.
Poi, il mare
finalmente!
Il
bambino cammina fra gli spruzzi e le
onde, felice, schizzando l’acqua e bagnandosi; mentre, per la prima volta, sta in mezzo al mare.
QUARTET
Dustin Hoffman ci ha regalato, dopo le tante prove
magistrali come attore, un gradevole primo film da regista con “ Quartet”,
opera dove affronta con mano sicura e delicata il tema della vecchiaia.
E’ questo un tema difficile e
preoccupante, specialmente per quella generazione dei baby boomers, che guarda
con preoccupazione il suo avvicinarsi e osserva il modo in cui l’affrontano i
fratelli maggiori.
“Quartet” si fa apprezzare subito per la scelta
dell’ambientazione, la campagna inglese che circonda la casa di riposo per
musicisti e cantanti: Beecham House, e per la fotografia, sempre su toni
morbidi.
La casa di riposo è la risposta
collettiva di questi artisti alla loro uscita di scena dal mondo dello
spettacolo organizzato, alla loro solitudine personale, alla vecchiaia.
Non a caso le frasi più belle del
film sono quelle in cui i membri del “quartetto “riflettono sugli aspetti della
solidarietà: “ In questa casa, ci prendiamo cura l’uno dell’altro”, o quando,
per convincere la più recalcitrante a partecipare allo spettacolo organizzato
in occasione dell’anniversario di Verdi, uno dei componenti del quartetto le
spiega che finalmente potrà esibirsi senza tener conto della critica ma solo
per il piacere del canto.
Stare insieme, rielaborando le
proprie esperienze ed i propri ricordi, e affrontando insieme la gestione di
una vecchiaia che può essere ancora uno degli aspetti della “vita”.
Come dirà la dottoressa dello
staff medico della casa di riposo al momento della presentazione dello
spettacolo: “ sono commossa e ringrazio tutti gli ospiti della casa per quello
che ci danno. Per la voglia di vivere che ci trasmettono”
La preparazione dello spettacolo
è l’occasione per regalare ancora la propria esperienza e sensibilità agli
altri e contemporaneamente un po’ di passione a se stessi.
Il tempo non è ancora finito ed è
bella l’inquadratura dei due innamorati, perduti da troppo tempo, che si
ritrovano stringendosi la mano, l’una nell’altra, proprio durante lo
spettacolo.
Immagini ben diverse da quelle
che vediamo quotidianamente per i nostri cari che vivono insieme alle “badanti
“ di turno.
Persone sole insieme con altre
persone sole. Nonostante i nostri sforzi, tutte lontane dai propri cari e dal
mondo che scorre fuori della casa.
Si potrà stare anche male, si potrà
litigare e gioire, si potrà passeggiare e giocare nei giardini di Beecham House
ma in una dimensione che continua ad essere sociale.
Una pagina particolare è anche
data dalla scena in cui, all’interno di una lezione sul significato dell’opera
lirica, si realizza un confronto fra l’anziano cantante lirico ed un ragazzo
adolescente amante del Rap. E’ la musica, il sentimento che esprime, che unisce
le due realtà apparentemente così diverse. Ancora una volta l’incontro fra
l’esperienza e la giovinezza produce il risultato più bello e fa sì che il
giovane rapper sia lo spettatore più attento ed entusiasta dello
spettacolo.“Quartet”, dopo essere passato attraverso la descrizione
dell’ambiente. della vita e dei sentimenti dei personaggi, si chiude con la ricongiunzione
e l’esibizione degli artisti che avevano dato, tanti anni prima,
un’interpretazione magistrale del Quartetto del Rigoletto il cui ascolto ci
accompagnerà con i titoli di coda……“ Bella
figlia dell'amore, schiavo son de'vezzi tuoi; con un detto, un detto sol tu
puoi le mie pene, le mie pene consolar. Vieni e senti del mio core il frequente
palpitar, con un detto, un detto sol tu puoi le mie pene, le mie pene
consolar……………………………………………………………….
Grazie Dustin.
Mamma Roma
Mamma Roma ci parla
del desiderio di riscatto sociale di una povera donna di una borgata romana che
finisce invece nella più profonda disperazione.
Pasolini, che non era
romano e che giunge nella città eterna solo nei primi anni 50, è stato forse
uno dei più grandi cantori di questa città e soprattutto degli abitanti delle
sue borgate. Sono loro, infatti, i protagonisti e gli eroi delle sue opere
forse più belle come il romanzo “ i ragazzi di vita” e i primi film come
“Accattone” e proprio “Mamma Roma”.
Le borgate romane sono anch’esse protagoniste
del film offrendo la loro ambientazione allo svolgimento della storia. Gli interni e gli esterni della casa dove vive Mamma
Roma, all'inizio del film sono girati al "Palazzo dei Ferrovieri" di Casal Bertone. Quando, in seguito,
cambia casa, questa si trova al villaggio INA CASAdel quartiere popolare del Quadraro.
Gli esterni poi dove s’incontrano i ragazzi del quartiere
sono girati nell'adiacente Parco
degli Acquedotti.
Il film è del 1962 . Scritto e diretto da Pier Paolo Pasolini è il secondo film del regista dopo Accattonee la sceneggiatura, scritta insieme al
suo amico Sergio Citti , trae spunto da un evento realmente accaduto: la
tragica morte di un giovane detenuto nel carcere
di Regina Coeli, legato al letto di contenzione.
Mamma Roma è il nome
che il personaggio, interpretato da un’incredibile Anna Magnani, porta su di se
rappresentando quasi tutta la Roma dolente. Quella che per sopravvivere si
dibatte giornalmente in uno spazio angusto e miserabile pieno di violenza ma
anche di una triste solidarietà tra gli ultimi ;come quella espressa dalla
collega “ di vita” Biancofiore, che cerca di alleviare gli sproloqui deliranti
serali di Mamma Roma offrendole un sorso della sua fiaschetta di liquore o quella
del vicino del banco frutta al mercato che cerca di rassicurarla quando
apprende che il figlio Ettore è stato messo “ al gabbio”.
Ettore , l’unica sua
gioia e speranza. L’unico motivo per lottare ed ingoiare ogni giorno il boccone
amaro dell’umiliazione e della violenza nella speranza di procurarsi i mezzi
per cambiare vita e dare a lui le possibilità che lei non ha avuto. Ettore
cresciuto solo a Guidonia mentre la madre continuava a “battere” per riuscire
un giorno a dargli un futuro diverso.
Ora finalmente sembrava esserci riuscita. I
suo pappone :Carmine (Franco Citti) si era sposato e l’aveva lasciata libera.
Lei , adesso, aveva un banco di frutta al mercato e poteva riprendersi il
figlio e cambiare quartiere.
Quel figlio che le era
cresciuto lontano e che ora poteva finalmente stringere al petto, mentre gli
insegnava a ballare nel soggiorno di casa sua. Quel figlio che era già un
giovanotto e che doveva stare attenta a non fare perdere dietro le cattive
compagnie o le gonne di qualche smorfiosetta.
Certo, era difficile
tenerlo a bada : Non aveva studiato , non faceva niente tutto il giorno mentre
l’aspettava ed era facile che si perdesse. Doveva trovargli un lavoro e c’era
riuscita ,inventandosi un trabocchetto per convincere il proprietario di un ristorante
ad assumerlo come cameriere.
I singhiozzi sono
irrefrenabili quando da lontano lo guarda servire ai tavoli, bello come il sole
Ma la vita è dura e il
passato ti segna inesorabilmente!
Carmine , il suo
giovane amante pappone, che l’aveva lasciata libera sposandosi, si è stancato
di lavorare e di condurre una vita regolare . Torna a cercarla e le chiede, con
le buone e con le cattive, di tornare a battere per lui …..altrimenti………..
Altrimenti racconterà al figlio la verità su sua madre .
Quale verità? ………… Che
è…. na mignotta.
E così, per continuare
il sogno della redenzione, bisognerà mischiare il sacro col profano e Mamma
Roma, finito di lavorare al banco della frutta, la sera ritorna a battere per
le strade ritrovando la sua amica Biancofiore e tornando ad ubriacarsi per
alleviare i suoi deliri.
Questa triste e
dolente umanità non si libera da sola !
E’ questa forse
l’amara lezione sociale che Pasolini cerca di raccontarci.
Anche se qualcuno può
farcela, ci sarà sempre una Mamma Roma i cui sforzi sono destinati a
concludersi nella sconfitta, perché una classe sociale non si elimina da sola
senza una profonda rivoluzione collettiva dell’intera società.
Ettore verrà comunque
a sapere la verità su sua madre a causa della confidenza della ragazza con cui
si vede al Parco degli acquedotti dove passa gran parte del suo tempo con gli
amici: Bruna , la sua ragazza, gli racconta tutto e così Ettore non avrà più
voglia né di lavorare , né di sperare in un miglioramento sociale per far
contenta sua madre
Che gliene importa a lui di sua madre ?
La vita è dura e
spietata . Gli altri ragazzi del quartiere si danno da fare e rimediano qualche
soldo anche rubando qualcosa. Perché non provarci?
Ma le cose non vanno
bene . Ettore finisce in carcere. Malato si ribella e viene messo in detenzione
isolata e morirà tra i deliri della febbre legato ad un letto di contenzione,
invocando la madre.
Tutto è finito.
Mamma Roma, informata
della sorte del figlio, corre a casa seguita da un gruppetto di gente del
mercato. Arrivata, si getta in preda alla disperazione sul letto di Ettore,
abbracciando i suoi vestiti. Tenta poi il suicidio gettandosi dalla finestra,
ma viene fermata in tempo dal gruppetto che l'ha seguita. Nell’ultima scena,
Mamma Roma è lì , alla finestra della camera del figlio , trattenuta dalla
gente del mercato che l’ha voluta seguire e non la lascia sola, impedendole di
morire.
Sembra desistere dal
suo intento trovando una misera rassegnazione mentre guarda in lontananza la
cupola della basilica di San Giovanni Bosco.
Forse la fede e la carnosa , umana, solidarietà popolare l’aiuteranno a
vivere.
Vi PRESENTO TONI ERDMANN
Vi presento Toni Erdmann è un film del 2016 ( Germania) diretto da una
giovane regista quarantenne Maren Ade. Il film è stato presentato in concorso
al Festival di Cannes dove ha ottenuto il premio Fipresci della critica
internazionale). Successivamente, ha ottenuto diversi riconoscimenti agli
European film Awards , tutti nelle categorie più rilevanti, ed ha ricevuto la
candidatura agli Oscar come miglior film in lingua straniera.
Maren Ade è una regista, sceneggiatrice e produttrice cinematografica
tedesca. Dopo aver lavorato alla
realizzazione di due cortometraggi “Ebene 9” (2000) e
“Vegas” (2001), ha esordito nel 2003 con
“Der Wald vor lauter Bäumen “. Il suo secondo film “ Alle Andersen” ( 2009) ha
vinto l'Orso d'argento a Berlino, gran premio della giuria.
“Vi presento Toni Erdmann “ è un film costruito con attenzione e con lentezza attorno al rapporto fra un
padre ed una figlia; ma, è anche il confronto fra diversi modelli di
comportamento sociale. Si addentra all’interno delle contraddizioni economiche
presenti nelle nostre società e nei problemi connessi ad uno sviluppo economico
improntato all’efficienza, ma poco attento alle conseguenze sociali; ma, soprattutto, in ultimo si addentra in quella
che è, per ognuno di noi, la ragione di vivere, o meglio quello che ci permette
di affrontare e vivere con pienezza la nostra vita.
Winfred Conradi è un insegnante di musica in pensione che ama mettere in
ridicolo tutto e che riesce attraverso lo scherzo , la creazione di personaggi
immaginari ed il travestimento a colorare
una vita altrimenti sostanzialmente
solitaria e priva di grandi soddisfazioni .
Ines , la figlia , sembra invece il suo opposto. E’ la manager di una
società di consulenza internazionale che ha spesso il compito di riorganizzare
le aziende clienti operando dei drastici tagli di personale. Lucida,
determinata, a tratti cattiva, la ritroviamo a Bucarest proprio nel pieno della sua attività di consulenza
con tutti i problemi che comporta.
Il risvolto umano di questa situazione non è semplice e la vita
personale della donna ne risente
profondamente, privandola di reali amicizie disinteressate e di una vera vita
affettiva. Il contagio fra i due protagonisti avviene nella maniera più
insolita.
Il padre Winfred, percependo le
difficoltà della figlia e desiderando rivederla
e ristabilire con lei un contatto umano, piomba a Bucarest e sotto le
vesti di un personaggio immaginario : “Toni Erdmann” irrompe nella vita della
figlia che, dopo una iniziale irritazione, si presta al gioco . Assistiamo, a
partire da quel momento, ad una continua misurazione silenziosa di diversi
punti di vista su tutti gli aspetti della vita lavorativa e personale di Ines.
Winfred Conradi diventa Toni Erdmann grazie ad una dentiera finta ed una
parrucca. il gesto del mettersi e togliersi la dentiera rappresenterà il continuo
alternarsi della messinscena.
Sarebbe troppo semplice pensare che la questione posta da questo
racconto consista nello scegliere fra
questi due comportamenti o questi mondi a confronto. In realtà, nessuno dei due
convince completamente neanche lo stesso protagonista. Man mano che la storia
si svolge, Ines accetterà di mettere in discussione parte del suo atteggiamento
inserendo in esso l’elemento dell’imprevedibilità e della non convenzionalità.
Windred, da parte sua, farà sparire
lentamente il personaggio di “Toni” dapprima rivelandone la falsità dopo aver
suonato e cantato insieme alla figlia la canzone che forse racchiude il senso
della storia e ,dopo, partecipando alla festa “ nudista” per il compleanno di
Ines completamente travestito da una specie di scimmione, personaggio mitologico bulgaro, che non
permette il suo riconoscimento. Solo la figlia potrà finalmente abbracciarlo,
da sola, chiamandolo papà.
Quando Ines canta il brano suonato al pianoforte dal padre, ancora nel
personaggio di Toni Erdmann, accettando di recitare il ruolo della sua
segretaria, ci troviamo forse davanti alla scena più profonda e commovente del
film.
Le parole della canzone di Whitney
Houston “Greatest Love of All” ci
raccontano ,da un lato, il desiderio di
un padre di far crescere i propri figli infondendo in loro la sicurezza di se
stessi e la gioia di vivere e dall’altro
il quasi incosciente desiderio dei figlio di trovare in
quella figura di riferimento quasi le
sembianze di un eroe da seguire ed in cui riporre la propria sicurezza . Ma gli
eroi non esistono o comunque non si trovano facilmente a propria disposizione e
la cosa più importante per tutti noi è imparare ad amare noi stessi, la vita
che ci è stata regalata e contare sulle nostre forze.
Quando in ultimo Ines, tornata a casa in occasione della morte della nonna,
accetterà di truccarsi mettendo anche lei, come il padre, la dentiera finta ed un
canestro in testa, come una parrucca, non sarà dunque per l’accettazione o la
ripetizione asettica del modo di fare burlesco del padre.
Nel suo silenzio assorto, cercherà di farci capire come sarà sempre più
importante, partendo dalla fiducia in se stessi, decidere il modo migliore di
vivere gli impegni che ci siamo assunti e la vita che stiamo conducendo: ognuno
a modo suo, ma con l’identico desiderio di renderla unica.
Credo che possa essere interessante concludere questa riflessione riportando
alcune frasi del testo della canzone della Huston cantata e suonata da padre e
figlia:
“Io credo che I bambini siano il nostro futuro…………Mostragli tutta la
bellezza che hanno dentro…………………..Tutti cercano un eroe…….Le persone hanno
bisogno di qualcuno a cui guardare..Io non ho mai trovato nessuno che soddisfi le
mie necessità………Così ho imparato a contare solo su me stessa…………………………………….
Ho deciso molto tempo fa di non rimanere mai nell’ombra di nessuno. Se
sbaglio, se riesco, almeno vivo come credo. Non importa cosa prendono da me, non
possono togliermi la mia dignità perché il più grande amore di tutti, lo sto
vivendo io. Io ho trovato il più grande amore di tutti dentro me. Il più grande
amore di tutti è facile da ottenere Imparando ad amare te stesso.”
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