DUE FAMIGLIE
E così' l'attendeva l'Africa! Questo pensava Gaetano, mentre la nave
partita da Napoli continuava a solcare il mare verso L'Abissinia. La terra più
a sud dell’impero richiedeva il suo impegno, il suo servizio, ora che i venti
di guerra sconvolgevano il mondo e le colonne inglesi puntavano alla conquista
di quei territori. Per la prima volta, Gaetano si trovava in un vero
viaggio per nave e per un attimo si ritrovò a pensare a quelli che aveva dovuto affrontare il padre per raggiungere l’America e per ritornare in
Italia. Anche per lui quel viaggio comportava il trasferimento in un altro continente:
l’Africa. Era partito quella mattina da Napoli insieme agli altri giovani
carabinieri destinati a prestare servizio ad Asmara in Eritrea. Appena arruolati, avevano frequentato insieme
il corso di formazione nella scuola
allievi carabinieri a Roma, provenienti da tutte le parti d’Italia.
Qualcuno era siciliano come lui. Uno era della provincia di Palermo e uno di quella
di Siracusa. Gaetano invece era della provincia di Agrigento e precisamente
originario di Siculiana. Suo padre, di ritorno dall’America dopo la grande guerra,
aveva allargato la proprietà del terreno del nonno, acquisendo diversi terreni
limitrofi grazie alle disponibilità rivenienti dal lavoro americano. A New York
aveva lasciato una figlia giovane appena sposata mentre lui era ritornato in
Italia con gli altri due figli maschi avuti dalla prima moglie, morta
prematuramente. Tornato al paese, il padre si era risposato ed aveva dato un
nuovo impulso alle proprietà con ottimi risultati. I terreni non erano molto
distanti dal paese e, pur se abitavano in un comodo casolare all’interno della
campagna di proprietà, era facile raggiungerlo per tutte le attività
necessarie. Gaetano era così cresciuto serenamente insieme ai due fratelli del
primo matrimonio e le tre sorelle e il fratello del secondo matrimonio del
padre. Aveva alternato alla frequenza della scuola il lavoro nei campi, nel
periodo estivo, anche se in misura molto limitata. Pur se il paese non era
molto lontano dal mare e dalla sua splendida spiaggia, Gaetano vi si recava
raramente e non aveva imparato a nuotare. Capitava di andarci, qualche volta insieme
al padre, per barattare i loro prodotti agricoli con qualche cassetta di pesce.
In special modo, era facile trovare sarde ed alici. Quelle che non si
consumavano subito si conservavano sotto sale e costituivano un ottimo pasto al
bisogno. La vita procedeva tranquilla ma
il diavolo prepara sempre le sue trappole. Lo zio di Gaetano era commerciante e
per la sua attività aveva avuto bisogno di un importante prestito dalla banca
locale. Questa aveva voluto a garanzia delle cambiali e, non ritenendo sufficiente
solo la firma dello zio, aveva preteso l’avallo da parte del padre di Gaetano
che non si era sentito di negare il suo consenso. Il tempo era passato,
l’attività commerciale aveva avuto dei problemi e lo zio di Gaetano era
risultato inadempiente ai suoi obblighi. In quella situazione, la banca aveva
agito legalmente anche nei confronti del padre di Gaetano attaccandolo e
privandolo di parte dei terreni. Le prospettive del futuro erano cambiate. La
proprietà non poteva bastare più per tutti e anche per Gaetano si pose la
necessità di cercare rapidamente una possibile occupazione. Gli era sempre
piaciuta la divisa ed una vita attiva e libera. Decise, quindi, di arruolarsi
nell’arma dei carabinieri. Era giovane, aveva conseguito il diploma ed era
pronto per il servizio militare. A quel punto, meglio provare ad arruolarsi
nell’Arma. Superò la selezione e salutata la famiglia si trasferì a Roma per
frequentare in caserma il corso di preparazione all’inquadramento in servizio.
La
caserma era in zona centrale, vicino a viale delle Milizie e non lontano da
Castel Sant’Angelo e San Pietro. Questo permise a Giovanni di addentrarsi con
facilità, nelle ore di libera uscita, per le strade del centro alla scoperta di quella splendida città.
Insieme agli altri due allievi siciliani, dapprima cercarono di visitare i
principali monumenti e successivamente,
grazie anche alle indicazioni dei colleghi romani, scoprirono Trastevere con le sue viuzze e le sue osterie popolari dove assaggiare del buon vino, i
piatti della cucina tradizionale e scambiare qualche sguardo con le ragazze.
. Il tempo, tuttavia era passato,
rapidamente e senza rendersene
neanche conto era già sulla nave a ricordare quei momenti con una relativa
nostalgia.
·
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*
*
*
Turiddu
camminava velocemente per la via Etnea di Catania tornando verso casa. Si erano
trasferiti alla Barriera dopo i violenti bombardamenti alleati dei giorni
precedenti e la delibera di sfollamento
decisa dal Governo. Camminava deciso e
con passo militare, portando con fierezza la sua divisa di vigile urbano con i
gradi di tenente. Era una condizione che si era veramente sudata. Ricordava
quanto aveva studiato per prepararsi con
l’aiuto dello zio Vincenzo, ex appuntato e
fratello della madre, alla selezione per l’assunzione.
Poi,
quegli anni erano volati via, tutti d’un fiato. Prima, l’incontro con Maria ,
il fidanzamento, quindi il matrimonio, l’affitto della casa in via Etnea
e la nascita di Carmelina. Dopo, pochi anni fa, la seconda figlia Renza
,che ormai aveva due anni e mezzo Le promozioni fino a quella di tenente, il
comando alla sezione annonaria ed il controllo del mercato nero, che gli avevano
valso la possibilità di non andare in guerra , perché adibito a servizio
necessario per la salute pubblica. Ora aveva trentasei anni . Era un giovane
alto e forte e camminava verso casa dopo
il turno di lavoro. Se si poteva essere soddisfatti, pure se in un periodo come
quello , ebbene lui lo era . Anzi , sostanzialmente orgoglioso del suo lavoro e
della sua famiglia. Nonostante la guerra , fino a quel pesante bombardamento ,
erano riusciti ad andare avanti senza
troppe difficoltà. Certo, tutto era razionato ma le bambine crescevano bene e
non gli era mancato niente. Sotto casa loro
, al primo piano dello stabile , abitava una famiglia che gestiva un
piccolo panificio due porte appresso , sempre su via Etnea. Col tempo erano
diventati amici ed il pane non mancava mai. Turiddu , da parte sua, si procurava al mercato di tanto in tanto
qualche sacco di farina e Maria impastava e faceva la pasta fresca. Turiddu
era figlio di dolciere ed , al bisogno, era in grado di lavorare la
pasta lievita e qualche volta preparava il pan di spagna per le bambine. Moto
più bravo di lui era ovviamente il papà Giuseppe, il nonno di Lina e Renza. Si,
Lina perché col tempo il nome troppo lungo di Carmelina era stato
accorciato . La mattina, mentre lui era
già al lavoro, Maria scendeva a piedi
dalla Barriera per portare Lina a scuola
che si trovava in una zona vicina a Via
Etnea all’altezza della stazione ferroviaria dei treni locali della
Circumetnea. Era questa una linea che collegava a Catania i principali paesini
che sorgevano sul versante dell’Etna. Maria portava con se oltre a Lina anche
Renza che, nonostante i suoi due anni e
mezzo, era costretta a farsi molta strada
a piedi , lamentandosi continuamente di voler esser presa in braccio.
Lina invece aveva già otto anni e
frequentava la seconda elementare. Era la figlia grande ed i capricci era già
finiti da un pezzo. Renza invece aveva ancora il diritto di protestare, anche
se, comunque, la strada a piedi non gliela toglieva nessuno. A niente valevano anche le sue proteste
quando , suonata la sirena che avvisava
delle incursioni aeree, l’ordine perentorio era di mettersi sotto il letto .”
Ma perché sotto il letto ?” gridava piangendo Renza, mentre mamma Maria e Lina si mettevano sotto
il tavolo e papà Turiddu, per cui non
c’era più posto, si metteva sotto l’arco della porta che in caso di crollo
doveva in qualche modo resistere.
Maria
e le figlie sotto il piano della tavola e del letto sarebbero state protette a loro volta dall’eventuale crollo del soffitto , visto
che erano all’ultimo piano dello stabile . Avevano deciso di restare a casa
perché il rifugio comune era un po'
distante ed arrivarci con le bambine era difficoltoso : Avevano poi avuto l’esperienza di passare molto tempo lì, in attesa di bombardamenti
che non arrivavano mai e con una sirena che metteva fine all’allarme solo molto
tempo dopo. Questo comportava uno stato di sofferenza per tutti ma soprattutto per le bambine. Si erano
convinti così che il pericolo era
relativo e poteva essere affrontato meglio a casa. Fortunatamente per loro, quando
Catania era stata bombardata seriamente
e quarantadue strade con le relative
abitazioni avevano avuto morti e distruzioni , la zona del quartiere
Borgo , dove abitavano , non aveva avuto danni ed era stata sostanzialmente
risparmiata. Non avevano avuto invece la
stessa fortuna due appartamenti, siti in Via Garibaldi, di proprietà del padre che con gli affitti
arrotondava le sue entrate. Questi erano stati rasi al suolo con le relative
vittime umane. Dopo il bombardamento
l’ordine era stato perentorio:” Si doveva sfollare” e Turiddu aveva trovato
quella casa relativamente vicina a
Catania ,posta nel quartiere della Barriera. La distanza fra la casa di via Etnea
a questa nuova era nell’ordine di ca.
tre chilometri che si potevano fare a
piedi . La strada era tutta in salita
per uscire da Catania . Partendo da casa loro, in via Etnea, si continuava per
la stessa strada, si superava
a destra il livello della stazione della circumetnea, si superava quello che era stato il palazzo degli
Ardizzone Gioeni , diventato ospizio dei ciechi e si arrivava al Tondo Gioeni ,
che prendeva sempre il none da quella famiglia nobiliare. Questo era uno slargo
posto alla fine di via Etnea , sulla sommità della città, e con alle spalle il
vulcano Etna nella sua piena grandiosità. Da quel punto, si saliva poi per una strada più piccola con un
dislivello ancora più ripido per circa un altro chilometro, raggiungendo
il borgo della Barriera del Bosco, detta comunemente solo “ la Barriera “.
Sia
Turiddu che Maria e le figlie si riunivano a pranzo nella casa di via Etnea
perché era più comodo. Solo dopo
rientravano alla casa della Barriera. Maria e le figlie nel primo pomeriggio, Turiddu, invece, tornava
al lavoro a Pazza Duomo, dove stava il Comando dei Vigili Urbani, e finito il
suo turno, nel tardo pomeriggio, tornava anche lui alla casa della Barriera.
Mentre per andare al lavoro , la mattina ,la strada era tutta in discesa; al
ritorno , al contrario, era tutta in
salita ed ai tre chilometri della distanza fra la casa in Via Etnea e quella
della Barriera si aggiungevano quasi altri due chilometri partendo da Piazza Duomo.
Mentre
nella sua mente scorrevano questi pensieri,
Turiddu era ormai arrivato quasi
all’altezza di piazza Stesicoro,
sempre su Via Etnea passati i Quattro Canti. La piazza veniva chiamata
anche piazza Bellini perché, sulla sua destra,
troneggiava il monumento dedicato
al grande compositore nativo
della città. Anche il teatro dell’Opera aveva preso il nome da questo grande
musicista. Sulla sinistra della
piazza si accedeva invece a quello che era stato l’anfiteatro greco
romano. Questo aveva una parte scoperta
visibile, mentre un’altra parte
continuava sotto terra. Oltre questa zona recintata della parte scoperta dell’anfiteatro, sempre
alla sinistra in alto, si poteva ammirare la chiesa di S.Agata al carcere, dove la patrona
di Catania sembra fosse stata torturata ed incatenata. Turiddu
aveva da poco oltrepassato Piazza
Stesicoro quando, improvvisamente, l’aria venne solcata da un rombo improvviso.
La gente tutt’intorno a lui rimase di colpo immobile e disorientata fino a quando, con la stessa improvvisa
rapidità, cominciò a scappare urlando in
tutte le direzioni, mentre appariva sullo
sfondo la sagoma di un caccia dell’aviazione nemica.
Turiddu, accorgendosi di tutto questo ,
analizzava velocemente tutte le possibilità a disposizione e, mentre l’aereo si
avvicinava, si appiattì contro il muro
della parete della strada, cercando di
essere il meno visibile possibile. Il caccia
era isolato. Probabilmente, era in ricognizione; ma, ora,
stranamente e inspiegabilmente, si orientava contro una popolazione civile e
indifesa. Aveva abbassato la sua traiettoria sulla città e sparava colpi di mitragliatrice, colpendo i
marciapiedi fra le urla delle persone. Era
della RAF britannica. Dopo aver superato il livello della Piazza Duomo, adesso,
il caccia stava virando per tornare indietro . Turiddu non aspettò un attimo.
Non poteva stare ancora lì e decise di correre all’impazzata verso un posto più
sicuro Cercava un portone aperto dove infilarsi
per sfuggire all’aereo; ma, molti prima di lui avevano avuto la stessa
idea e, dopo essere entrati, se lo erano
chiusi alle spalle .
Turiddu correva , correva . ma sentiva il rombo
dell’aereo sempre più vicino. Ad un certo punto arrivò vicino al palazzo delle Poste, sulla sinistra di via Etnea, poco prima di
Villa Bellini, la più grande villa pubblica
e monumentale della città . L’aereo cominciò a sparare di nuovo e
Turiddu sentì i colpi battere sul
marciapiede poco distante da lui. Fece
uno scarto e salì di corsa i pochi
gradini dell’entrata del Palazzo delle Poste , rifugiandosi dentro la grande
arcata dell’ingresso. L’aereo , fortunatamente, passò oltre continuando la sua pazza mitragliata di una
strada ormai vuota , sparendo all’orizzonte
oltre l’Etna.
* * * *
Si stava bene ad Asmara! Certo, non era
Roma; ma, sembrava quasi di essere in una elegante cittadina italiana, con una vita comoda e gradevole. Gaetano era già lì da quasi un anno . Era sbarcato a Massaua ed era poi arrivato ad Asmara col treno,
grazie alla ferrovia costruita dagli italiani che collegava le due città. L’azione italiana in quel territorio era
stata importante. In soli cinque anni,
a partire dal 1936, Asmara aveva
cambiato il suo volto. Era stato
costruito un grande aeroporto internazionale che permetteva
il collegamento con l’Italia,
grazie alla Linea dell'Impero. Era stata inoltre realizzata una moderna strada asfaltata per Addis Abeba ,detta
"Via dell'Impero", una efficiente ferrovia per Massaua e una
Teleferica che collegava la città ( posta su di un altipiano a 2300 mt sul livello del mare) col Mar
Rosso e che veniva considerata la maggiore del mondo. Il volto di Asmara era quello di una città in
cui l’opera dei moderni architetti del Regime si era espressa, accoppiando le
nuove linee della modernità con un raro equilibrio. Erano stati realizzati edifici come l'"Art Deco" Cinema
Impero, la "Cubista" Pensione Africa, la chiesa ortodossa Tewahdo, il
teatro dell'Opera, la costruzione "futurista" Fiat Tagliero, la Cattedrale secondo uno stile neoromanico ed il
"neoclassico" Palazzo del Governatore. La città era piena di
ville in stile "coloniale
italiano". Già nel 1939 Asmara
aveva una popolazione di ca. 98.000 abitanti, dei quali 53.000 erano Italiani. Era
la principale "città italiana"
nell'Africa Orientale Italiana mentre in tutta l'Eritrea vi erano ca. 75.000 Italiani.
La zona centrale della città, dove si trovava
anche la caserma dei carabinieri, era riservata quasi esclusivamente agli
italiani, C’era poi una zona periferica
destinata ai locali e un’altra mista per
arabi e indiani i cui progenitori erano
arrivati dal Mar Rosso. Il fronte di guerra era sempre più vicino e le cose non
stavano andando per il verso giusto.
Giovanni e gli altri carabinieri rimasti ad Asmara erano i custodi dell’ordine
pubblico della città; ma, in quel momento, v i era una pesante sensazione di
silenzio ed incertezza nell’aria. Poco distante, a
Tekelezan , le truppe italiane più tenaci ed organizzate stavano
cercando di opporre l’ultima resistenza
all’avanzata britannica , ma la nuova posizione era molto meno
difendibile di quella dell’ormai persa
Cheren. Verso Cheren erano confluite la 4° Divisione Indiana, che si era impadronita del monte Forcuto e di Sanchil , mentre
la 5° divisione indiana era
riuscita, dopo molti giorni di resistenza italiana, a forzare il passo di Dongolaas. Adesso si
temeva il peggio!
Le
notizie che arrivavano erano sempre più sconsolanti e la mattina del 1 aprile
1941 si ebbe la certezza che le truppe
britanniche sarebbero arrivate presto ad Asmara : Tekelezan era caduta!
Gaetano
era decisamente preoccupato. La guarnigione di stanza ad Asmara era di una
sessantina di carabinieri che regolavano la vita della città e garantivano la sicurezza della popolazione
italiana. Per questo motivo , fino all’ultimo, la scelta dell’alto comando ,
era stata quella di restare e di
mantenere la presenza dei carabinieri nella
città. Ora, le truppe inglesi stavano per arrivare , occupando l’intera
Eritrea. L’Impero era caduto ed ormai
tutto era cambiato. Gaetano, durante quell’anno di permanenza ad Asmara, si era
fatto molte conoscenze ed amicizie. Oltre ai colleghi con cui era arrivato in
Africa ed era stato a Roma, era legato ai “ siciliani”, un gruppo di persone
che si era trasferito nella colonia in
cerca di lavoro ed un miglioramento
delle proprie condizioni di vita. In
particolare, frequentava alcune famiglie che vivevano in città ma erano proprietarie di diverse fattorie agricole nell’altipiano, con
alcuni ettari di terreno dove coltivavano il miglio e tenevano anche degli animali : alcuni buoi
e dei polli . Asmara era un buon
centro commerciale e queste persone portavano qui i loro prodotti. Il
comando generale aveva stabilito che i
carabinieri di stanza in Eritrea , adibiti all’ordine pubblico, rimanessero nei
loro posti, in attesa dell’arrivo delle truppe inglesi, anche a garanzia della
popolazione italiana residente e così con trepidazione tutti erano in attesa del loro arrivo per
vedere cosa sarebbe successo.
Adesso,
erano ormai alcuni giorni che le truppe inglesi erano arrivate e si erano
insediate in città occupando il palazzo
del governo. Presero atto che i carabinieri italiani erano rimasti tutti
ai loro posti di servizio e decisero di approfittare della loro presenza come fattore di
mediazione per l’occupazione del territorio nei confronti della parte più
importante della popolazione, che era di origine italiana, e che , in qualche modo , fino a quel momento li
aveva considerati come nemici. Presero pertanto contatto con il comandante dei carabinieri e lo
informarono della decisione di accettare la loro collaborazione. Allo stesso
tempo , tuttavia, fecero presente che , come d'altronde era comprensibile per
chi era stato un militare per tutta la
vita , era necessario un atto formale di adesione al nuovo potere costituito.
Desideravano pertanto che ogni carabiniere di stanza ad Asmara prestasse
formale giuramento sottoscritto di sottomissione e fedeltà all’impero
britannico e alle sue istituzioni.
Questa era la condizione in cambio della quale si sarebbe dato vita ad una
forma di collaborazione che avrebbe permesso ai carabinieri di continuare a
svolgere il loro servizio , mantenendo la
posizione occupata. Chi non avesse prestato giuramento, sarebbe stato
invece arrestato e considerato prigioniero di guerra. Gli inglesi lasciarono il
testo del giuramento da far sottoscrivere
da tutti i carabinieri , ma pretesero che una copia fosse firmata immediatamente
dal comandante della stazione e se ne
andarono solo dopo che lo stesso l’ebbe
firmata davanti a loro.
Il
giorno dopo il comandante della stazione dei carabinieri di Asmara convocò uno
per uno i suoi sottoposti richiedendo l’apposizione della firma di giuramento
al nuovo potere costituito sul documento predisposto dal Comando di occupazione
inglese. Uno dopo l’altro, tutti entrarono nella stanza del comandante e
firmarono il giuramento. Venne poi il turno di Gaetano. Gli avvenimenti di quei
giorni erano precipitati nella sua mente e nel suo cuore sconvolgendolo. Lui
era un italiano, aveva prestato giuramento al Re d’Italia fino alla morte e la
guerra non era finita. Si, adesso il comando inglese aveva il controllo di Asmara; ma, l’Italia non era ancora battuta e tanti
altri italiani stavano combattendo. Lui aveva giurato fedeltà! Perché doveva
abiurare quel giuramento? Non era
giusto! Mentre il comandante gli spiegava che il loro compito era in quel
momento accettare la situazione per il bene dei compatrioti residenti ad
Asmara, Gaetano fremeva . Ad un certo punto espresse con chiarezza il suo
pensiero e il suo rifiuto aperto a
quello che gli veniva chiesto. Non l’avesse mai fatto! Il Comandante non
era solito tollerare il rifiuto di uno dei suoi sottoposti, per
qualsiasi motivo, e vide quel
naturale atteggiamento di perplessità e
di disagio di Gaetano come un ‘insubordinazione. Invece di parlargli ancora,
cercando di ottenere la sua comprensione, si alzò in piedi urlando ed
investendo Gaetano con violenza e con un mare d’insulti. Gaetano era un giovane
rispettoso dell’autorità e con un carattere equilibrato. Non era solito perdere
la testa e controllava abbastanza bene le sue emozioni. Per la prima volta ,
tuttavia , nella vita sentì montare dentro di sé una rabbia incontrollabile.
No! Non era lui che stava tradendo la fiducia degli altri! Era quel pazzo di
comandante che tradiva l’Italia ! Era
lui che non aveva rispetto dei suoi sentimenti! Ma come diavolo si permetteva
d’insultarlo in quel modo?!? Sentì la propria mano scendere lentamente verso il fodero della
pistola. Era quasi se fosse un altro a muoversi al suo posto , mosso da un’ ira
tremenda. Il comandante comprese al volo quello che stava succedendo e gli
grido con voce squillante:
-
CARABINIEREE! A..TTENTI!
Senza rendersene conto Gaetano ubbidì. Era
un comando che era entrato dentro di lui
senza permettergli di riflettere e che aveva eseguito
immediatamente. In quel mentre, il
comandante gli si avvicinò rapidamente e gli sciolse il cinturone con la pistola, mentre contemporaneamente chiamava i sottoposti.
-Quest’uomo
è agli arresti- disse rivolgendosi ai carabinieri prontamente entrati nella
stanza – Portatelo in guardina.
-Questo
è quello che succede a chi non presta giuramento al nuovo potere costituito ad
Asmara , sotto il Comando dell’Impero Britannico.- aggiunse il Comandante-
Chiunque non presta giuramento verrà considerato prigioniero di guerra e incarcerato in attesa di nuovi ordini.
CHIARO?
-Sissignore!
-risposero tutti in coro.
Gaetano
era ammutolito. Dentro di lui lottavano
insieme la rabbia per quello che aveva subito , l’umiliazione e la vergogna per
essere stato arrestato proprio dai suoi commilitoni! Lui non aveva fatto
niente! Non era giusto quello che stava subendo.
I
compagni carabinieri lo accompagnarono
nel sotterraneo verso i locali dove stavano le celle. Erano tutti in evidente
imbarazzo! Gaetano era un giovane che tutti volevano bene e rispettavano.
Quella situazione era insostenibile!
Mentre scendevano , arrivò di corsa il capitano e si mise a parlare fitto fitto
,. bisbigliando, con il capo squadra. Successivamente, se ne andò di corsa come
era venuto e la squadra continuò ad accompagnare Gaetano verso le celle. Quando
furono arrivati , fecero entrare Gaetano in una delle celle, gli dissero di accomodarsi su di una sedia
accanto alla brandina e di aspettare lì in attesa del loro ritorno. Accostarono
il cancello e se ne andarono.
Giovanni
era costernato! Sedeva li, su quella sedia, aspettando i commilitoni e, nel
frattempo, non riusciva a rendersi conto di quello che era successo: Lui, un
carabiniere, un tutore dell’ordine , un elemento integerrimo dell’Arma,
quell’Arma che era l’orgoglio italiano, lui, che per tutta la vita aveva portato avanti il
senso del dovere , dell’onestà , della dedizione al servizio , adesso era in
una cella imprigionato dai suoi
compagni!
Non poteva crederci!
Il
tempo passava e lui rimaneva solo! Non tornava nessuno ! Che stava succedendo?
Lui era prigioniero di guerra , gli avevano detto. Sarebbe stato portato in un
campo di concentramento! Che fine avrebbe fatto? Sarebbe mai tornato a casa da quella guerra? Pensò a sua madre , a suo padre ed ai
fratelli e sorelle in Sicilia. Non li vedrò più?
Si
avvicinò alla porta della cella e si rese conto che era accostata. Si, aveva
visto che non era stata chiusa a chiave ma, fino a quel momento, non si era
ancora reso conto che era aperta. Provò a spingerla . Il cancello si aprì e lui
uscì fuori lentamente. Si guardò attorno e non c’era nessuno. Che stava
succedendo? Dov’erano tutti? Lentamente, salì la scaletta e non vide ancora nessuno. Ora era nei locali
superiori ,vicino ad una porta che dava fuori, mentre nell’altra stanza, in
fondo, sentiva il parlottio degli altri carabinieri.
Che
fare? Quella situazione non era normale!
Era molto strano che la porta della cella fosse rimasta accostata e che tutti fossero spariti!
Era come se lo invitassero a scappare. E
lui scappò!
* * *
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Lina
giocava con Armando il piccolo zio , fratello della mamma, e Renza
nel terreno fuori dalla casa di
Mascalucia, dove la sua famiglia si
era rifugiata dopo che i bombardamenti su Catania si erano
fatti devastanti e continui e gli
alleati erano sbarcati in Sicilia. Adesso, il fronte si era attestato nella Piana di Catania. L’8° armata guidata da Montgomery era riuscita a superare il ponte Primosole
sul Simeto ma la forte resistenza dei paracadutisti tedeschi e degli uomini
della "Hermann Göring" sistemati in posizione difensiva, favoriti
dalle postazioni d'osservazione sopraelevate dell'Etna la bloccava a una decina
di chilometri dalla città. I combattimenti continuavano da una settimana quando
giunse notizia che era arrivata dal Nord Africa una divisione di fanteria per rafforzare le forze britanniche.
Erano
i primi giorni di agosto e rispetto alla
solita afa che colpiva Catania in quelle giornate estive a Mascalucia la sera
il tempo rinfrescava e si stava un po' meglio. La casa di Mascalucia era stata
affittata dai nonni materni. Fin dai primi bombardamenti su Catania avevano
deciso di “ sfollare” sull’Etna e avevano trovato la possibilità di affittare
questa casa ampia grazie ad una conoscenza comune. C’era stata po la
possibilità di ospitare anche la figlia con la sua famiglia e i genitori del
genero rimasti soli a Catania e bisognosi anche loro di scappare dai
bombardamenti. La convivenza non era stata molto semplice a causa del carattere forte delle due “ nonne” e dei rapporti non facili fra Maria e la suocera.
Quella
sera ,dopo cena, mentre i bambini giocavano i grandi si erano seduti fuori
all’aperto per discutere della situazione.
Quella
mattina era successo il finimondo ! C’era stata una vera e propria battaglia. Tutto
era cominciato quando dei soldati tedeschi, dopo avere sottratto la motocicletta
ad un miliare italiano portaordini e dopo aver tentato di rubare i quattro
cavalli ad un carrettiere , avevano riprovato a rubare i cavalli ad una famiglia catanese sfollata nel paese. I tedeschi avevano
sparato provocando un morto ed un
ferito. In un altro punto del paese, in un casolare, un tedesco ubriaco aveva
sparato ed ucciso un soldato italiano. Successivamente i tedeschi avevano
ucciso ancora un altro soldato italiano.
Non se ne poteva più.
In
paese c’era una famiglia di armieri che aveva un deposito le distribuì a molti
paesani nel paese e gli stessi risposero a quelle prepotenze
con le armi. Fu il “segnale” dell’inizio
della resistenza popolare.
Molti cittadini armati di fucili e pistole
erano scesi per le strade,
sparando ai soldati tedeschi. Molti sparavano
dalle terrazze delle case e dal campanile della chiesa principale del
paese. Gli abitanti di Mascalucia erano stati poi aiutati dai soldati italiani, carabinieri e
Vigili del fuoco, sfollati da Catania.
La sparatoria durò circa quattro ore.
I
tedeschi, dopo avere lasciato diversi caduti sul campo, si erano ritirati quindi dal paese lasciandolo in mano agli insorti. .
Alcuni paesani avevano riferito a Turiddu che si muoveva qualcosa e che i
tedeschi si stavano preparando alla ritirata anche da Catania. Questa voce era
stata in qualche modo confermata dai suoi superiori d’ufficio che avevano detto
che nello spazio di pochi giorni Catania sarebbe stata liberata dagli alleati.
Era per questo che Turiddu insisteva con Maria e gli altri che era ormai il
caso di provare a ritornare in città.
-E’
necessario farlo adesso , prima che vi sia quel momento di vuoto di potere in cui i delinquenti possono tentare di
entrare nelle case vuote per rubare. Poi- disse Turiddu- io devo tornare in ufficio e quindi è il momento di tornare adesso insieme in città.
- Per
noi va bene – rispose la madre di Turiddu- Vero, Giuseppe?- aggiunse
rivolgendosi al marito.
-Si ,
certo – rispose lui- Bisogna andare via di mattino presto – Dopo la prima
scarica di cannonate dei tedeschi verso la piana . Dopo, c’è qualche ora di
pace e a quel punto possiamo già essere
arrivati a Catania.
- Ma
siete proprio sicuri di non voler restare con noi fino a quando la situazione non è definita? –
chiese la madre di Maria
- No mamma , partiamo adesso- rispose Maria- .
E’ meglio ! Turiddu potrebbe avere difficoltà a tornare qui dopo ed è meglio
andare via ora, insieme.
Così
decisero e la mattina dopo presto si
misero in cammino per tornare a casa in città. Lina e Renza cercavano di fare
del loro meglio ma c’erano punti da attraversare in campagna difficili e
Turiddu e Maria dovevano spesso fermarsi per prenderle in braccio per lunghi
tragitti. D’altra parte , spesso ci si doveva fermare per aspettare e far
riposare gli anziani genitori di Turiddu.
Alla
fine, comunque , mentre riprendevano, le
cannonate tedesche, arrivarono ai margini dell’abitato cittadino. Usciti
dall’agglomerato urbano della Barriera
del bosco, si trovarono già al Tondo Gioieni
da cui si poteva ammirare il panorama della città. Poco distante c’era
la casa dei genitori di Turiddu e ci
arrivarono in pochi minuti. A questo punto rimase un chilometro in discesa su
Via Etnea verso la loro casa nel
quartiere Borgo, prima di Piazza Cavour.
Arrivarono stanchi e preoccupati ma contenti
di avercela fatta senza incidenti di percorso.
Gaetano
si era rifugiato fuori Asmara , nella campagna di suoi amici di origine
italiana. Aveva ottenuto dei documenti nuovi grazie all’amicizia con i
dipendenti dell’anagrafe locale che
preparavano le carte d’identità e aveva
preso il nome di Fortunato Speranza.
Avevano timbrato il documento con un
colpo di martello su di una moneta
riscaldata sul fuoco che aveva dato un risultato simile a quello di un timbro a
secco. “Fortunato” del resto era conosciuto e voluto bene da tutta la comunità
italiana, dai colleghi carabinieri
rimasti in servizio e dagli impiegati dell’amministrazione di governo
che aveva conosciuto negli anni di servizio. Quel documento era abbastanza
sufficiente per garantirgli una relativa agibilità anche nei confronti dei
controlli occasionali delle truppe inglesi
. “Fortunato” lavorava insieme a
molti braccianti di colore ed altri italiani
nelle campagne dell’Eritrea vicino ad Asmara ed otteneva il necessario per vivere . I pasti erano
garantiti e per dormire vi era un grande
capannone di legno coperto da grandi foglie di palma , adibito a dormitorio
comune. La sera ormai stanchi si crollava sui mucchi di fieno preparati per il
giaciglio e si perdevano completamente i sensi in un profondo sonno
ristoratore.
Quella
sera , tuttavia , appena preso sonno , Fortunato fu improvvisamente svegliato
insieme a tutti gli altri da un
frastuono che veniva dal tetto. Nel buio della notte si vedevano le
foglie di palma tutte smosse come se vi stesse passando in mezzo un treno. Era
impressionante! Qualcosa stava strisciando
sul tetto del capannone ed era enorme! Subito tutti si alzarono dal
giaciglio spaventati. Alcuni scapparono
di corsa fuori , altri si raggrupparono
in un angolo del capannone armandosi di bastoni , coltelli ed attrezzi da
lavoro .
Era un
animale ed era grosso! Strisciava sopra il tetto scompigliando tutto e facendo un rumore
sordo: Doveva essere molto lungo perché sembrava arrivare da un lato all’altro del tetto.
Ad un
tratto sembrò che scendesse lungo la parte esterna. Fuori
le grida di molti indigeni, accorsi a vedere che cosa stesse succedendo,
risuonarono forte nel buio.
Un
serpente ! Un serpente ! – gridavano- E’ un Pitone enorme . Attenti! Attenti!
Sparategli!
Fortunatamente
per tutti, ed anche per lui stesso, il Pitone, tuttavia, se ne andò così come
era venuto salendo su di un grosso albero prospiciente al capannone e sparendo
dopo pochi minuti dalla vista di tutti.
Non ho
mai visto un animale simile! – disse Fortunato – Doveva essere lungo quattro o cinque metri!
-E’ un
animale formidabile e pericoloso anche se non è velenoso- gli rispose Amir – un
compagno di lavoro eritreo. Ha una forza tremenda con le sue spire riesce a stritolare le sue
prede e addirittura ad ingoiarle intere.
-Meno
male che non aveva fame! –disse “
Fortunato” sorridendo-
Dopo
quella bella notte in campagna “
Fortunato” pensò bene di cercare qualche
altro sbocco professionale rispetto a quel duro lavoro manuale. Sempre aiutato dai
suoi amici italiani, si procurò un
calesse /carretto tirato da un cavallo con cui
iniziò un servizio di trasporto di persone o di merci .Metà dei soldi
guadagnati andavano ai proprietari del calesse e con l’altra metà Fortunato
riusciva a vivere dignitosamente e pagarsi un letto in un ammezzato /cantina di altri conoscenti.
Il
tempo passava e arrivò anche ad Asmara
la notizia dell’armistizio firmato da
Badoglio fra l’Italia e le forze alleate. Fortunato poteva riacquistare la sua
identità presentandosi al Comando dei
carabinieri ed alle forze alleate. Tutto procedette abbastanza bene ma alla
fine Fortunato venne tuttavia
considerato, a causa delle sue precedenti azioni . equiparato agli altri
prigionieri di guerra ma con la
possibilità di un inquadramento in un campo di lavoro nei campi petroliferi
sulla costa Araba dirimpettaia.
“Fortunato”
ritornato Gaetano si ritrovò così per la
prima volta nella sua vita seduto in
fila con alti compagni all’interno di un aereo militare adibito al trasporto di
uomini verso i campi petroliferi arabi. Non aveva mai preso l’aereo ed era
comprensibilmente emozionato . Quando si
ritrovò in aria , la tensione , piano
piano si allentò e tutti cominciarono a prendersi in giro l’un l’altro e
trasformare l’iniziale paura in riso.Il viaggio durò meno di quanto si
aspettavano e presto dopo aver di nuovo sospeso il fiato durante la manovra di
atterraggio si ritrovarono in Asia , fra le sabbie arabe e vicino al mare.
Gaetano
imparò a lavorare nei campi di petrolio e a nuotare nelle acque dell’oceano
indiano, poi finalmente la guerra finì e si cominciò a predisporre il rientro in
Italia. Passò ancora qualche mese e finalmente Gaetano potette prendere posto
nell’aereo militare che lo avrebbe sbarcato all’aeroporto di Fiumicino a Roma .
Ormai era un veterano del volo , diceva a se stesso, e in ogni caso non vedeva l’ora di rientrare in Italia e riprendere il suo posto fra i
carabinieri.
Gaetano
fu reintegrato nell’Arma e mandato a
prendere servizio a Ventimiglia promettendogli
che appena possibile sarebbe
stato trasferito in Sicilia con la
possibilità finalmente di riprendere meglio i contatti familiari. Prima di
andare a Ventimiglia aveva avuto comunque una licenza di un mese per andare in
Sicilia . Era stato incredibile rivedere
il suo paese e i suoi fratelli e sorelle ,anche se aveva appreso la
notizia che nel frattempo il padre era morto . Adesso doveva riprendere una
nuova vita. La guerra era finita e bisognava ricominciare. Gaetano era giovane
e desiderava una donna sua , una
famiglia dei figli: Voleva una della sua terra
e trovò la possibilità di scambiare una corrispondenza con una ragazza di Caltanissetta . La
preferiva alle ragazze che aveva conosciuto a Ventimiglia. La sentiva più
vicina alle cose più intime in cui credeva e che sentiva essere la sua più
profonda natura: Passò il tempo e Gaetano ritornò in Sicilia ,sposò quella ragazza e si stabilì a
Caltanissetta . Un giorno, la sua figlia minore avrebbe incontrato il figlio di Turiddu.
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Era il
4 di agosto 1943. Turiddu dovette salutare subito Maria e le bambine perché
doveva presentarsi al Comando in Piazza Duomo.
Le
voci della ritirata tedesca in corso erano ormai dilaganti . Tutti aspettavano
quel cambiamento e non si parlava d’altro . Turiddu invece ebbe altro su cui
concentrare la sua attenzione . Era stato comandato di presentarsi l’indomani
mattina alla Direzione delle Poste per accompagnare il Direttore nel trasporto
dei valori in cassa presso la Banca d’Italia.
La mattina successiva presto, insieme al Direttore, montarono sul pulmino di trasporto valori
.Erano decisamente guardinghi e preoccupati . Appena partiti,
videro che tutti punti stradali normalmente sorvegliati dai soldati tedeschi
erano vuoti.
-Che
succede Tenente? -chiese il Direttore- la città sembra vuota . Non c’è nessuno
in strada.
-
Sembra proprio che i tedeschi siano andati via – rispose Turiddu--Sono giorni
che si parla che Kesserling aveva
intenzione di far lasciare la città alle truppe tedesche. Penso che l’abbia
fatto.
- Ed
ora che facciamo? -disse il Direttore- In questo momento , prima che arrivino
gli alleati in città, chi comanda? A chi portiamo i valori che stiamo
trasportando? Chi mi garantisce che le varie amministrazioni siano ancora
funzionanti e responsabili?
-
Nessuno -ammise Turiddu- Siamo nella terra di nessuno. Tutta la precedente
amministrazione deve essere convalidata dalle nuove autorità occupanti.
Figuriamoci poi i valori che stiamo trasportando! Farli sparire, sarebbe
questione di un attimo! Non solo, ma
potremmo anche essere accusati di averli trafugati.
Turiddu
si fermo un attimo a riflettere. Il Direttore
, nel frattempo, dal canto suo stava in silenzio ma tradiva il suo
nervosismo contorcendosi febbrilmente le mani in un continuo strofinio.
Dobbiamo
essere certi di consegnare i depositi a chi ci garantisce il buon esito
dell’operazione . A qualcuno con i poteri avallati dalla nuova amministrazione.
Anzi, dovremmo aspettare l’entrata degli americani in città.-propose Turiddu .
-Oppure
potremmo sparire con i soldi e chi s’è
visto, s’è visto- disse il Direttore.facendo esplodere tutto il suo nervosismo in una risata
.
Il
ridere fu contagioso e Turiddu senza rendersene conto ne fu coinvolto senza
volerlo:
-Complimenti
Direttore- Rispose Turiddu ridendo. Dopo una vita integerrima finalmente
avremmo un vero premio: Ah! Ah! Ah!
- Era
ora che qualcuno si accorgesse di noi!!!- Aggiunse il Direttore ormai fuori di se dalla risate
-Eh
no! Speriamo che nessuno se ne accorga!
-Disse Turiddu-ridendo ancora più forte.
- Hoi
! Hoi Hoi! Basta non ne posso più-Rispose il Direttore-Ho le lacrime agli occhi
!
Dopo ,
riprendendo il controllo disse : Che facciamo? Dobbiamo fare passare almeno
la mattina e vedere che succede.
Dirigiamoci
verso la Villa Bellini. Entriamo dentro : All’ingresso ci sono i vigili miei colleghi e ci faranno passare :
Aspettiamo li dentro, nelle strade della villa. Potremo anche avere delle
informazioni su quello che succede dagli altri vigili urbani!
Va
bene ! E … speriamo bene ! – Aggiunse il Direttore.
Tutto
si svolse come Turiddu aveva previsto. All’ingresso c’erano due vigili che
riconoscendo il tenente scattarono sull’attenti e senza discutere fecero
passare il pulmino. Dopo Turiddu e il
Direttore posteggiarono il pulmino vicino ad
una fontana alla base della strada in salita dove stanno le varie
panchine dette degli innamorati e che porta al piazzale dove si trova il Palco
della musica.
Trascorsa
mezza giornata , verso le tre del pomeriggio , Turiddu stanco ed impaziente si
accorse di un certo trambusto all’ingresso del giardino dove sostavano i
colleghi vigili urbani: Chiese al Direttore
di potersi allontanare un attimo per vedere che succedeva e si diresse verso i suoi colleghi. Arrivato
si accorse che proprio davanti all’ingresso della villa lungo il viale Regina
Margherita stavano sfilando delle camionette di truppe “alleate”. Si rivolse ai
vigili suoi colleghi e gli chiese:
_-Sono
arrivati gli americani?
-No! Sono inglesi – rispose un collega- Ce ne sono pure molti di colore. Truppe di
africani delle colonie inglesi.
- Da
quanto tempo li hai visti?
- E’
circa mezz’ora che stanno passando.
-
Adesso ascoltami- disse Turiddu- ti do un incarico importante-
-Comandi
sig. Tenente-rispose il vigile
-Devi
andare al Municipio e chiedere ai superiori se il nuovo Comando Militare ha preso in mano le redini
dell’amministrazione locale . e dove ha stabilito i suoi locali. Dove si è
insediato? Quindi ,appena hai questa informazione , torna qui ,subito.-disse Turiddu-
Il
vigile parti immediatamente a svolgere l’importante incarico conferitogli da
Turiddu e tornò trafelato dopo ca due ore.
Allora?
– chiese Turiddu-
-Gli
inglesi sono a Piazza Duomo . Hanno preso tutto un palazzo come sede del loro
Comando e l’amministrazione della città fa riferimento a loro.
Si
diresse verso il pulmino portavalori , parlò con il Direttore delle Poste e
convennero di recarsi subito in Piazza Duomo. Nonostante i bombardamenti la
strada era resa praticabile e si poteva arrivare al Duomo percorrendo via
Etnea. Così fecero e finalmente dopo le
opportune presentazioni e intercessioni dei suoi superiori si poterono liberare del prezioso carico e
scortati da militari inglesi consegnarlo ai responsabili locali della Banca
d’Italia perché riponessero i depositi
valori in cassaforte in contropartita del credito a favore del conto di
evidenza delle Poste Italiane.
Quella
difficile giornata si stava concludendo onorevolmente. Turiddu ed il Direttore
delle poste potevano finalmente tornare a casa, poveri come prima, ma con la
coscienza pulita ed orgogliosi di aver fatto il proprio dovere.
Circa
un mese dopo , la sera a letto Turiddu e
Maria parlavano insieme sulla nuova
situazione :
-
Beh! Ormai
si può pensare che la guerra sta
finendo. Con la firma dell’armistizio con gli alleati siamo ormai in
territorio protetto e libero.- disse
Turiddu
-
Non ci posso ancora credere ! – rispose Maria –
Le
bambine nell’altra stanza stavano riposando tranquille ed il silenzio regnava
nella casa.
-
Sai penso
che ricomincerò a studiare e completerò
il mio percorso di laurea-aggiunse Turiddu
-
E come farai ? Ancora non ci sono servizi
regolari per passare lo Stretto.- rispose Maria
-
No ti preoccupare . Mi hanno detto che si passa
tranquillamente con delle barche di pescatori
da Messina; e poi, ci vuole ancora qualche mese per riprendere bene a
studiare. Poi speriamo di fare qualche miglioramento di stipendio avere una promozione e riuscire a riparare
le case bombardate di mio papà.
-
C’è speranza? -Chiese Maria
-
Mah! Mi hanno detto che con l’esperienza che ho
accumulato ai servizi annonari potrei assumere un ruolo di Direzione ai Mercati Generali e mi
darebbero anche un aumento di stipendio.
Tutto questo sempre rimanendo nel
corpo dei vigili urbani ma distaccato nel ruolo.
-
Magari!
-
Chissa? A questo punto potremmo anche ingrandire
la famiglia! Potrebbe finalmente
arrivare un maschietto! Che ne dici?
-
Dico che per adesso non abbiamo occhi per
piangere e che bisogna aspettare –
rispose Maria.
Aspettarono anni e anni ma alla fine il maschietto arrivò e quando si fece grande incontrò una ragazza :
la figlia di Gaetano.
-
FINE
IL TEMPO DEI RICORDI
E così' l'attendeva l'Africa! Questo pensava Gaetano, mentre la nave
partita da Napoli continuava a solcare il mare verso L'Abissinia. La terra più
a sud dell’impero richiedeva il suo impegno, il suo servizio, ora che i venti
di guerra sconvolgevano il mondo e le colonne inglesi puntavano alla conquista
di quei territori. Per la prima volta, Gaetano si trovava in un vero
viaggio per nave e per un attimo si ritrovò a pensare a quelli che aveva dovuto affrontare il padre per raggiungere l’America e per ritornare in
Italia. Anche per lui quel viaggio comportava il trasferimento in un altro continente:
l’Africa. Era partito quella mattina da Napoli insieme agli altri giovani
carabinieri destinati a prestare servizio ad Asmara in Eritrea. Appena arruolati, avevano frequentato insieme
il corso di formazione nella scuola
allievi carabinieri a Roma, provenienti da tutte le parti d’Italia.
Qualcuno era siciliano come lui. Uno era della provincia di Palermo e uno di quella
di Siracusa. Gaetano invece era della provincia di Agrigento e precisamente
originario di Siculiana. Suo padre, di ritorno dall’America dopo la grande guerra,
aveva allargato la proprietà del terreno del nonno, acquisendo diversi terreni
limitrofi grazie alle disponibilità rivenienti dal lavoro americano. A New York
aveva lasciato una figlia giovane appena sposata mentre lui era ritornato in
Italia con gli altri due figli maschi avuti dalla prima moglie, morta
prematuramente. Tornato al paese, il padre si era risposato ed aveva dato un
nuovo impulso alle proprietà con ottimi risultati. I terreni non erano molto
distanti dal paese e, pur se abitavano in un comodo casolare all’interno della
campagna di proprietà, era facile raggiungerlo per tutte le attività
necessarie. Gaetano era così cresciuto serenamente insieme ai due fratelli del
primo matrimonio e le tre sorelle e il fratello del secondo matrimonio del
padre. Aveva alternato alla frequenza della scuola il lavoro nei campi, nel
periodo estivo, anche se in misura molto limitata. Pur se il paese non era
molto lontano dal mare e dalla sua splendida spiaggia, Gaetano vi si recava
raramente e non aveva imparato a nuotare. Capitava di andarci, qualche volta insieme
al padre, per barattare i loro prodotti agricoli con qualche cassetta di pesce.
In special modo, era facile trovare sarde ed alici. Quelle che non si
consumavano subito si conservavano sotto sale e costituivano un ottimo pasto al
bisogno. La vita procedeva tranquilla ma
il diavolo prepara sempre le sue trappole. Lo zio di Gaetano era commerciante e
per la sua attività aveva avuto bisogno di un importante prestito dalla banca
locale. Questa aveva voluto a garanzia delle cambiali e, non ritenendo sufficiente
solo la firma dello zio, aveva preteso l’avallo da parte del padre di Gaetano
che non si era sentito di negare il suo consenso. Il tempo era passato,
l’attività commerciale aveva avuto dei problemi e lo zio di Gaetano era
risultato inadempiente ai suoi obblighi. In quella situazione, la banca aveva
agito legalmente anche nei confronti del padre di Gaetano attaccandolo e
privandolo di parte dei terreni. Le prospettive del futuro erano cambiate. La
proprietà non poteva bastare più per tutti e anche per Gaetano si pose la
necessità di cercare rapidamente una possibile occupazione. Gli era sempre
piaciuta la divisa ed una vita attiva e libera. Decise, quindi, di arruolarsi
nell’arma dei carabinieri. Era giovane, aveva conseguito il diploma ed era
pronto per il servizio militare. A quel punto, meglio provare ad arruolarsi
nell’Arma. Superò la selezione e salutata la famiglia si trasferì a Roma per
frequentare in caserma il corso di preparazione all’inquadramento in servizio.
La
caserma era in zona centrale, vicino a viale delle Milizie e non lontano da
Castel Sant’Angelo e San Pietro. Questo permise a Giovanni di addentrarsi con
facilità, nelle ore di libera uscita, per le strade del centro alla scoperta di quella splendida città.
Insieme agli altri due allievi siciliani, dapprima cercarono di visitare i
principali monumenti e successivamente,
grazie anche alle indicazioni dei colleghi romani, scoprirono Trastevere con le sue viuzze e le sue osterie popolari dove assaggiare del buon vino, i
piatti della cucina tradizionale e scambiare qualche sguardo con le ragazze.
. Il tempo, tuttavia era passato,
rapidamente e senza rendersene
neanche conto era già sulla nave a ricordare quei momenti con una relativa
nostalgia.
·
*
*
*
*
Turiddu
camminava velocemente per la via Etnea di Catania tornando verso casa. Si erano
trasferiti alla Barriera dopo i violenti bombardamenti alleati dei giorni
precedenti e la delibera di sfollamento
decisa dal Governo. Camminava deciso e
con passo militare, portando con fierezza la sua divisa di vigile urbano con i
gradi di tenente. Era una condizione che si era veramente sudata. Ricordava
quanto aveva studiato per prepararsi con
l’aiuto dello zio Vincenzo, ex appuntato e
fratello della madre, alla selezione per l’assunzione.
Poi,
quegli anni erano volati via, tutti d’un fiato. Prima, l’incontro con Maria ,
il fidanzamento, quindi il matrimonio, l’affitto della casa in via Etnea
e la nascita di Carmelina. Dopo, pochi anni fa, la seconda figlia Renza
,che ormai aveva due anni e mezzo Le promozioni fino a quella di tenente, il
comando alla sezione annonaria ed il controllo del mercato nero, che gli avevano
valso la possibilità di non andare in guerra , perché adibito a servizio
necessario per la salute pubblica. Ora aveva trentasei anni . Era un giovane
alto e forte e camminava verso casa dopo
il turno di lavoro. Se si poteva essere soddisfatti, pure se in un periodo come
quello , ebbene lui lo era . Anzi , sostanzialmente orgoglioso del suo lavoro e
della sua famiglia. Nonostante la guerra , fino a quel pesante bombardamento ,
erano riusciti ad andare avanti senza
troppe difficoltà. Certo, tutto era razionato ma le bambine crescevano bene e
non gli era mancato niente. Sotto casa loro
, al primo piano dello stabile , abitava una famiglia che gestiva un
piccolo panificio due porte appresso , sempre su via Etnea. Col tempo erano
diventati amici ed il pane non mancava mai. Turiddu , da parte sua, si procurava al mercato di tanto in tanto
qualche sacco di farina e Maria impastava e faceva la pasta fresca. Turiddu
era figlio di dolciere ed , al bisogno, era in grado di lavorare la
pasta lievita e qualche volta preparava il pan di spagna per le bambine. Moto
più bravo di lui era ovviamente il papà Giuseppe, il nonno di Lina e Renza. Si,
Lina perché col tempo il nome troppo lungo di Carmelina era stato
accorciato . La mattina, mentre lui era
già al lavoro, Maria scendeva a piedi
dalla Barriera per portare Lina a scuola
che si trovava in una zona vicina a Via
Etnea all’altezza della stazione ferroviaria dei treni locali della
Circumetnea. Era questa una linea che collegava a Catania i principali paesini
che sorgevano sul versante dell’Etna. Maria portava con se oltre a Lina anche
Renza che, nonostante i suoi due anni e
mezzo, era costretta a farsi molta strada
a piedi , lamentandosi continuamente di voler esser presa in braccio.
Lina invece aveva già otto anni e
frequentava la seconda elementare. Era la figlia grande ed i capricci era già
finiti da un pezzo. Renza invece aveva ancora il diritto di protestare, anche
se, comunque, la strada a piedi non gliela toglieva nessuno. A niente valevano anche le sue proteste
quando , suonata la sirena che avvisava
delle incursioni aeree, l’ordine perentorio era di mettersi sotto il letto .”
Ma perché sotto il letto ?” gridava piangendo Renza, mentre mamma Maria e Lina si mettevano sotto
il tavolo e papà Turiddu, per cui non
c’era più posto, si metteva sotto l’arco della porta che in caso di crollo
doveva in qualche modo resistere.
Maria
e le figlie sotto il piano della tavola e del letto sarebbero state protette a loro volta dall’eventuale crollo del soffitto , visto
che erano all’ultimo piano dello stabile . Avevano deciso di restare a casa
perché il rifugio comune era un po'
distante ed arrivarci con le bambine era difficoltoso : Avevano poi avuto l’esperienza di passare molto tempo lì, in attesa di bombardamenti
che non arrivavano mai e con una sirena che metteva fine all’allarme solo molto
tempo dopo. Questo comportava uno stato di sofferenza per tutti ma soprattutto per le bambine. Si erano
convinti così che il pericolo era
relativo e poteva essere affrontato meglio a casa. Fortunatamente per loro, quando
Catania era stata bombardata seriamente
e quarantadue strade con le relative
abitazioni avevano avuto morti e distruzioni , la zona del quartiere
Borgo , dove abitavano , non aveva avuto danni ed era stata sostanzialmente
risparmiata. Non avevano avuto invece la
stessa fortuna due appartamenti, siti in Via Garibaldi, di proprietà del padre che con gli affitti
arrotondava le sue entrate. Questi erano stati rasi al suolo con le relative
vittime umane. Dopo il bombardamento
l’ordine era stato perentorio:” Si doveva sfollare” e Turiddu aveva trovato
quella casa relativamente vicina a
Catania ,posta nel quartiere della Barriera. La distanza fra la casa di via Etnea
a questa nuova era nell’ordine di ca.
tre chilometri che si potevano fare a
piedi . La strada era tutta in salita
per uscire da Catania . Partendo da casa loro, in via Etnea, si continuava per
la stessa strada, si superava
a destra il livello della stazione della circumetnea, si superava quello che era stato il palazzo degli
Ardizzone Gioeni , diventato ospizio dei ciechi e si arrivava al Tondo Gioeni ,
che prendeva sempre il none da quella famiglia nobiliare. Questo era uno slargo
posto alla fine di via Etnea , sulla sommità della città, e con alle spalle il
vulcano Etna nella sua piena grandiosità. Da quel punto, si saliva poi per una strada più piccola con un
dislivello ancora più ripido per circa un altro chilometro, raggiungendo
il borgo della Barriera del Bosco, detta comunemente solo “ la Barriera “.
Sia
Turiddu che Maria e le figlie si riunivano a pranzo nella casa di via Etnea
perché era più comodo. Solo dopo
rientravano alla casa della Barriera. Maria e le figlie nel primo pomeriggio, Turiddu, invece, tornava
al lavoro a Pazza Duomo, dove stava il Comando dei Vigili Urbani, e finito il
suo turno, nel tardo pomeriggio, tornava anche lui alla casa della Barriera.
Mentre per andare al lavoro , la mattina ,la strada era tutta in discesa; al
ritorno , al contrario, era tutta in
salita ed ai tre chilometri della distanza fra la casa in Via Etnea e quella
della Barriera si aggiungevano quasi altri due chilometri partendo da Piazza Duomo.
Mentre
nella sua mente scorrevano questi pensieri,
Turiddu era ormai arrivato quasi
all’altezza di piazza Stesicoro,
sempre su Via Etnea passati i Quattro Canti. La piazza veniva chiamata
anche piazza Bellini perché, sulla sua destra,
troneggiava il monumento dedicato
al grande compositore nativo
della città. Anche il teatro dell’Opera aveva preso il nome da questo grande
musicista. Sulla sinistra della
piazza si accedeva invece a quello che era stato l’anfiteatro greco
romano. Questo aveva una parte scoperta
visibile, mentre un’altra parte
continuava sotto terra. Oltre questa zona recintata della parte scoperta dell’anfiteatro, sempre
alla sinistra in alto, si poteva ammirare la chiesa di S.Agata al carcere, dove la patrona
di Catania sembra fosse stata torturata ed incatenata. Turiddu
aveva da poco oltrepassato Piazza
Stesicoro quando, improvvisamente, l’aria venne solcata da un rombo improvviso.
La gente tutt’intorno a lui rimase di colpo immobile e disorientata fino a quando, con la stessa improvvisa
rapidità, cominciò a scappare urlando in
tutte le direzioni, mentre appariva sullo
sfondo la sagoma di un caccia dell’aviazione nemica.
Turiddu, accorgendosi di tutto questo ,
analizzava velocemente tutte le possibilità a disposizione e, mentre l’aereo si
avvicinava, si appiattì contro il muro
della parete della strada, cercando di
essere il meno visibile possibile. Il caccia
era isolato. Probabilmente, era in ricognizione; ma, ora,
stranamente e inspiegabilmente, si orientava contro una popolazione civile e
indifesa. Aveva abbassato la sua traiettoria sulla città e sparava colpi di mitragliatrice, colpendo i
marciapiedi fra le urla delle persone. Era
della RAF britannica. Dopo aver superato il livello della Piazza Duomo, adesso,
il caccia stava virando per tornare indietro . Turiddu non aspettò un attimo.
Non poteva stare ancora lì e decise di correre all’impazzata verso un posto più
sicuro Cercava un portone aperto dove infilarsi
per sfuggire all’aereo; ma, molti prima di lui avevano avuto la stessa
idea e, dopo essere entrati, se lo erano
chiusi alle spalle .
Turiddu correva , correva . ma sentiva il rombo
dell’aereo sempre più vicino. Ad un certo punto arrivò vicino al palazzo delle Poste, sulla sinistra di via Etnea, poco prima di
Villa Bellini, la più grande villa pubblica
e monumentale della città . L’aereo cominciò a sparare di nuovo e
Turiddu sentì i colpi battere sul
marciapiede poco distante da lui. Fece
uno scarto e salì di corsa i pochi
gradini dell’entrata del Palazzo delle Poste , rifugiandosi dentro la grande
arcata dell’ingresso. L’aereo , fortunatamente, passò oltre continuando la sua pazza mitragliata di una
strada ormai vuota , sparendo all’orizzonte
oltre l’Etna.
* * * *
Si stava bene ad Asmara! Certo, non era
Roma; ma, sembrava quasi di essere in una elegante cittadina italiana, con una vita comoda e gradevole. Gaetano era già lì da quasi un anno . Era sbarcato a Massaua ed era poi arrivato ad Asmara col treno,
grazie alla ferrovia costruita dagli italiani che collegava le due città. L’azione italiana in quel territorio era
stata importante. In soli cinque anni,
a partire dal 1936, Asmara aveva
cambiato il suo volto. Era stato
costruito un grande aeroporto internazionale che permetteva
il collegamento con l’Italia,
grazie alla Linea dell'Impero. Era stata inoltre realizzata una moderna strada asfaltata per Addis Abeba ,detta
"Via dell'Impero", una efficiente ferrovia per Massaua e una
Teleferica che collegava la città ( posta su di un altipiano a 2300 mt sul livello del mare) col Mar
Rosso e che veniva considerata la maggiore del mondo. Il volto di Asmara era quello di una città in
cui l’opera dei moderni architetti del Regime si era espressa, accoppiando le
nuove linee della modernità con un raro equilibrio. Erano stati realizzati edifici come l'"Art Deco" Cinema
Impero, la "Cubista" Pensione Africa, la chiesa ortodossa Tewahdo, il
teatro dell'Opera, la costruzione "futurista" Fiat Tagliero, la Cattedrale secondo uno stile neoromanico ed il
"neoclassico" Palazzo del Governatore. La città era piena di
ville in stile "coloniale
italiano". Già nel 1939 Asmara
aveva una popolazione di ca. 98.000 abitanti, dei quali 53.000 erano Italiani. Era
la principale "città italiana"
nell'Africa Orientale Italiana mentre in tutta l'Eritrea vi erano ca. 75.000 Italiani.
La zona centrale della città, dove si trovava
anche la caserma dei carabinieri, era riservata quasi esclusivamente agli
italiani, C’era poi una zona periferica
destinata ai locali e un’altra mista per
arabi e indiani i cui progenitori erano
arrivati dal Mar Rosso. Il fronte di guerra era sempre più vicino e le cose non
stavano andando per il verso giusto.
Giovanni e gli altri carabinieri rimasti ad Asmara erano i custodi dell’ordine
pubblico della città; ma, in quel momento, v i era una pesante sensazione di
silenzio ed incertezza nell’aria. Poco distante, a
Tekelezan , le truppe italiane più tenaci ed organizzate stavano
cercando di opporre l’ultima resistenza
all’avanzata britannica , ma la nuova posizione era molto meno
difendibile di quella dell’ormai persa
Cheren. Verso Cheren erano confluite la 4° Divisione Indiana, che si era impadronita del monte Forcuto e di Sanchil , mentre
la 5° divisione indiana era
riuscita, dopo molti giorni di resistenza italiana, a forzare il passo di Dongolaas. Adesso si
temeva il peggio!
Le
notizie che arrivavano erano sempre più sconsolanti e la mattina del 1 aprile
1941 si ebbe la certezza che le truppe
britanniche sarebbero arrivate presto ad Asmara : Tekelezan era caduta!
Gaetano
era decisamente preoccupato. La guarnigione di stanza ad Asmara era di una
sessantina di carabinieri che regolavano la vita della città e garantivano la sicurezza della popolazione
italiana. Per questo motivo , fino all’ultimo, la scelta dell’alto comando ,
era stata quella di restare e di
mantenere la presenza dei carabinieri nella
città. Ora, le truppe inglesi stavano per arrivare , occupando l’intera
Eritrea. L’Impero era caduto ed ormai
tutto era cambiato. Gaetano, durante quell’anno di permanenza ad Asmara, si era
fatto molte conoscenze ed amicizie. Oltre ai colleghi con cui era arrivato in
Africa ed era stato a Roma, era legato ai “ siciliani”, un gruppo di persone
che si era trasferito nella colonia in
cerca di lavoro ed un miglioramento
delle proprie condizioni di vita. In
particolare, frequentava alcune famiglie che vivevano in città ma erano proprietarie di diverse fattorie agricole nell’altipiano, con
alcuni ettari di terreno dove coltivavano il miglio e tenevano anche degli animali : alcuni buoi
e dei polli . Asmara era un buon
centro commerciale e queste persone portavano qui i loro prodotti. Il
comando generale aveva stabilito che i
carabinieri di stanza in Eritrea , adibiti all’ordine pubblico, rimanessero nei
loro posti, in attesa dell’arrivo delle truppe inglesi, anche a garanzia della
popolazione italiana residente e così con trepidazione tutti erano in attesa del loro arrivo per
vedere cosa sarebbe successo.
Adesso,
erano ormai alcuni giorni che le truppe inglesi erano arrivate e si erano
insediate in città occupando il palazzo
del governo. Presero atto che i carabinieri italiani erano rimasti tutti
ai loro posti di servizio e decisero di approfittare della loro presenza come fattore di
mediazione per l’occupazione del territorio nei confronti della parte più
importante della popolazione, che era di origine italiana, e che , in qualche modo , fino a quel momento li
aveva considerati come nemici. Presero pertanto contatto con il comandante dei carabinieri e lo
informarono della decisione di accettare la loro collaborazione. Allo stesso
tempo , tuttavia, fecero presente che , come d'altronde era comprensibile per
chi era stato un militare per tutta la
vita , era necessario un atto formale di adesione al nuovo potere costituito.
Desideravano pertanto che ogni carabiniere di stanza ad Asmara prestasse
formale giuramento sottoscritto di sottomissione e fedeltà all’impero
britannico e alle sue istituzioni.
Questa era la condizione in cambio della quale si sarebbe dato vita ad una
forma di collaborazione che avrebbe permesso ai carabinieri di continuare a
svolgere il loro servizio , mantenendo la
posizione occupata. Chi non avesse prestato giuramento, sarebbe stato
invece arrestato e considerato prigioniero di guerra. Gli inglesi lasciarono il
testo del giuramento da far sottoscrivere
da tutti i carabinieri , ma pretesero che una copia fosse firmata immediatamente
dal comandante della stazione e se ne
andarono solo dopo che lo stesso l’ebbe
firmata davanti a loro.
Il
giorno dopo il comandante della stazione dei carabinieri di Asmara convocò uno
per uno i suoi sottoposti richiedendo l’apposizione della firma di giuramento
al nuovo potere costituito sul documento predisposto dal Comando di occupazione
inglese. Uno dopo l’altro, tutti entrarono nella stanza del comandante e
firmarono il giuramento. Venne poi il turno di Gaetano. Gli avvenimenti di quei
giorni erano precipitati nella sua mente e nel suo cuore sconvolgendolo. Lui
era un italiano, aveva prestato giuramento al Re d’Italia fino alla morte e la
guerra non era finita. Si, adesso il comando inglese aveva il controllo di Asmara; ma, l’Italia non era ancora battuta e tanti
altri italiani stavano combattendo. Lui aveva giurato fedeltà! Perché doveva
abiurare quel giuramento? Non era
giusto! Mentre il comandante gli spiegava che il loro compito era in quel
momento accettare la situazione per il bene dei compatrioti residenti ad
Asmara, Gaetano fremeva . Ad un certo punto espresse con chiarezza il suo
pensiero e il suo rifiuto aperto a
quello che gli veniva chiesto. Non l’avesse mai fatto! Il Comandante non
era solito tollerare il rifiuto di uno dei suoi sottoposti, per
qualsiasi motivo, e vide quel
naturale atteggiamento di perplessità e
di disagio di Gaetano come un ‘insubordinazione. Invece di parlargli ancora,
cercando di ottenere la sua comprensione, si alzò in piedi urlando ed
investendo Gaetano con violenza e con un mare d’insulti. Gaetano era un giovane
rispettoso dell’autorità e con un carattere equilibrato. Non era solito perdere
la testa e controllava abbastanza bene le sue emozioni. Per la prima volta ,
tuttavia , nella vita sentì montare dentro di sé una rabbia incontrollabile.
No! Non era lui che stava tradendo la fiducia degli altri! Era quel pazzo di
comandante che tradiva l’Italia ! Era
lui che non aveva rispetto dei suoi sentimenti! Ma come diavolo si permetteva
d’insultarlo in quel modo?!? Sentì la propria mano scendere lentamente verso il fodero della
pistola. Era quasi se fosse un altro a muoversi al suo posto , mosso da un’ ira
tremenda. Il comandante comprese al volo quello che stava succedendo e gli
grido con voce squillante:
-
CARABINIEREE! A..TTENTI!
Senza rendersene conto Gaetano ubbidì. Era
un comando che era entrato dentro di lui
senza permettergli di riflettere e che aveva eseguito
immediatamente. In quel mentre, il
comandante gli si avvicinò rapidamente e gli sciolse il cinturone con la pistola, mentre contemporaneamente chiamava i sottoposti.
-Quest’uomo
è agli arresti- disse rivolgendosi ai carabinieri prontamente entrati nella
stanza – Portatelo in guardina.
-Questo
è quello che succede a chi non presta giuramento al nuovo potere costituito ad
Asmara , sotto il Comando dell’Impero Britannico.- aggiunse il Comandante-
Chiunque non presta giuramento verrà considerato prigioniero di guerra e incarcerato in attesa di nuovi ordini.
CHIARO?
-Sissignore!
-risposero tutti in coro.
Gaetano
era ammutolito. Dentro di lui lottavano
insieme la rabbia per quello che aveva subito , l’umiliazione e la vergogna per
essere stato arrestato proprio dai suoi commilitoni! Lui non aveva fatto
niente! Non era giusto quello che stava subendo.
I
compagni carabinieri lo accompagnarono
nel sotterraneo verso i locali dove stavano le celle. Erano tutti in evidente
imbarazzo! Gaetano era un giovane che tutti volevano bene e rispettavano.
Quella situazione era insostenibile!
Mentre scendevano , arrivò di corsa il capitano e si mise a parlare fitto fitto
,. bisbigliando, con il capo squadra. Successivamente, se ne andò di corsa come
era venuto e la squadra continuò ad accompagnare Gaetano verso le celle. Quando
furono arrivati , fecero entrare Gaetano in una delle celle, gli dissero di accomodarsi su di una sedia
accanto alla brandina e di aspettare lì in attesa del loro ritorno. Accostarono
il cancello e se ne andarono.
Giovanni
era costernato! Sedeva li, su quella sedia, aspettando i commilitoni e, nel
frattempo, non riusciva a rendersi conto di quello che era successo: Lui, un
carabiniere, un tutore dell’ordine , un elemento integerrimo dell’Arma,
quell’Arma che era l’orgoglio italiano, lui, che per tutta la vita aveva portato avanti il
senso del dovere , dell’onestà , della dedizione al servizio , adesso era in
una cella imprigionato dai suoi
compagni!
Non poteva crederci!
Il
tempo passava e lui rimaneva solo! Non tornava nessuno ! Che stava succedendo?
Lui era prigioniero di guerra , gli avevano detto. Sarebbe stato portato in un
campo di concentramento! Che fine avrebbe fatto? Sarebbe mai tornato a casa da quella guerra? Pensò a sua madre , a suo padre ed ai
fratelli e sorelle in Sicilia. Non li vedrò più?
Si
avvicinò alla porta della cella e si rese conto che era accostata. Si, aveva
visto che non era stata chiusa a chiave ma, fino a quel momento, non si era
ancora reso conto che era aperta. Provò a spingerla . Il cancello si aprì e lui
uscì fuori lentamente. Si guardò attorno e non c’era nessuno. Che stava
succedendo? Dov’erano tutti? Lentamente, salì la scaletta e non vide ancora nessuno. Ora era nei locali
superiori ,vicino ad una porta che dava fuori, mentre nell’altra stanza, in
fondo, sentiva il parlottio degli altri carabinieri.
Che
fare? Quella situazione non era normale!
Era molto strano che la porta della cella fosse rimasta accostata e che tutti fossero spariti!
Era come se lo invitassero a scappare. E
lui scappò!
* * *
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Lina
giocava con Armando il piccolo zio , fratello della mamma, e Renza
nel terreno fuori dalla casa di
Mascalucia, dove la sua famiglia si
era rifugiata dopo che i bombardamenti su Catania si erano
fatti devastanti e continui e gli
alleati erano sbarcati in Sicilia. Adesso, il fronte si era attestato nella Piana di Catania. L’8° armata guidata da Montgomery era riuscita a superare il ponte Primosole
sul Simeto ma la forte resistenza dei paracadutisti tedeschi e degli uomini
della "Hermann Göring" sistemati in posizione difensiva, favoriti
dalle postazioni d'osservazione sopraelevate dell'Etna la bloccava a una decina
di chilometri dalla città. I combattimenti continuavano da una settimana quando
giunse notizia che era arrivata dal Nord Africa una divisione di fanteria per rafforzare le forze britanniche.
Erano
i primi giorni di agosto e rispetto alla
solita afa che colpiva Catania in quelle giornate estive a Mascalucia la sera
il tempo rinfrescava e si stava un po' meglio. La casa di Mascalucia era stata
affittata dai nonni materni. Fin dai primi bombardamenti su Catania avevano
deciso di “ sfollare” sull’Etna e avevano trovato la possibilità di affittare
questa casa ampia grazie ad una conoscenza comune. C’era stata po la
possibilità di ospitare anche la figlia con la sua famiglia e i genitori del
genero rimasti soli a Catania e bisognosi anche loro di scappare dai
bombardamenti. La convivenza non era stata molto semplice a causa del carattere forte delle due “ nonne” e dei rapporti non facili fra Maria e la suocera.
Quella
sera ,dopo cena, mentre i bambini giocavano i grandi si erano seduti fuori
all’aperto per discutere della situazione.
Quella
mattina era successo il finimondo ! C’era stata una vera e propria battaglia. Tutto
era cominciato quando dei soldati tedeschi, dopo avere sottratto la motocicletta
ad un miliare italiano portaordini e dopo aver tentato di rubare i quattro
cavalli ad un carrettiere , avevano riprovato a rubare i cavalli ad una famiglia catanese sfollata nel paese. I tedeschi avevano
sparato provocando un morto ed un
ferito. In un altro punto del paese, in un casolare, un tedesco ubriaco aveva
sparato ed ucciso un soldato italiano. Successivamente i tedeschi avevano
ucciso ancora un altro soldato italiano.
Non se ne poteva più.
In
paese c’era una famiglia di armieri che aveva un deposito le distribuì a molti
paesani nel paese e gli stessi risposero a quelle prepotenze
con le armi. Fu il “segnale” dell’inizio
della resistenza popolare.
Molti cittadini armati di fucili e pistole erano scesi per le strade, sparando ai soldati tedeschi. Molti sparavano dalle terrazze delle case e dal campanile della chiesa principale del paese. Gli abitanti di Mascalucia erano stati poi aiutati dai soldati italiani, carabinieri e Vigili del fuoco, sfollati da Catania.
Molti cittadini armati di fucili e pistole erano scesi per le strade, sparando ai soldati tedeschi. Molti sparavano dalle terrazze delle case e dal campanile della chiesa principale del paese. Gli abitanti di Mascalucia erano stati poi aiutati dai soldati italiani, carabinieri e Vigili del fuoco, sfollati da Catania.
La sparatoria durò circa quattro ore.
I
tedeschi, dopo avere lasciato diversi caduti sul campo, si erano ritirati quindi dal paese lasciandolo in mano agli insorti. .
Alcuni paesani avevano riferito a Turiddu che si muoveva qualcosa e che i
tedeschi si stavano preparando alla ritirata anche da Catania. Questa voce era
stata in qualche modo confermata dai suoi superiori d’ufficio che avevano detto
che nello spazio di pochi giorni Catania sarebbe stata liberata dagli alleati.
Era per questo che Turiddu insisteva con Maria e gli altri che era ormai il
caso di provare a ritornare in città.
-E’
necessario farlo adesso , prima che vi sia quel momento di vuoto di potere in cui i delinquenti possono tentare di
entrare nelle case vuote per rubare. Poi- disse Turiddu- io devo tornare in ufficio e quindi è il momento di tornare adesso insieme in città.
- Per
noi va bene – rispose la madre di Turiddu- Vero, Giuseppe?- aggiunse
rivolgendosi al marito.
-Si ,
certo – rispose lui- Bisogna andare via di mattino presto – Dopo la prima
scarica di cannonate dei tedeschi verso la piana . Dopo, c’è qualche ora di
pace e a quel punto possiamo già essere
arrivati a Catania.
- Ma
siete proprio sicuri di non voler restare con noi fino a quando la situazione non è definita? –
chiese la madre di Maria
- No mamma , partiamo adesso- rispose Maria- .
E’ meglio ! Turiddu potrebbe avere difficoltà a tornare qui dopo ed è meglio
andare via ora, insieme.
Così
decisero e la mattina dopo presto si
misero in cammino per tornare a casa in città. Lina e Renza cercavano di fare
del loro meglio ma c’erano punti da attraversare in campagna difficili e
Turiddu e Maria dovevano spesso fermarsi per prenderle in braccio per lunghi
tragitti. D’altra parte , spesso ci si doveva fermare per aspettare e far
riposare gli anziani genitori di Turiddu.
Alla
fine, comunque , mentre riprendevano, le
cannonate tedesche, arrivarono ai margini dell’abitato cittadino. Usciti
dall’agglomerato urbano della Barriera
del bosco, si trovarono già al Tondo Gioieni
da cui si poteva ammirare il panorama della città. Poco distante c’era
la casa dei genitori di Turiddu e ci
arrivarono in pochi minuti. A questo punto rimase un chilometro in discesa su
Via Etnea verso la loro casa nel
quartiere Borgo, prima di Piazza Cavour.
Arrivarono stanchi e preoccupati ma contenti
di avercela fatta senza incidenti di percorso.
Gaetano
si era rifugiato fuori Asmara , nella campagna di suoi amici di origine
italiana. Aveva ottenuto dei documenti nuovi grazie all’amicizia con i
dipendenti dell’anagrafe locale che
preparavano le carte d’identità e aveva
preso il nome di Fortunato Speranza.
Avevano timbrato il documento con un
colpo di martello su di una moneta
riscaldata sul fuoco che aveva dato un risultato simile a quello di un timbro a
secco. “Fortunato” del resto era conosciuto e voluto bene da tutta la comunità
italiana, dai colleghi carabinieri
rimasti in servizio e dagli impiegati dell’amministrazione di governo
che aveva conosciuto negli anni di servizio. Quel documento era abbastanza
sufficiente per garantirgli una relativa agibilità anche nei confronti dei
controlli occasionali delle truppe inglesi
. “Fortunato” lavorava insieme a
molti braccianti di colore ed altri italiani
nelle campagne dell’Eritrea vicino ad Asmara ed otteneva il necessario per vivere . I pasti erano
garantiti e per dormire vi era un grande
capannone di legno coperto da grandi foglie di palma , adibito a dormitorio
comune. La sera ormai stanchi si crollava sui mucchi di fieno preparati per il
giaciglio e si perdevano completamente i sensi in un profondo sonno
ristoratore.
Quella
sera , tuttavia , appena preso sonno , Fortunato fu improvvisamente svegliato
insieme a tutti gli altri da un
frastuono che veniva dal tetto. Nel buio della notte si vedevano le
foglie di palma tutte smosse come se vi stesse passando in mezzo un treno. Era
impressionante! Qualcosa stava strisciando
sul tetto del capannone ed era enorme! Subito tutti si alzarono dal
giaciglio spaventati. Alcuni scapparono
di corsa fuori , altri si raggrupparono
in un angolo del capannone armandosi di bastoni , coltelli ed attrezzi da
lavoro .
Era un
animale ed era grosso! Strisciava sopra il tetto scompigliando tutto e facendo un rumore
sordo: Doveva essere molto lungo perché sembrava arrivare da un lato all’altro del tetto.
Ad un
tratto sembrò che scendesse lungo la parte esterna. Fuori
le grida di molti indigeni, accorsi a vedere che cosa stesse succedendo,
risuonarono forte nel buio.
Un
serpente ! Un serpente ! – gridavano- E’ un Pitone enorme . Attenti! Attenti!
Sparategli!
Fortunatamente
per tutti, ed anche per lui stesso, il Pitone, tuttavia, se ne andò così come
era venuto salendo su di un grosso albero prospiciente al capannone e sparendo
dopo pochi minuti dalla vista di tutti.
Non ho
mai visto un animale simile! – disse Fortunato – Doveva essere lungo quattro o cinque metri!
-E’ un
animale formidabile e pericoloso anche se non è velenoso- gli rispose Amir – un
compagno di lavoro eritreo. Ha una forza tremenda con le sue spire riesce a stritolare le sue
prede e addirittura ad ingoiarle intere.
-Meno
male che non aveva fame! –disse “
Fortunato” sorridendo-
Dopo
quella bella notte in campagna “
Fortunato” pensò bene di cercare qualche
altro sbocco professionale rispetto a quel duro lavoro manuale. Sempre aiutato dai
suoi amici italiani, si procurò un
calesse /carretto tirato da un cavallo con cui
iniziò un servizio di trasporto di persone o di merci .Metà dei soldi
guadagnati andavano ai proprietari del calesse e con l’altra metà Fortunato
riusciva a vivere dignitosamente e pagarsi un letto in un ammezzato /cantina di altri conoscenti.
Il
tempo passava e arrivò anche ad Asmara
la notizia dell’armistizio firmato da
Badoglio fra l’Italia e le forze alleate. Fortunato poteva riacquistare la sua
identità presentandosi al Comando dei
carabinieri ed alle forze alleate. Tutto procedette abbastanza bene ma alla
fine Fortunato venne tuttavia
considerato, a causa delle sue precedenti azioni . equiparato agli altri
prigionieri di guerra ma con la
possibilità di un inquadramento in un campo di lavoro nei campi petroliferi
sulla costa Araba dirimpettaia.
“Fortunato”
ritornato Gaetano si ritrovò così per la
prima volta nella sua vita seduto in
fila con alti compagni all’interno di un aereo militare adibito al trasporto di
uomini verso i campi petroliferi arabi. Non aveva mai preso l’aereo ed era
comprensibilmente emozionato . Quando si
ritrovò in aria , la tensione , piano
piano si allentò e tutti cominciarono a prendersi in giro l’un l’altro e
trasformare l’iniziale paura in riso.Il viaggio durò meno di quanto si
aspettavano e presto dopo aver di nuovo sospeso il fiato durante la manovra di
atterraggio si ritrovarono in Asia , fra le sabbie arabe e vicino al mare.
Gaetano
imparò a lavorare nei campi di petrolio e a nuotare nelle acque dell’oceano
indiano, poi finalmente la guerra finì e si cominciò a predisporre il rientro in
Italia. Passò ancora qualche mese e finalmente Gaetano potette prendere posto
nell’aereo militare che lo avrebbe sbarcato all’aeroporto di Fiumicino a Roma .
Ormai era un veterano del volo , diceva a se stesso, e in ogni caso non vedeva l’ora di rientrare in Italia e riprendere il suo posto fra i
carabinieri.
Gaetano
fu reintegrato nell’Arma e mandato a
prendere servizio a Ventimiglia promettendogli
che appena possibile sarebbe
stato trasferito in Sicilia con la
possibilità finalmente di riprendere meglio i contatti familiari. Prima di
andare a Ventimiglia aveva avuto comunque una licenza di un mese per andare in
Sicilia . Era stato incredibile rivedere
il suo paese e i suoi fratelli e sorelle ,anche se aveva appreso la
notizia che nel frattempo il padre era morto . Adesso doveva riprendere una
nuova vita. La guerra era finita e bisognava ricominciare. Gaetano era giovane
e desiderava una donna sua , una
famiglia dei figli: Voleva una della sua terra
e trovò la possibilità di scambiare una corrispondenza con una ragazza di Caltanissetta . La
preferiva alle ragazze che aveva conosciuto a Ventimiglia. La sentiva più
vicina alle cose più intime in cui credeva e che sentiva essere la sua più
profonda natura: Passò il tempo e Gaetano ritornò in Sicilia ,sposò quella ragazza e si stabilì a
Caltanissetta . Un giorno, la sua figlia minore avrebbe incontrato il figlio di Turiddu.
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Era il
4 di agosto 1943. Turiddu dovette salutare subito Maria e le bambine perché
doveva presentarsi al Comando in Piazza Duomo.
Le
voci della ritirata tedesca in corso erano ormai dilaganti . Tutti aspettavano
quel cambiamento e non si parlava d’altro . Turiddu invece ebbe altro su cui
concentrare la sua attenzione . Era stato comandato di presentarsi l’indomani
mattina alla Direzione delle Poste per accompagnare il Direttore nel trasporto
dei valori in cassa presso la Banca d’Italia.
La mattina successiva presto, insieme al Direttore, montarono sul pulmino di trasporto valori
.Erano decisamente guardinghi e preoccupati . Appena partiti,
videro che tutti punti stradali normalmente sorvegliati dai soldati tedeschi
erano vuoti.
-Che
succede Tenente? -chiese il Direttore- la città sembra vuota . Non c’è nessuno
in strada.
-
Sembra proprio che i tedeschi siano andati via – rispose Turiddu--Sono giorni
che si parla che Kesserling aveva
intenzione di far lasciare la città alle truppe tedesche. Penso che l’abbia
fatto.
- Ed
ora che facciamo? -disse il Direttore- In questo momento , prima che arrivino
gli alleati in città, chi comanda? A chi portiamo i valori che stiamo
trasportando? Chi mi garantisce che le varie amministrazioni siano ancora
funzionanti e responsabili?
-
Nessuno -ammise Turiddu- Siamo nella terra di nessuno. Tutta la precedente
amministrazione deve essere convalidata dalle nuove autorità occupanti.
Figuriamoci poi i valori che stiamo trasportando! Farli sparire, sarebbe
questione di un attimo! Non solo, ma
potremmo anche essere accusati di averli trafugati.
Turiddu
si fermo un attimo a riflettere. Il Direttore
, nel frattempo, dal canto suo stava in silenzio ma tradiva il suo
nervosismo contorcendosi febbrilmente le mani in un continuo strofinio.
Dobbiamo
essere certi di consegnare i depositi a chi ci garantisce il buon esito
dell’operazione . A qualcuno con i poteri avallati dalla nuova amministrazione.
Anzi, dovremmo aspettare l’entrata degli americani in città.-propose Turiddu .
-Oppure
potremmo sparire con i soldi e chi s’è
visto, s’è visto- disse il Direttore.facendo esplodere tutto il suo nervosismo in una risata
.
Il
ridere fu contagioso e Turiddu senza rendersene conto ne fu coinvolto senza
volerlo:
-Complimenti
Direttore- Rispose Turiddu ridendo. Dopo una vita integerrima finalmente
avremmo un vero premio: Ah! Ah! Ah!
- Era
ora che qualcuno si accorgesse di noi!!!- Aggiunse il Direttore ormai fuori di se dalla risate
-Eh
no! Speriamo che nessuno se ne accorga!
-Disse Turiddu-ridendo ancora più forte.
- Hoi
! Hoi Hoi! Basta non ne posso più-Rispose il Direttore-Ho le lacrime agli occhi
!
Dopo ,
riprendendo il controllo disse : Che facciamo? Dobbiamo fare passare almeno
la mattina e vedere che succede.
Dirigiamoci
verso la Villa Bellini. Entriamo dentro : All’ingresso ci sono i vigili miei colleghi e ci faranno passare :
Aspettiamo li dentro, nelle strade della villa. Potremo anche avere delle
informazioni su quello che succede dagli altri vigili urbani!
Va
bene ! E … speriamo bene ! – Aggiunse il Direttore.
Tutto
si svolse come Turiddu aveva previsto. All’ingresso c’erano due vigili che
riconoscendo il tenente scattarono sull’attenti e senza discutere fecero
passare il pulmino. Dopo Turiddu e il
Direttore posteggiarono il pulmino vicino ad
una fontana alla base della strada in salita dove stanno le varie
panchine dette degli innamorati e che porta al piazzale dove si trova il Palco
della musica.
Trascorsa
mezza giornata , verso le tre del pomeriggio , Turiddu stanco ed impaziente si
accorse di un certo trambusto all’ingresso del giardino dove sostavano i
colleghi vigili urbani: Chiese al Direttore
di potersi allontanare un attimo per vedere che succedeva e si diresse verso i suoi colleghi. Arrivato
si accorse che proprio davanti all’ingresso della villa lungo il viale Regina
Margherita stavano sfilando delle camionette di truppe “alleate”. Si rivolse ai
vigili suoi colleghi e gli chiese:
_-Sono
arrivati gli americani?
-No! Sono inglesi – rispose un collega- Ce ne sono pure molti di colore. Truppe di
africani delle colonie inglesi.
- Da
quanto tempo li hai visti?
- E’
circa mezz’ora che stanno passando.
-
Adesso ascoltami- disse Turiddu- ti do un incarico importante-
-Comandi
sig. Tenente-rispose il vigile
-Devi
andare al Municipio e chiedere ai superiori se il nuovo Comando Militare ha preso in mano le redini
dell’amministrazione locale . e dove ha stabilito i suoi locali. Dove si è
insediato? Quindi ,appena hai questa informazione , torna qui ,subito.-disse Turiddu-
Il
vigile parti immediatamente a svolgere l’importante incarico conferitogli da
Turiddu e tornò trafelato dopo ca due ore.
Allora?
– chiese Turiddu-
-Gli
inglesi sono a Piazza Duomo . Hanno preso tutto un palazzo come sede del loro
Comando e l’amministrazione della città fa riferimento a loro.
Si
diresse verso il pulmino portavalori , parlò con il Direttore delle Poste e
convennero di recarsi subito in Piazza Duomo. Nonostante i bombardamenti la
strada era resa praticabile e si poteva arrivare al Duomo percorrendo via
Etnea. Così fecero e finalmente dopo le
opportune presentazioni e intercessioni dei suoi superiori si poterono liberare del prezioso carico e
scortati da militari inglesi consegnarlo ai responsabili locali della Banca
d’Italia perché riponessero i depositi
valori in cassaforte in contropartita del credito a favore del conto di
evidenza delle Poste Italiane.
Quella
difficile giornata si stava concludendo onorevolmente. Turiddu ed il Direttore
delle poste potevano finalmente tornare a casa, poveri come prima, ma con la
coscienza pulita ed orgogliosi di aver fatto il proprio dovere.
Circa
un mese dopo , la sera a letto Turiddu e
Maria parlavano insieme sulla nuova
situazione :
-
Beh! Ormai
si può pensare che la guerra sta
finendo. Con la firma dell’armistizio con gli alleati siamo ormai in
territorio protetto e libero.- disse
Turiddu
-
Non ci posso ancora credere ! – rispose Maria –
Le
bambine nell’altra stanza stavano riposando tranquille ed il silenzio regnava
nella casa.
-
Sai penso
che ricomincerò a studiare e completerò
il mio percorso di laurea-aggiunse Turiddu
-
E come farai ? Ancora non ci sono servizi
regolari per passare lo Stretto.- rispose Maria
-
No ti preoccupare . Mi hanno detto che si passa
tranquillamente con delle barche di pescatori
da Messina; e poi, ci vuole ancora qualche mese per riprendere bene a
studiare. Poi speriamo di fare qualche miglioramento di stipendio avere una promozione e riuscire a riparare
le case bombardate di mio papà.
-
C’è speranza? -Chiese Maria
-
Mah! Mi hanno detto che con l’esperienza che ho
accumulato ai servizi annonari potrei assumere un ruolo di Direzione ai Mercati Generali e mi
darebbero anche un aumento di stipendio.
Tutto questo sempre rimanendo nel
corpo dei vigili urbani ma distaccato nel ruolo.
-
Magari!
-
Chissa? A questo punto potremmo anche ingrandire
la famiglia! Potrebbe finalmente
arrivare un maschietto! Che ne dici?
-
Dico che per adesso non abbiamo occhi per
piangere e che bisogna aspettare –
rispose Maria.
Aspettarono anni e anni ma alla fine il maschietto arrivò e quando si fece grande incontrò una ragazza :
la figlia di Gaetano.
-
FINE
Ad un tratto il sole era apparso timido fra le nubi grigie del cielo.
Io ero lì, appoggiato contro un palo, mentre intorno cadeva la pioggia.
Era come se tutte quelle gocce inzuppassero la mia anima di profondità,
di sofferenza, di amarezza, di maturità.
Aspettavo l’autobus per ritornare a casa; ma, oggi, non ne avevo
voglia. Oggi, avrei voluto far qualcosa di diverso. Non avrei voluto
interrompere quel momento della mia vita per andare a casa!
Avrei voluto passeggiare sotto la pioggia; magari, insieme a Rosalba,
che avevo visto poco prima all’altra fermata dell’autobus. L’avrei presa per
mano e le avrei parlato a lungo. Le avrei raccontato qualcosa di me. Forse, le
avrei parlato di Ketty oppure le avrei
raccontato della festa in cui avevo deciso di non andare.
Poi, avrei ascoltato quello che mi avrebbe detto , mentre la pioggia
avrebbe aumentato la mia percezione di
tutto questo, scavando in profondità all’interno del mio animo.
Accesi una sigaretta e ,nel vederla ardere e consumare al fuoco,
ripensai , come tante altre volte, al
tempo che consumava allo stesso modo ,inesorabilmente,
le nostre passioni, tutte le cose più
belle e più spiacevoli e ,intanto, smussava, nei ricordi, gli spigoli degli avvenimenti che, altrimenti,
avrebbero rinnovato la nostra sofferenza.
Era tornato, dopo l’estate, quel
vago ed imprecisato periodo
dell’anno che poteva essere definito il tempo dei ricordi.
Il cielo, le cose, le persone, i fatti assumevano una capacità
evocativa nei confronti del passato e nello stesso tempo, fondendosi fra di
loro, perdevano i contorni e creavano le basi di quello strano miracolo.
Potevo essere a Parigi o a
Vienna o in uno dei posti più importanti
della mia vita.
Si! Ricordo…… era un giorno come questo. Accompagnavo Chiara a casa. Aveva
gli occhi grigi come il cielo su di noi. Mi ricordo delle poche parole
scambiate mentre le prendevo le mani e la guardavo negli occhi . Poi,
improvvisamente, tornavo al Convegno e alle parole di Don Ciccio, oppure mi
tornava in mente il cielo dei film di Bergman. Quel cielo maestoso e terribile
che governava sulle vicende umane.
Vidi l’autobus scendere giù in
lontananza e lo raggiunsi.
Avevo la sigaretta accesa e il bigliettaio m’invitò a spegnerla. Poi,
mi sedetti mentre l’autobus si lanciava
con me in una folle corsa a ritroso, aggirando le curve della strada in
cui rivedevo i miei pensieri su Ketty e
ritornavo a capire, come già ieri, la solitudine profonda e la dignitosa
resistenza del mio essere.
Ora , con più maturità, riuscivo
a riflettere con maggiore distacco e scoprire
la profonda insicurezza dell’essere umano.
Ecco….ora, sotto il mio sguardo, era passata una coppia sorridente,
felice di stare insieme.
Ed ecco che ritornavano a
passare davanti ai miei occhi tutte le mie
speranze e le sofferenze , le gioie e le delusioni mentre pensavo a Romana, a Don Ciccio, a Rosalba, a Ketty, ad Angelo e vedevo su
tutti e dentro di noi il bisogno ed il senso dell’eterno. Tanta voglia di amore e di felicità!
Flussi di memoria
Mi ritrovai ad osservare una
fotografia che lo ritraeva da ragazzo e
notai che aveva la stessa espressione,
mista di stupore ed entusiasmo di fronte alla vita , di
determinazione che lo avrebbe sempre
caratterizzato anche nell’età adulta.
Più in là, c’era un’altra foto che lo ritraeva
insieme ai due fratelli Castro. In essa “ El Che” sorrideva insieme a Fidel che, tuttavia, sembrava
caratterizzato da una personalità più complessa. In lui, vedevo l’aspetto
che l’accomunava al “Che” : “la forza vitale
della giovinezza e la capacità di lotta e di amicizia”; ma, c’era anche un
aspetto più riflessivo , peculiare di un
uomo che si dedicherà con passione
all’articolazione del pensiero ed alla realizzazione concreta di un progetto di
società e di governo. Accanto a loro Raul,
il più giovane dei fratelli Castro, si perdeva in uno sguardo di ammirazione e di dedizione nei confronti di Fidel.
Pensavo ancora alla carica
rivoluzionaria di quelle persone ed anche all’allegria, inevitabilmente
connessa alla loro gioventù ,alla condivisione dell’amicizia , della passione e
degli obiettivi che desideravano realizzare insieme.
Poi, per un attimo,
improvvisamente, mi ritrovai immerso nella mia stessa gioventù e negli anni
dell’impegno e di lotta che l’avevano
segnata. Dimentico della stessa dimensione fisica e temporale, ripensavo a
quelle giornate vissute intensamente nei locali della Facoltà di Scienze
Politiche e ai temi del colloquio che un giorno avevo avuto con un giovane ricercatore tedesco titolare di
una borsa di studio presso la mia Facoltà..
Aveva quasi ventisei anni e mi raccontava che presto, al suo ritorno in
Germania , avrebbe provato ad accedere all’insegnamento universitario. Stupito,
gli chiesi se non era troppo giovane per
un incarico accademico e lui gentilmente mi spiegò che i tempi d’inserimento
nella professione universitaria in
Germania erano molto più rapidi che in Italia e molti diventavano professori
fra i venticinque e i trent’anni. Veniva da
Berlino ed aveva partecipato attivamente al movimento della “Università Critica”
il cui leader era stato Rudi Dutschke
e che aveva avuto una ribalta
mondiale sia per i contenuti espressi sia
per essere stato uno dei primi e principali movimenti radicali degli studenti.
Lo scambio di idee era intenso e puntuale e, dopo aver parlato della situazione del Movimento studentesco a
Scienze Politiche e nell’ambito
cittadino, ricordo che affermai con
decisione che la “ contestazione “ del sistema scolastico e sociale erano
strettamente legati e costituivano il punto centrale della nostra azione
politica.
Ero talmente certo di quell’affermazione che
fui letteralmente spiazzato dalla sua risposta. Hans ( era questo il nome del
giovane borsista tedesco) sottolineava
come la questione centrale non era per
niente costituita dalla “contestazione”
del sistema ma dall’urgenza di passare ad una fase rivoluzionaria che ne
cambiasse totalmente i termini.
- Non è sufficiente limitarsi ad
una critica! - disse
- E’ necessario cambiare
radicalmente il sistema sociale a cui è funzionale questa struttura selettiva dell’istruzione. E’ la classe
dominante ad imporre le sue logiche per perpetuare un sistema di oppressione e
di sfruttamento dell’individuo e solo una totale rivoluzione di questa logica
può portare ad una reale liberazione delle classi popolari e dello stesso
processo dell’istruzione e dello sviluppo culturale.
E continuando aggiunse:
-E tu….. sei disposto a
partecipare a questo processo?
Sei disposto a mettere in gioco
la tua vita per portare avanti questa lotta?-Mi disse –
Non risposi immediatamente e gli
dissi che era una questione che stavo valutando.
Ero disposto a rischiare la mia
vita per portare avanti il processo
rivoluzionario necessario a realizzare il mondo nuovo che desideravo? Il mondo
nuovo dove, finalmente, ogni persona ed io stesso potevamo sperare nella
completa realizzazione?
Furono giorni d’intensa
riflessione. Quella domanda era al centro dei miei pensieri e inevitabilmente avvinceva la mia anima. Si, la mia vita aveva
senso solamente se ero disposto a dedicarla
e rischiarla per quello che desideravo.
Passeggiavo
per le strade della città ormai incurante di tante cose di cui in
precedenza mi sarei in qualche modo preoccupato : il mio aspetto , i miei
vestiti, la direzione del mio cammino ecc. Non m’interessava altro che portare
avanti quell’esperienza che aveva cambiato totalmente la mia vita e mi dava una
strana forza interiore e una nuova tranquillità. Mi sedetti per terra, sul
marciapiede, osservando il passare della
gente. Mi chiedevo cosa pensassero e cosa desiderassero veramente. Mi chiedevo
cosa mi avrebbe riservato il futuro e per un attimo pensai di chiedere a Francesca di lasciare insieme a
me la città per andare a studiare a Roma
iniziando anche una nostra possibile convivenza.
Ma di cosa avremmo vissuto?
No…., per il momento il nostro
posto era qua! Dovevamo pazientare ancora , completare gli studi e cercarci un
lavoro. Chissà se poi sarebbe venuta insieme
a me?!?
Quanto tempo era passato!
Quante cose erano cambiate!
L’intera cultura , le
speranze di una generazione erano
ormai superate da una nuova fase storica
in cui addirittura in quegli USA che erano stati la patria degli hippies
e della musica di Woodstock aveva trionfato un politico come Donald Trump!
I ricordi pian piano sparirono e, con essi, i tanti anni trascorsi,
riportandomi a Santa Clara , davanti alle foto che ritraevano “El Che”.
Guardandolo, comprendevo e condividevo quella sua giovinezza , quella
voglia di vita e di cambiamento che leggevo nel suo volto.
Gli anni erano passati , le
scelte oggi erano diverse, ma la
dedizione ed il mettersi in gioco per quello in cui si crede rimanevano un momento
insostituibile della vita.
VERSO ORIENTE
Mario sorseggiava una gradevole Metaxa,
seduto ad un tavolo, nella galleria di legno esterna al bar cafè posto alla
fine della striscia di spiaggia di sabbia di Psili Ammos ,il cui none tradotto
è appunto “sabbia fine”. Il mare di fronte si confondeva scuro con il cielo
trapunto di stelle. La notte era limpida e serena. Il tranquillo silenzio era
interrotto solo dallo sciabordio della risacca delle onde sulla riva mentre,
guardando in mare, passavano lentamente alcune piccole barche da pesca con la
lampara accesa. Mario aspirò una boccata del suo sigarillo cubano e, quindi, bevve un altro sorso del liquore. Era
il più famoso brandy di produzione greca, dal colore ambrato e con un leggero
retrogusto di miele e di frutta passita, dato forse dalla presenza nella
lavorazione proprio del vino moscato dell’isola in cui si trovava: Samos.
Ritornò ad osservare il buio
della notte, punteggiato dalla luce delle stelle e delle lampare in mare, e non
poté non notare, ancora una volta, come quegli elementi così diversi si
armonizzassero insieme in un connubio magico.
Il nero ed il bagliore della luce. Lo stesso contrasto che si può
osservare in altre situazioni fra l’oscurità del profondo ed il rosso del magma
che ne fuoriesce. Due aspetti così diversi, ma così contraddittoriamente uniti,
della stessa madre natura, della vita. Quello stesso intreccio di passione e di
passività, d’amore e di morte, di debolezza e di forza che ritroviamo in ogni momento,
anche dentro noi stessi.
Mario non riusciva a smettere di
guardare affascinato quelle luci e quelle attività, rese ancora più magiche dal
buio della notte. Finì il suo bicchiere di Metaxa, pagò il conto e ,con il
sigaro in mano, si avviò lungo la stradina che costeggiava la spiaggia verso il villaggio
residence dove alloggiava per quel suo breve soggiorno nell’isola.
Usciti dal borgo, la strada
s’inerpicava per una collina alberata sulla cui sinistra si scorgeva il
mare e da cui, a circa un miglio di
distanza, si profilava la costa turca.
Era quasi un promontorio e una zona militare sorvegliata.
Mario si avviò lungo la strada tranquilla nel buio della
notte e scorse non molto lontano un gruppo di giovani: ragazzi e ragazze che cantavano . Inframezzavano il canto con
scrosci di risa e di tanto in tanto , quando la strada andava in leggera
discesa, si lanciavano insieme correndo in avanti, tenendosi per mano.
Ad una certa distanza, li seguiva una donna che si trovò, dopo qualche minuto, affiancata
a Mario. Per lui fu quasi inevitabile
guardarla e ,sorridendole, chiederle se quel gruppo di giovani era con
lei.
Scoprì con piacere che era
italiana e madre di uno di quei ragazzi
.
-
Domani , mio figlio si sposa con una ragazza
greca e questi sono i suoi amici , venuti dall’Italia per festeggiarlo -disse
la signora il cui nome era Laura
-
Tanti cari auguri allora e complimenti ! -
aggiunse Mario- Deve essere un momento importante anche per lei! Ha altri
figli? E’ il primo che si sposa?
-
Si è il primo e l’unico perché non ho altri
figli. Per me è un cambiamento importante
perché vivevo sola con lui che ha
ancora venticinque anni , mentre adesso verrà a vivere n Grecia , proprio qui a
Samos. La famiglia della futura moglie è la proprietaria del grande albergo
residence sulla spiaggia di Posidonio e lui lavorerà qui insieme a loro.
-
Non ha un marito, un compagno? – le chiese Mario
-
No. Con il padre di Francesco , è questo il nome
di mio figlio, ci siamo lasciati molti anni fa e lui si è sempre visto poco.
Non è nemmeno venuto qui per il matrimonio!
Ho avuto qualche storia ma adesso sono sola ed alla mia età mi trovo improvvisamente in
una situazione completamente nuova.
-
Perché quanti anni ha? – le chiese Mario- Mi
scuso se glielo chiedo, ma mi sembra ancora giovane.
-
Ho quasi sessant’anni – gli rispose Laura- la
ringrazio del complimento ma gli anni ci sono tutti. Tra l’altro, sono
impegnata con il lavoro e ci vorrà ancora un bel po' per essere libera.
Al momento, dovrò tornare da sola a Roma , organizzarmi e pensare di vedere mio figlio solo nei
periodi di ferie.
-
Ma, adesso, non pensiamoci. C’è il matrimonio di
Francesco ed il resto non conta.
-
-Dove farete la festa del matrimonio ? Nell’albergo sulla spiaggia
a Posidonio? – chiese Mario-
-
Certo -
rispose Laura- Perché non vieni ? Posso darti del tu?
-
Con piacere- disse Mario-
-
Sai, la festa del matrimonio qui in Grecia è
molto vivace. SI mangia e si balla tutta la notte: Ti divertiresti e poi mi
faresti compagnia. – aggiunse Laura- Sei solo qui a Samos o con altri, con la tua donna?
-
No, sono venuto solo . Mi sono fermato a Samos prima di procedere per Istanbul dove ho
un incontro d’affari con un mio cliente , dei rappresentanti dell’Istituto del
Commercio con l’estero italiano, dei rappresentanti del governo turco e un imprenditore locale.
-
Waw! Interessante! Di che si tratta?
-
Ti spiegherò un’altra volta. Intanto, godiamoci
la serata…. è magica! Poi , se mi confermi l’invito per la festa del matrimonio
, ne sarei contento. Sarà sicuramente molto bella e possiamo viverla al meglio insieme.
-
Bene, allora
d’accordo! Sei ufficialmente
invitato. Scambiamoci i telefoni per i futuri dettagli.
-
Così fecero. Nel frattempo, i ragazzi erano
scomparsi quasi dalla vista e Laura chiese a Mario dove alloggiasse.
-
-Ho preso in affitto per qualche giorno un appartamento
, proprio vicino al residenze di Posidonio. C’è vicino anche qualche villetta e
sono tutte dello stesso proprietario che le usa come case vacanza. Penso che i
genitori della fidanzata di tuo figlio lo conoscano perché ha una convenzione
con loro che permette a noi affittuari di poter utilizzare le strutture del
Residence alle stesse condizioni dei suoi clienti. Sia il ristorante che la
spiaggia antistante e tutti gli altri
servizi.
-
Incredibile! Allora siamo vicini di casa… -
sorrise Laura-
-
Certo e
quindi …….Posso permettermi di accompagnarla a casa , Signora? -le chiese Mario
offrendole galantemente il braccio
-
E’ un vero piacere …Signore – rispose Laura
sorridendo.
Si allontanarono
lentamente, tenendosi a braccetto, in direzione di Posidonio. La notte era
limpida , rischiarata dalla luna, ed i suoi riflessi tingevano d’argento il
mare in lontananza.
Dopo aver
lasciato Laura al Residence , Mario
attraversò i viali che lo portavano al suo appartamento che raggiunse
rapidamente. Sdraiato a letto, con la
finestra interamente aperta, ripensava a quella particolare serata ed a
Laura . Era una donna interessante! Anche se non era più nel fiore degli anni, conservava
intera una serena femminilità che
risultava seducente. Perso in quei pensieri
ed immaginando la festa dell’indomani, Mario si ritrovò presto avvolto
nelle nebbie del sonno.
…………………………………………………………………………………………………………
Le note del
Sirtaki si diffondevano nella calda notte mentre al centro della pista la coppia degli sposi ballava insieme agli
amici più cari.
Tutt’intorno, i tavoli erano disposti su dei livelli man
mano più rialzati ,come in una specie di anfiteatro. Gli invitati offrivano,
di tanto in tanto, una bottiglia di spumante agli sposi che veniva
portata fino alla pista dove si
trovavano su di un piccolo vassoio insieme a due calici da parte dei valenti ed
equilibristi camerieri. Lo sposo
stappava la bottiglia , riempiva i due calici e ,dopo averne assaggiato il
contenuto insieme alla sposa, gridava alto il suo ringraziamento. Dopo, la
bottiglia veniva offerta, insieme ad un
giro di spumante, a tutti gli invitati.
Questo rito si
susseguiva diverse volte nel corso della
serata e dava ulteriore “ carburante”
alla festa.
Laura era
contenta e commossa, mentre osservava la
gioia del figlio appena sposato, e
finalmente provava una sensazione di rilassamento. La serata trascorreva
serenamente e anche Mario si sentiva del tutto a suo agio. Quell’isola gli
stava entrando nel sangue e quella musica
lo trasportava in un universo di
sensualità e di bellezza.
Il residence
dove si svolgeva la festa sorgeva
direttamente sul mare e godeva
dell’affaccio diretto su di una spiaggia
di sabbia fine .
Mario sentì il
desiderio di dirigersi alla spiaggia e chiese la complicità di Laura . che fu
d’accordo ad accompagnarlo.
-E’ stato bello
stasera….. ed anche tu sei bella- disse
Mario guardando Laura negli occhi
-Forse perché
sono contenta - rispose Laura- Mio figlio
era felice ed io ho avvertito dentro il
desiderio di lasciarlo andare libero verso la sua felicità. Mi sono risentita
donna ,oltre che madre, e questa notte
poi è splendida!
-Ed io non
pensavo minimamente che questa sosta a Samos
sarebbe stata così importante!-Aggiunse Mario- Ti avevo detto che mi
fermavo solo qualche giorno prima di andare ad Istanbul per una consulenza.
Dopodomani parto; ma, allo stesso tempo,
voglio stare con te.
A quelle parole,
Laura non riuscì a trattenere un sorriso e un’espressione di sensualità e di
tenerezza si disegnò sul suo volto.
-Vieni con me –
Disse Mario- andiamo insieme . Sarà bellissimo. Ho sempre sognato di vedere
Istanbul e con te sarà ancora più affascinante. Andiamo insieme !
Si….- Rispose
Laura- E comincio a ridere piano per una
felicità improvvisa che le sgorgava inarrestabile da tutto il corpo.
Si – aggiunse
Mario – ed ascoltandola ridere piano si
estasiò a guardarla e la baciò .
Si persero l’uno
nell’altra , soli sotto le stelle e pian
piano nudi si rotolarono, con
l’innocenza dei bambini , sulla sabbia e
fecero l’amore gemendo ed ansimando di piacere.
Dopo si
tuffarono nel mare, continuando a cercarsi
fra le onde.
Stavano
seduti al tavolo della colazione nella
saletta dell’albergo che si trovava sulla sommità dell’edificio . Dalle vetrate,
che limitavano l’ambiente, si ammirava uno scenario incantevole, con in primo piano la cupola della Moschea Blu
.Erano arrivati ad Istanbul la sera prima
e si erano sistemati in questo gradevole piccolo albergo posto
direttamente sulla piazza dell’antico Ippodromo , nel cuore del quartiere di Sultanahmet
, vero centro storico della città. Mario
versò dei cucchiaini di miele dentro la tazza di yogurth bianco. Dopo,
aggiunse abbondanti pezzi di frutta secca
e cominciò a gustare il tutto con estremo piacere. Aveva imparato a
preparare lo yogurth in questo modo in
Grecia e ,quando si presentava
l’occasione utile, quella era la colazione che preferiva. Laura aveva preso invece il caffè lungo , alla
turca, ed un piattino con dei dolci al miele.
-Che bello qui! – disse Laura- sorridendo a
Mario.- sembra di essere all’interno delle mille e una notte. Questa moschea
qui davanti è bellissima: Noi stiamo qui seduti comodamente a fare colazione ,
davanti a questo spettacolo!
- E’ vero , Istanbul è affascinante – rispose
Mario-Pensa che da qui, spostandoci a
piedi, possiamo vedere tanti monumenti importanti e vivere l’atmosfera più
antica della città . Oggi, dopo la riunione di lavoro con i miei clienti,
potremo andare in giro tranquillamente. Poi ,stasera, prendiamo il battello e
facciamo la gita sul Bosforo .Va bene?
- D’accordo – rispose Laura.
Si lasciarono e dopo Mario si diresse verso Piazza Taxim dov’era la sede dell’incontro di
lavoro. La zona brulicava di persone e
ci si trovava nel centro vissuto della
città. Tutti i partecipanti alla riunione della riunione arrivarono nei tempi
previsti e si arrivò rapidamente a discutere dei punti più importanti. I
clienti di Mario desideravano poter
espandere in Turchia la propria attività
di consulenza informatica nei confronti
del settore sanitario della pubblica amministrazione Turca ma soprattutto
desideravano poter commercializzare un programma antivirus di produzione
coreana di cui avevano ottenuto
l’esclusiva per l’area del Medio oriente
e nord Africa. Naturalmente, all’attività di vendita era collegata anche
quella generale di consulenza. La Turchia era il paese ideale per avviare
questa attività estera nell’area in quanto veniva considerata da tutti i paesi ,anche
del Nord Africa, il veicolo ideale per lo
sviluppo dei contatti con L’Europa. La posizione , la storia , la presenza di
una forte componente musulmana rendevano
affidabile questo paese agli occhi di quelli limitrofi e non. Per poter entrare
in maniera importante nel mercato turco e dei paesi vicini era importante,
tuttavia, capire che bisognava dare un
ruolo importante all’imprenditoria locale: Questo era stato
abbondantemente spiegato dal funzionario
dell’Istituto del Commercio con L’estero
nel loro incontro a Roma ed aveva
lasciato capire che era quella una condizione pregiudizievole. In caso di uno
sviluppo positivo dell’iniziativa vi
erano invece delle buone opportunità dal punto di vista finanziario in quanto
esistevano dei forti aiuti per le aziende italiane esportatrici per l’anticipazione dei loro
crediti tramite il sistema bancario, con una garanzia parziale dello Stato: Questo avrebbe permesso un avvio
importante dell’attività. I rappresentanti del governo turco avevano portato alla
riunione il capo di un’azienda che ritenevano potesse partecipare con successo all’iniziativa e nel
corso della riunione spiegarono che aveva senso continuare l’incontro solo se
si pensava ad una partnership di
carattere sostanzialmente egualitario: 50 e 50. Se si era disponibili ad
accettare questa precondizione, allora si poteva continuare a discutere con
profitto e non vi sarebbero stati problemi. L’azienda turca presente era in
grado di coprire l’intero territorio nazionale e fare da veicolo per ulteriori
commerci nei paesi vicini: Mario , d’accordo con il suo cliente , propose a
questo punto la costituzione di una nuova società paritaria con quote divise al
50% che gestisse l’affare sia in Turchia che nella restante area individuata ed
ottenne così un entusiastico accordo da parte di tutti. La riunione non poteva
concludersi meglio e a quel punto , per festeggiare la decisione comune, i
rappresentanti dell’azienda turca invitarono
tutti i presenti con le eventuali
consorti o altre accompagnatrici a partecipare ad una cena con crociera lungo
il Bosforo per la sera stessa.
Vedrete- disse Mister Kaya, il capo dell’azienda
turca- sarà divertente e godrete di uno spettacolo unico e affascinante che vi
farà amare Istanbul.
Si salutarono, dandosi appuntamento per la sera
sul pontile vicino al ponte di Galata. Mario rimase a parlare con il
rappresentante del Ministero italiano e con il suo cliente. Erano ampiamente
soddisfatti di come si era svolta la riunione e del tempismo con cui Mario era
intervenuto chiudendola positivamente. Dopo qualche minuto, presi ulteriori
accordi per le varie incombenze operative dei prossimi giorni, Mario chiese se
poteva portare Laura con sé quella sera
e, rassicurato su questo punto, salutò tutti e
si allontanò.
Quel
pomeriggio , insieme a Laura, avevano
visitato la torre di Galata all’interno
dell’antico quartiere edificato dai
Genovesi : Avevano ammirato il panorama della città , le sue moschee , la parte
occidentale e quella asiatica , il ponte che le unisce e la bellezza del Bosforo. Poi si erano
addentrati lentamente fino al ponte di Galata scoprendo nel suo spazio sottostante i vari ristorantini e bancarelle di pesce.
Era un susseguirsi di piccole botteghe e di tavoli all’aperto che ricordavano tanto alcuni posti dei paesi a mare del Sud
d’Italia. Pian piano si fece sera e si
diressero all’appuntamento davanti
all’imbarcadero per il battello della
gita serale sul Bosforo.Erano circa le nove di sera quando insieme agli altri salirono sul battello.
C’era Mister Kaya insieme alla moglie, in abito
tradizionale, ma con il volto scoperto, il rappresentante italiano
del ministero per il commercio con l’estero , una signora elegante
probabilmente coetanea di laura , il cliente di Mario, e il rappresentante
del governo turco con la moglie , vestita all’occidentale. Oltre a loro c’erano
diversi turisti e tutti furono fatti
accomodare nei tavoli preparati in
un’area del ponte dove fu servito uno spumante
italiano come segno di benvenuto.
C’era un tavolo già preparato per Mister
Kaya ed i suoi ospiti che furono subito intrattenuti dallo chef e serviti con precedenza
rispetto a tutti gli altri .Mentre
gustavano i piatti tradizionali della cucina turca e godevano dello spettacolo della costa e di alcuni splendidi palazzi storici illuminati,
venivano intrattenuti anche da un piccolo gruppo di musicisti . La
serata fu molto gradevole. Finita la
cena, passarono ad esplorare il battello
soffermandosi sulle gallerie laterali dove
ognuno ritrovava la sua intimità con il
partner o con gli amici più stretti. Quando
passarono sotto il lungo ponte illuminato, Mario e Laura erano sulla parte posteriore del battello e
così poterono osservare il ponte nella
sua interezza mentre si allontanava lentamente. Dopo circa due ore dalla partenza , il battello rientrò al molo e, dopo essersi salutati con tutti
gli altri, Mario e Laura si avviarono
verso l’albergo.
................................................................................................................................................
-
Please
Mister! Help me! Aiutatemi vi prego!-
-
Quella
voce dolce e lamentosa allo stesso
tempo usciva dall’angolo buio della notte, lungo la stradina che stavano percorrendo, e
si rivolgeva proprio a lui. Guardò meglio in mezzo al buio e gli sembrò di vedere, raggomitolata a terra,
una figura avvolta in un grande
velo che teneva sulle gambe un altro
fagotto più piccolo.
-
Chi
sei? -rispose Mario- Com’é che parli la mia lingua?
-
Vi
prego aiutatemi- rispose subito quella
stendendo la mano.
-
In
quel mentre, forse disturbata dal movimento , la figura più piccola prese
improvvisamente vita scoppiando a
piangere . Era un bimbo piccolo e singhiozzava invocando la sua mamma.
-
Laura
si avvicinò immediatamente cercando di aiutare
quelle due persone : la madre ed il bambino. Mentre Mario cercava di
sorreggere la ragazza , Laura prese in braccio il bambino che, nonostante non venisse preso dalla madre , tuttavia
sembrò calmarsi. La ragazza, dopo essersi alzata, riprese il bambino dalle braccia di Laura e
rivolta a Mario gli chiese:
-
-
Siete italiani vero? Anch’io sono italiana
e sono disperata . Aiutatemi! Non so dove andare , non ho soldi e il mio
bambino ha fame.
-
Hai
un posto dove dormire? – le chiese Mario- vivi con qualcuno?
-
No
stiamo sulla strada. Viviamo di elemosina e il bambino ha fame.
-
Va
bene – disse Mario senza pensarci due
volte– vieni con noi! Stasera dormirete e mangerete : Poi, se vuoi ci
racconterai di te . Andiamo.
-
Insieme
a Laura sorressero la ragazza e il bambino, presero la piccola
valigia che aveva con sé , si diressero verso una strada principale .Chiamarono
un taxi e si fecero accompagnare all’albergo.
Arrivati nella Hall, Mario pagò una stanza anticipatamente per i due
nuovi ospiti e chiese che portassero loro da mangiare in camera.
Adesso, il viso della ragazza era disteso, quasi
sereno, e guardava il suo piccolo che
sorrideva a Laura che lo solleticava. Avevano mangiato con calma e finalmente stava seduta, riposando comodamente su di una poltrona.
Come ti chiami ? – Le chiese Mario
Il mio nome
adesso è Fatima ma sono nata
Irene . Così mi hanno chiamata all’Istituto dove mi hanno cresciuta in
Italia… a Roma. Non ho mai conosciuto i miei genitori . Non si sapeva chi
fossero: Mi hanno trovata abbandonata
davanti alla porta dell’istituto e mi hanno presa, curata e cresciuta.
Com’è che ti trovi qui? – chiese Laura
Cinque anni fa
ho conosciuto Salim, un ragazzo
siriano, che era venuto in Italia per
ammirare le bellezze dell’antichità del nostro Paese. Era pazzo per il
Colosseo….pensate un po'!
Ci siamo innamorati e mi ha portato con sé nel suo Paese. Ci
siamo sposati con il rito musulmano ed ho preso il nome di Fatima. Tre anni
fa è nato il piccolo Abdul………… poi, c’è stato l’inferno.
Prima la protesta, poi una vera e propria guerra civile che non ha risparmiato nessuno. Mio marito è
morto, vittima di un attacco
terroristico ed io sono rimasta sola con
Abdul. A quel punto non sapevo cosa fare
e ho pensato di ritornare in Italia.
Ho ritirato tutti i soldi che avevo , i documenti più importanti e mi sono unita
ad una carovana di profughi che cercava di passare il confine con la Turchia. Ci sono riuscita come vedi
….. ma siamo a terra!
-
Irene,
tu e Abdul non siete più soli- le disse
Mario- verrai con noi in Italia, ma prima
dobbiamo fare in modo che non vi siano problemi per Abdul. Domani
andiamo al Consolato italiano e cerchiamo di far convalidare i documenti che ne
comprovano la tua maternità.
Irene era felice
e rideva e piangeva, stringendo a se il piccolo Abdul e ringraziando ora
Laura ora Mario continuamente.
Scese la notte e, finalmente , la pace regnava
nel suo cuore!
…………………………………………………………………………………
I giorni seguenti furono densi e frenetici . Mario, grazie anche
all’aiuto delle sue conoscenze con la funzionaria del ministero del commercio
con l’estero italiano, che si era messa subito a disposizione intermediando con
il console di stanza ad Istanbul , aveva
convalidato anche per l’Italia l’atto
di nascita di Abdul emesso dalle autorità siriane. In tal modo Irene , che
aveva conservato la cittadinanza
italiana , ed Abdul potevano rientrare in Italia insieme
a Mario e Laura.
Oltre a questi aspetti più formali ed importanti non erano mancati gli
aspetti più piacevoli del giro dei negozi per ricostituire il guardaroba di
Irene ed Abdul. In questo, Laura si era dimostrata molto brava
accompagnandoli e consigliandoli. Il
risultato era ormai costituito da quella graziosa mamma con bambino al seguito
che passeggiava elegante per le strade di Istanbul.
Dopo aver portato avanti i diversi
impegni di lavoro e salutato mr. Kaya, Mario era pronto per il rientro in
Italia con il suo nuovo gruppo.
Quel viaggio gli aveva cambiato la vita! Non avrebbe mai
pensato di tornare con tanti nuovi amori , ognuno di natura diversa ma di uguale
importanza.
Mentre l’aereo si alzava in volo
verso l’Italia, il suo sguardo si volse verso Laura che chiacchierava amabilmente con Irene , seduta
serenamente accanto ad Abdul che non
smetteva mai di guardarsi attorno e di chiedere qualcosa.
Si, era stato veramente fortunato ad incontrarli!
Ora, erano passati alcuni mesi dal
loro rientro in Italia ed Irene si era
progressivamente ambientata a casa di Mario e ,quando Abdul la lasciava un
attimo libera, provava ad aiutarlo nel
suo lavoro dimostrando una rara
attitudine.
Quella sera erano tutti insieme a cena insieme a Laura, la cui storia con
Mario continuava ancora più intensamente.
-Bene – disse Mario . che bella tavolata! C’è un bel bambino che sta
morendo di fame . E’ vero Abdul?
- si , nonno, ma non sto morendo ………… ho molta fame – rispose il bimbo-
Si …..è vero… è sorprendente sentirti chiamare nonno , ma quello era un
vezzo che Abdul si era preso pian piano
e che era piaciuto a tutti . Non che significasse che Mario sembrasse un
vecchio bacucco; ma, semplicemente, era chiaro al bambino che non fosse suo
padre e che non poteva essere il compagno di sua madre . Abdul, inoltre ,vedeva ai giardinetti i nonni dei suoi piccoli amici che
somigliavano molto nel comportamento e nell’età a Mario . Così lo aveva cominciato a chiamare nonno .
Dapprima Mario e tutti gli altri si erano messi a ridere; poi, la parola si era
insinuata piano piano dentro al cuore.
Certo- rispose Mario- e vedo arrivare un bel piatto fumante di pasta .
Che te ne pare?
Si…..Si - cominciò a gridare Abdul
impaziente- ….. buona ….buona….
Quando erano ormai alla fine,
Mario si rivolse a Laura e Irene dicendo:
-
Mie
belle ragazze ho il desiderio di dirvi una cosa a cui tengo molto e che spero vi faccia
piacere.
-
Di
che si tratta?- risposero in coro le due donne
-
Dobbiamo
preoccuparci ? – aggiunse Laura
-
Penso
proprio di si – rispose Mario.- Ho pensato molto a questa cosa e poi ho visto
una bella villetta con giardino nella periferia dell’EUR che mi sembra
perfetta per noi. Laura . Irene vi piacerebbe andare a vivere insieme in questa nuova casa ed essere
un’unica famiglia?
-
Oh!
Dio! -Esclamò Laura
-
Mamma
mia – aggiunse Irene- una famiglia!
-
Si –
disse Mario – rivolto a Laura – vorrei che tu venissi a vivere con noi e che
restassimo sempre insieme. Non è molto che ci conosciamo ma è speciale quello
che è successo fra di noi e sono sicuro
di quello che provo per te. E tu?
-
Oh!
Mario anch’io! – rispose Laura – Vengo!
Vengo!
-
Irene, capisco che ti sembra forse avventato quello
che ti dico, ma sei entrata insieme ad
Abdul nella mia vita e non saprei più fare
a meno di te. Abdul mi chiama nonno ed
io ti sento come mia figlia e, se me lo
permetti, ti vorrei adottare ed andare a vivere insieme, tutti e quattro, nella nuova casa.
-
Posso
chiamarti figlia mia?
-
Nessuno
mi ha mai chiamata . figlia mia , papà – rispose Irene, commossa
-
Nessuno
mi ha mai chiamato papà – disse Mario.
-
-
-
-
MASTRU CIFULIANU
C’era una volta, e ancora c’è, una terra cinta dal mare.
Arsa dal sole e con dentro un monte che sbotta e sprizza
sassi di fuoco!
In un tempo che c’era e or non c’è più, accadde una storia
che forse è vera !
Così la ricordano e così era, e se così non sarà, in altro modo sarà!
* * *
Chi la racconta era una nonna, col viso schiarito da un lume a petrolio,
Quando non c’era la televisione e neanche la radio
d’ascoltare.
Si stava seduti accanto alla “conca” ,cercando il calore per riscaldare,
mentre le braci e le parole creavano un mondo tutto da
immaginare.
* * *
In un paese che non so, viveva un bravo calzolaio che tutti conoscevano come” Mastru Cifulianu “.
Stava al lavoro tutto il giorno e spesso non aveva neanche il tempo per andare
a casa a mangiare, nonostante la sua
abitazione fosse solo ad un isolato di
distanza dalla bottega.
Così stando le cose, la moglie, che sapeva quanto gli
piacessero i legumi, verso metà mattinata, metteva a sobbollire dei fagioli in una pentola di coccio con un rametto di
salvia e uno spicchio d’aglio e quando erano quasi pronti , per l’ora di
pranzo, toglieva la pentola dal fuoco , aggiungeva dell’olio d’oliva a crudo e
di corsa usciva da casa per portare il tutto alla bottega .
Quando Mastru Cifuliano vedeva arrivare la moglie, le faceva
mettere la pentola su di un tavolino accanto, nell’attesa di mangiare quei
benedetti fagioli. La pentola, che era di coccio, manteneva nel frattempo il
suo calore e i fagioli continuavano a
sobbollire insieme all’olio d’oliva, che era stato aggiunto, espandendo per
tutto il vicinato un profumino da leccarsi i baffi.
Attratti da quell’odore, si presentarono alla porta di
Mastru Cifulianu dei briganti!
Erano brutti ceffi, con la barba ispida e non rasata e gli
occhi cattivi che, al solo guardarli,
sentivi che quel giorno non avrebbe portato niente di buono:
-
Mastru Cifuliano ……….
vi trattate bene!!! Il profumo dei vostri fagioli si sente per tutto il
paese e voi non vi degnate di dividerli con i vostri ospiti. L’ospite è
sacro!…….. e non accontentarlo…… è una grave offesa!
-
Così dicendo, il capo dei briganti si avvicinò alla pentola e la scoperchiò:
-
Ma che meraviglia è questa? Com’è che i fagioli stanno
bollendo senza fuoco?
Mastru Cifulianu sapeva di non poter combattere contro
i briganti usando la forza. Questi
erano in maggior numero ed armati;
inoltre, erano balordi disposti a
tutto, avvezzi ad una vita di violenza
. Così, pensò che se non poteva liberarsi di loro con la forza doveva
provare ad usare l’astuzia e disse:
-
Ah! …. se
sapeste! ….. Io sono un uomo fortunato! Questa che vedete è una pentola magica! Quando ho fame la riempio d’acqua e quando non c’è nessun altro attorno le dico
“Pentola lavora, io sono il tuo padrone” e come per miracolo essa si riempie
del cibo che desidero e lo cucina senza bisogno della brace.
-
Ma…..
attenzione! … Basta che ci sia qualche
altro presente o che cerchi di costringermi ad usarla con
la forza, la pentola non funziona più. Si ribella e non lavora!
Ah!
Ah! Ah! .... - rise divertito – ma i fagioli sono
pronti e vi invito a mangiare.
* * *
I briganti non si fecero pregare
due volte e cominciarono a mangiare con avidità, condendo il tutto con sonori
rutti. Quando ebbero finito, il loro capo si rivolse a Mastru Cifuliano dicendogli:
-Bravo!…Bravo! …e volevate tenere
questo ben di Dio tutto per Voi, quando, come avete visto, abbiamo tante bocche
da sfamare? Non pensate alle nostre mogli ed ai nostri figli? Noi abbiamo
bisogno! Non è per cattiveria, ma questa pentola ce la dovete dare.
E Mastro Cifuliano , di rimando
-Ma
prendetela pure! Solo che non v’aspettate che funzioni. Ve l’ho detto, è una
pentola capricciosa e non sente ragioni. Con la forza non funziona. Non dite
che non vi ho avvisato!
Bene, bene, non preoccupatevi.
-rispose il capo dei briganti-Ci penseranno le nostre mogli a farla funzionare.
Tenete! - e, buttando due soldi sul tavolo, aggiunse- questi sono per la pentola. Non andate a dire che ve l’ho presa
senza pagarla. -
Così dicendo, si alzò dalla sedia
e rivolto ai suoi compari, gridò: Andiamo.
-Lasciando il povero Mastru Cifuliano più confuso che persuaso.
Ma guarda che confusione per una pentola di fagioli!
Non aveva più voglia di restare in bottega. Si era fatto anche
tardi e gli venne voglia di tornare a casa. Chiuse i battenti di legno spesso
della porta e si avviò. Era ormai giunto l’imbrunire, quando il sole, al
tramonto, lascia gli ultimi fuochi di colore al buio delle tenebre. La campagna
intorno perdeva già la definizione dei suoi particolari per lasciarsi andare ad
un gioco di sagome di alberi e cespugli, che si stagliavano sullo sfondo di un
cielo, ancora chiaro, che perdeva colore.
La casa non era lontana e vi
arrivò presto. La moglie lo
accolse sull’uscio e lui, rapidamente,
le raccontò tutto, suscitando esclamazioni di sorpresa e di spavento.
Poi, pian piano, la calma ritornò
nella casa e marito e moglie si sedettero fuori, davanti all’uscio, ad aspettare
il sonno della notte. In lontananza, qualche cane abbaiava rompendo quel
silenzio di pace, che li circondava. La notte era calda e limpida. La luna,
alta nel cielo, porgeva la gobba a ponente con accanto due stelle luminose. Una era più piccola, ma l’altra sembrava una
candela accesa nel cielo. Il sonno non tardò ad arrivare e marito e moglie si
alzarono ed andarono a dormire.
·
* *
L’indomani , tutto soddisfatto,
il capo dei briganti invitò a casa
tutta la sua ciurmaglia, comprensiva di mogli e figli per far ammirare a tutti i poteri della
nuova pentola. L’allegria si trasformò, tuttavia presto in rabbia. Le urla e le
maledizioni si unirono ai bisticci ed ai rimproveri della moglie che gli
rinfacciava di essersi fatto prender per il naso da un semplice artigiano. Gli altri componenti della banda giurarono e
spergiurarono di aver visto con i loro occhi la pentola fare il suo dovere,
tanto che avevano “sbafato fagioli a sazietà”, ma il gruppo delle mogli non ne
volle sapere gridandogli in faccia che erano
sicuramente ubriachi e si erano fatti fregare come degli “scunchiuruti”
privi di senno.
La vedremo! Vi farò vedere io
chi è “scunchiurutu” e chi ,
alla fine, rimane fregato! Mastru Cifuliano siete morto-gridò il capo, sbattendo con forza il pugno sul tavolo e
facendo sobbalzare tutti attorno dallo spavento.- Tutti con me! Andiamo a
prendere quel cane morto!
Furono fuori in un attimo, come una folata di vento rabbioso, decisi a
vendicarsi . Arrivarono subito alla bottega
di Mastru Cifuliano e, senza dargli il tempo di spiegarsi o di reagire,
lo picchiarono e ,ormai privo di sensi, lo misero legato in un sacco per
portarselo dietro e buttarlo dalla scogliera.
·
* *
Mastru Cifuliano si sveglio, in
preda agli scossoni, in piena oscurità. Sentiva le ossa rotte ma era ancora
vivo ! Era legato mani e piedi e rinchiuso dentro un sacco, ma riusciva a
respirare. Lo stavano tasportando sicuramente con un carro e sentiva tutte le
scosse del terreno accidentato.
Ad un tratto, il carro si fermò e sentì i briganti
scendere.
Mastru Cifulianu mi sentite? –
gridò il capo dei briganti- Vi sento ,
vi sento- rispose lui.
Bene, allora, alla faccia vostra,
prima di buttarvi nel mare dalla scogliera e fare piazza pulita della vostra
persona, noi ce ne andiamo a mangiare!
Se avete fame ,vi possiamo dare
,qualche stronzo di cane! Lo volete? Aah.. lo volete?
Non voglio!...Non voglio!.. –
ripeteva, gridando disperato Mastru Cifuliano –
I briganti si allontanarono per
andare a mangiare e lasciarono così il povero Mastru Cifuliano solo sul carro, chiuso dentro un sacco a lamentarsi
gridando : Non voglio! Non voglio!
Non voleva morire e continuò a
gridare disperato “non voglio” per tanto tempo, quando, ad un certo punto,
sentì avvicinarsi qualcuno che, con
voce sconosciuta e timorosa, gli chiese:
-Cos’è che non volete? Che ci
fate chiuso in un sacco?
Mastru Cifuliano rispose :
-Non voglio la figlia del Re. Me
la vogliono fare sposare contro la mia volontà. Io sono sposato ed amo mia
moglie e loro per costringermi mi hanno messo nel sacco.
-Ma cosa dite? – rispose l’uomo-
io sono un povero pastore e sarei stato ben felice di sposare la figlia del
re e di avere una vita diversa e con
tante ricchezze!
- Allora prendete il mio posto- gli
disse subito Mastru Cifuliano-Mettetevi nel sacco al posto mio e nessuno se ne
accorgerà. Arriverete a corte , davanti alla figlia del re, e nessuno potrà impedirvi di sposarla.
- Dite che si può fare? –rispose
il pastore
- Certo, ma sbrighiamoci – disse
Mastru Cifuliano- i gendarmi stanno tornando.
In fretta e furia , il pastore
aiutò Mastru Cifulianu a liberarsi e questi, a sua volta, lo aiutò a mettersi
nel sacco , al suo posto, sopra il carro. Detto fatto, si allontanò rapidamente
portandosi con sé il gregge del pastore.
Dopo un po’ i briganti furono di
ritorno satolli ed ubriachi. Vedendo tutto a posto ed il sacco con dentro il
presunto Mastru Cifuliano esattamente dove era stato lasciato, senza sospettare
nulla, ripresero il viaggio verso la scogliera e ,appena arrivati, buttarono
dall’alto, nel mare, il malcapitato
pastore , interrompendo il suo sogno di nobiltà.
Quale fu la loro sorpresa quando
sulla strada del ritorno scorsero Mastru Cifuliano circondato dal suo nuovo
gregge di pecore!?!
Questa proprio non ci voleva,
pensò Mastru Cifulianu, scorgendo i briganti, Ed ora che gli dico? Cosa faccio?
Poi con un radioso sorriso andò loro
incontro dicendo:
-cari amici , finalmente vi ritrovo. Non sapevo proprio come
ringraziarvi!
I briganti non credevano ai loro
occhi.
-Capo, ma l’abbiamo appena
buttato giù dalla scogliera- dissero in molti- Questo qui è un fantasma!
-Ma quale fantasma e fantasma!
–rispose Mastru Cifuliano – mi volete far credere che non sapevate che quella
scogliera è miracolosa? Vi devo
ringraziare! Ogni persona che si butta in mare dalla scogliera ritorna a terra
come nuovo insieme ad un gregge di pecore. Gli sterminati campi del mare gli regalano un gregge di pecore tutto per
lui! Avete capito?
Grazie ! Grazie ! Sono per sempre obbligato ! Salutamu! S’abbenerica!
Così dicendo si allontanò, lasciando i briganti con la bocca aperta e
gli occhi sgranati.
-Ma se è così , diventiamo tutti
ricchi! – disse il capo- se ci buttiamo tutti noi , con le nostre mogli ed i
nostri figli dalla scogliera, avremo tante pecore e greggi che non le ha neanche il Re.
-Vero è- risposero in coro i
briganti- Di corsa,… andiamo!
E così, corsero felici verso la scogliera, portando con sé le famiglie, con gli occhi perduti in un
sogno di ricchezza, e non tornarono mai più.
Corrida
Questo breve racconto è stato scritto molti anni fa in
chiave di narrazione antropologica .Non prende pertanto le parti di nessuno dei
protagonisti : né del toro né del torero,né del pubblico. Buona lettura!
L’arena era piena di gente che aspettava l’imminente
corrida.
In Spagna, la corrida rappresenta la sfida di un uomo contro
il toro. Nel torero,la folla vuole vedere un uomo capace di combattere il
toro senza averne paura. Un uomo che faccia giostrare il toro attorno a sé,
beffandolo ad ogni carica.
Delle persone, vicino a me, discutevano sui tori. Nell’aria
tersa scoppiavano mortaretti ed il suono delle voci indistinte sembrava il
rombo di un ‘aeroplano.
Alcuni dicevano che i tori erano buoni. Che erano bassi e
tarchiati e con delle corna dure e
piccole; ma, altri diceva che , pur
potenti e veloci fossero, Paco, il torero, li avrebbe fatti giostrare ed uccisi
elegantemente.
Il sole scottava i volti della gente e splendeva alto nel
cielo azzurro. Alcuni avevano comprato delle noccioline, prima di entrare
nell’arena, ed ora le mangiavano in attesa dell’entrata dei toreri.
C’erano parecchi turisti
che scattavano fotografie. Faceva un gran caldo e molti si toglievano le
giacche; il venditore di cappelli, quel giorno, avrebbe fatto di certo affari.
Qui e là si accedevano delle controversie. I fortunati si erano scelti i posti più vicini all’arena
in modo da vivere lo spettacolo quasi direttamente.
Nell’aria c’era un senso d’attesa. Domandai ad un mio vicino chi fosse Paco ed egli mi
rispose che era un torero dallo stile
spavaldo e temerario; ma, nello stesso tempo, elegante .
Un idolo della folla!
Si udirono degli squilli di tromba. L’ingresso dell’arena si
aprì facendo entrare nello spazio sabbioso gli Alguaciles, che
conducevano solennemente i loro cavalli bardati. Ad un metro circa di distanza,
li seguiva la Cuadrilla con al centro ,
nel suo sfolgorante costume rosso, Paco, l’Espada, che si ergeva in tutta la sua elegante e slanciata figura.
La folla era impaziente. Osservai i miei vicini.
Avevano gli occhi fissi sull’arena ed i visi bruciati , storti in una smorfia
d’attesa e d’apprensione.
La Cuadrilla si era allontanata dal
centro dell’arena. La folla ammutolì di colpo. Tra poco il toro sarebbe entrato come una vaporiera
imbizzarrita.
Un grido percorse l’arena in tutta la sua ampiezza. Il toro
era entrato correndo.
Rapidi i Banderilleros entrarono in azione,
agitando i loro mantelli scarlatti davanti al muso della bestia per farla
innervosire. Subito dopo , fecero il loro ingresso nell’arena i Picadores , sui loro cavalli
bardati,reggendo in mano la lunga Pica. Uno dei Banderilleros agitò la
cappa dinanzi al toro…..Quello calò la
testa e caricò….Aveva il rosso negli occhi e vedeva sempre più vicina la
cappa agitata che lo innervosiva…Eccola!…Eccola!
Ad un tratto la
cappa sparì ed esso si trovò a tu per tu con i Picadores.
Pancho, il Picador, osservava il toro.Prese la
mira e calò la Pica sul dorso del toro, appoggiandovisi con tutte le sue
forze. La bestia , però, aveva ormai toccato il ventre del cavallo e l’aveva squarciato. Ora, le budella
dell’animale uscivano fuori dalla ferita. Era uno spettacolo rivoltante; ma ,
la folla vedeva solo il toro ed il Picador. Un cronista, vicino a
me, scriveva sul bloc notes che , finora,
lo spettacolo non aveva offerto niente d’eccezionale. Ora, il toro era stato lasciato solo , al centro dell’arena.
Dalle sue narici usciva il fiato , misto a polvere .
Entrarono quindi i Banderilleros,
ciascuno con due aste di legno, le banderillas, munite di fiocchi e rivestite di carta colorata ma con la
punta in acciaio.Si fece avanti il primo e corse incontro al toro. Questo caricò e, quando sembrava che l’animale stesse per colpirlo, il banderillero piantò nel dorso del toro le aste e , facendo leva
su di esse, si sollevò e scartò di
lato. Gli altri fecero la stessa cosa.
Alla fine , la bestia si trovò con le banderillas piantate nel dorso. Cercò
di smuoverle, ma le punte d’acciaio erano entrate a fondo nella sua carne. .La
cosa lo innervosì ancora di più. Ora, il cronista scriveva che i banderilleros erano stati molto bravi e avevano svolto il loro compito
con maestria.
Il toro era fermo ed ansava.
Le trombe squillarono e Paco, l’Espada, entrò nell’arena
tenendo in mano la muleta e lo stocco e fu
salutato da un lungo e consistente applauso. La sabbia si alzava in nuvolette giallastre dietro i
suoi passi.Egli guardava ai lati della pista. Dietro le staccionate robuste,
Paco intravedeva gli altri toreri pronti ad ogni evenienza. Osservò la folla che lo acclamava e
pensò che essa voleva da lui uno spettacolo senza risparmio di energia e
d’audacia. Voleva provare il brivido
per il rischio continuo della vita che lui avrebbe corso e pensò ancora che ,
se egli non l’avesse accontentata, gli stessi che ora l’acclamavano lo
avrebbero , in seguito , deriso e criticato.
Ora , il toro era fermo dinanzi a lui. Dal collo gli
colava il sangue vermiglio che, cadendo
sulla sabbia, si mescolava ad essa macchiandola di un colore bruno. Gli occhi
bovini lo fissavano; erano rossi dalla rabbia.La bocca era piena di bava
schiumosa.
Ora era lì davanti a lui. Era una sfida, una sfida a morte.
Paco lo sapeva, si ripeteva ogni domenica. I
muscoli dell’animale affioravano sotto la pelle e sembrava volessero schizzar
fuori. Il suo corpo era pervaso da un tremito di collera. Era massiccio sulle
zampe.
La folla , adesso , stava silenziosa e aspettava.
Paco si mosse. Il suo passo era lento e deciso. Sollevò
la muleta che , piegata in alcuni
punti, assumeva un colore violaceo.
Incitò il
toro…………incitò ancora.
Quello abbassò la testa e caricò. Caricava diritto al corpo
di Paco. Ora egli lo vedeva sempre più vicino avvolto in una nuvola di polvere
gialla.
Paco si mosse lentamente di lato ed il suo fianco sfiorò le corna del toro nella sua corsa , mentre la muleta si drizzava tesa
sul corpo dell’animale.
La folla gridò ……Ooolé!
Ed ogni volta il toro caricava e si lanciava nel vuoto
accompagnato da un sonoro ….Ooolé!
Sembrava quasi che il toro fosse fuori posto nell’arena.
Paco lo trattava come se non avesse
nessuna importanza e lo evitava quasi con insofferenza.
La sua condotta, così temeraria e spavalda, faceva impazzire
la folla!
Il cronista , vicino a me, scriveva emozionato :” non si era mai visto uno spettacolo
simile dai tempi di Belmonte e Manolete”.
Ora, Paco aveva
impugnato lo stocco. Era l’ultimo passaggio del toro. Il silenzio entrò
nell’arena e ammutolì la folla. Gli occhi di tutti fissavano l’uomo e la bestia
. Uno davanti all’altra su quella terra giallastra. Paco agitò la muleta.
Il toro caricò ancora……………….Uno……due passi…….un passo indietro……..e alzò la
muleta mentre la bestia passava. Ora era lì sotto il suo sguardo e per un attimo era lui , Paco, ad averla lì
tutta per sé… Mirò ….. e subito dopo lo stocco era entrato completamente nellla
carne del toro , fra la collottola e la spalla……………………………………
Il toro rimase fermo….., istupidito.
La folla esplose in un boato e ,come se fosse stato ucciso
da quel suono, la bestia piegò le ginocchia e cadde al suolo, mentre Paco
alzava il braccio destro al cielo ,in
segno di vittoria , fra le grida e gli applausi della folla.
PAGINE MALTESI
I
PREPARATIVI
Avevamo sognato a lungo quel viaggio e cercato di pensare a tutto quello che potesse essere necessario.
Innanzi tutto: le ragazze. A
questo era servita la decisione
d’iniziare a fare corrispondenza, per diventare amici di penna, con il maggior numero possibile. L’intenzione era di poterle
successivamente incontrare proprio durante il nostro primo viaggio. Scartate
quelle che scrivevano in inglese e da posti troppo lontani, cominciai a
rispondere a delle ragazze francesi, spagnole e maltesi.
Era l’inizio dell’ultimo anno del Liceo. Quell’anno, avevamo gli esami
di maturità e saremmo stati interrogati sul programma di tutti e cinque anni.
Non volevo neanche pensarci!
Alfio, l’amico d’infanzia con cui avevamo deciso di partire dopo gli
esami, era in un’altra classe. Con lui avevamo a lungo chiacchierato di questo
progetto durante le vacanze estive precedenti, quando il solleone si prendeva
gioco di noi ed il principale divertimento consisteva nell’ingaggiare interminabili
partite di pallone o tamburelli nella stradina che costeggiava il suo
condominio. Fortunatamente, era una strada senza sbocco e le uniche automobili
che passavano erano quelle dei condomini che venivano a parcheggiare. La strada
era diventata così il nostro personale campo giochi frequentato dai ragazzi del
condominio e da me, che venivo con l‘autobus a trovarli. Io abitavo nel centro
della città, dove non si poteva più giocare in strada, e appena possibile
venivo a casa di Alfio. Eravamo amici e compagni di scuola fin dalla quarta
elementare e sia i suoi genitori, sia il fratello, più piccolo di qualche anno,
mi consideravano di famiglia.
Avevamo sempre giocato, da anni, al pallone o a tamburelli in quella
stradina con incontri interminabili che finivano solo per generale sfinimento
dei partecipanti, per le urla dei genitori che ci ricordavano i compiti da fare
per l’indomani o perché si stava facendo tardi ed era l’ora di tornare a casa
per la cena. A quel punto, stanchi, ma soddisfatti, andavamo a bere l’acqua che
usciva lateralmente, a filo, dai lati di una vasca fontana condominiale.
Salutavo tutti, mentre con Alfio continuavamo a chiacchierare fino alla fermata
dell’autobus per tornare a casa.
Avevo un’altro amico e
compagno di classe con cui studiavo quell’ultimo anno; ma, con lui giocavamo a
pallavolo, sport di cui eravamo appassionati.
Quell’estate, con i ragazzi più grandi avevamo preso l’abitudine di
giocare anche qualche volta a carte a casa di Alfio. Per lo più a briscola o
scopone. Durante quelle partite, si cominciò a parlare del viaggio dopo la
maturità. Franco disse subito che quell’anno sarebbe andato in montagna con i
suoi.
Con gli altri si affrontò il problema del possibile costo del viaggio.
Alfio ed io c’eravamo informati sul fatto che fra il costo del traghetto,
l’ostello/pensione e le spese di mantenimento dovevamo considerare una spesa di
almeno 20.000 lire la settimana, oltre al costo del viaggio. Avevamo
risparmiato per anni sulle paghette mensili erogate dai nostri genitori ed
eravamo pronti; ma, gli altri, a sentire quelle cifre, rabbrividirono. Piero
disse di poter disporre di sole 5.000 lire, oltre le spese di viaggio. Pensate
che posso farcela a stare almeno una settimana? Piero, è inutile prenderti in
giro, risposi, non puoi partire con sole 5.000 lire. Devi chiedere qualcosa ai
tuoi. Siete pazzi? –rispose-quelli non vogliono neanche che io parta da solo.
Non se ne parla nemmeno.
Col passare del tempo divenne chiaro che a partire saremmo stati in
due: io e Alfio.
Forse era anche meglio perché ci conoscevamo da sempre e ci
consideravamo come fratelli.
Quell’anno avevamo gli esami di maturità.
Il Liceo stava veramente
finendo e, con questo, un’intera stagione di amicizie, amori, sentimenti. Una
vita passata sempre insieme, nella classe per la maggior parte della giornata.
Poi, di corsa verso casa, per pranzare e quindi i lunghi pomeriggi di studio
passati da soli o insieme a qualche amico, parlando delle compagne di classe o
di come conoscere nuove ragazze.
A volte ci s’innamorava e improvvisamente si spariva dal gruppo
suscitando i commenti ironici e sanzionatori degli altri. Allora, non pensavi
ad altro che di sentirla al telefono o di cercare di vederla. Eri felice, ma
quando l’amore finiva, il mondo ti crollava addosso e soffrivi come un cane.
Poi, il tempo ti aiutava a riprenderti e, senza sapere come, ti ritrovavi di
nuovo vivo.
Adesso non facevo più atletica, di cui ero stato appassionato. Andavo
bene nella corsa veloce e nel salto in lungo, qualche anno prima, avevo vinto i
campionati, nella categoria fino ai sedici anni, del mio Liceo. Con grande
orgoglio avevo ricevuto la tuta nera e verde, con il nome del Liceo, con cui
ero andato ad allenarmi qualche pomeriggio allo stadio. Poi, i miei genitori
non mi avevano permesso di partecipare ai campionati interstudenteschi ed avevo
lasciato perdere.
Uscivo da una classica delusione d’amore adolescenziale e, quell’anno,
avevo deciso di pensare solo a studiare, cercare di capire quali erano i miei
interessi e quale attività lavorativa mi sarebbe piaciuta.
Fino a qualche anno prima, avevo pensato di fare il medico; ma poi,
avevo deciso di lasciar perdere. Gli studi erano troppo lunghi ed io volevo al
più presto essere indipendente ed andare a vivere da solo. Volevo guadagnare e
fare a modo mio, senza che nessuno mi dicesse cosa fare.
Quell’anno frequentavo con Alfio la GS-FUCI, che s’ispirava
all’esperienza milanese di quella che poi sarebbe diventata Comunione e
Liberazione. A quel tempo, ci stavamo tutti dentro ed ancora non si parlava di
politica, ma d’impegno sociale. Era anche un ambiente dove speravamo di
conoscere delle ragazze in gamba. C’era, in ogni modo, una forte tensione per
il cambiamento. Ci sentivamo stretti in una gabbia organizzata da cui volevamo
uscire per vivere la nostra vita, a modo nostro.Volevamo amare ed essere amati.
La cultura beat aveva invaso i nostri cuori. Ascoltavamo i cantautori
impegnati, ma anche i gruppi rock e non disdegnavamo le semplici canzonette.
Cominciavamo a discutere del senso della nostra vita e della società che ci
circondava. Odiavamo l’ipocrisia, che ci sembrava essere ovunque, e le continue
proibizioni. Alcuni amici avevano deciso di andare a studiare fuori: Due
compagni di classe volevano andare a studiare psicologia a Lovanio, in Belgio.
D’altra parte, in Italia non c’era neanche la Facoltà. Io avrei voluto fare
Sociologia e sarei voluto andare a Trento; ma, i miei si opposero con
decisione. Dopo, venni a conoscenza che la Facoltà di Scienze Politiche,
presente anche a Catania, dopo un biennio propedeutico uguale per tutti,
avrebbe istituito degli indirizzi di studio con specializzazioni diverse, fra
cui anche l’indirizzo sociologico. Decisi che mi sarei iscritto a quella
Facoltà, una volta superati gli esami. Avevamo un gran fervore intellettuale.
Leggevamo di tutto e avevamo discussioni infinite sui massimi sistemi. Quando
possibile, andavamo anche alla Biblioteca Universitaria, per approfondire
argomenti di nostro interesse. Io ero tendenzialmente con una mentalità
autoritaria e conservatrice; ma, mi scontrai a fondo con un mio compagno di
classe che, invece, era uno studioso appassionato dell’esistenzialismo di
Sartre e del pensiero socialista. Pian piano, mi ritrovai a guardare con un
occhio più critico un po’ tutto e pormi tante domande a cui non sapevo
rispondere. Quest’inquietudine veniva riportata anche sugli studi, in famiglia,
nella stessa GS cattolica che frequentavo ed ero sempre meno disposto ad
accettare qualunque tesi mi fosse
presentata senza prima metterla completamente in discussione. Nel frattempo,
continuavo a scrivere alle ragazze organizzando il futuro viaggio dell’estate.
Sia Io che Alfio trovammo interesse in due ragazze maltesi simpatiche e
disponibili. Ci diedero tante informazioni su Malta, sulle sue spiagge, sulle
cose da vedere e da fare. Alfio cominciò ad affezionarsi alla sua amica e
decidemmo che Malta poteva essere la metà giusta per quell’estate. Ci dicevano
che la vita costava poco e che forse ci poteva essere la possibilità di essere
ospitati presso la casa di una zia della ragazza di Alfio.
La scuola continuava ma il mondo studentesco era in subbuglio. Era da
qualche tempo che negli USA i ragazzi dell’università contestavano la società
americana, Era sorto un importante movimento per i diritti civili guidato da
Martin Luther King e un grande movimento pacifista e alternativo di rifiuto
della guerra in Vietnam. Sentivamo parlare del libero amore, mentre, da noi, il
sesso era ancora un argomento di cui si parlava solo in privato e con gli amici
più fidati. I rapporti prematrimoniali erano un peccato, diceva la Chiesa
Cattolica, e le ragazze erano molto sensibili a queste raccomandazioni. A
maggio, in Francia, scoppia la rivolta studentesca. I giornali ne sono pieni ed
il Movimento studentesco arriva anche in Italia, diffuso inconsapevolmente
dalla televisione. Ricordo una trasmissione in cui vennero intervistati i
principali leaders del Movimento Studentesco delle varie sedi universitarie.
C’era Bassetti , c’erano Viale e Bobbio a Torino, c’era mi sembra Boato da
Trento e forse Scalzone e Piperno da Roma. Forse anche Sofri della Normale di
Pisa. Il movimento era ancora circoscritto alle università; ma, dopo qualche
giorno, il Preside del mio Liceo decise di tenere un’assemblea proprio sul tema
della contestazione giovanile, forse con l’obiettivo di prevenire possibili
esplosioni improvvise. Il risultato fu, invece, di diffondere anche fra di noi
l’interesse per quello che stava accadendo. Intervennero esponenti universitari
legati al movimento anarchico e della sinistra e ci furono primi ed inaspettati
episodi di contestazione nei confronti di professori e dello stesso Preside.
Eravamo ormai arrivati quasi alla fine della scuola ed io decisi di
farmi crescere la barba come segno evidente di adesione alla protesta
giovanile. Nel mio immaginario erano tre gli elementi distintivi del
personaggio che volevo essere: la barba, un’immancabile sciarpa al collo a
quadri scozzesi, l’eskimo.Considerato ch’eravamo alle soglie dell’estate mi
accontentai di farmi crescere la barba rimandando sciarpa ed eskimo
all’università.
Non mi piaceva la barba intera
e decisi di farmene crescere una alla Lincoln, senza baffi, che m’incorniciava
il volto.
Fumavo raramente e la prima esperienza dell’aspirazione del fumo nei
polmoni era stata un disastro. Ero quasi svenuto, nella mia stanzetta piena di
fumo, tra la preoccupazione e la successiva ira dei genitori.
Per darmi un atteggiamento, avevo scelto di fumare la pipa e
,pertanto, camminavo completo di armamentario vario di filtri, aggeggi per
pulire e pressare il tabacco ed una pipa molto bella. color marrone scuro a
forma ricurva. Da vecchio marinaio.
Il tempo degli esami era vicino ed anch’io non potevo mancare
all’appuntamento con un classico di quei tempi: la nottata di studio. Avevo un
ammezzato, ai piani superiori, con una piccola finestrella ed una scaletta di
legno che portava alla terrazza che copriva l’appartamento. La utilizzavamo
come ripostiglio e qualche volta anche come studio di disegno e di pittura. Sia
io che mia sorella eravamo appassionati di pittura, forse per imitare mio padre
che, da giovane, per hobby si divertiva a dipingere. Era abbastanza bravo.
Preferiva dipingere ad acquarello e ad inchiostro di china; ma, la sua opera
più bella era, per me, un piatto bianco su cui aveva dipinto una piccola barca
a vela: Era stato realizzato affumicando il piatto con una candela e
realizzando il disegno per sottrazione del nero fumo. La fiamma della candela
aveva leggermente bruciato una parte del piatto lasciandogli un colore
giallastro che ben si accoppiava con la scena realizzata, simulando il colore
di una luna o di un sole al tramonto. Tutti noi figli avevamo il desiderio di
provare ad imitarlo ed ognuno di noi si divertiva a dipingere. Io avevo scelto
di dipingere ad olio su tela: Mi piacevano moltissimo i colori ed i soggetti
dei quadri di Gauguin, Van Gogh ed altri. Amavo proprio la materialità del
colore. Mi piacevano moltissimo le sfumature del cielo al tramonto ed avevo
realizzato un piccolo quadro, che avevo regalato qualche anno prima ad una
ragazza. Raffigurava un cavallo, la cui sagoma scura ed indistinta si stagliava
all’interno di un rosso tramonto.
Quell’ammezzato era perfetto per la “ nottata” di studio prima degli
esami. Misi un tavolo pieghevole e delle sedie. Chiesi a mia madre di
prepararci una frittata di patate per cena ed invitai due miei compagni di
scuola, con cui studiavo in quel periodo. C’erano anche due brandine pieghevoli
in caso di stanchezza improvvisa ed irrinunciabile. In realtà, provammo
all’inizio a studiare ma, dopo aver assaggiato la frittata, inevitabilmente
cominciammo a chiacchierare dei nostri desideri, delle paure ed emozioni che
riempivano il cuore e la mente. Il tempo passò così inesorabile ed in qualche
modo fra qualche piccola dormita, un po’ di studio e molte discussioni spuntò
l’alba. A quel punto salimmo la scaletta che ci portava in terrazza per
ammirare meglio il sorgere del nuovo giorno ed i nostri pensieri volarono alti
ognuno verso il proprio mondo lontano.
Gli scritti non mi erano andati bene, specialmente la matematica. Non
so perché, ero tanto convinto di saper svolgere bene il compito da rifiutare
ripetutamente offerte di aiuto da parte dei compagni vicini. Alla fine, invece,
mi ritrovai impelagato in una confusione da cui non seppi più uscire e che poi
seppi essere stata premiata con un voto fra il quattro ed il cinque.
Arrivò così la data degli orali. Temevo che la mia barba nuova
fiammante, in tempi di contestazione studentesca, mi avrebbe reso la vita più
difficile, ma non m’importava. Non m’importava neanche se non fossi riuscito a
superare gli esami di maturità.
Andasse come doveva andare!
Avevo voglia di cambiare, di andare oltre quell’esperienza e di lasciarmi tutto
alle spalle: delusioni amorose, studi, gli stessi compagni ed amici della
scuola mi stavano stretti. Volevo andare oltre ed essere libero e quella era
una cosa che, pensavo, dipendeva solo da me. Non avrei più permesso a nessuno
di fermare il mio cammino e le mie scelte.
Mi chiamarono per gli orali. La commissione era schierata: Il
presidente era un uomo anziano, calvo, con gli occhiali e con degli occhi
attenti e vivaci. Accanto a lui stavano gli altri insegnanti della commissione
ed i membri interni. La mia barba lo
incuriosì e cominciò a chiedermi perché l’avessi fatta crescere. Da lì,
passammo a parlare di filosofia, poi di storia, italiano ecc ecc. e devo dire
che fu una discussione ampia ed approfondita. Uno scambio d’idee profondo
all’interno del quale venivo interrogato sulle varie materie, con qualche
riferimento anche agli anni precedenti. Quello, infatti, era l’ultimo anno in
cui agli esami di maturità venivano portati i programmi di tutti e cinque anni.
In ultimo, si parlarono e mi fecero presente che vi era stato un problema nello
scritto di matematica. Fui, così, oggetto di una verifica delle mie conoscenze
nella materia. Dopo, mi spiegarono che il superamento degli esami non era in
discussione, ma che l’intoppo in matematica scritta avrebbe rovinato la media della votazione complessiva. Alla
fine, ebbi comunque la media del sette e fui felice perché, all’epoca, dava la
possibilità della parziale esenzione dalle tasse universitarie.
In quel periodo, durante gli
esami, avevamo familiarizzato con i ragazzi della Quinta A. In particolare
avevo parlato con alcuni di loro della Facoltà di Scienze Politiche, dove
volevo iscrivermi. In generale avevamo anche parlato delle posizioni
progressiste che si stavano affermando nel mondo studentesco. Un giorno, ci
ritrovammo così a discutere del nostro futuro seduti ad un tavolo di un bar,
all’aperto sotto il grattacielo, nella piazzetta antistante, con una scalinata
ai lati di una fontana moderna. Sopra, vi era un piazzale ideato come area
pattinaggio che in realtà era stata utilizzato sempre per improvvisate partite
di calcio fra studenti.
Carlo era il più quadrato di
tutti, Da sempre iscritto alla giovanile del PCI, era appassionato di storia e
desiderava iscriversi a Scienze Politiche perché, ancora in quell’anno, i
maturati del Liceo Scientifico non potevano iscriversi né a Lettere né a Storia
e Filosofia. Era stato recentemente modificato il percorso di studi di Scienze
politiche con un biennio propedeutico
e successivamente degli indirizzi che permettevano a molti noi di trovare lo
sbocco desiderato. In particolare vi erano cinque indirizzi: internazionale,
giuridico, economico, storico e sociologico.
In questo modo, ognuno di noi
avrebbe potuto seguire i propri interessi: Carlo lo storico, Giovanni il
giuridico ed io il sociologico.
Io, Carlo e Giovanni, assaporando
le nostre granite di mandorla, la mia macchiata al caffè, parlavamo del futuro.
L’impegno, gli studi, le ragazze. Io raccontai che ad agosto avrei fatto il mio
primo viaggio. Dove vai? A Malta-risposi-. E che ci vai a fare?_ - mi
chiesero-. Ci aspettano delle ragazze che abbiamo conosciuto per
corrispondenza-risposi-poi, il mare è bello e ci sono spiagge stupende.
Divertiti, mi dissero. Nel
frattempo vuoi venire ad una festa che dà la mia ragazza?-Mi chiese Giovanni-
Certo che vengo, ti pare che mi faccio pregare?- risposi-
Festeggia il suo compleanno e ci
saranno le sue compagne di classe e la sorella di due anni più piccola, che è
molto carina.- aggiunse Giovanni.- Sarà il 20 luglio e così dopo parti più
contento.
Non pensare di perdermi di vista
fino al 20 luglio!- dissi io- A proposito, mi dicono che suoni bene la
chitarra. E’ difficile imparare?
Ma no! Dipende da quanto sei
tonto!-ammicco Giovanni. Allora, è un problema- risposi io, ridendo.
Così ci mettemmo d’accordo ed andai
a trovarlo a casa sua per le prime lezioni.Era la prima volta che vedevo una
casa che sembrava una libreria. Tutta la mia famiglia era formata da accaniti
lettori. Casa nostra era piena di libri, ma pensavo di essere un’eccezione. La
casa di Giovanni era ancora più caratterizzata dalla presenza di libri.
Librerie piene fino al tetto e con molti testi antichi. Mi raccontò che avevano
portato a casa loro anche i libri del nonno, dopo la sua scomparsa. Era anche
lui un grande appassionato di letteratura. Dopo la mia attenzione fu catturata
dalla magica chitarra di Giovanni e dalle sue dita che scorrevano veloci sulle
corde. Era una chitarra ritmica-mi spiegò-adattissima per le canzoni folk e la
musica leggera. Cominciai con il classico giro del Do: do maggiore-la minore—fa
maggiore-sol settima. Con questo puoi accompagnare un sacco di canzoni-mi disse
Giovanni- ma ti devi esercitare ogni giorno e quindi devi comprare una
chitarra. Non la prendere né troppo buona, né troppo scarsa, perché, quando
avrai cominciato ad imparare bene, ti piacerà avere tra le mani una chitarra
decente. Una troppo buona costa molto e sarebbe sprecata con te.
Lo ringraziai e da quel giorno
cominciai ad esercitarmi con la chitarra nuova, appena comprata, seguendo i
suoi consigli. Ci vedevamo ed in seguito m’insegnò il giro di minore semplice:
la minore-re minore-mi settima ed altro ancora. Così cominciai a strimpellare
felice per ore, chiuso nella mia stanzetta, il ragazzo della via Gluck di
Celentano, Sapore di sale, di Gino Paoli, Tous les garcons et les filles di
F.Hardy ed altre ancora. Nel frattempo con Alfio preparavamo il viaggio con
interminabili telefonate. Le ragazze ci avevano detto che una delle località
più belle e frequentate dai giovani era St. Paul’s Bay. Bisognava ormai
rapidamente procedere alla prenotazione dell’alberghetto dove andare almeno per
i primi giorni, per poi vedere sul posto dove era meglio stare. C’era anche la
possibilità dell’ospitalità di una zia di una delle ragazze; ma, questo si
sarebbe visto dopo. La cosa più importante era anche fare i biglietti di andata
e ritorno con la nave che partiva da Siracusa e ,dopo una notte di viaggio,
arrivava a Malta, La Valletta.
Ci recammo così, insieme, in
un’agenzia turistica. Prenotammo l’alberghetto a St. Paul’s Bay per cinque
giorni e, con i biglietti del passaggio nave in tasca, ritornammo trionfanti a
casa. Avevamo preso due cuccette, per dormire sulla nave, nel viaggio di
andata; mentre, il ritorno era previsto di giorno ed era stato sufficiente il
solo biglietto.
Scrivemmo alle ragazze che era
tutto a posto e che saremmo partiti il tre di agosto per rientrare a casa dopo
quindici giorni.
Il tempo passò in fretta e senza
che me ne accorgessi arrivò il giorno della festa. Mi misi una polo, un paio di
jeans, i miei mocassini preferiti e mi diresse verso casa della ragazza di
Giovanni.
Andai a piedi perché non avevo la
patente di guida e dopo qualche chilometro arrivai all’indirizzo della ragazza.
A quei tempi, le feste iniziavano presto perché la maggior parte dei ragazzi e
delle ragazze dovevano tornare a casa prima della mezzanotte, come cenerentola.
Molti, come me, poi erano a piedi e bisognava calcolare anche il tempo per il
ritorno che, tuttavia, era più veloce, perché andavamo quasi sempre di corsa.
Insomma, le ragazze andavano via per le undici massimo, accompagnate dai
ragazzi o riprese dagli scocciati genitori, poco contenti di quell’incombenza
serale. Per questo motivo, le feste (rigorosamente in casa, con il giradischi o
meglio il mangiadischi in funzione, grazie ai dischi portati da tutti i
partecipanti e possibilmente, sempre con le luci centrali della stanza da ballo
accese, per permettere alle ispezioni improvvise dei genitori di concludersi
con facilità) iniziavano nel tardo pomeriggio, verso le diciotto e trenta,
diciannove.
Nonostante queste disposizioni di massima,
subito dopo l’ispezione, le luci centrali venivano sempre spente concedendo
alle coppie che ballavano un po’ d’atmosfera. In effetti, un po’ di ragione,
dal loro punto di vista, i genitori potevano averla. Il ballo, infatti, era una
pericolosissima battaglia di sospiri ed avvicinamenti. Tutte le ragazze ti
mettevano una mano sulla spalla per stabilire le distanze con il tuo corpo
durante il ballo; tuttavia, se gli sguardi, la musica, le parole sussurrate, il
respiro più affannoso, i profumi facevano il miracolo di spostare la mano della
ragazza dietro il tuo collo, l’abbraccio era inevitabile e con esso………….. lo
sbocciare di un possibile amore ,suggellato già subito da un primo tenero bacio.
In altri casi, si diceva che c’erano ragazze che ci stavano e l’abbraccio
immediato, senza parole e facendo finta di niente, permetteva un ballo
piacevolissimo e molto aderente. D’altra parte, spesso, cosi come era
cominciato, tutto finiva nel completo anonimato ed ognuno riprendeva a ridere e
scherzare con i propri amici e amiche come se nulla fosse successo.
Suonai alla porta e mi aprì un
sorriso con due occhi grandi, neri e brillanti che mi invitavano ad entrare
.
- Ciao, io sono la
sorella della festeggiata e mi chiamo Elena e tu chi sei?
-
Ciao, mi chiamo Giuseppe e sono un amico di Giovanni.
-
Dai entra la festa è già iniziata- Così dicendo, mi attirò dentro con
il braccio e mi portò nella stanza dove c’erano già gli altri invitati e dove
il giradischi era già in azione.
-
Ecco Giovanni –mi disse- e questa è mia sorella.
- E’ un piacere conoscerti e ti faccio
tanti auguri. –feci io-
Scambiammo
due chiacchiere e poi mi allontanai per dare uno sguardo in giro. Luci
rigorosamente accese. Buon numero di ragazze partecipanti- Sedie a profusione.
Musica gradevole con gli ultimi successi dei gruppi italiani, Mina, Beatles e
Tom Jones.
Dopo
un po’, mi accorsi che Elena era libera e così mi avvicinai e la invitai a
ballare. Era un lento piacevole e, tra una nota e l’altra, cominciammo a
conoscerci. Lei andava al Classico ed aveva finito il primo liceo. Aveva sedici
anni ed era un fiorellino bruno. Le raccontai di me, dei miei sogni e desideri
e le dissi che presto sarei partito per Malta insieme con un amico.
Ci vediamo al
ritorno e mi racconterai –mi disse – e ci scambiammo i numeri di telefono. Può darsi anche che ti scrivo-le dissi – Posso? – Certo, mi farebbe piacere.-
rispose Elena-
E
così ,non vedevo l‘ora di partire per poterle scrivere e ritornare al più
presto per vederla.
Dopo
qualche giorno le valige erano già pronte e telefonai ad Alfio per fissare
l’appuntamento alla stazione da cui avremmo preso il treno per Siracusa . Da
quella città, infatti, partiva la nave per Malta.
C’eravamo
finalmente! Il mio primo viaggio da solo, senza i miei genitori. Verso
l’avventura.
* * *
Seconda parte- La tempesta
Ci trovammo alla stazione per prendere il treno per Siracusa, da cui partiva la nave per Malta. La partenza era prevista per le 11 di sera; ma, bisognava presentarsi all’imbarco entro le 22. Ero stato accompagnato da mio padre, mentre Alfio era arrivato con il suo ed il fratello minore. I due genitori si conoscevano di vista e cominciarono a scambiare qualche impressione su questo viaggio a Malta dei loro figli. Certo che a vederci, eravamo quanto meno originali. Io ed Alfio avevamo entrambi diciotto anni e ci presentavamo a quell’appuntamento, io con la barbetta alla Lincoln ed un’improbabile pipa in bocca; mentre, Alfio, appassionato di cinema e vice redattore in erba di critica cinematografica di uno dei giornali locali, camminava con un cappello, simil cowboy in testa, che voleva somigliare a quello che portava Fellini, durante le riprese dei suoi films. Effettivamente, guardandoci con l’occhio dei genitori, c’era da preoccuparsi!
Seconda parte- La tempesta
Ci trovammo alla stazione per prendere il treno per Siracusa, da cui partiva la nave per Malta. La partenza era prevista per le 11 di sera; ma, bisognava presentarsi all’imbarco entro le 22. Ero stato accompagnato da mio padre, mentre Alfio era arrivato con il suo ed il fratello minore. I due genitori si conoscevano di vista e cominciarono a scambiare qualche impressione su questo viaggio a Malta dei loro figli. Certo che a vederci, eravamo quanto meno originali. Io ed Alfio avevamo entrambi diciotto anni e ci presentavamo a quell’appuntamento, io con la barbetta alla Lincoln ed un’improbabile pipa in bocca; mentre, Alfio, appassionato di cinema e vice redattore in erba di critica cinematografica di uno dei giornali locali, camminava con un cappello, simil cowboy in testa, che voleva somigliare a quello che portava Fellini, durante le riprese dei suoi films. Effettivamente, guardandoci con l’occhio dei genitori, c’era da preoccuparsi!
Fortunatamente, il senso
dell’autocritica non ci sfiorava minimamente ed ognuno, “convinto” del proprio
personaggio, procedeva spedito sul suo cammino verso il futuro, salvo
sorridere, in cuor proprio, del personaggio interpretato dal compagno
d’avventura.
Arrivò il treno e ci avviamo
verso la nostra carrozza, con la valigia al seguito. Salutammo tutti e ci
sistemammo. Quindi, ci affacciamo dal finestrino, in attesa che il treno
partisse.
Effettivamente, provavo una certa
emozione.
Mentre il treno cominciava a
muoversi ed il padre ed il fratello di Alfio sorridevano nel salutarci, non
avrei mai immaginato di vedere mio padre correre dietro la carrozza, incapace
di sopportare il distacco che mi allontanava da lui.
Quell’uomo forte nel corpo e nello spirito, scevro e severo, mi
mostrò in un attimo un affetto che non avrei mai dimenticato. Quella tenerezza
mi fece sentire, per sempre, ancora più forte ed adulto. Salutandolo, il mio
cuore era ormai lontano e libero.
Ci guardammo per un attimo con
Alfio e scoppiammo a ridere.
Ce l’avevamo fatta! Eravamo in viaggio!
Il tempo passò in fretta e presto
si delineò la stazione di arrivo. Dalla stazione al porto, il passo fu breve ed
in perfetta puntualità, un quarto alle dieci di sera, eravamo già davanti alla
nave.
Ma la vita é strana e mai avremmo
immaginato la sorpresa che ci attendeva!
Davanti alla scaletta della nave,
eccoli lì, inaspettati ed indefinibili, ci aspettavano sorridenti i genitori di
Alfio insieme al malcapitato fratello minore che non sapeva dove nascondersi,
ma che ci sorrideva malignamente, immaginando la nostra delusione.
-
Che sorpresa! Che sorpresa! Ci
sforzammo di bofonchiare. ( Si può dire bofonchiare o è anch’esso inopportuno?)
-
Quando siamo tornati a casa, abbiamo parlato con la mamma-rispose il
papà di Alfio- e ci siamo resi conto che in un’ora potevamo essere a Siracusa.
Così, ci siamo detti: andiamo a salutarli.Siete contenti? Sorpresi?
-
Certo! Non ce l’aspettavamo ! –aggiungemmo tra gli sguardi sempre più
maligni e divertiti del “ fratellino” di Alfio- Ci avete fatto una bella
sorpresa! – Non immaginate quanto, pensammo all’unisono-
In ogni modo, ormai, la sorpresa
c’era stata e bisognava pensare all’imbarco. Sbrigammo le varie incombenze e
andammo a vedere dove sistemare i bagagli, vicino alle cuccette destinateci.
C’erano diversi spazi per i bagagli, in relazione ad un determinato numero di
cuccette. Non avremmo mai immaginato che tutte le (credo centinaia) di cuccette
si trovassero nella stiva della nave. Tutti insieme, con cuccette a castello
sparse in ogni angolo della stiva. Dopo aver preso possesso delle cuccette,
andammo ad esplorare la nave. Salimmo due piani di scale ed arrivammo sul ponte
superiore. Quella sera il mare era agitato e la nave, ancora ormeggiata,
ondeggiava maestosamente. Chiedemmo ad un marinaio anziano se era sempre così e
lui ci rassicurò affermando che era solo l’inizio e quella notte si prevedeva
un mare molto mosso nel Canale di Sicilia.
- Per cominciare ad abituarvi ed
evitare il malessere, cercate di stare il più possibile al centro della nave-ci
disse-, all’aria aperta e cercate di mangiare roba secca, senza bere.
- Cosa ci consiglia? –chiedemmo
- Va bene anche un panino col
salame-ci rispose- ma bevete il meno possibile.
Forti di questi consigli, ci
riunimmo ai genitori ed al fratello di Alfio per la cena. Era possibile,
infatti, farla sulla nave, prima della partenza, anche con gli eventuali
ospiti.
Sedemmo ad un tavolo grande, dove
stavano già altre persone, e fu l’occasione per scambiare qualche impressione
sullo stato della nave e la situazione metereologica. Fummo tutti d’accordo che
la nave: “ La città di Alessandria”, era più che altro una bagnarola, scomoda
ed essenziale nei servizi. Speriamo che regga bene questo mare dicemmo. Nel
frattempo, eravamo in preda ad un ondeggiare lento che combinava insieme il
rollio ed il beccheggio. Delle signore ordinarono una minestrina. Per rimanere
leggere – dissero – nonostante le avessimo sconsigliate raccontando le
istruzioni del marinaio. Io ed Alfio chiedemmo dei panini al salame e non
bevemmo quasi niente.Dopo qualche minuto, una delle signore, che avevano
mangiato la minestra, chiese il permesso di allontanarsi in preda al mal di
mare. Noi eravamo ancora a posto. Salutammo i genitori di Alfio ed il fratello,
che scesero dalla nave, e ci dirigemmo sul ponte per prendere aria al centro
della nave, come ci aveva consigliato il marinaio. Ci sedemmo su delle panchine
di legno vicino all’albero maestro.
Era già notte e la nave cominciò a muoversi, allontanandosi dal
molo ed entrando in mare aperto.
C’erano tante stelle nel cielo; ma, io ne ricordo una che fissavo
e che faceva un movimento circolare seguendo una traiettoria come di una
circonferenza.
Cominciava da un punto in alto, seguendo il movimento della nave,
e scendeva circolarmente giù fino ad oltre il mio punto di equilibrio.
Annaspavo nel mio cervello e, solo dopo le prime volte, accettai questo senso
di vuoto oltre l’equilibrio, che accompagnava quel movimento.Poi, all’interno
di questo vuoto, la stella ricominciava a salire cercando di completare
quell’immaginaria circonferenza nel cielo, restituendomi al mio senso di
equilibrio e di controllo; ma, prima di riuscirci, ricominciava a precipitare all’indietro
rituffandomi in quell’interminabile vuoto.Avanti ed indietro
inesorabilmente.Questo era per me il mal di mare che provai a superare
accettando quello strana sensazione, sempre eguale ed esterna al mio
equilibrio.
Anche Alfio stava abbastanza bene e dopo circa un’ora, essendosi
alzato il vento, provammo a scendere nell’area cuccette.
Tantissima gente popolava la
stiva della nave, attrezzata con le cuccette a castello. C’insinuammo fra le
persone e pian piano raggiungemmo le nostre, sedendovici sopra. Gli altri
occupanti vicini erano già sdraiati. Le luci erano sempre accese. Il fatto che
fossero decentrate, non molto forti ed in qualche modo coperte dalle strutture
metalliche, non disturbava molto gli occhi e permetteva di riposare. Poteva
essere ormai oltre mezzanotte e c’era ancora un certo brusio, causato da tanti
che non dormivano ancora. Si ondeggiava sempre più forte e la stiva
scricchiolava.
C’era un giovane vicino di
cuccetta che ci osservava sorridendo.
-
State andando in vacanza?- Ci chiese- Di dove siete?
Parlava bene l’italiano ma
l’accento era leggermente diverso dal nostro e capimmo che era straniero.
-
Si, andiamo a Malta per una quindicina di giorni. Ci hanno detto che è
molto bella !Tu invece?
-
No, io ritorno a casa. Lavoro in Sicilia. Faccio il muratore ma sono
Maltese. Adesso c’è un periodo di ferma a vado a casa.
Continuammo a parlare per un
po’.Dopo, considerando che il mare si faceva sempre più forte, decidemmo di
tentare di riposare. Eravamo stanchi ed emozionati. La fatica per la
sopportazione del continuo malessere del mare ci aveva sfiancati e ci
addormentammo.
Passò qualche ora di benedetto
riposo; ma dopo, ci svegliammo a causa dell’oscillazione sempre più forte della
nave, che continuava a scricchiolare. Decidemmo di salire in coperta dove c’era
un salone dove sedersi, con il bar annesso. Anche se a quell’ora era chiuso,
avremmo aspettato l’alba per fare colazione.
La nave oscillava paurosamente e quando tentammo di salire la
scala per andare al primo livello superiore, dove stavano i bagni, scoprimmo
che la cosa non era tanto semplice. Mentre provavamo a salire dei gradini,
subito dopo il movimento della nave ci costringeva a fermarci, se non a
scenderne altri. Bisognava, pertanto, calcolare il tempo del movimento a favore
e salire di corsa più gradini possibile, fermandosi poi a resistere, durante il
movimento contrario.
Salimmo e provammo a cercare i
bagni. Inutile neanche provarne a descrivere lo stato, visto che, oltre che per
le necessità corporali, erano serviti a molti per liberarsi lo stomaco.
Senza pensarci troppo, comunque,
li utilizzammo lo stesso. Nel mentre, provai a guardare dall’oblò, ma non
riuscii a vedere niente perché la nave, oscillando, scendeva sotto il livello
del mare, che ne copriva l’orizzonte.
Alla fine, riuscimmo a salire in
coperta, facendo un’altra scala, ed entrammo nel salone. C’erano una decina di
persone, noi compresi, tra cui un ufficiale ed un marinaio dell’equipaggio.
Stavano sedute per lo più attorno ad un tavolo lungo. Sedemmo anche noi. Il
mare continuava ad essere agitato e non si aveva voglia neanche di parlare.
-Stiamo per lasciare il punto più
difficile del Canale di Sicilia ed il mare si dovrebbe calmare –disse
l’ufficiale- Ha raggiunto forza sette, tempesta! Adesso deve essere forza
cinque/sei e con il sorgere dell’alba dovrebbe rasserenarsi. Le previsioni sono
positive! Dovremmo arrivare a La Valletta per le undici.
-Siamo rimasti in pochi svegli
–disse un passeggero- La maggior parte sta male o cerca di riposare.
Continuammo così a scambiare
qualche parola. Il mare, effettivamente, cominciò a calmarsi e qualcuno
cominciò ad accendere una sigaretta.
Io tirai fuori la pipa. Quale occasione migliore per un vero lupo
di mare!?!
Occasionalmente, ci trovammo a
parlare con quel passeggero di cinema, di cui anche lui era appassionato.
L’argomento cadde su Fellini, considerato uno fra i migliori registi del nostro
tempo, ed Alfio fece notare come portasse in suo onore un cappello simile a
quello utilizzato dal regista.
Parlando e fumando si fece
l’alba: Aprì il bar e mai colazione fu tanto desiderata. Presi un caffè ed un
cornetto che gustai con piacere visto, tra l’altro, che la sera prima avevo
mangiato solo un panino.
Ormai il giorno era chiaro, il
mare si era calmato e ci venne desiderio di uscire all’aria aperta.Dopo un po’
di tempo, pian piano scorgemmo, in lontananza, i contorni dell’isola di Malta.
“La nottata era passata” avrebbe detto Eduardo e stavamo arrivando
alla meta.
La maestosità del porto di Harbour si offriva ai nostri occhi e con esso le varie navi militari della flotta Nato
di cui Malta era una delle basi navali principali nel Mediterraneo. C’erano
probabilmente almeno degli incrociatori, se non una cannoniera ancorata nel
porto, perché era lunghissima ed armatissima. Del resto non ne capivamo niente
e restammo incerti su quello che avevamo visto. Ci cominciammo a preparare.
Ognuno prese la sua valigia e dopo essere scesi per la scaletta dalla nave e
toccato finalmente il suolo maltese, non vi nascondo che avremmo idealmente
baciato per terra, lieti per la fine di quella traversata.
Terza parte- Primo
giorno a Malta
Ad aspettarci al porto c’erano Maria e Catherine, le nostre
due amiche di penna. Maria era l’amica di Alfio e Catherine la mia. Era molto
carina. Non molto alta e ben proporzionata, con un caschetto di capelli neri
ondulati e due occhi di un azzurro intenso.
Ciao, tu sei Giuseppe, vero?
Certo, sei l’unico con la barba! -Mi disse. E cominciammo a ridere
contenti di essere lì, insieme.
Cominciammo e
ragionare su cosa fare. Allora, dovevamo andare a St.Paul’s Bay per prendere possesso della stanza e lasciare
i bagagli. Poi, nel pomeriggio ci saremmo visti alla stazione degli autobus,
visto che provenivamo tutti da paesini diversi.
I piccoli autobus, a Malta,
erano il mezzo più comune per muoversi e collegavano tutte le località
dell’isola con corse frequenti e comode. Tutti i paesini più sperduti erano
raggiungibili facilmente. Le ragazze dovevano andare una a Dingli e l’altra a
Zurrieq ed entrambe avevano circa tre quarti d’ora di viaggio da fare, compresi
i tempi morti nelle località di scambio. Forse noi, invece, in mezz’ora saremmo
arrivati. Mentre parlavamo insieme sul da farsi, mi sento chiamare.
-Giuseppe! Tu a Malta? Che caspita ci fai qui? –
Incredibilmente, davanti a me, appare la faccia sfacciata e sorridente di
Giorgio, uno dei miei due compagni di banco del Liceo.
Il nostro banco era a tre posti, occupati alla mia sinistra
da Giorgio ed alla mia destra da Marco.
La nostra professoressa di Storia e Filosofia dell’ultimo anno,
sospirando, aveva esclamato rivolta a tutta la classe: -Ma come si fa a trovare
accanto, nello stesso banco, due ragazzi che sono l’opposto l’uno dell’altro! -
indicando me e Giorgio- Tanto l’uno è serio e classico nel vestire, quanto
l’altro è un buffone ed uno strascicato. Uno è studioso ed intellettuale, l’altro
svogliato e sportivo.
Ci voleva bene entrambi, pur così diversi nel comportamento e
negli interessi. Giorgio era un mito sia nel giocare al calcio che con le
ragazze ed era stato il primo della classe a girare con una vespa scassata tra
l’invidia e l’ammirazione di tutti. Ironia della sorte, avevamo avuto una
storia con la stessa ragazza al quarto anno di Liceo. Prima lui e dopo io. Per
lui era stata una storia breve, tra le mille. Per me, invece, era stato un
grande amore che alla fine, dopo l’estate e prima dell’inizio del quinto anno,
mi aveva lasciato distrutto.
Ed eccoci li a Malta!
- Io sono in vacanza con il mio amico Alfio. Tu che ci fai qui?
- gli dissi.
-Sono qui per l’estate con la mia famiglia-rispose- mio padre
è qui, nella base navale Nato.
In effetti, il padre di Giorgio era un ufficiale di marina di
grado elevato ed aveva dei comandi importanti in rappresentanza dell’Italia.
-Perché sei al porto, oggi? –gli chiesi?
. Per rimorchiare ragazze, all’ingrosso-mi rispose- Vengo con
quel pulmino –che m’ indicò con il dito- e le carico per portarle in albergo.
Poi facciamo amicizia ed usciamo insieme.
-Come fai a caricarle nel pulmino? Che ne sanno chi sei? -
gli chiesi
-Le carico e basta. Dico: servizio trasporto alberghiero
gratis. Molte non sono italiane, comprendono poco quello che dico; ma, in
qualche modo, fra qualche parola di francese e d’inglese capiscono che è gratis
e salgono. Poi durante il viaggio mi presento. Ne carico tante in modo da riempire
il pulmino, si sentono sicure e si divertono. Così facciamo amicizia e
funziona.
. Beato te, che hai questa fantasia! -gli dissi- Oggi ti è
andata male. Le ragazze stanno con noi e ci devi portare tutti alla stazione
degli autobus alla Valletta. Vuoi?
-Certo che voglio. Salite! – rispose Giorgio
In men che non si dica, arrivammo così alla stazione degli
autobus.
Grazie Giorgio, sei un grande! gli dissi. seguito in coro
dagli altri.
Dai, passiamo la serata insieme- ci disse lui- Che ne dite?
Io porto una ragazza e andiamo a mangiare qualcosa a Sliema, in qualche locale
in riva al mare. Vediamoci davanti al Cordina e poi decidiamo il da farsi.
Fummo tutti d’accordo, decidemmo di vederci per le sette di
sera davanti al Cordina e ci salutammo.
A quel punto, rimasti soli con le ragazze, ci mettemmo d’accordo con
loro di vederci per le cinque del pomeriggio alla stazione degli autobus.
Aspettammo che i loro bus fossero partiti e quindi prendemmo il nostro in
direzione St.Paul’s Bay.
Arrivammo in albergo prima di pranzo. Era piccolo ma grazioso,
con diverse camere, tra cui la nostra, con l’ingresso in una galleria che
guardava il mare e la costa prospiciente. La camera era grande e confortevole. Posammo i bagagli, ci rinfrescammo e
decidemmo di andare a trovare qualcosa da mangiare nel villaggio. Vi erano
molti giovani in giro e molte ragazze. Per lo più avevamo la sensazione che la
popolazione fosse composta da turisti maschi e femmine oltre che a sole ragazze
maltesi. In questa località turistica non si vedevano anziani, famiglie,
bambini e pochissimi maschi adulti.
Mentre addentavamo un hot dog e bevendo una Seven up (tipica
gassosa diffusissima) ci confrontammo sul da farsi nel pomeriggio/sera. Alfio
era dell’opinione di andare insieme all’appuntamento con le ragazze; ma, non
aveva nessuna voglia di continuare poi la serata insieme con il mio compagno di
classe Giorgio.
Sicuramente dovrò accompagnare Maria a Dingli – mi disse
Alfio- perché è possibile che sua zia possa ospitarci, andando momentaneamente
a casa dei suoi genitori. Se tutto va bene, domani ci possiamo trasferire là.
Possiamo risparmiare un po’ di soldi ed io posso stare più vicino a Maria.
-Ma non ti secca conoscere i suoi genitori? –gli chiesi
- No, mi ha detto che la lasciano fare, senza immischiarsi
nelle sue scelte. Sono anche anziani e non parlano l’italiano. Poi siamo solo
amici di penna in vacanza.
OK – proviamo-aggiunsi- Se non ci troviamo bene, possiamo
sempre andarcene!
Era estate piena, la giornata era chiara e l’aria tersa. Nel
pomeriggio, c’incontrammo con le ragazze e decidemmo di fare una passeggiata
per Kings Way, la strada principale della Valletta, per cominciare a farcene
un’idea. Si camminava con piacere perché la strada aveva un carattere
strettamente pedonale, ad eccezione delle carrozze tipiche che passavano insieme a qualche mini bus di
servizio pubblico e taxi. Mi stupii nel vedere la strada controllata da coppie
di agenti in divisa che andavano avanti ed indietro. D’altra parte,
l’amministrazione era ancora in mano inglese e se ne coglieva l’impronta.
Parlammo insieme del da farsi e Maria confermò quanto aveva pensato Alfio.
Sarebbe rimasta fino alle diciannove con noi e poi insieme ad Alfio sarebbe
tornata a casa per vedere di organizzare il nostro trasferimento nell’appartamento
della zia. Con Alfio ci saremmo trovati poi in albergo.
Catherine, invece, poteva rimanere fino alle 20; ma, dopo
doveva tornare a casa. Nel frattempo, si poteva entrare nella Cattedrale di San
Giovanni per ammirare le opere del Caravaggio e poi, se restava tempo, dare uno
sguardo al palazzo del Gran Maestro dei Cavalieri di Malta
Quando entrammo nella Cattedrale, rimasi letteralmente
ammirato dalla bellezza dei dipinti del soffitto a volta e dall’esempio
completo di stile barocco con cui era stata realizzata. La cattedrale prendeva
il nome dal santo dei suoi patroni, i Cavalieri di San Giovanni. I dipinti del soffitto,
i disegni sul muro di pietra e le scene della vita di San Giovanni, presenti
negli altari laterali, erano opera di Mattia Preti; ma, nulla poteva eguagliare
la gioia di trovare davanti ai propri occhi il capolavoro del Caravaggio “La
decollazione di San Giovanni Battista”.
Restammo incantati a guardarlo con Catherine e lei mi
sorrise. Poi, mentre Alfio e Maria si attardavano, ci sedemmo in silenzio ad
aspettarli sulle sedie di legno, con lo sguardo perso nella bellezza di quel
luogo sacro.
Prima di lasciarci con Maria ed Alfio, avemmo il tempo di
dare uno sguardo all’esterno del palazzo del Gran Maestro dei Cavalieri di
Malta, poi ci avviamo verso il Cordina, dove avevamo appuntamento con Giorgio.
Durante il pomeriggio, vi era stato un continuo scambio di sguardi,
sorrisi e sfioramenti delle braccia fra me e Catherine. Eravamo tesi e
piacevolmente eccitati da quell’incontro e dalla nostra reciproca presenza. Le
chiesi se era contenta del fatto che ero venuto a trovarla ed il suo sorriso fu
la risposta più esauriente. Le luci cominciavano ad accendersi. Ci ritrovammo
in uno spiazzo, con un palazzo illuminato alle spalle, mentre il cielo sopra di
noi cominciava a scurire e ci baciammo. Era bella, con quegli occhi blu
intenso, luminosi e pieni di giovane vita.
Ci trovammo alle sette, come d’accordo con Giorgio, davanti
al Cordina. Questo era uno dei locali storici della valletta-Un caffè
ristorante dall’interno elegante, con lampadari di cristallo e dipinti art
nouveau, ampiamente rimodernato e considerato dai Maltesi uno dei locali più prestigiosi
dell’isola. Giorgio aveva portato con sé una ragazza inglese, che aveva
conosciuto in una delle sue scorribande al porto. Una biondina esile e
graziosa.
Spiegammo a Giorgio che Catherine doveva essere a casa
massimo per le nove di sera e quindi i programmi per la serata erano cambiati.
Avremmo preso insieme qualcosa lì al Cordina e poi alle otto Catherine avrebbe
preso l’autobus per Zurrieq.
Restammo così insieme e spiegai a Giorgio che sarebbe stato
difficile programmare un nuovo incontro, considerati i vari impegni delle
ragazze e nostri. Ad ogni modo, mi lasciò il numero di telefono per ogni
eventualità. Ci salutammo ed accompagnai Catherine alla piazzetta da cui
partivano tutti gli autobus per le varie località dell’isola.
Eravamo contenti di essere di nuovo soli! Il tempo passò in
fretta e dovette andare via non senza esserci dato l’appuntamento per
l’indomani pomeriggio. Un raggio di luce nei suoi occhi fu l’ultima cosa che
ricordo mentre saliva di corsa sull’autobus in partenza.
Prima di tornare in albergo, rimasi un po’ a godermi la sera
passeggiando per Kings way. Arrivai in una piazza, quasi in fondo alla strada,
dove c’era un bar con una miriade di tavoli all’aperto, in cui si poteva
consumare qualcosa, ascoltando musica dal vivo. C’erano sempre dei
complessi di giovani o, qualche volta,
dei cantanti con repertorio swing ecc. Era piacevole ascoltare i successi del
momento seduti tranquillamente in un tavolino, per il tempo che volevi,
consumando solamente una Seven up. Ascoltai due, tre canzoni e poi mi recai a
prendere l’autobus per il ritorno.
L’albergo era sulla costa ed era piacevole incontrare tanti
ragazzi e ragazze che passeggiavano sul lungomare. Entrai e chiesi la chiave,
ma mi dissero che era stata presa da Alfio che mi aspettava in stanza. Passando
per la galleria, vista mare, che conduceva alla mia stanza, rimasi stordito
dalla visione di una splendida bionda che stazionava quasi davanti alla porta
della nostra stanza. Era la porta prima. la nostra vicina di camera. Passando
le sorrisi e sbirciando nella sua stanza vidi che c’era una sua amica che si
stava cambiando per la notte. Di bene in meglio!
Alfio hai visto le nostre vicine di stanza? - dissi entrando nella
mia camera-
No, chi sono? - mi chiese Alfio.
Due biondone-risposi- vieni. Così facendo mi affacciai in
galleria sorridendo alla vicina che scoprii parlava esclusivamente l’inglese.
Insieme ad Alfio, tentammo di scambiare qualche parola nell’unica lingua
straniera che avevamo studiato a scuola: il francese; ma, considerati i
risultati, fu meglio augurare la buona notte nell’unica parola conosciuta in inglese:
Good night!
Rientrammo così in stanza, esattamente come le inglesine a
fianco.
Alfio mi raccontò del pomeriggio. Era andato tutto bene e
l’indomani stesso potevamo essere ospitati dalla zia di Maria. Decidemmo così
che la mattina avremmo saldato l’albergo e ci saremmo catapultati a Dingli,
dove Maria ci aspettava per le 11 del mattino.
Come primo giorno non potevamo lamentarci. La serata era
splendida e rimasi un po’ a fumare la pipa, affacciato nella galleria a
guardare il mare. Pensavo a Catherine, a casa, a quella notte magnifica. Malta,
Giorgio che avevo rivisto, l’Università che mi aspettava al ritorno ed anche
Elena. Poi, pian piano, mi misi a seguire con gli occhi una barca, con una luce
che si allontanava, e pensai alla luce degli occhi di Catherine quando mi
sorrideva.
Che notte splendida!
Pagine maltesi- parte quarta- a casa
della zia
Pagine maltesi- parte quarta- a casa
della zia
Passeggiando per le vie deserte ed illuminate da una luce
calda e diffusa, che evidenziava tutti i palazzi ed ogni angolo di Mdina, non
potei fare a meno di pensare di come la descrivesse pienamente la definizione
di “città silente”. Si alternavano, in un’atmosfera senza tempo, le strette
strade medioevali, che, improvvisamente, si aprivano, mostrando imponenti
palazzi di architettura barocca. Il pensiero,
per un momento, mi lasciava immaginare di poter incontrare una di quelle
famiglie nobili, discendenti dai Normanni o dai grandi feudatari siciliani, che
ne fecero, in passato, la propria residenza. Non c’erano riferimenti evidenti
sull’epoca in cui eravamo. Tutto perfettamente conservato.
Sembra che anche S. Paolo abbia vissuto in questi luoghi.
Quella sera, approfittando del fatto di trovarci a Rabat,
centro di smistamento degli autobus in direzione Dingli, avevamo deciso di dare
uno sguardo a quell’affascinante “città silente”.
Da qualche giorno, ci eravamo trasferiti a casa della zia di
Maria a Dingli con il vantaggio di risparmiare sull’alloggio, ma con il disagio
di una maggiore lontananza da La Valletta e dalle altre borgate più turistiche
limitrofe, come Sliema e St. Julien. Dingli era un paesino molto piccolo con
poca gente e nessuna attrazione turistica, a parte le vicine scogliere. La casa
della zia di Maria era un antico piccolo casolare circondato da un giardino ed
un orto. L’appartamento, che ci ospitava, era al primo ed unico piano, perché quello
di terra era adibito a magazzino attrezzi e ripostiglio. L’entrata
dell’appartamento e le finestre davano su di una terrazza che rappresentava
anche l’unica via d’ingresso. Da un lato
della stessa si poteva raggiungere l’uscita tramite una scala esterna che la
collegava al giardino e, importantissimo, all’unico bagno disponibile, situato
all’interno di un piccolo capanno.
L’appartamento era costituito da un grande stanzone con due lettini
ai lati opposti ed un grande tavolo al centro. Lungo tutte le pareti e sui
mobili e mobiletti vi erano decine e decine d’immagini, quadretti e statuette a
carattere religioso, oltre agli immancabili candelabri e lumini vari di cera.
Sembrava una sagrestia! A parte l’impressione, c’era comunque spazio a
sufficienza e comodità, se non consideriamo il problema gabinetto.
Il giorno dell’arrivo, dopo aver sistemato i bagagli, la zia
e Maria rimasero un po’ con noi per darci il tempo di prendere confidenza con
il posto. Naturalmente, una delle prime informazioni riguardò il bagno e ci
accompagnarono per farci vedere che la chiave d’ingresso stava nella serratura.
Poi, ci rendemmo conto che, all’interno del locale, esisteva solo il gabinetto
ed un piccolo lavandino. Neanche l’ombra del bidè (usanza moderna) e, almeno,
di una doccia. Era proprio un servizio esterno di campagna. Maria notò la
nostra delusione e ci disse che avremmo potuto usare il bagno di casa sua per
poterci fare la doccia, al bisogno.
Il peggio doveva ancora venire! Dopo una mezz’oretta di chiacchiere,
ebbi il bisogno di sperimentare la comodità del bagno. Mi avviai, scesi la
scala e con gratitudine trovai subito che la porta si apriva agevolmente. La
richiusi alle mie spalle e nell’accomodarmi vidi che non ero solo!
Non ero abituato alla presenza di animali a casa mia ed,
invece, compresi che lì avrei dovuto condividere quel mio momento d’intimità
con la curiosa fissità dello sguardo di un magnifico gatto, appollaiato davanti
a me. Cercai di farlo sloggiare ma
quell’amabile quadrupede non ne aveva alcuna intenzione. Così, considerando
l’urgenza, mi rassegnai alla sua curiosa compagnia.
Superato quell’attimo di smarrimento, precipitai quindi nel
terrore! Non riuscivo a trovare la
cassetta dell’acqua dello scarico.
Cercai pulsanti ……..
catenelle………. ma non ce n’erano!?!
Esplorai tutto l’ambiente, cercando un contenitore… un
secchio da riempire con l’acqua del
lavandino. Niente!....... Mentre………, sarà stata la mia impressione, il gatto
continuava ad osservarmi sornione. Alla fine, dovetti cedere. Uscii dal casotto,
salii le scale e chiesi alla zia di Maria di darmi un secchio per l’acqua. La zia
fu estremamente gentile…anche troppo!
Scese con me le scale e, nel magazzino sottostante l’appartamento, trovò
un secchio che riempì d’acqua e, prima che potessi rendermi conto di quello che
stava facendo, entrò nel casotto e pulì il gabinetto, lasciandomi in preda ad
una profonda vergogna. Sorridendo, mi disse che avrebbe lasciato il secchio
dentro il casotto in modo che tutto ci fosse più facile! …………. Certo! Pensai.
Sarebbe stato meglio averglielo messo prima.
Abitando ormai nello stesso paesino, avevamo conosciuto i
genitori di Maria, che ci avevano invitato spesso a pranzo: Era la prima volta che
andavamo fuori casa e all’estero e così capimmo subito quanto fosse eccellente
la cucina italiana! La nostra cara e amata pasta non c’era! L’acqua non era
buona: era di un sapore salmastro e forse poco sicura per la salute.
Decidemmo di non berne mai; anche perché, invece, la gassosa
più comune: la “Seven up” era molto buona e dissetante.
Nonostante la buona volontà, il piatto migliore che ci venne
offerto furono delle polpettine, stile cucina inglese. Erano molto gentili ma era
meglio mangiare altrove. Alla Valletta c’erano diversi locali dove si mangiava
sia la cucina italiana che quella inglese. Quando desideravamo mangiare un buon
piatto di tagliatelle al ragù bolognese andavamo al “Bologna”, cucina italiana
e deliziose giovani cameriere. Quando invece, con una modica spesa,
desideravamo un piatto sostanzioso, non si poteva sbagliare. Si andava al
“Britannia”: Il locale era immenso e sotto il livello stradale. Si accedeva
attraverso una scaletta e si mangiava un’ottima bistecca alla Bismark. Non
finirò mai di ringraziare il grande statista tedesco per questa ricetta. Mi
portavano un’enorme bistecca con sopra un uovo fritto e circondata da quattro contorni:
patate fritte, insalata di pomodori, altrettanto di barbabietola rossa a fette,
carote lesse a fettine.
Mi abituai a berci sopra un’ottima birra ed uscivo sorridente
e satollo come non mai!
Ci vedevamo ogni giorno con Catherine; ma alternativamente la
mattina o il pomeriggio e comunque doveva tornare per cena a casa. Dopo averla
accompagnata alla stazione dei bus per Zurrieq passeggiavo per la Valletta e mi
capitava di tornare spesso al bar con i tavolini all’aperto dove si poteva
ascoltare musica dal vivo, mentre si sorseggiava un semplice caffè o una seven
up. A volte uscivamo con Maria ed Alfio, specialmente per andare a visitare dei
siti interessanti dell’isola.
Una mattina, ad esempio, eravamo andati nel borgo di Pawla,
non molto lontano dalla Valletta, per visitare il complesso megalitico di
Tarxien. Era uno spettacolo impressionante. Non avrei mai pensato che, a poche
miglia marine dalla Sicilia, averi potuto vedere templi megalitici, i dolmen,
le incisioni sulle pareti fatte da uomini della preistoria vissuti quasi 3.000
anni prima di Cristo. Eppure, eravamo in mezzo a quella meraviglia. Incise
nelle pareti dei passaggi fra i templi vi erano rappresentate file di animali:
arieti, capre, tori tutti in fila, l’uno dietro l’altro come se fossero in
processione e poi tante decorazioni a spirale. La cosa che mi colpiva era l’intensità
e la bellezza della rappresentazione che ti toccava al di là della possibile
imperfezione del disegno.
Molto superficialmente, quando avevo sentito palare della preistoria,
ero stato sempre portato a pensare a uomini rozzi, quasi scimmieschi mentre
adesso capivo quanto potevo sentirli simili a me. Come potevo intuire la loro
passione nel disegnare quelle figure. La dedizione con cui avevano voluto rappresentarle
e decorare quelle pareti. Decorarle per rendere più belle e per fare in modo
che gli altri che guardavano riconoscessero in quelle immagini la vita che li circondava.
Un grande bisogno di spiritualità, per riunirsi insieme a
considerare il mistero dell’esistenza e della speranza, così come sempre
abbiamo fatto e continuiamo a fare.
Uomini
primitivi…………………………come me.
Quella sera, lasciata Catherine e mangiato qualcosa al
Britannia, mi ritrovai a Rabat una buona mezz’ora prima dell’appuntamento con
Maria ed Alfio, per il ritorno a Dingli. Era già buio e la sera era tersa e limpida.
Non avendo niente da fare, decisi di passare quella mezz’ora facendo una
passeggiatina e m’inoltrai su di una stradina che portava in aperta campagna.
Pian piano le poche luci di Rabat si allontanarono e mi ritrovai nel buio più completo,
con una pioggia di stelle nel cielo rese più evidenti proprio grazie alla
mancanza di altre sorgenti di luce vicine. Vi era un gran silenzio e mi sentivo
solo; ma, il possibile timore fu rimpiazzato presto da una sensazione di
pienezza e quasi d’euforia. Pensavo alla bellezza di quelle giornate, a
Catherine alla gioventù che palpitava forte dentro i nostri cuori, alla
bellezza di quella pioggia di stelle nel cielo e sentivo dentro di me una sensazione di forza e di libertà. Stetti
ancora qualche minuto a passeggiare
sotto la luna e poi tornai indietro ad aspettare Alfio e Maria.
Pagine Maltesi -Ultima parte
Anche quella mattina, Cesare uscì dal negozio, in Via dell’Omo, ed entrò nella sua fiammante Alfa Romeo per andare in banca. Più che un negozio era un’ampia esposizione di radiatori, stufe ed articoli per impianti di riscaldamento; mentre, nel retro, vi era proprio il capannone artigianale, dove venivano realizzati i prodotti e vi erano gli spogliatoi e gli uffici.
Continua
Nei giorni seguenti, cambiammo di nuovo alloggio- La casa
della zia di Maria, pur se accogliente, presentava diverse difficoltà . Le
principali erano quelle legate all’uso del bagno ed, inoltre, la lontananza
dalla Valletta. Nel corso di varie visite a questa città, trovammo un piccolo
alberghetto, ideale per un soddisfacente rapporto qualità prezzo, e decidemmo
di trasferirci. Ora, avevamo a disposizione molti più punti ristoro e potevamo
spostarci in ogni punto dell’isola con facilità. Quasi ogni giorno, ci capitava
di ritrovarci ad ascoltare musica dal vivo , seduti nei tavolini all’aperto,
nella piazza principale, quasi alla fine
di King’s way, o di passeggiare per la
stessa via pedonale accompagnando le ragazze ai relativi autobus. Era sempre
particolare notare, in quelle passeggiate ,come il massimo dell’eleganza per
molti maltesi fosse accoppiare un camicia bianca con cravatta nera su dei pantaloni
altrettanto neri come le scarpe lucide ed appuntite.
Stavamo bene insieme io e Catherine. Era un rapporto sereno e divertente . Senza pretese, forse,
ma pieno di vita. Rimasi, quindi, dispiaciuto, ma senza farne un dramma, quando
mi spiegò che sarebbe partita fra pochi giorni insieme ai genitori per andare a
trovare la sorella, che si trovava in Gran Bretagna per motivi di lavoro.
Decidemmo di fare qualche cosa di bello per salutarci e
Catherine propose una gita in battello all’isoletta di Comino, nella parte nord
di Malta. Il battello salpava da St. Julien. Arrivava in ca. mezz’ora a Comino, dove sostava sino a dopo pranzo,
per consentire una giornata balneare nelle splendide spiagge ed insenature dell’isoletta, e
poi si ritornava nel pomeriggio.
Ci ritrovammo così, l’indomani, nell’isola di Comino, dove si trovano forse le più belle spiagge di Malta. Le
sfumature del colore azzurro del mare andavano dal celeste al turchese. Non
avevo mai visto niente del genere. Eravamo nella Blue Lagoon , un posto
incantevole. Una specie di canale naturale fra Comino e Cominotto, un isolotto
più piccolo e completamente disabitato
posto ad una breve distanza di fronte all’isola. La spiaggia era
prevalentemente rocciosa con scogli e con un breve tratto di spiaggia .
L’acqua era stupenda.
Trasparente, limpida e di un colore
celeste intenso.
Ci lasciammo scivolare dentro le onde in un bagno ristoratore
nuotando dolcemente mentre
i raggi del sole scendevano anch’essi in mezzo a noi circondandoci in un
tripudio di riflessi dorati . Eravamo
degli Dei in un paradiso!.
Così ,qualche giorno dopo, ricordavo quei momenti vissuti con
Catherine nella Blue Lagoon, mentre già la nave solcava implacabile il mare
verso casa. C’eravamo salutati con un sorriso e con la promessa di scriverci e
rivederci la prossima estate.
Forse! Eravamo troppo giovani
e troppo felici per quei giorni passati insieme per rattristarli oltre
il normale dispiacere di un gioco finito troppo presto.
Ma già nuovi pensieri ed avventure erano all’orizzonte: l’Università,
il racconto delle vacanze agli amici rimasti a casa, telefonare ad Elena.
Le altre volte che ero stato in viaggio , ad un certo punto,
tornava inevitabilmente la nostalgia di casa. Desideravo gli angoli della mia
stanza, le mie abitudini , i miei libri, le compagnie e la vita di ogni giorno.
Quella volta era diverso. Sarei potuto stare lì per sempre.
Non avevo nessuna nostalgia del ritorno ed anzi, quando pensavo alla mia casa, mi
veniva di andare con il pensiero a quella che mi sarei potuta costruire ovunque
fossi andato. Chiesi ad Alfio se anche lui avesse una sensazione simile e ci
ritrovammo a pensare che, dopo tutto ,
avremmo potuto vivere benissimo a Malta
La nave continuava la sua rotta e si cominciava ad
intravedere Porto Palo e la punta di
Capo Passero.
Eravamo delle persone
diverse rispetto a quando eravamo
partiti .Ormai eravamo degli adulti ed il pensiero del ritorno a casa non era per
niente entusiasmante .
Volevamo essere liberi
e disporre del nostro tempo. Vivere la nostra vita a modo nostro e da quel momento sarebbe stato così
Anche quella mattina, Cesare uscì dal negozio, in Via dell’Omo, ed entrò nella sua fiammante Alfa Romeo per andare in banca. Più che un negozio era un’ampia esposizione di radiatori, stufe ed articoli per impianti di riscaldamento; mentre, nel retro, vi era proprio il capannone artigianale, dove venivano realizzati i prodotti e vi erano gli spogliatoi e gli uffici.
Non era niente male per uno che
aveva cominciato come garzone di bottega a Centocelle, pensò Cesare.
A Centocelle c’era pure nato e cresciuto in via dei Gerani, dove
si poteva ancora giocare per la strada, nel dopoguerra, con gli altri ragazzi.
Qualche volta, ci si divideva in
bande avversarie e si arrivava sino nei campi, dietro le case, a combattere,
tirandosi le pietre ed, alla fine, sdraiandosi a terra sull’erba, stanchi e
felici. Con uno stupido sorriso fra le labbra a guardare il cielo e ad
indovinare la forma delle nuvole.
Gli amici, quelli “ nun se
tradiscono” pensava Cesare. Ed ancora oggi c’incontravamo tutti i giovedì sera
per combattere.
Ormai non si correva più per la strade o per i
campi. Non si tiravano più pietre ma, seduti comodamente attorno ad un
tavolo, ci si misurava lo stesso,
servendosi di un mazzo di carte da poker.
Il giovedì sera era sacro. Erano
tutti ormai uomini fatti, che lavoravano sodo e non facevano mancare niente
alla moglie ed ai figli; ma il giovedì sera era loro e non c’era “trippa per
gatti”.
Cesare amava il gioco d’azzardo e
le belle donne. Riusciva però a non fare clamore ed evitare “ strascichi”
fastidiosi. Aveva sempre preferito non mettere in pericolo la famiglia con le
sue scappatelle ed alla fine, coll’avanzare dell’età, non disdegnava di
frequentare qualche signora “ pulita” e compiacente in cambio di un regalo.
Anche per quanto riguardava il
gioco d’azzardo, riusciva a goderne senza esserne schiavo o peggio ancora,
pensava, subendo dei contraccolpi economici. No! Ormai guadagnava bene e poteva
permettersi il lusso di destinare una somma, una volta la settimana, alla
possibile perdita al gioco. Quello e non altro! E potevi stare sicuro che in
tutti quegli anni non aveva mai mancato alla parola. La forza e la tranquillità
di quella decisione lo tenevano al tavolo da gioco con la giusta ebbrezza,
concentrazione e l’adeguato controllo.
L’emozione gli prendeva lo stomaco ed il
piacere intenso del rischio calcolato e della sfida si mescolavano con la
capacità del controllo.
Quando salutava gli amici, alla fine della serata, e,
fumando l’ennesima sigaretta, si dirigeva, nella notte, verso la sua Alfa
Romeo, sia che avesse vinto o perso, si sentiva elettrizzato e pieno di una
potenza e di una forza matura di cui ringraziava il cielo, ma anche se stesso.
Aveva lavorato sodo e nessuno doveva permettersi di
toccare quello che aveva costruito, pensava, accarezzando la canna della
pistola nella custodia sotto l’ascella.
Aprì la portiera, si sedette e, soddisfatto della
strumentazione della sua macchina, avviò il motore con un piacevole rombo.
Prese rapidamente Via Prenestina, in direzione della città, ed in men che non
si dica arrivò all’incrocio con via Palmiro Togliatti. Procedette ancora avanti
su Via Prenestina verso Piazzale Preneste, dove era la sede della sua banca, e
posteggio facilmente nelle vicinanze.
Si recava in banca almeno una volta la settimana per il
versamento dell’incasso, in assegni e contanti, dell’attività, facendo
confluire nel conto societario gli assegni e nei libretti al portatore i
contanti. Era un cliente importante della banca sia per l’attività aziendale,
sia per il suo conto personale. L’azienda era una srl con due soci principali
che detenevano il 70% delle quote mentre il restante 30% era intestato alle
rispettive mogli. Il socio di Cesare era un tecnico e non s’interessava né dei
rapporti con i clienti, né della banca. Per tutto quello che riguardava invece
la produzione era il punto di riferimento centrale. Qualsiasi problema tecnico
era di sua competenza e veniva prontamente risolto. Passava la giornata nel
laboratorio mentre Cesare presidiava lo spazio esposizione e gli uffici di cui
era il vero “dominus”. La forza dell’azienda era nei contatti con i
costruttori. Per anni la zona, Prenestina, Tiburtina, Casilina e Nomentana
erano state oggetto di uno sviluppo edilizio costante ed erano fra i quartieri
più popolosi della periferia romana. Cesare aveva messo a frutto nel tempo i
guadagni dell’attività e la sua
sostanziale solidità economica concedendo ampie dilazioni nei pagamenti ai
costruttori per la fornitura e messa in uso degli impianti di riscaldamento e
caldaie : In questo modo, otteneva due risultati: un vantaggio sulla
concorrenza e la possibilità di mettersi d’accordo con i costruttori ,fissando
un prezzo ufficiale per la fornitura degli impianti , caldaie e radiatori da
pagare con bonifici e/o assegni ed un prezzo reale, che teneva conto delle
ampie dilazioni di pagamento concesse,
da regolare fuori fattura, in contanti .Questo permetteva di ottenere
una corrente d’incassi molto interessante, non sottoposta a carico fiscale, che
alimentava i versamenti nei libretti al portatore destinati sia all’attività
aziendale che ai conti personali . La parte dei libretti al portatore destinata
all’attività era stata poi costituita in garanzia degli affidamenti bancari.
Denaro contro denaro, senza scarto e con un miglioramento anche del tasso
debitore applicato su quella parte dei crediti accordati.
Questo permetteva all’azienda d’avere sufficienti spazi di
manovra per la propria attività e di offrire ulteriori convenienti dilazioni,
facendo da banca alla sua clientela, a condizioni ben più vantaggiose di quelle
che pagava sui finanziamenti bancari.
Quella mattina, Cesare entrò quindi, come sempre, in banca
per le sue operazioni abituali, che venivano svolte dagli impiegati, mentre lui
stava comodamente seduto nell’ufficio del Direttore .
Per l’esattezza, anzi, prima di sedersi a parlare
nell’ufficio con il Direttore ed il suo Vice, andavano a prendere insieme il
caffè nel vicino bar. Era quella una piacevole ritualità che si consumava ogni
volta regolarmente. Cesare suonava alla porta dell’ufficio del Direttore che
gli veniva aperta dal Vice. Questi informava il Direttore della sua presenza ed
insieme si avviavano verso il bar. Al ritorno il Vice prendeva in carico le
operazioni da effettuare, mentre Cesare si sedeva nell’ufficio del Direttore,
chiacchierando nell’attesa del loro completamento.
Quel giorno, oltre ai versamenti sul conto e nei vari
libretti, Cesare chiese di prenotare
anche cinquemila dollari per il suo prossimo viaggio . Si avvicinava la fine
dell’anno e, subito dopo, Cesare si era organizzato per il suo viaggio in
Kenya.
-Quando pensi di partire? – gli chiese il Direttore della
banca-
-Ho l’aereo per la sera del 3 gennaio in modo d’arrivare
comodamente a Nairobi nella successiva mattinata. Poi, c’è tutto il tempo per
sistemarsi in albergo, farsi una doccia, pranzare e riposarsi. Quindi, nel pomeriggio,
normalmente ti portano al primo Safari .
-Così, subito, il
primo giorno che arrivi ?
-Si. Mi piace così. Credimi, ogni volta che arrivo in
Kenya e scendo dall’aereo, ho come la sensazione di una scarica d’energia che
parte dal suolo e mi entra dentro,
dalle gambe. È una sensazione unica che mi capita ogni volta che ci vado. Sarà
l’ambiente! Pensa che anche se la temperatura è elevata non provi sofferenza
per il caldo perché l’aria è secca e pulita. Arrivi in albergo ti sistemi, ti
fai una doccia e ti senti un Dio: Non c’è problema!
-Mi succedeva questa cosa da bambino quando andavo in
spiaggia – rispose il Direttore- Quando mi mettevo il costume ed affondavo i
piedi nella sabbia, era come se ricevessi una scarica d’energia. Ti capisco!
-Poi nel pomeriggio si va nella savana, al tramonto, per
vedere i grandi animali: È uno spettacolo! Pensa …ho ancora davanti agli occhi
la sagoma di un elefante maestoso che si staglia sullo sfondo di un tramonto
con colori incredibili che vanno dal rosso all’arancio, al blu e, sullo sfondo,
il Kilimangiaro! Un’altra volta, andammo su di una collina sotto di cui abbiamo
visto passare una massa enorme di gnu. Non finivano mai ed era impressionante
la bellezza di quello spettacolo! Dovresti andarci per capire che si prova!
-Eh… magari! Per adesso, sotto le feste, non se ne parla.
Vengono a trovarci i miei suoceri e con i miei facciamo grandi riunioni a casa mia:
Poi c’è la bambina piccola e siamo contenti così. Ma tu? Parti con tua moglie ed i figli?
- Non se ne parla proprio! Ormai la mia carovana l’ho
fatta. Ho sessantaquattro anni e queste sono vacanze premio, che mi godo da
solo e senza famiglia attaccata alle caviglie. D’altra parte, l’Africa non
piace a nessuno. La prima volta che ne parlai a casa, mia moglie mi disse: io
non ci vengo, vacci da solo: Ed io ci vado, ma non da solo. Mi faccio accompagnare da un’amica che scelgo
per l’occasione e a cui pago il viaggio e la compagnia. Inoltre, nell’albergo, c’è anche il casinò attrezzato ed elegante, con la roulette ed i vari tavoli.
Mi porto anche l’abito da sera con la giacca bianca.
-Hai pensato a tutto?!
-Credimi … ne vale la pena! Passi dieci giorni che ti pulisci il cervello
e ricarichi il corpo.
Nel frattempo, le operazioni bancarie di Cesare erano
state eseguite ed il Vice era di ritorno con le ricevute dei versamenti ed i
libretti aggiornati.
-Cesare ho prenotato la valuta in dollari che hai chiesto
–disse il Vice- Quando vieni a ritirarli?
-Passo il due mattina, rispose Cesare. Ti trovo?
-Certo,….. purtroppo! - rispose il vice – mica sono
fortunato come te!
-E te, invece, ci sarai? . disse Cesare rivolgendosi al
Direttore-
-No, approfitto delle feste per stare in famiglia fino
alla Befana. Ci vediamo al ritorno. Un abbraccio.
E così, si salutarono e Cesare, uscito dalla banca, si
avvio alla macchina per fare ritorno in azienda.
Continua
Le immagini del villaggio Masai , dei bambini e della jeep che correva nella savana, accanto alle zebre, passavano veloci nelle mente di Cesare; mentre, lentamente, “ spillicava “ la sua mano di carte da poker.
Un asso…………un Kappa……..un otto…un Kappa e …..un Kappa!
Un asso…………un Kappa……..un otto…un Kappa e …..un Kappa!
Aveva un tris di Kappa servito!
Guardò con calma i suoi avversari e specialmente il russo , in abito da sera , che gli stava di fronte. Era l’avversario più pericoloso e quello che, nei giorni precedenti, gli aveva reso la vita più difficile al tavolo. Era più giovane di Cesare. Doveva avere appena cinquant’anni, aveva ancora tutti i capelli biondi ed uno sguardo gelido. Camminava sempre con due che erano ,evidentemente, le sue guardie del corpo; mentre, al fianco c’era lei: Maria, che quella sera era ancora più desiderabile, avvolta in un abito bianco che la fasciava tutta,mettendo in risalto le sue morbide forme.
Quella mattìna, il russo era rimasto in albergo e Maria, insieme al fratello Tony, aveva partecipato lo stesso al safari che prevedeva la visita ad un villaggio Masai, oltre che l’avvistamento di zebre ed altri animali nel percorso lungo la savana.
Cesare si era adoperato perché la sua amica di viaggio prestasse le giuste attenzioni a Tony, in modo da poter conoscere meglio Maria. Aveva notato che la donna, nonostante la differenza d’età, lo guardava spesso intensamente e la cosa lo stuzzicava. L’assenza del russo , la distrazione del fratello Tony mettevano Cesare nella migliore delle condizioni e Maria sembrava essersene accorta e fu facile conoscersi . Fu un susseguirsi di sguardi, di frasi e di leggeri sfioramenti del corpo seguiti ancora da sguardi e sorrisi che crearono una sorta di complice intimità fra di loro.
I capelli neri, fluidi e lucenti di Maria incorniciavano quel viso sensuale illuminato da degli occhi incredibilmente verdi con delle pagliuzze dorate scuro vicino alla pupilla.
Uno sguardo profondo ed insieme caldo che ti conduceva in fondo alla sua anima.
Cesare era attratto dalle labbra piene e sensuali di Maria ed il lor primo bacio fu caldo, appassionato ed insieme dolce e profondo. Non credeva di poter provare ancora quelle sensazioni del ragazzo che era stato tanti anni prima ed ora che la guardava alta, in abito da sera, accanto al russo, sapeva che quella storia non sarebbe finita tanto facilmente.
Al suo turno, Cesare si dichiarò servito, con un lieve ghigno feroce sulle labbra ed uno sguardo deciso che squadrava le reazioni del russo. Questi cambiò una carta.
-Parola al servito! – Tutti guardarono Cesare che non esitò a fare la sua puntata, piena e consistente. Un tris di Kappa non era poi tanto male! Se non entrava il gioco a nessun, poteva anche vincere e ci stava provando. Tutti lasciarono il gioco tranne il russo che prese tempo. I loro sguardi s’incontrarono studiandosi a lungo…poi il russo fece la sua puntata sorridendo e rilanciando abbondantemente la posta in gioco. Aveva pensato che Cesare bleffava e voleva spaventarlo senza costringerlo a mostrare il suo punteggio.
Allora, forse ha paura e non ha poi un gran punteggio in mano-pensò Cesare. Poteva andare a vedere e stanarmi: Invece, no rilancia! Ha cambiato una carta e magari partiva con una doppia coppia e non gli è entrato niente!
Allora, forse ha paura e non ha poi un gran punteggio in mano-pensò Cesare. Poteva andare a vedere e stanarmi: Invece, no rilancia! Ha cambiato una carta e magari partiva con una doppia coppia e non gli è entrato niente!
- Non m’abbasta! –sussurrò Cesare al russo, e raddoppiò la posta, nel silenzio gelido del tavolo. Maria lo guardava preoccupata mentre Tony, il fratello si mostrava incuriosito.
Il russo ora aveva perso la sua baldanza! Cesare poteva ancora bluffare; oppure, mi sta portando molto in alto per spellarmi meglio -pensò- e poi… chi mi dice che non mi venga a vedere, se rilancio? A questo punto,……… mi può anche vedere ………………..ed io…. ho solo una doppia coppia agli assi!………………Forse è meglio finirla qui!
-Va bene, lascio e la saluto- Disse in un inglese rimasticato, buttando le sue carte sul tavolo. Detto fatto, si alzò e si allontanò seguito dai suoi guardia-spalle , da Tony e dalla sorella Maria che salutò Cesare con un sorriso.
Cesare raccolse con calma il bottino e posò a sua volta le carte coperte sul tavolo , lasciando che il mazziere le mischiasse alle altre, senza scoprirle; quindi, si alzò , affermando che ormai, per lui, la serata si era conclusa. Si avviò alla cassa, per cambiare le fiches, e quindi salì nella sua stanza ,seguito dalla sua amica, che aveva passato le ultime ore al night bar dell’Hotel , sorseggiando cocktails.
......
Erano passati ormai due mesi dal viaggio in Kenya e dall’incontro con Maria e quello strano gruppo di persone che comprendeva il fratello Tony e quel gelido russo, sempre circondato dai suoi scagnozzi.
Cesare manteneva dei contatti giornalieri con Maria, tramite delle chat su Facebook, dal suo computer nell’ufficio del negozio.
Aveva da tempo creato un profilo sul social, protetto da sguardi indiscreti, e lo utilizzava in quell’occasione.
Maria ed il fratello Tony abitavano insieme in un appartamento a Bucarest, pagato dal russo a cui erano legati per vivere.
Tony gestiva un supermercato di proprietà di una delle società fantasma controllate dal russo; mentre, Maria, ufficialmente lo collaborava ma, in realtà, era a disposizione di Yuri ………… il russo.
Nel corso delle chat, Maria non perdeva l’occasione di raccontare a Cesare come fosse stufa di quella situazione e di come non desiderasse altro che poter essere di nuovo libera.
Ci aveva pensato tanto! Avrebbe potuto fare anche un colpo di testa e scappare via lontano……. E il fratello?
Tony era legato mani e piedi al russo ed, inoltre, avrebbe pagato amaramente per la sua fuga!..... No!
Bisognava pensare a tutto, anche al futuro di Tony e ci volevano soldi per andare via e sparire!
Cesare si stava affezionando a quella ragazza e si sentiva in qualche modo lusingato del suo interesse per lui! Non parlavano solo delle difficoltà, perché Maria non mancava di soffermarsi sul fatto di pensare spesso a lui e di ricordare quei bei momenti vissuti insieme, per un breve tempo, in Kenya.
- Perché non ci rivediamo? - Gli diceva- Per Pasqua io e Tony potremo tornare a casa dai nostri genitori, a Nazaré , non molto lontano da Lisbona, e Yuri ci lascia andare senza problemi.
Potresti venire subito dopo Pasqua a Lisbona e, per qualche giorno, potremmo stare insieme. Che ne dici?
-E che ne dici?- Cesare era invogliato da quella proposta.
Che poteva essere un week end a Lisbona? Che problema c’era?
Prendeva tempo ogni volta , ma ci pensava; eccome se ci pensava! Aveva voglia di lei e della sua calda e morbida sensualità.
-Va bbene! -scrisse Cesare- vengo. Parto da Roma il giovedì dopo Pasqua e ritorno la domenica. Ho trovato pure una combinazione abbastanza vantaggiosa di volo più Hotel a Lisbona e, se per te va bene, confermo e ti do tutti i dettagli dell’albergo .
Era la domenica delle palme. La giornata era bella, con un primo sole splendente dopo le piogge dei giorni precedenti, e Cesare desiderava uscire per fare una passeggiata. S’incammino su per la breve salita davanti casa e si ritrovò quasi davanti alla chiesa del quartiere. Improvvisamente, si rese conto di non aver preso un ramo d'ulivo benedetto, quell’anno, ed in cuor suo sperò di essere ancora in tempo per trovarne ancora qualcuno.
Entrò nel cortiletto, antistante l’entrata della chiesa, dove su di un banco di legno, messo lì per l’occasione, stavano gli ultimi ramoscelli d’ulivo rimasti: Una signora gliene porse qualcuno gentilmente e, dopo averla ringraziata, Cesare entrò in chiesa. Rimase vicino alle ultime file delle panche di legno, accanto ad un prete che parlava con due donne.Era del sud America e raccontava che tra qualche giorno sarebbe tornato a casa per vedere i suoi. Poteva avere una quarantina d’anni, alto e con capelli scuri. Quando le donne si allontanarono, Cesare si avvicinò al prete dicendo: _ Padre un sego di croce … solo un segno di croce. - Non sapeva perché glielo chiedesse- Forse era il subbuglio di sentimenti che albergava nel suo cuore da quando era ritornato dal suo viaggio in Kenya. Forse voleva solo una ulteriore benedizione per i ramoscelli d'ulivo che aveva preso. Chissà?!
Il prete, dapprima sorpreso, gli si rivolse dicendo- Certo, desidera una benedizione – e così dicendo, gli prese il capo tra le mani e poi, alzando lo sguardo al cielo e sorridendo,lo benedisse facendo il segno della croce e dicendo- “in nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, Amen” - “Amen” rispose Cesare e si allontanò, sentendo ancora il conforto delle mani del prete che avevano circondato il suo capo.
Adesso, i ramoscelli di ulivo erano certamente benedetti e desiderò portarli a casa.
Il giorno di Pasqua, i suoi figli sarebbero stati a pranzo a casa sua e glieli avrebbe dati, come ogni anno, in segno di attenzione nei loro confronti e nella speranza della loro serenità.
Cosa può sperare di più un padre? Se non di vedere i propri figli sereni?
Poi, dopo Pasqua, sarebbe partito per il Portogallo dove avrebbe rivisto Maria.
Erano stati bravi! Avevano organizzato tutto alla perfezione e,
con l’aiuto della fiduciaria della Banca, Yuri comprava merce dall’Italia senza
sapere che, dietro la “Italy export “ ,c’erano Cesare, Maria e Tony.
La macchina camminava veloce per la strada che, costeggiando
il mare, portava a Nazaré, nella regione dell’Estremadura. Maria era andata a
prendere Cesare all’aeroporto di Lisbona, da sola. Si sarebbero visti poi, la
sera, anche con il fratello Tony. Cesare guardava il profilo di Maria e le sue
braccia nude che stringevano il volante e provava una sensazione di piacere
espandersi in tutto il suo essere.
Era bella! Ed era
fortunato ad aver suscitato il suo interesse!
Erano quasi arrivati. Il paese, si stendeva attorno ad una
lunga spiaggia di sabbia bianco-dorata, sulle rive dell’Atlantico; mentre, in
alto, su di un promontorio, era posto il quartiere più antico e caratteristico
“ Il Sitio” dove stava un belvedere, il Miradouro do Suberco, con una veduta spettacolare
sull’oceano e sulle sue onde, fra cui quella più alta mai cavalcata da un
surfista nella storia dell’uomo.
Maria posteggiò la macchina sul lungomare, davanti
all’alberghetto dove aveva prenotato una stanza per Cesare. Stava nella parte
nuova di Nazaré: La Praia, ed era comodo perché era al centro della vita della cittadina.
I genitori di Maria e di Tony, invece, abitavano nel
quartiere più antico: Pederneira, posto su di una lingua di terra che domina da
meridione Nazaré ed in cui nacque il primo insediamento di pescatori.
Il padre era stato anche lui un pescatore, fin da ragazzino,
ed anch’egli, per anni, nei mesi estivi, il sabato al tramonto, aveva
partecipato da protagonista allo spettacolo dell’Arte Xavega, una pesca con la
sciabica, tirando a riva le reti cariche di pesce; mentre, tutt’intorno, la
moglie, insieme alle altre venditrici, lanciava urla di richiamo ai clienti,
usando un linguaggio dal gergo antico e di difficile comprensibilità.
Ora, aveva più d’ottant’anni ed era molto malandato. Aveva
difficoltà a reggersi sulle gambe e passava gran parte del suo tempo seduto su
di una sedia sull’uscio di casa a guardare i vicini e la gente che passava.
La madre, era più giovane di qualche anno e qualche volta,
indossava le sette gonne della tradizione e vendeva il pesce al mercato nel
banco della vicina di casa, che, in quelle occasioni, le dava poi qualcosa per
ringraziarla..
Senza una modesta pensione dello Stato e l’aiuto di Maria e
Tony non sarebbero potuti andare avanti, nonostante la modestia del loro tenore
di vita.
Maria accompagnò Cesare nella stanza e finalmente, dopo
tanto tempo, la lunga attesa, imposta dalla lontananza, fu ripagata dai baci
più caldi ed intimi che si potessero desiderare e la passione, morbida e calda,
si fece strada lentamente nei loro corpi.
Più tardi Cesare si ritrovò ad osservare Maria ancora
addormentata tra le sue braccia e senza prevederlo vide la sua mano accarezzare
i suoi capelli. Che gli stava succedendo?
Poteva, alla sua età, con gli impegni di lavoro e familiari
che aveva, lasciarsi coinvolgere tanto in quella storia? No, non poteva, ma per
il momento era là con Maria e “nun glie’mportava de ‘gniente”.
Nel pomeriggio uscirono a piedi sul lungomare e presero
l’ascensore per salire al Sitio posto su di un impressionante strapiombo di
roccia . Dall’alto del Miradouro la vista era stupenda. Il tramonto stava
tingendo di colori di fiamma il cielo con toni che andavano dal rosso fuoco via
via verso le sfumature più incredibili per tuffarsi nel blu del cielo mentre
riflessi di luce calda lambivano come onde l’azzurro scuro del mare. Dopo,
visitarono l’ Ermida da Memoria, una piccola cappella in cui si ricorda il miracolo che avrebbe fatto la
Madonna impedendo che il cavallo di un nobile, D. Fuas Roupinho, si lanciasse
nel precipizio.Accanto , nel belvedere, viene mostrato ancora il segno lasciato
sulla roccia dal ferro di cavallo in quella mattinata nebbiosa del 1182.
Impressionante!
Continuarono
lentamente la passeggiata godendosi quella dimensione al di fuori del tempo e
dello spazio, che li faceva sentire totalmente liberi e padroni della propria
vita e si diressero verso il Santuario de Nossa Senhora da Nazaré. All’interno
di questa è custodita la statua della Madonna col Bambino, che , secondo la
leggenda , è la più antica del Portogallo. Sembra che la statua fosse stata
offerta da S.
Girolamo a S. Agostino il quale, a sua volta, l'avrebbe donata al monastero
spagnolo di Cauliniana. Di là sarebbe stata portata a Nazaré, molto tempo prima
che esistesse la nazione portoghese. Poi, all'epoca delle invasioni musulmane,
i cristiani, per preservarla dalle profanazioni, l'avrebbero nascosta in una
grotta del villaggio di Pederneira, dove sarebbe rimasta per quattro secoli,
finché non fu ritrovata dall'alcade di Porto de Mós, il cavaliere templare d.
Fuas Roupinho. Questo alcade è lo stesso del miracolo ricordato dall’Armida da
Memoria e per testimoniare la sua gratitudine a Maria, fece costruire la
cappella e vi fece
collocare la statua ritrovata nella grotta.Poi successivamente la statua fu
portata nell’attuale santuario edificato da re Ferdinando I nel 1377. La statua
della Madonna di Nazareth , da cui ha preso il nome la cittadina , rappresenta
una vergine nera scolpita in legno ed è posta nella navata centrale protetta
dal vetro.
Cesare
rimase meravigliato nell’osservare la bellezza delle classiche piastrelle
portoghesi bianche e blu che decoravano l’interno del Santuario. Non che a Roma
non avesse visto le più belle chiese del mondo; ma, quelle decorazioni erano particolari
e sapeva già che quella giornata , con tutti i suoi aspetti e le sue immagini
,sarebbe rimasta impressa nella sua memoria.
La sera
, ripreso l’ascensore e ritornati sulla
spiaggia, incontrarono Tony e si diressero al ristorante da Miguel per cenare
insieme.
Erano
contenti di vedersi e di stare insieme in libertà senza pensare , per un attimo
, ai loro problemi. Miguel era famoso per la sua barca d’aragosta e frutti di
mare che decisero di annaffiare con un buon bianco della regione del Douro.
Cesare
non credette ai suoi occhi quando portarono le due barche d’aragosta che
avevano ordinato . Ora capiva perché il tavolo dove li avevano fatti accomodare
era da sei persone . Le barche erano enormi e brulicanti d’aragosta, granchi
enormi , frutti di mare vari che andavano dalle cozze , alle vongole giganti,
ai cannolicchi, ecc. e poi gamberoni , scampi ecc. Un ben di Dio!
Cesare
si ritrovò a succhiare con voluttà la testa di uno scampo mentre lo attendevano
due cozze, belle piene. Sorseggio un buon dito di vino bianco gelato ed attaccò
con un altro pezzo d’aragosta.
-Dovrebbe
esser sempre così- sussurrò Maria
-E chi
ce lo impedisce? - rispose Cesare di rimando
-facciamo
un nome a caso? –disse Tony- un certo Yuri.
Di
colpo il clima fra di loro si fece teso e cominciarono a parlare fitto fitto di
quella situazione . Non poteva durare ! O decidevano di salutarsi lì o dovevano
far qualcosa per liberarsi di Yuri.
E…si!-
disse Tony.- e come mangiamo? Quello ci fa vivere a me , Maria ed anche ai
nostri genitori. Avete capito? Se non pensiamo a trovare un modo di guadagnare
bene e subito , ci facciamo solo delle
illusioni. Dobbiamo essere indipendenti per poterci allontanare e magari far
perdere le nostre tracce, se no, è meglio lasciar perdere.
-Si è
meglio così. Lasciamo perdere – aggiunse Maria.
Ed io
che ci sto a fare ? rispose Cesare- Non conto niente? Non posso darvi una mano?
E come
? – disse Maria?
-un
modo ci sarebbe – fece Tony
-Di che
parli?- Rispose Cesare- Parla liberamente. Dimmi che pensi.
-Tu sai
che gestisco un supermercato per conto di Yuri e ti posso dire che conosco
abbastanza bene i gusti della gente. E poi si si parla anche con altri del
settore ….
E
allora? – lo incalzò Cesare-
E
allora…… i prodotti italiani vanno forte!- aggiunse Tony- La pasta ,il vino
soprattutto , alcuni formaggi.. sono molto apprezzati . C’è tanta gente che ha
vissuto in Italia ed ha imparato a mangiare all’italiana. Anche le persone di un certo livello, se gli parli della
cucina italiana e dei vini italiani , ne sono innamorati. Tu dall’Italia
potresti mandare la merce e noi
potremmo venderla in Romania, anche
allo stesso Yuri ed alla sua organizzazione
senza che lui sappia chi ci sta
dietro.
-Si è
vero – disse Cesare- la mia banca mi ha proposto spesso di mettermi a
disposizione una fiduciaria per eventuali operazioni in cui non voglio figurare
a mio nome. Potremmo fare una società insieme,
ma intestare le quote alla fiduciaria .Tra l’altro, la banca ha una sede
anche a Bucarest e sarebbe facile raccogliere tutte le vostre firme necessarie
alla costituzione delle quote e mettervi a disposizione un conto della nuova
società.
Potrei
anticipare io i soldi per le prime spedizioni . Dopo, diventa un giro che si
alimenta da solo e ,una volta avviata l’attività, con gli utili conseguiti
sarete liberi di decidere quello che volete fare.
-Lo
faresti?- Chiese Maria
-Certo
che lo farò. Se tu sei d’accordo è cosa fatta!. Appena torno a Roma vado in banca e sistemo tutto. Appena pronti,
facciamo la prima spedizione che neanche
è passato un mese .
-Magari!|-
fecero in coro Maria e Tony
- Dai
brindiamo – aggiunse Cesare – al nostro futuro insieme – e riempì i bicchieri
mentre si scaldava gli occhi col sorriso di Maria!.
-
Gli affari andavano bene. Per iniziare, Cesare aveva messo a garanzia della Banca un
libretto al portatore di 50.000 euro ed aveva ottenuto un affidamento di pari
importo . Dopo qualche mese di
spedizioni e di vendite, le cose andavano bene e si cominciava a vedere un buon
guadagno, che cominciava a riempire il conto segreto di Tony e Maria.
Tutto andava per il meglio e presto si sarebbe arrivati al momento
della liberazione.
Ne valeva la pena di aspettare ! Maria era stata irremovibile! Non
dovevano fare insospettire Yuri e quindi bisognava fare il sacrificio di non
vedersi fino alla conclusione del loro tentativo
. Poi si sarebbero ritrovati liberi a Nazaré.
Tutto bene quindi , ma stamattina Cesare era nervoso! Maria e Tony
gli avevano parlato di una
possibilità che avrebbe permesso di
accelerare i tempi. Yuri era entusiasta dei prodotti italiani e, con le sue
conoscenze in Russia, era pronto ad espandersi anche in quel mercato. Voleva
fare un’ordinazione grossa ; ma, con una dilazione di almeno 90 gg. Si trattava
di 150.000 euro di controvalore merce.
Maria e Tony erano su di giri e pronti a mettere in gioco tutti i
guadagni di quei mesi per investirli nell’operazione. Con tutto questo e con
l’aiuto ulteriore di Cesare non si superavano i 100.000 euro di aumento della
garanzia. La Banca doveva fidarsi e dare un temporaneo in bianco di almeno
altri 50.000 euro.
Quella mattina, Cesare era
pertanto dovuto andare in Banca per
chiedere l’accordo all’operazione. Aveva dovuto faticare non poco a convincere
il Direttore ed, alla fine, aveva
dovuto mettere la sua fideiussione personale a garanzia con l’impegno che,
finita l’operazione, gli sarebbe stata restituita.
Mia moglie ed io siamo in comunione dei beni e la casa è anche sua- aveva detto Cesare-
Non l’ho mai coinvolta
nella mia attività e non voglio farlo adesso. Promettimi che tra qualche
mese , alla scadenza dell’operazione, mi restituisci la fideiussione.
Promesso- rispose il Direttore-
Te credo- rispose Cesare – e si strinsero la mano, guardandosi
dritto negli occhi per suggellare quel patto.
Tutto era stato fatto come si deve. Maria era strafelice e la merce era già arrivata a Bucarest nel
giro di una settimana. Da li, era partita per la Russia, gestita da una delle tante società di Yuri.
Ora erano passati già due mesi
e Cesare non capiva lo stato
d’animo di Maria .
Non c’era mai e rispondeva con molto ritardo ai suoi messaggi. Quando
rispondeva era come se fosse
lontana e formale . Diceva che Tony non
stava bene di salute e che era molto impegnata con il lavoro e con il fratello.
Dopo qualche tempo non rispose più ai suoi messaggi. Provò a cercare Tony.
Inutilmente. Si negava.
Erano passati, inoltre, quattro mesi dalla spedizione della merce e vi era un opprimente silenzio. Il
Direttore della Banca voleva notizie
sui pagamenti e Cesare non sapeva che
rispondere.
Il temporaneo è scaduto da trenta giorni , posso rinnovarlo per
altri quindici - gli aveva detto il Direttore della Banca quella mattina- ma
poi, ti devo chiedere ufficialmente il rientro dell’esposizione.
Te giuro che nun so gniente! –rispose Cesare-Non ho nessuna
notizia ed ho deciso di andare a vedere che succede. Parto domani per Bucarest e
ti faccio sapere.
Ti ripeto-disse il Direttore- se tra quindici giorni non arrivano
i soldi, devo mettere la pratica al rientro. Questo significa che i libretti a garanzia vengono estinti per
decurtare il saldo debitore del conto e per il resto dovrai rispondere tu in virtù della fideiussione. Speriamo di
poter evitare di coinvolgere la tua azienda in questo pasticcio!
Cesare era preoccupato! Anni di lavoro , la sua azienda . il rapporto con il socio , la sua stessa
famiglia erano minacciate da questa situazione
debitoria che rischiava di allargarsi oltre il dovuto .
Che c….. era successo? Ma porco
D……, che mi stanno a piglià per
c…..!
E Maria ? Dove stanno Maria e Tony? Perchè non rispondono? Se Yury
li ha toccati, guai a lui , pensò Cesare,
accarezzando la sua pistola.
Appena arrivato a Bucarest, prima ancora di cercare l’albergo, si fece portare al supermercato
dove lavorava Tony.
Dov’è Maria? Che fate voi due ? Che sta succedendo?-disse
Cesare appena incontrato Tony.
Cesare che ci fai qui? Non ti preoccupare . Va tutto bene !Vieni
ti porto da Maria.
Così facendo, Tony si fece seguire, portandolo con la sua macchina
nell’appartamento dove stava Maria.
Cesare, con Maria ci sta anche Yuri ed è meglio che non ti veda –
disse Tony- facciamo una cosa, ti porto in un albergo di un mio amico, qui vicino, ed avverto Maria di passarti a
trovare al più presto . Tu l’aspetti in camera e lei ti spiegherà tutto. Va
bene?
-No non va bene gniente! –
rispose Cesare- Io salgo e mettiamo tutto in chiaro, anche con Yuri
-Lascia stare Cesare! Quello è armato e pericoloso e sta con due
guardie del corpo armate fino ai denti . Abbi pazienza ! Che vuoi fare ? Ti spiegherà tutto Maria!
-Va bbene- acconsentì Cesare- ma nun me state a coglionà! Se ,
entro oggi, non parlo con Maria , faccio l’inferno!
Dai Cesare , va bene, andiamo –rispose Tony. Sistemò Cesare
nell’albergo e lo lasciò solo ad aspettare.
Che situazione! Cesare non sapeva che pensare! Ma guardatelo !
Seduto sul letto di una stanza a Bucarest ad aspettare… per ore!
Finalmente qualcuno bussò alla porta. Era Maria!
Più bella che mai, ma con uno sguado gelido e distante!
Che ci fai qui? Gli disse-
Che ci faccio qui? –rispose Cesare – Tu non ti fai trovare –soldi
nun ne arrivano-la Banca mi chiede il rientro –vengo a Bucarest, Tony non sa
che dirmi e tu mi parli così? Che
significa tutto questo ? che sta succedendo?
Le parole che seguirono furono come aghi gelidi piantati ad uno ad
uno, lentamente, nella mente e nel cuore di Cesare.
Fin dall’inizio , fin da quando si erano conosciuti in Kenya
avevano riso di lui con Yuri e Tony e
preordinato ogni cosa. Non c’era nessuna costrizione da parte di Yury. Lei lo
amava e Yuri era il suo uomo: Un uomo pericoloso è vero. Il capo di
un’organizzazione criminale, è vero, che la stava aspettando nella hall
dell’albergo con i suoi uomini. Fin dall’inizio erano d’accordo e la merce era
già stata venduta tutta in Russia e in Romania.
-Ma tu non vedrai un soldo
Cesare – Gli disse Maria.
-Ma pensavi davvero che mi potessi mettere con un vecchio come te?
-Che potessi lasciare Yuri per te? Che tu mi piacessi?
Si , Cesare lo aveva creduto e le parole di Maria risuonavano come boati nella sua testa e nel suo cuore.
Non ci vedeva più dalla rabbia e dalla disperazione . Prese la
pistola e la puntò verso di Lei.
-E che vuoi fare con
quell’arnese? Vuoi sparare? Sei già morto anche tu! Yuri non farà passare un
minuto prima di ucciderti e pestarti
sotto i suoi piedi.
Che vuoi fare ? Spara……..e spara…….. -gli gridò in faccia Maria,
sfidandolo con violenza.
L’esplosione rimbombo nella sua mente!
Il corpo di Cesare fu sconvolto da quella scossa mentre un dolore lancinante e sordo invadeva il suo
petto e il suo cuore dolorante,
spaccandolo in due.
Si dice che, nel momento del passaggio, scorra davanti agli occhi
la vita intera e Cesare si scoprì
bambino correre con i suoi amici per le strade di Centocelle , sentì lo sguardo
protettivo del padre su di lui e la carezza della madre sul suo volto. Poi si
rivide, giovanotto, faticare con
allegria nei suoi primi lavori ed entrare nella macchina veloce portando la
moglie ed i figli in una gita fuori porta. Sentì sulla bocca le labbra di sua
moglie ed entrò sorridente in azienda. Raccontava del Kenya ai suoi amici e la
bellezza dei leoni e degli elefanti le
cui sagome si stagliavano scure sullo sfondo del tramonto africano.
Cesare, ora, stava steso
per terra, abbattuto da un infarto mortale; ma, sulla sua bocca, c’era disegnato
un sorriso, rivolto all’ultima immagine
nella sua mente:Maria!
LE CHANT DES
PARTISANS
Ascoltai per la prima volta
quest’inno, questa canzone partigiana, dalle labbra di una ragazza belga
,d’origine italiana, che me la cantò durante una notte in treno.
Eravamo in uno scompartimento a
cuccette, di seconda classe, di un treno, proveniente dalla Francia che
arrivava fino in Calabria. Io ero con
un mio amico di ritorno da Montecarlo, dove eravamo stati qualche giorno, ed
eravamo diretti a Roma, per assistere al Festival dell’Unità.
Erano i primi anni ’70.
In quello scompartimento, oltre a
noi due, c’era quella ragazza, un giovane inglese ed una signora anziana.
Come succede sempre in quelle
occasioni, non si aveva sonno e l’interesse a conoscere nuove persone era
prevalente.
La ragazza era appassionata di teatro. Recitava con altri
giovani in una piccola compagnia ed abitava, mi sembra, a Bruges. Era diretta a
Sapri, bella località di mare della Calabria, dove sarebbe rimasta per un periodo di vacanza a casa di lontani
parenti.
(nella fotografia Nancy Wake eroina della resistenza francese)
Mentre aggiustavamo le cuccette,
ci mettemmo a parlare ed aiutammo l’anziana signora a sistemarsi in una cuccetta bassa, per lei più comoda, che le
avevamo ceduta in cambio.
La signora era una donna
veramente gradevole ed interessante. Era piena di curiosità e voleva sapere
tutto di noi. Ci raccontò che, alla sua età, la più gran passione era viaggiare
e tornava infatti da una crociera nel Mediterraneo a suo dire incantevole. Il
giovane inglese parlava uno stentato italiano ma riusciva a farsi capire. Anche
lui amava i viaggi ed, infatti, era diretto in Egitto per
realizzare il suo sogno di vedere le piramidi e fare un giro a dorso di un
cammello. In cuor nostro ognuno adottò questi strani ed interessanti compagni
di viaggio e soprattutto ascoltavamo la cara nonnina da cui prendere
insegnamento. Dopo un po’, il treno stava per arrivare a Genova, quando
scoprimmo che nessuno dei nostri compagni di viaggio c’era mai stato. Il treno
avrebbe fatto una fermata di quindici minuti e proponemmo ai nostri nuovi amici
di approfittare di quel tempo, per scendere di corsa dal treno ed uscire almeno
dalla stazione per mettere piede nella piazza antistante e poter affermare
quindi che eravamo stati anche per un attimo a Genova.
Così fu deciso , mentre la
signora anziana ci augurava una buona visita a Genova e c’informava che, nel
frattempo, avrebbe cercato di prendere sonno.
Di corsa, ponemmo in atto il
nostro piano e con una soddisfazione da bambini ci stringemmo le mani nella
piazza antistante la stazione di Genova, felici del nostro successo.
Senza perdere un attimo, tornammo
poi di corsa al treno e ansimanti, ma soddisfatti, salutammo l’anziana signora
che, ad occhi chiusi, ci sorrise.
Ci mettemmo così nel piccolo
corridoio della carrozza ,chiudendo la porta dello scompartimento per non
disturbare il riposo della signora, e ,seduti per terra, cominciammo a
raccontarci di noi. Scoprimmo le nostre comuni passioni politiche, il movimento
studentesco, la tradizione popolare, le canzoni e gli spettacoli.
Le raccontai che nelle riunioni fra amici, capitava spesso di
cantare, accompagnati dalla chitarra, le canzoni popolari e di lotta e le
chiedemmo se conosceva Bella Ciao.
Lei ci rispose di si, ma, a sua
volta ci chiese se conoscevamo l’inno dei partigiani francesi e così lo cantò.
“
Ami, entends-tu
le vol noir des corbeaux sur nos plaines
Ami, entends-tu
les cris sourds du pays qu'on enchaîne
Ohé, partisans,
ouvriers et paysans c'est l'alarme
Ce soir
l'ennemi connaîtra le prix du sang et des larmes...
2
Montez de la
mine, descendez des collines, camarades,
Sortez de la
paille les fusils, la mitraille, les grenades,
Ohé, les
tueurs, à vos armes et vos couteaux, tirez vite,
Ohé, saboteurs,
attention à ton fardeau, dynamite..
3
C'est nous qui
brisons les barreaux des prisons pour nos frères
La haine à nos
trousses et la faim qui nous pousse, la misère
II y a des pays
où les gens au creux des lits font des rêves
Ici, nous,
vois-tu, nous on marche, nous on tue ou on crève.
4
Ici, chacun
sait ce qu'il veut, ce qu'il fait quand il passe
Ami, si tu
tombes, un ami sort de l'ombre à ta place,
Demain du sang
noir séchera au grand soleil sur nos routes
Chantez,
compagnons, dans la nuit la liberté nous écoute...
5
Ami, entends-tu
les cris sourds du pays qu'on enchaîne
Ami, entends-tu
le vol noir du corbeau sur la plaine
|
https://youtu.be/sUZWlf_vuKg
IL BAMBINO E IL PESCIOLINO
L’estate era nel suo pieno splendore. Antonio era solo a casa. La madre aveva accettato l’invito del fratello, che abitava a Roma, di passare un periodo in quella città, per non stare troppo sola dopo la morte del marito.
IL BAMBINO E IL PESCIOLINO
C'era una volta, tanti anni fa, un piccolo borgo di pescatori in riva al mare.
In una delle sue minuscole case abitava un uomo con la sua famiglia, composta dalla moglie e dal figlio di cinque anni.
Quando il padre andava a pesca e la madre si occupava delle faccende domestiche, il bambino correva subito verso la spiaggia di sabbia vicina per raccogliere conchiglie, giocare con le orme che i suoi piedi lasciavano nella sabbia, tirare calci alle onde, sollevando dei begli spruzzi d’acqua e tante altre cose ancora.
La vita trascorreva serena nel borgo, anche se la maggior parte delle famiglie presenti viveva in condizioni al limite della povertà.
Fortunatamente, questa situazione creava una strana solidarietà fra tutti. Si prestavano volentieri le cose e gli attrezzi di cui avevano bisogno e ,soprattutto, non disdegnavano il piacere di sedersi davanti all’uscio di casa la sera, dopo aver finito il lavoro ed aver cenato, per chiacchierare del più e del meno con i vicini o intrattenersi piacevolmente con i passanti. Intanto, i bambini giocavano fra di loro sotto gli occhi vigili e benevoli dei genitori.
Domani si torna ad uscire in mare. Ci si rivede all’alba al molo per la pesca e speriamo che sia buona ed il tempo non ci faccia brutti scherzi! Il vento sembra lieve e la giornata dovrebbe essere calma domani. Speriamo!
Presto sarebbero andati tutti a letto. Grandi e piccoli! Giovani e vecchi! Tutti a pensare a quello che li attendeva con le prime luci del nuovo giorno.
Quella notte si alzò il mare ed il frastuono delle onde arrivava fino alle orecchie di chi cercava di prendere sonno ed il sibilo del vento risuonava tutt’intorno. Finalmente, il vento si placò ed il frastuono s’interruppe, lasciando il posto ad un’improvvisa calma.
Il bambino non era riuscito ad addormentarsi e quell’improvviso silenzio lo incuriosì. Provò a sbirciare fuori dalla finestra socchiusa e restò sbalordito dalla limpidezza del cielo e dal chiarore magico della luna. Fu irresistibilmente attratto da quell’atmosfera surreale e ,facendo attenzione a non far rumore ed a non svegliare i genitori, aprì l’uscio di casa e si ritrovò fuori, libero e felice.
Il cielo era di un colore nero reso brillante dalle innumerevoli stelle che s’inseguivano l’un l’altra a perdita d’occhio, mentre la luce di una splendida luna piena illuminava tutto intorno.
Il cielo era di un colore nero reso brillante dalle innumerevoli stelle che s’inseguivano l’un l’altra a perdita d’occhio, mentre la luce di una splendida luna piena illuminava tutto intorno.
Si diresse verso il mare dove la luce si rifletteva sulle onde in uno splendore argenteo che non si può immaginare se non si è visto con i propri occhi, guardando le coste di uno dei paesi che si affacciano nel Mediterraneo.
Ebbe voglia di camminare sulla spiaggia, guardando la luna alta nel cielo e beandosi dei riflessi di luce che brillavano sul mare, quando, ad un tratto, la sua attenzione fu richiamata da un movimento davanti a se, sulla sabbia.
Fece quasi un balzo all’indietro quando quella piccola cosa che si muoveva davanti a lui, e che scoprì essere un pesciolino d’argento, lo apostrofò dicendo:
- O piccolo uomo aiutami! Aiutami per favore! Se non mi butti subito in acqua non riuscirò a vivere! Aiutami ti prego!
- Che devo fare ?- dimmelo- rispose il bambino
- Prendimi in mano e buttami in acqua, ti prego! Sto soffocando!
Il bambino non esitò più. Pur temendo di fargli male, prendendolo in mano, raccolse il pesciolino dalla sabbia e lo lanciò in mare.
Dopo un attimo, il pesciolino d’argento riemerse dalle acque, brillando sotto la luce della luna e, rivolgendosi al bambino, gli disse:
- Oh! Grazie, piccolo uomo! Mi hai salvato la vita e ti sarò per sempre riconoscente!
- Come hai fatto a finire sulla sabbia ?– gli chiese il bambino
- E’ stata la forza delle onde a trascinarmi e ,quando l’ultima onda mi ha spinto forte sulla sabbia, il riflusso non è stato sufficiente a riportarmi in mare. Così sono rimasto lì a soffocare. Se non fossi passato tu, sarei morto.
- Allora sono contento di essere passato. Siamo amici quindi?-disse il bambino sorridendo-
- Certo- rispose il pesciolino d’argento- saremo amici per sempre e per suggellare la nostra amicizia mi potrai chiedere due regali. Due cose che desideri più d’ogni altra ed io ti esaudirò.
- E’ bellissimo- rispose il bambino- posso veramente?
- Certo! Dimmi cosa desideri e sarà fatto immediatamente.
- C’è una cosa che vorrei- disse il bambino – vedo i miei genitori sempre preoccupati di trovare i soldi per andare avanti. Lavorano tutto il giorno e non si lamentano mai; ma, spesso la pesca non va bene ed i soldi non bastano. Allora, qualche volta, mio padre va a letto prima di cena e dice che non ha fame; ma, io so che è perché il cibo non basta per tutti e lo lascia per me e la mamma. Io vorrei aiutarli! Vorrei che potessero vivere e lavorare senza la paura del domani. Vorrei che potessero stare senza la preoccupazione di non avere quello che è necessario per me. Vorrei che la nostra casa fosse bella e non cadesse a pezzi! Mi puoi aiutare tu, pesciolino d’argento?
- Sì piccolo uomo. Io posso aiutarti. In nome della nostra amicizia, ti dico che puoi tornare a casa e tutto quello che mi hai chiesto è diventato realtà. I tuoi genitori non avranno più preoccupazioni per il futuro e troverai la tua casa rimessa a nuovo e tinteggiata di fresco.
Ma hai ancora un desiderio da esprimere. Che cosa desideri?
- Per adesso mi interessa solo vedere la casa nuova ed i miei genitori.-rispose il bambino-
- Scappo via subito! Ma come faccio a rivederti?
- Basta che aspetti una sera di luna piena e vieni in spiaggia. Se mi chiami verrò a risponderti- e dopo aver detto questo si tuffò fra le onde lasciando solo il bambino nella spiaggia.
A quel punto il bambino, ancora incredulo, di tutto quanto era avvenuto, non stava più nella pelle e non vedeva l’ora di tornare a casa. Si mosse di corsa ed in un baleno arrivò.
Quale fu la sua sorpresa nel vedere la sua casetta tutta rimessa a nuovo e tinteggiata di fresco, con i suoi genitori ad aspettarlo sull’uscio.
- dove sei andato? Ci hai fatto preoccupare! – gli dissero- Ma è stata una notte fantastica!
Quando ci siamo svegliati, non riuscivamo a credere ai nostri occhi! La casa era tutta nuova! Ti ricordi la finestra rotta? Era stata riparata. Le scale che portano nella soffitta erano tutte nuove. Le pareti tinteggiate di bianco immacolato ...E poi…….
- E poi - chiese il bambino?
- E poi, mentre guardavamo tutto questo, sentiamo dei colpi alla porta.
- Dei colpi? – chiese il piccolo-
- Si, dei colpi. Qualcuno che bussava dicendo: aprite è un messaggero del Re.
- E voi?
- E noi abbiamo aperto ad un Cavaliere con tanto di piuma sul cappello, seguito da due guardie. Il Cavaliere aveva una pergamena in mano e a quel punto si è fatto strada in casa ed ha cominciato a leggere. Diceva che il Re, nella sua grande magnificenza, aveva deciso di premiare il nostro villaggio e di dare ad una famiglia dello stesso, che era stata sempre fedele ed industriosa, un premio. Una rendita vitalizia, modesta ma sufficiente per vivere!
Un gesto per mostrare al mondo la bontà del Re!
- Sei contento? E così dicendo i genitori lo presero per mano e cominciarono a ballare in tondo ridendo fino alle lacrime.
Il bambino rideva anche ed, in cuor suo, sapeva che tutto quello era il regalo del pesciolino d’argento per la nuova amicizia ,che era nata quella notte.
Era inutile parlarne! Non lo avrebbero creduto e sarebbe stato inutile insistere!
Però…. Era stato bravo il pesciolino d’argento!
Passarono i giorni ed il bambino aspettava con ansia che arrivasse la nuova luna piena per tornare a trovare il suo amico pesciolino, sulla spiaggia.
Aveva pensato, qualche volta, al nuovo regalo da chiedergli; ma, era già contento di tutto quello che era successo. Tutto procedeva a meraviglia! La casa era chiara e luminosa. Tutti erano sereni e contenti e non mancava mai niente.
Venne dunque la luna piena ed il bambino, appena fatta notte, sgusciò in silenzio fuori di casa.
In pochi secondi, di corsa, arrivò alla spiaggia e comincio a dire:
- Oh Pesciolino! Pesciolino d’argento!
Fammi contento! Fammi contento!
Ed ancora:
- Oh Pesciolino! Pesciolino d’argento!
Fammi contento! Fammi contento!
Dopo pochi secondi, il pesciolino d’argento, rilucente sotto i riflessi della luna, apparve in mezzo alle onde del mare e disse:
- Buona notte, piccolo uomo! Come stai? Ti è piaciuto il mio regalo?
- Certo che mi è piaciuto!-rispose il bambino- E’ stato tutto tanto bello! Sono contento di vederti. Tu sei mio amico, vero?
- Hai ancora dei dubbi?
- No, hai ragione- disse il bambino. E’ che mi sembra tutto meraviglioso! I miei genitori sono sereni e contenti! La casa è tutta nuova! Io ho un amico speciale! Mi sembra di sognare!
- E tu, hai pensato al regalo che posso ancora farti ? incalzò il pesciolino d’argento- Cosa desideri. Pensaci bene, è l’ultimo regalo che posso farti.
- Di questo non devi preoccuparti.Hai già fatto molto.Una cosa c’è che mi diverto a pensare e mi piacerebbe tanto; ma, non so se posso chiederlo. Non so se è giusto!
- Prova. Dimmelo e ti aiuterò- rispose il pesciolino
- Ecco! Non prendermi in giro, ma io, a volte, penso a come sarebbe bello essere grande.
- Che cosa vuoi essere? Un gigante?
- No, grande in quel senso. Voglio essere, grande!Un uomo già cresciuto e adulto. Uno grande. Vorrei provare a vedere cosa c’è oltre il bosco attorno al villaggio. Viaggiare per il regno. Conoscere nuove persone. Pensa a quante cose potrei raccontarti!
- Il pesciolino lo ascoltò pensieroso e disse.
- Sei proprio certo del tuo desiderio? Non pensi ai tuoi genitori? Non vuoi più giocare con gli altri bambini?
- I miei genitori sono contenti ed io poi tornerò a trovarli sempre. Invece di giocare potrò fare tutto davvero. Pensa che bello! E poi, non preoccuparti perché tornerò a trovarti e raccontarti tutto quello che ho visto. Ci pensi?
- Certo!Ricordati che la vita di un adulto è piena di pericoli e di fatica. Non ci sono più i genitori a pensare per te. Dovrai fare da solo! Sei pronto per tutto questo?
- Si, è vero! Ci ho pensato; ma, in compenso potrò andare dove voglio. Potrò fare tutto a modo mio. Non ho paura della fatica, del lavoro e dei pericoli. Li affronterò e se uno non fa male, non deve temere niente. Così dice sempre mio padre.
- Va bene – disse il pesciolino- torna a casa e domani, quando ti sveglierai, sarai un giovane adulto. Ricordati che qui hai un amico.Fatti vedere qualche volta.
- Certo- rispose il bambino – e corse via emozionato e raggiante senza guardarsi indietro e vedere la preoccupazione disegnata sulle sembianze del pesciolino d’argento.
Così fu. La mattina dopo il bambino era sparito ed i genitori videro che il loro piccolo era diventato “ grande” e si era trasformato in un bel giovanotto. Risero in cuor loro; ma, nello stesso tempo, gli dispiacque di non aver più quel piccolino, in giro per la casa.
Dopo qualche tempo, il giovane uomo spiegò ai genitori il suo desiderio di vedere il mondo.
Non abbiate paura-disse- tornerò presto - ma, prima, voglio veder cosa c’è oltre il bosco e nelle strade del Regno.
Così fece ed una mattina saltò a cavallo per andare incontro al suo destino.
Tutto era nuovo attorno a se. Lui che aveva visto, attorno,sempre ampi spazi ed il mare, adesso, era passato attraverso boschi fitti, dove i raggi del sole filtravano a mala pena in mezzo al verde degli alberi. Eppure, era tutto meraviglioso! La vita, attorno a se, brulicava in tanti esseri viventi. Il silenzio era in realtà uno stupendo sommesso rumore in mezzo al quale, se ascoltavi con attenzione, percepivi il cinguettio di un uccello, il sospiro del vento, lo scalpettio di un animale il rumore di un ramo abbattuto o di una pigna che cadeva.
Poi c’erano nuove città e paesi. Tante, tante persone, dai mestieri più diversi. Mercati pieni di prodotti. , le urla dei venditori che presentavano le merci ed il lavoro paziente e misurato degli artigiani, nelle loro botteghe.
I sorrisi delle donne! I loro sguardi curiosi ed intriganti! Il loro portamento elegante e flessuoso!
Una lo aveva particolarmente colpito! L’aveva vista, dietro le sbarre della finestra, guardarlo mentre passava a cavallo appena fuori dalla città che stava visitando.
La seconda volta, guardandola, lei gli aveva fatto cenno di avvicinarsi e, contemporaneamente, lo aveva pregato di fare silenzio.
Messo sull’avviso di un possibile pericolo, il giovane uomo si avvicino alle sbarre della finestra con cautela e fu letteralmente abbagliato dalla bellezza della sua interlocutrice.
Aveva i capelli di un biondo cenere, legati dietro con una coda. I lineamenti era perfetti e gentili, con delle labbra rosa morbide e carnose disegnate perfettamente. Gli occhi …….Che occhi! Avevano un colore blu chiaro, come del mare più profondo all’orizzonte, in una giornata di sole.
- Che succede? Perché hai paura? Perché stai dietro una finestra con le sbarre?
Le domande si accavallavano sulla bocca del giovane uomo, fremente della risposta.
-Sono prigioniera in questa casa-rispose la ragazza- stai attento! Parla piano e non farti vedere! Mi tiene rinchiusa un uomo grande e feroce. Un guerriero! Un Orco maligno, senza pietà che mi ha rapita e mi vuole tutta per se.
-E tu come fai a sopportarlo? Perché non scappi? – le disse il giovane uomo-
-Non posso. Sono sempre chiusa in questa stanza ad aspettarlo. Quando ho bisogno di una qualsiasi cosa devo tirare il cordone di una campanella e lui mi apre armato e provvede ai miei bisogni. Non ce la faccio più! Io piango! Piango sempre, giorno e notte. La notte poi è il momento peggiore perché lui viene a trovarmi e………………..
- Zitta! Zitta! Non dire altro- aggiunse il giovane uomo e proseguì dicendo:
- Ma, dimmi. E’ solo? Ci sono altre persone nella casa? La servitù? Dei guardiani?
- Non lo so! Non vedo mai nessuno e non sento rumori. La casa però è grande e noi ci troviamo solo nella parte posteriore. Non so dirti altro. Aiutami!- rispose la ragazza-
- Bisogna affrontare l’Orco. Non c’è altro modo di liberarti. – disse il giovane uomo
- Ma come? Sei pazzo? Tu non l’hai visto. E’ una specie di gigante, alto e forte. Armato fino ai denti. Ti ucciderà ed io rimarrò sempre più sola e abbandonata.
- Vedrò io come fare – rispose il giovane uomo. Tu devi solo coltivare la speranza dentro il tuo cuore. Adesso devo andare ma tornerò presto e ti libererò. Mi credi? Hai fiducia in me?
- La ragazza lo guardava teneramente ed il giovane uomo, con uno sforzo d’abilità, si sporse dal cavallo su cui era in sella, per avvicinare il più possibile il volto alle sbarre della finestra. La sua bocca ed il suo respiro ora si fondevano quasi con quello della ragazza ed un lungo e tenero bacio li unì per sempre.
Cercò in qualche modo di sfiorarle il volto in una carezza e si allontanò sussurrandole:
Il cavallo galoppava senza
sosta attraverso il bosco, verso casa,
mentre un tumulto di pensieri si agitava nella mente del giovane uomo. Che
fare? Come liberare la ragazza? Come uccidere l’Orco che la imprigionava? Se
non era solo ? Se aveva delle guardie
con se?
Passò la notte nel bosco, dopo
aver acceso un fuoco e cercato di magiare qualche cosa. Non aveva fame ed era
in preda alla disperazione. Dormì agitato, con sogni di lotta e di terrore; ma,
ad un tratto, la sua mente si placò.
Pensò di trovarsi in riva al mare e parlare con il suo amico: il pesciolino d’argento.
Si, forse aveva bisogno di parlare di questa storia con un amico. Aveva bisogno
del consiglio del pesciolino d’argento. Si avviò al galoppo verso il mare ed
aspettò la notte di luna piena; quindi, cominciò a chiamare:
-
Oh Pesciolino! Pesciolino d’argento!
-
Fammi contento! Fammi contento!
E ancora e ancora
-
Oh Pesciolino! Pesciolino d’argento!
-
Fammi contento! Fammi contento!
Il mare riluceva sotto i raggi della luna e, ad un tratto, più delle onde
brillò, in mezzo ad esse, un pesciolino..... un pesciolino d’argento.
-Eccomi a te giovane uomo! Eccomi
a te, amico mio! Cosa posso fare per te? – disse il pesciolino d’argento.
Il giovane uomo poté finalmente
liberare il suo cuore e raccontò all’amico per filo e per segno tutto quello
che era successo. La ragazza prigioniera, l’Orco, il suo amore ed il desiderio
di liberarla.
Dovrai essere forte – gli disse
il pesciolino d’argento – Nessuna impresa del genere è mai sicura e priva della
possibilità dell’insuccesso, della sconfitta. Il male esiste davvero ed è forte, è cattivo e punge e taglia come
la lama di una spada. Come il suo nome dice, appunto, fa male!
Guarda accanto a te, per terra.
Cosa vedi? – disse il pesciolino d’argento-
Il giovane uomo si voltò e guardò
verso terrà dove vide stesa una bellissima spada luccicante sotto la luce della
luna. La lama sembrava affilatissima e tagliente!
Prendila – disse il pesciolino
d’argento- quella è la spada del coraggio e della giustizia che nelle mani di chi ama diventa un’arma
micidiale. La lotta fra l’amore ed il male è una lotta eterna ma tu puoi vincerla
con la forza ed il coraggio che ti vengono dal tuo amore. Certo, vi saranno
momenti in cui penserai di non farcela. Potrai anche pensare di esser stato un
pazzo a sfidare il male; ma, se ci pensi bene,
a che vale la vita se non lotti per le persone e le cose che ami ed in
cui credi?
Va dunque! Prendi la spada con te
ed usala con coraggio! Uccidi l’orco, libera la ragazza e portala qui davanti
al mare perché così io possa avere una nuova amica.
Il giovane uomo prese la spada e
la alzò con la punta rivolta al cielo, sotto lo sguardo benevolo e amico del
pesciolino d’argento.
Vado- disse- ma tornerò presto
con una giovane donna al mio fianco.
Così facendo, pose la spada al
suo fianco e si diresse a passi decisi
verso il cavallo. Vi montò sopra ed, al galoppo, sparì nella notte.
- Apri! Ho detto apri! -gridò il giovane
uomo bussando ferocemente alla porta della casa dove stava rinchiusa la giovane donna.
-
Chi è che bussa a quest’ora? Chi sei? Che vuoi ? -gridò l’Orco
, aprendo l’uscio e vedendo il giovane uomo con la spada in pugno, la prese a sua volta esplodendo in un ruggito bestiale.
Il giovane
uomo si vide perduto e sentì il sangue gelarsi nelle vene. Le gambe quasi non
lo reggevano; ma, con la coda
dell’occhio, si rese conto che l’Orco, nell’esprimere la sua ferocia, aveva
commesso un errore, per eccesso di sicurezza, ed aveva allargato la sua
guardia.
Spinto da una
voglia insopprimibile di sopravvivenza, dalla disperazione e dal desiderio di
abbattere quell’orribile animale affondò con tutto il coraggio che possedeva la
spada dritta nel petto dell’Orco trafiggendogli il cuore.
Un’espressione,
innanzi tutto di stupore si dipinse sul volto del bestione ferito a morte. Poi,
la coscienza di quello che era successo lo spinse a raccogliere tutte le forze
rimaste in un rigurgito di rabbia estrema
per scagliarsi contro il giovane uomo; ma, le forze lo
abbandonarono di colpo, cadde prima in
ginocchio e quindi stramazzò al suolo.Subito il giovane uomo frugò nelle sue
tasche e trovò una chiave, quella che avrebbe aperto la prigione della sua
giovane donna.
I due giovani
passeggiavano mano nella mano nella notte illuminata dalla luna piena, sulla
spiaggia. I loro passi si susseguivano, l’uno dopo l’altro, incontro allo
sciabordio delle onde sull’arena.
Dopo essere
stata liberata la giovane donna era stata portata nel borgo dei pescatori a conoscere i genitori del suo nuovo compagno. La festa era stata
grande e la mamma del giovane uomo l’aveva più volte abbracciata sotto lo
sguardo benevolo del figlio e del marito.
Avevano deciso
di sposarsi e di vivere anche loro
nella bella casa del borgo. Ora, il
giovane uomo desiderava presentare la sua compagna al suo amico più caro: il
pesciolino d’argento.
Ecco perché
erano lì adesso, sulle rive del mare, a guardarsi con affetto e sorridersi.
Poi, insieme,
cominciarono a chiamare il loro amico dicendo:
-
Oh Pesciolino! Pesciolino d’argento!
-
Fammi contento! Fammi contento!
E ancora
insieme.
-
Oh Pesciolino! Pesciolino d’argento!
-
Fammi contento! Fammi contento!
E il
pesciolino apparve tra le onde,
rilucente d’argento, sotto i raggi della luna piena, alta nel cielo.
-
Chi si vede! – disse- Finalmente ti sei ricordato di me! E chi
è quella bella, giovane donna che ti guarda con tanto amore?
Cominciarono
così a parlare fitto fitto, raccontandosi tutto e più e più ancora, mentre la
notte scorreva intorno a loro, riconoscendoli per sempre amici.
Nel profondo Nord.
La prima volta che la vidi rimasi
impressionato dalla sua vita, regolata dai tempi della fabbrica, e
dall’eleganza del suo centro storico. In determinati orari, la città sembrava
svuotarsi della maggior parte dei suoi abitanti. La mattina presto, i tram silenziosi
portavano gli operai, ancora semiaddormentati, lungo Corso Unione Sovietica
verso Mirafiori: il grande cuore pulsante della città.
Altri si dirigevano al Lingotto;
mentre, fuori città, lo stabilimento di Rivalta attirava tutti quelli che
abitavano a Tetti francesi, Orbassano, Rivoli ecc.
A seguire, c’era poi l’ondata
della scuola e degli impiegati che andavano in ufficio.
Dopo, improvvisamente, più
niente.
Via Roma si dispiegava elegante
da Porta Nuova a Piazza Carlo Alberto e sino a Piazza Castello ,dove si possono
ammirare il Palazzo Madama ,il Palazzo Reale il Teatro Regio e l’Armeria Reale
, con i suoi migliori negozi, nella piena tranquillità del mattino.
Sotto i portici, protettivi dalla
pioggia e dalla neve, i passanti si attardavano a guardare le vetrine eleganti,
scambiandosi sorrisi d’approvazione. Per lo più, erano signori e signore,
avanti nell’età, generalmente dall’aspetto educato e facoltoso, d’origine
piemontese. Pochissimi stranieri. Qualche meridionale, specialmente donne e bambini
non ancora in età scolastica, dalle parti più vicine a Porta Nuova e del
quartiere limitrofo, delimitato da Via Sacchi da una parte e da Corso Umberto,
fino a Corso Vittorio e Piazza Statuto, dall’altra.
Accanto, quasi parallela a Piazza
Carlo Alberto, la splendida Piazza Garignano, con il palazzo omonimo ed il
ristorante del “ Cambio”, famoso per le sue specialità della cucina
tradizionale piemontese e per essere stato uno dei preferiti dal Conte Camillo
Benso di Cavour.
Era, per me, affascinante osservare
le vetrine e l’ambiente delle antiche pasticcerie e cioccolaterie prospicienti
su Piazza Carlo Alberto.
Come resistere alla voluttà dei
tipici gianduiotti e quale sorpresa, per me meridionale, osservare l’eleganza e la bontà di quei
magnifici pasticcini "mignon" dai mille sapori, che raggiungevano
l’eccellenza nel ripieno di una panna soffice e delicata.!
Contrariamente a quanto accade
nel Meridione, dove per la maggior parte dell’anno, grazie ad un clima
favorevole, i locali tengono i tavoli per i clienti per lo più all’esterno, a
Torino era bello osservare la cura degli ambienti interni dei locali,dedicati
ai tavolini per le consumazioni dei clienti, Specialmente quelli più antichi
presentavano delle splendide decorazioni in legno.
Mi sembrò di essere in un film
quando, per la prima volta, m’inoltrai nel centro della città, sottobraccio ad
una ragazza, all’interno di una fitta nebbia rischiarata dalle luci giallastre
dei lampioni. Camminavamo, come all’interno di un soffice palcoscenico,
scoprendo le vetrine illuminate dei negozi .
Quante volte rimasi affascinato
dalla neve che cadeva lenta, imbiancando le strade ed i tetti delle case! Non
l’avevo mai vista!
Era piacevole tornare a casa per
ripararsi dal freddo, in inverno, accolti dal dolce tepore dei termosifoni
accesi e, di corsa, sedersi a tavola per gustare una fumante “ bagna cauda”
accompagnandola con un vino rosso dal sapore pieno come un“ dolcetto” o un
“nebbiolo”.
Per noi meridionali, Torino,
Milano e poche altre città erano state il Nord: quella metà ambita e desiderata
di una vita migliore attraverso la possibilità di sfuggire alla disoccupazione
o di trovare un lavoro più remunerativo rispetto a quello delle campagne. E
poi, era bello trovare una città con servizi funzionanti. I trasporti con
i tram che ti portavano in tutti gli angoli della città : La pulizia delle
strade mentre al sud,spesso, trovavi angoli colmi di spazzatura. Il verde
pubblico ben curato. Sevizi sanitari di qualità e scuole in cui non mancava
niente. Insomma, avevi la sensazione che tutto fosse diverso.
Anche dal punto di vista
culturale, per me, il Nord rappresentava la presenza diffusa di una cultura di
sinistra, sviluppatasi ancora di più con la lotta partigiana. Le lotte nelle
fabbriche del 68/69, saldatesi con il movimento degli studenti, avevano
ulteriormente contribuito a rafforzare una mentalità del cambiamento e di una
maggiore giustizia sociale che trovava in Torino una delle capitali di quello
che chiamavamo il Movimento Operaio. Le lotte dell’operaio massa alla Fiat
facevano parte della storia. Più volte, più tardi nel tempo, trovandomi a
conoscere e parlare con anziani operai Fiat ,ormai in pensione, ho provato la
sensazione di una certa comunanza d’esperienze e di un’epoca che ci ha visti
insieme a cercare una nuova società. La Resistenza non era una parola vuota a
Torino . Avevo letto con attenzione le pagine di Fenoglio sulla lotta
partigiana nelle Langhe e la presenza
politica di quell’esperienza era stata molto forte nella cultura della città.
Quello che invece in qualche modo
non pensavo di trovare era il diffuso senso della patria ed il forte legame fra
le forze armate e la popolazione. In special modo ho potuto vedere l’affetto
che la gente riservava al corpo degli Alpini.
Un anno, mi trovavo temporaneamente
a Torino, a casa di mio zio, quando la città fu invasa dagli Alpini che
l’avevano scelta per la loro festa annuale.
Uscimmo per strada a vedere
sfilare questi giovani e meno giovani Alpini insieme ad un amico di mio zio:
una penna bianca.
Era stato, infatti, un ufficiale
e aveva fatto l’ultima guerra nel corpo degli Alpini. Ne aveva viste tante e
raccontava che spesso il suo rapporto con gli alleati tedeschi non era stato
fra i migliori. Loro avevano tutto ed erano ben equipaggiati
-“noi spesso arrancavamo e,
nonostante questo, la prima volta che ho puntato la pistola contro qualcuno è
stato proprio a seguito di un litigio con un ufficiale tedesco che inveiva
violentemente contro di noi perché ritardavamo la marcia e prometteva
provvedimenti punitivi verso i miei soldati”
Ma quelli erano altri tempi!
Incontravamo per Via Roma gruppi
di reduci, di giovani e di congedati che alla sola vista della penna
bianca del nostro amico lo circondavano d’affetto.
Canti, risate e l’immancabile
bicchiere “de vin “ univa quella grande famiglia degli Alpini in un unico corpo
vivente.
L’indomani, alla sfilata ufficiale, mentre si passava per Via
Garibaldi, dai balconi dove era esposta la bandiera italiana, le donne
gridavano in coro:
-
“Viva gli Alpini”
-
“ Viva l’Italia”
Non avevo mai visto una cosa del
genere!
Il sentimento patriottico, in
quegli anni di contestazione studentesca e di lotte operaie, era stato visto,
al contrario, spesso come un retaggio di un passato da dimenticare, un
sentimento nazionalistico sbagliato ed, al limite, inopportuno.
Quella spontaneità e quell’amore
per i propri figli che, andando nel corpo degli alpini, erano diventati dei
soldati ed erano sempre lì pronti a difendere la propria terra e le proprie
famiglie mi fece pensare che non vi era niente di sbagliato in quel sentimento:
Era l’uso improprio del nazionalismo da cui si doveva diffidare. Quello che
porta all’egoismo ed al conflitto; ma, non la sana relazione della gente con le
proprie abitudini, la propria terra e la propria cultura. Specie se questo rappresenta solo un biglietto da
visita da mostrare all’altro che proviene da un altro paese.
Tornai a casa con mio zio e la
penna bianca commossi e soddisfatti di quella giornata. Ci aspettava una buona
cena calda insieme, annaffiata da un discreto barolo. Dopo, continuammo a
discutere e a giocare a carte, sostenuti dallo spirito di una buona grappa.
Torino, per me era questa:
-La Fiat, le strade silenziose,
la vita scandita dai tempi della fabbrica, l’eleganza del centro storico, la
presenza di noi meridionali nei quartieri periferici, Porta Palazzo con le sue
bancarelle e tanti prodotti tipici del Sud, gli ottimi vini rossi e gli
spumanti, le storie degli Alpini e della Resistenza, le donne bionde ed
eleganti che ti sfilavano attorno con un discreto sorriso sulle labbra e nello
sguardo, il Museo Egizio, Superga, la Sacra Sindone che ho avuto la fortuna di
vedere, i portici che ti riparavano dal mal tempo, il fiume Po e il Valentino,
le storie sulle lotte della fabbrica, una cultura dell’impegno e del servizio, Via
Po ed i suoi negozietti, gli appartamenti con i pavimenti di legno
scricchiolanti sotto il peso dei nostri passi, la nebbia ..la neve….la
giovinezza!
UN NUOVO MONDO
UN NUOVO MONDO
Antonio stava seduto nello studio
del padre e guardava con attenzione il contenuto dei cassetti della scrivania.
In uno trovò una fotografia del
nonno, ancora giovane. Aveva dei lunghi baffi con le punte arricciate in alto e
gli occhi dal colore molto chiaro. La fotografia era in bianco e nero e questo
lo indusse a pensare che dovevano essere probabilmente azzurri.
Suo padre gli aveva raccontato
spesso che il nonno aveva i baffi tendenti al biondo mentre lui ricordava di
avere punti della barba rossi e biondi. Antonio non aveva mai potuto verificare
le sue parole avendo visto sempre il padre ben rasato e con i capelli già
bianchi. Il nonno poi era morto prima che lui nascesse ed Antonio non aveva
quindi nessun ricordo personale. Sapeva che in gioventù aveva aperto una
pasticceria nel centro di Catania, ai Quattro Canti, con un discreto successo.
Insieme alla fotografia Antonio trovò anche un quadernetto con una copertina
nera che scoprì essere una raccolta di ricette per dolci. Tra questi vi erano
alcune delle vere e proprie prelibatezze della pasticceria siciliana come i
cannoli, la cassata, i panzerotti ecc.
In fondo ad un altro cassetto
c'erano delle lettere trattenute da un elastico, vecchie fotografie, un
quadernetto per appunti, alcuni ritagli di giornale.
Man mano che procedeva nella
lettura di quei ricordi, episodi ed intimità raccolte e conservate dal padre in
quel cassetto Antonio sentiva diminuire dentro di sé il dolore per la sua
recente scomparsa. Quella complice vicinanza col padre nella lettura dei suoi
ricordi gli permetteva di sorridergli con tenerezza.
Pur con tutta la differenza della
razza e nonostante fosse stato un padre adottivo, per lui era suo padre e
quando sentiva il dolore della perdita aumentare dentro di sé si sommava ad
esso una rabbia feroce.
Perché? Perché si deve morire? Perché si deve perdere
per sempre il proprio padre o qualunque persona cara?
Si accorse di stringere i pugni
scuri e di sbatterli violentemente sul tavolo. Non poteva sopportarlo!
Poi la sua attenzione fu distolta
dai rumori provenienti dall’altra stanza. Erano arrivati gli uomini del
trasporto funebre e stavano chiudendo la bara. Antonio uscì dallo studio e si
ritrovò confuso in una scena di cui era protagonista davanti a tutti. Scese le scale, sorreggendo la madre anziana, seguendo la bara. Poi, tenendola per braccio,
s’incamminò fra due file di conoscenti e amici per la strada che portava alla
chiesa.
S’ irrigidì in un atteggiamento fiero e composto perché non voleva dare
spettacolo del suo dolore. Era già motivo di curiosità vedere quel giovane di
colore camminare commosso, sorreggendo un’anziana signora bianca dietro il
carro funebre; ma, tutto il quartiere li conosceva. Antonio e la sua famiglia
abitavano lì da sempre e tutti avevano visto crescere quel piccolo bambino di
colore adottato da una coppia già matura e senza figli.
C’erano molti dei suoi amici e
colleghi dell’università che lo salutarono col pugno chiuso alzato. Erano
compagni di quegli anni di lotte studentesche in cui avevano imparato ad
apprezzarsi e sentirsi fratelli di fronte a mille difficoltà ed ostacoli. Carlo
era venuto a trovarlo subito e aveva condiviso con lui il ricordo del lutto del
proprio padre che aveva perso qualche anno prima. Ora, era lì insieme agli
altri a fare onore al feretro che passava. Era strano vedere tutti quei giovani
in corteo e lungo i marciapiedi. Non era uno spettacolo usuale! Erano lì per
lui. Per stargli vicino, solidali al suo dolore.
Dopo la funzione in chiesa
qualcuno lo segui anche al cimitero.
Nei giorni seguenti, Carlo e gli altri amici rimasero spesso a fargli compagnia.
La sera si stava fuori fino a tardi. Spesso, si andava fuori città nei paesi limitrofi. In riva al mare o sulle pendici dell’Etna, il vulcano che sovrasta Catania.
Una volta, si ritrovarono a Capo Mulini.
C’era una piccola trattoria in riva al mare, con i tavoli posti proprio su di una piattaforma di legno piazzata fra gli scogli di pietre laviche . Era un piacere assaporare quella pepata di cozze, sorseggiando il vino bianco freddo della casa, sotto un cielo profondamente nero ma punteggiato dalla mille luci delle stelle e rischiarato da quel quarto di luna.
Si parlava del passato e del futuro. Delle lotte all’università, del Movimento, che ormai era in riflusso, e di ciò che li aspettava. Carlo aveva una bella voce , suonava da sempre la chitarra ed aveva spesso cantato in pubblico con successo.
Cantava le canzoni della Resistenza , i canti del lavoro e di lotta del movimento operaio e contadino.
La prima volta che Antonio lo aveva conosciuto era stato proprio ad un concerto tenuto presso la sede di una libreria considerata uno dei centri culturali e progressisti di Catania. Erano i primi mesi che frequentava l’università ed un collega, che lavorava all’Einaudi come venditore, gli aveva segnalato che nei locali della libreria vi sarebbe stato quel concerto per voce e chitarra.
La sede era abbastanza vicina a casa di Antonio. Era al primo piano di un palazzetto di Via Etnea vicino alla Villa Bellini.
Per ironia della sorte, da un portone vicino si accedeva anche alla sede provinciale del Movimento Sociale Italiano . La sede dei “fascisti” come li definivano gli studenti di sinistra. Molti di loro erano anche conosciuti come “ picchiatori” per le loro azioni di disturbo e scontro fisico nei confronti delle attività politiche del Movimento degli Studenti.
Quella sera, Antonio si diresse da solo a quel concerto, che iniziava nel tardo pomeriggio .
Nessuno dei suoi amici si era mostrato interessato e così aveva deciso di andare comunque a vedere. La sala era abbastanza piccola. In un angolo era stato ricavato lo spazio per il gruppo musicale composto da tre persone : Carlo, voce e chitarra, Franca , voce e Cesare voce.
Era la prima volta che Antonio ascoltava dei canti popolari e rimase colpito per l’intensità dei testi e per la passione racchiusa pur nella semplicità delle melodie. Canti appassionati, quasi gridanti la sofferenza e la volontà di riscatto dei loro protagonisti. Franca cantò, con una voce acuta e allo stesso tempo melodiosa, “ la mondina”. Carlo si esibì anche in una canzone celebrativa della figura del rivoluzionario sudamericano Simon Bolivar ed in una canzone della guerra civile spagnola, accompagnando il canto alternando il suono della chitarra a delle battute a tamburo sulla stessa, con il dorso della mano.Fu una bella serata ed un successo.
Antonio rivide pertanto con piacere Carlo quando si presentò, come neo studente, davanti al picchetto di compagni che presidiava l’ingresso della facoltà occupata.
Con piacere Antonio garantì per la sua identità e Carlo fu fatto passare. Col tempo e nel corso delle lotte studentesche poi diventarono compagni ed amici, come tutti i componenti del Movimento degli studenti della Facoltà. Quello era forse uno degli aspetti più belli di quella situazione. Il numero relativamente modesto dei frequentanti e degli attivisti permetteva di vivere quella realtà d’impegno politico anche come una grande occasione d’amicizia personale. Dopo il rito delle assemblee e dei collettivi, le stesse persone si rincontravano nei gruppi di studio, che avevano sostituito nella maggior parte dei casi le lezioni cattedratiche.
Non era raro rivedersi poi all’interno delle sale di lettura, dove si cercava di studiare, e che alla fine si trasformavano in una grande riunione di amici, arricchita da risate e chiacchiericci.
Spesso, dopo, si andava insieme a cercare una delle vecchie osterie, frequentate una volta solo da muratori, meccanici o altri operai in pausa pranzo, ed ora meta ambita di tanti studenti.
Sui tavolacci arrivavano così delle salsicce arrosto fumanti, spesso aromatizzate con semi di finocchio, che venivano annaffiate col robusto vino rosso della casa. E dire che Antonio fino a qualche anno prima non aveva mai assaggiato un sorso di vino né bevuto un caffè!
CONTINUA
Ripensava a tutto questo mentre,
seduto di fronte al mare di Capo Mulini, s’interrogava sul proprio futuro
confrontandosi con quello degli altri.
-Penso che cercherò al più presto
di trovare un lavoro -disse Antonio-
-E l’università? -chiesero gli
altri- e la laurea?
- No, non penso di lasciare. Al
contrario, cercherò di sbrigarmi a prendere le ultime materie. Addirittura,
voglio partecipare alla selezione per un corso privato esterno che sta
organizzando il Dipartimento di Sociologia sui temi dello sviluppo del
Mezzogiorno. Sembra che sarà un corso
molto qualificante, con lezioni tenute da professori come Michele
Salvati e Vianello. Vi saranno poi tutti i professori di Sociologia economica
della Facoltà e lo stesso Preside. Oltre a questo, però, voglio cercare di
partecipare il prima possibile a dei concorsi. Considerati i tempi che ci
sono fra la data degli esami ,i
risultati e le successive assunzioni è
meglio iniziare subito. Adesso in famiglia i soldi sono pochi anche se mia
madre ha la pensione di reversibilità e non abbiamo affitto da pagare.
-Hai ragione! E’ meglio per tutti
darsi una mossa e sbrigarsi. Ormai il
Movimento è finito ed ognuno di noi deve trovare la sua strada
-Si ma è importante restare amici
-rispose Antonio – Non possiamo perderci e fare come se tutto quello che
abbiamo fatto fosse stato niente. Io penso che dovremmo parlare fra di noi e
capire insieme come affrontare questa fase della nostra vita in un modo nuovo.
-Che vuoi dire? Risposero gli
altri
- Perché non dobbiamo aiutarci a
comprendere se è possibile vivere nella
società in un modo nuovo? Negli USA vi sono stati e vi sono ancora gli Hippies che vivono in
comunità e si dividono tutto. Molti giovani hanno un nuovo modo di pensare alla
vita . al lavoro , all’amore , al sesso.
-Si ma sono fuori dalla
realtà e non hanno coscienza politica –
rispose Bruno- Noi siamo molto più avanti di loro. Noi abbiamo partecipato al
movimento rivoluzionario degli studenti e degli operai. Noi abbiamo una
visione del materialismo storico
che questi non sanno neanche che cos’è.
Questi non hanno storia alle spalle . Vuoi mettere la lezione della Resistenza? Le lotte
operaie? La lezione di Lenin di Gramsci
e Togliatti .Le ultime considerazioni di Mao e la rivoluzione culturale.
-Lo capisco, hai ragione -disse
Antonio- Io non metto in discussione tutto questo. Credo nell’importanza del
partito e del sindacato e di continuare il nostro impegno politico ma non siamo
più nella fase del Movimento . Oggi sugli aspetti della vita personale siamo
abbastanza soli. Per esempio vuoi prendere la musica ? Io non me la sento di
ascoltare solo le canzoni popolari e dire che tutto il resto è reazionario . A
me piacciono le canzoni di Lucio Battisti
che non si possono ascoltare perché è fascista.
- Va beh! rispose Carlo , certo
non è un esempio di progressismo. Ma l’hai sentito mai quando canta “ Emozioni”? Ma che caspita di
senso hanno le sue canzoni? Ascolta qua “ ……”sdraiarsi felice sopra l'erba ad
ascoltare un sottile dispiacere” …. E
poi senti questa….”.E stringere le mani per fermare qualcosa che e' dentro me,
ma nella mente tua non c'e'” .- Ma di che sta parlando?- Ascolta,
ascolta……..”Capire tu non puoi …..tu chiamale se vuoi emozioni “ – Ma
finiamola!
- Eppure ti posso dire che le sue
canzoni mi hanno accompagnato in questi anni
al pari di quelle rivoluzionarie-rispose
Antonio- Quando ero innamorato di Francesca
la sua canzone dallo stesso
titolo mi sembrava una cosa mia. E “i giardini
di marzo”? Ascolta, lasciamo perdere per
un attimo Battisti. E Woodstock? Che ne pensi?
- Che vuoi che ne pensi? Non la
condivido -rispose Carlo- Questo affidare alla droga e alla musica il motivo per stare insieme è una cosa che
non mi piace. Queste adunate gigantesche per fare che? Dove è l’impegno sociale
di queste persone?
-Carlo , io non voglio copiare
queste persone e ti ho detto che non rinnego l’impegno sociale. Sono solo
curioso di capire anche questi aspetti delle società diverse dalla nostra.
Voglio sentire quella musica. Voglio capire cos’è quel nuovo modo di vivere di
cui parlano. Tutto qua. E poi ricordati le loro lotte per i diritti civili e
contro la guerra. Il primo movimento degli studenti è nato a Berkeley
Io non parto da posizioni
predefinite, voglio solo, insieme a voi, cercare di capire se è possibile
tornare alla vita comune, comportandosi
diversamente dai nostri genitori? Non so se sia giusto o sbagliato . Voglio
capirlo.
-Non m’interessa Antonio -
rispose Carlo- Non so che ne pensate voi, ma a me interessa altro. Ho
l’opportunità di partecipare ad uno
spettacolo teatrale di Giorgio Gaber e penso di andare a vivere a
Milano per qualche tempo.
- Bravo Carlo! – esclamarono tutti in coro-Come hai fatto?
Come lo hai conosciuto?
-E’ successo quando Giorgio è venuto a presentare il suo
ultimo spettacolo, questo inverno. Ha chiesto di conoscere qualcuno del
Movimento che si occupasse anche di
spettacolo ed abbiamo passato una serata insieme alla sua Compagnia. Mi ha
sentito cantare e mi ha proposto di partecipare con alcune canzoni al nuovo
spettacolo a cui sta lavorando; … io ho accettato. Dovrei partire per
Milano a settembre.
La serata finì così. Sull’entusiasmo suscitato dalle parole
di Carlo, con la prospettiva del suo soggiorno a Milano e della
partecipazione allo spettacolo di Gaber,
che ci sembrava un sogno di buon augurio per il futuro di tutti.
CONTINUA
L’estate era nel suo pieno splendore. Antonio era solo a casa. La madre aveva accettato l’invito del fratello, che abitava a Roma, di passare un periodo in quella città, per non stare troppo sola dopo la morte del marito.
Certo, c’era Antonio , ma Lui non poteva starle dietro tutto
il giorno e Lei neanche lo desiderava.
Preferiva vederlo riprendere la sua vita con i suoi amici ed i suoi interessi
per superare anche Lui quel brutto momento.
No, era meglio così!
Era partita per Roma con il fratello, che era venuto a
Catania per i funerali insieme alla
moglie, e sarebbe tornata agli inizi di ottobre.
Le giornate di Antonio passavano così, senza un impegno
preciso. Spesso andava al mare, dove L’estate era nel suo pieno splendore.
Antonio era solo a casa. La madre aveva accettato l’invito del faceva delle
lunghe nuotate e prendeva il sole, anche
se era naturalmente “ abbronzato”. Quella era una battuta che utilizzava spesso
anche con i suoi amici e soprattutto con le ragazze per esaltare la sua tintarella naturale
rispetto al colorito bianchiccio di chi cominciava a prendere il sole ad inizio
stagione e rischiava pesanti scottature. Oltre che nella lunga striscia di sabbia della “plaia” che
continuava , senza soluzione di continuità fino ad oltre la foce del Simeto e
poi ancora verso Siracusa, gli piaceva, forse ancora di più, bagnarsi nell’altro
lato della costa. Nel tratto di mare a
Nord, in direzione di Messina .
Quella era, al contrario, una costa rocciosa. Una
costiera formata dalle eruzioni laviche
dell’Etna giunte sino al mare. Gli scogli di pietra lavica si succedevano l’uno
dietro l’altro, con forme diverse, creando un ambiente naturale all’interno del
quale era facile trovare minuscole forme di vita. Spesso, si trovavano sulla
superficie degli scogli delle cozze nere o delle “patelle” , piccole conchiglie
che si attaccano a ventosa .
Se poi si guarda sotto il livello dell’acqua, la costa è un pullulare di piccoli pesci , ricci di mare, qualche
polpo che trova facilmente la sua tana
tra gli anfratti degli scogli. Un vero paradiso!
I ricci di mare erano una delle passioni di Antonio. Gli
piaceva assaggiare quelle gustose ed aromatiche uova arancioni con qualche
goccia di limone spremuta sopra. Quando
era bambino , i suoi genitori lo portavano a volte nella vicina Acitrezza, dove
vi era un’intera piazza attrezzata con tavolacci e panche di legno in cui le
famiglie catanesi, la sera della
domenica, si rimpinzavano di cozze nere e ricci di mare. La quota media dei ricci si aggirava almeno sulla trentina a
persona!
Un altro rito domenicale, che ricordava con altrettanto
piacere, era invece costituito dalla salita a Zafferana Etnea , un paese sulle
pendici dell’Etna , dove, nella piazza principale prospiciente all’ingresso dei
giardini comunali, erano posti una miriade di tavoli per far gustare ai golosi catanesi le
famigerate pizze siciliane :dei calzoni fritti ripieni di “tuma” ( formaggio
fresco di pecora) e acciuga.
Si poteva poi
concludere la cena assaggiando una specialità tipica di quel locale: i biscotti
chiamati “sciatore”. Una specie di biscotto Regina gigante , della lunghezza di
ca. dieci centimetri, interamente ricoperto di cioccolato. Si dice che il
nomignolo “ sciatore” sia dovuto al fatto che gli sportivi appassionati di sci
, prima di procedere più avanti sulla strada verso le piste, si fermassero a Zafferana
per fare colazione, appunto con
quei biscotti. Dall’altro lato della piazza si stagliava poi la chiesa
principale del paese conferendo a quel posto un pizzico di maestosità.
Vi erano due strade principali per arrivare sull’Etna.
La prima passava per
Nicolosi e saliva al rifugio Sapienza ed oltre
da dove, accanto al “cratere
vecchio”, partiva la funivia che portava alle piste di neve.
La seconda passava per
“i monti rossi” e proseguiva verso Zafferana oltre la quale si saliva,
attraverso una strada panoramica, da cui si poteva vedere anche il mare, su di
un versante boscoso e naturale
all’interno del quale sorgeva l’albergo “ Emmaus” .
Lì si poteva passare un bel
soggiorno in mezzo alla natura ed al
verde incontaminato dei boschi . Da Zafferana poi si poteva prendere una strada che da Santa Venerina scendeva
serpeggiante verso la costa all’interno
di un panorama mozzafiato.
I ricordi estivi di Antonio erano disseminati fra quelle
località dove era abitudine quasi ogni sera, per i giovani catanesi, recarsi a
cercare qualche locale dove passare la serata o ritrovarsi insieme nella casa
di villeggiatura di qualcuno dei genitori. Quasi nessuno rimaneva la sera a
Catania Centro perché offriva poco per
i giovani. A parte qualche locale di livello elevato e qualche cinema, non
c’erano situazioni attraenti per passare la serata. Solo da qualche anno,
grazie alla frequentazione dei giovani studenti di sinistra alternativi, le
antiche osterie si erano pian piano trasformate in accoglienti trattorie dove,
ad un prezzo contenuto, potevi gustare le specialità della cucina tradizionale.
Antonio ed i suoi amici avevano scoperto e fatto sviluppare
una piccola osteria nel quartiere Borgo che ormai era diventata un punto alla moda
e ben frequentato. In fondo, in giro trovavi sempre le stesse persone. Le
trovavi nelle manifestazioni politiche, in quelle sportive, al cinema,
all’università, a passeggio ecc. ecc.
Ad Antonio piaceva andare anche a gustare le bistecche di
carne di cavallo arrosto cotta su piccoli bracieri piazzati sulla stessa strada
accanto alle osterie ad esempio di Via Plebiscito, vicino al quartiere popolare
di San Cristoforo.
Lì, ricordava Antonio, aveva vissuto una delle situazioni
più comiche della sua militanza politica. Insieme ad altri compagni di uno dei
cosiddetti “gruppuscoli extraparlamentari” doveva organizzare un comizio in una
piazzetta di quel quartiere. Erano arrivati con diverse auto piene di manifesti
d’appendere sui muri, con i megafoni e l’attrezzatura di legno per predisporre
una specie di piccolo palco.
Era ormai sera e ,qualche
minuto dopo aver cominciato ad affiggere i manifesti e disporre le barre di
legno per il palco, una piccola folla di persone del quartiere cominciò ad
aggirarsi intorno, curiosa ed infastidita della loro presenza, considerata
sostanzialmente estranea. Mentre cominciavano a formarsi dei piccoli capannelli
di discussione e di protesta, nel frattempo, erano arrivati un nugolo di
bambini-ragazzi di quell’età pericolosissima compresa fra gli otto e i dodici
anni che, in men che non si dica, cominciarono a distruggere tutto quello che i
“compagni” avevano realizzato, portandoselo via, fuggendo da tutti i lati e
ritornando da mille altre parti fra le risate degli abitanti del quartiere.
I “compagni”
provarono inizialmente a protestare ed anche a minacciare, ma furono
letteralmente travolti dal combinato fra adulti minacciosi e bambini/ragazzi
velocissimi distruttori e rapinatori.
La figuraccia era ormai consumata ed il comizio
improponibile!
La versione ufficiale fu di sconforto e di rabbia; ma,
bisogna confessare che Antonio ed i suoi più cari “compagni” non riuscivano a
smettere di ridere, commentando la serata all’interno dell’auto che li
trasportava a casa.
Durante quelle giornate, Antonio si vedeva più spesso con Alberto
e Sandro. Alberto era un collega dell’università con cui erano diventati amici
sia sul piano politico, ma soprattutto su quello personale, confidandosi la
delusione per i due grandi amori sfortunati di cui erano stati protagonisti.
Antonio, durante quegli anni universitari, aveva amato Francesca e con la
stessa intensità Arturo aveva amato Silvana. Sandro invece era un amico
d’infanzia. Con lui aveva frequentato la scuola elementare, la media e il Liceo
Scientifico. Sandro era l’amico con cui Antonio si vedeva separatamente
dall’ambiente dell’università ed anche dalle frequentazioni relative alla
militanza politica di quegli anni. Con lui aveva fatto i primi viaggi fuori dall’Italia
ed era una presenza costante della sua vita.
Antonio ed Alberto facevano spesso coppia per conoscere
nuove ragazze ed i commenti seduti in macchina a fine serata, sotto casa di
Antonio, duravano anche delle ore.
Antonio aveva la patente ma non l’automobile. Non era molto
appassionato della guida, ma non aveva del resto i mezzi economici per
acquistare un’auto. Il pilota ufficiale era, pertanto. Alberto che, al
contrario, era un grande appassionato di motori ed affezionatissimo alla sua Cinquecento.
Una sera, tornando da una serata con pizza in un paesino sulle pendici
dell’Etna, gli equipaggi amici, man mano che si scendeva lunghe le strade
tortuose che portavano in città, si sfidarono in una pazza corsa. Nella Cinquecento
di Alberto, stava seduto a lato Antonio, mentre, nell’altra auto, c’erano Mimmo
e Marcello, due colleghi ed amici universitari. Man mano che si andava avanti,
Alberto prese un vantaggio sull’altra macchina. I volti dei due giovani erano
tesi ed eccitati. Nell’ultimo tratto, prima di arrivare in Città, il percorso
era a senso unico ma con una strada stretta e tortuosa. Le curve si succedevano
l’una all’altra rapidamente, mentre la macchina avversaria incalzava da vicino.
Ad un tratto, subito dopo una curva, ecco che l’auto di Alberto ed Antonio si
ritrovò improvvisamente con un muro
davanti che copriva una curva a gomito. La Cinquecento era lanciata e frenare
sarebbe stato un disastro, con uno schianto certo. Non c’era abbastanza spazio.
Alberto, senza pensarci su, entrò nella curva a gomito e di
controsterzo portò la macchina fuori da quell’incubo. Antonio era rimasto
freddo e vigile, teso come un arco. Un boato uscì dalle gole di Alberto ed
Antonio misto ad una risata che squarciava il silenzio assordante di qualche
istante prima. Non riuscivano a credere di esserne usciti fuori senza danno e,
subito, alla tensione subentrò un senso di trionfo e di potenza. L’altra
macchina, che li seguiva, si accostò con calma alla Cinquecento di Alberto, che
ora procedeva lentamente.
- Ma siete pazzi? - gridò Mimmo- affacciato dal finestrino
della sua auto
- Si, è stato pazzesco – rispose Antonio – mentre Alberto gridava
e rideva!
Tutti, dopo, scesero dalle macchine per abbracciarsi e
ridere senza fine
Qualche tempo dopo, durante
l’estate, Sandro ed Antonio organizzarono una passeggiata pomeridiana al Luna
Park con alcune ragazze che abitavano vicino a casa di Sandro. Una delle due ragazze si
chiamava Lina, abitava proprio nel suo stesso palazzo e si conoscevano sin da
piccoli. L’altra ragazza, amica di Lina, abitava poco distante, in un villino a
due piani degli anni ‘50 ,e si chiamava Laura. Era molto carina; anzi, nel
gergo che si usava tra maschi, si poteva affermare che era proprio “bbona”.
Era una giornata calda, ma con il
cielo terso che rendeva sopportabile la temperatura elevata. Ben diversa dalle
giornate di scirocco, quando il termometro saliva insieme ad un alto grado
d’umidità rendendo il caldo insopportabile. Il Luna Park si trovava sul lungo
mare nuovo dopo Piazza Europa dalla parte della costa verso Ognina, Aci
Castello ecc. I ragazzi si organizzarono per andarci con la macchina di Sandro, con Antonio a lato e le due ragazze dietro.
Sembravano tornati bambini quando
gridavano eccitati sull’Otto Volante. Dopo, dall’altezza della grande ruota
poterono ammirare romanticamente il tramonto sul mare e quindi si tuffarono in
una sparatoria al bersaglio dove Antonio, con il suo fucile, diede prova di una
grande mira e, dopo aver collezionato un innumerevole numero di centri, vinse
uno splendido orsacchiotto che regalò a Laura.
Al ritorno, la composizione
dell’equipaggio in macchina fu diversa.
Sandro sempre alla guida ma con accanto Lina ; mentre, Antonio fece compagnia , nel sedile posteriore, a
Laura. Antonio sentiva la vicinanza della ragazza accanto a sé ed il suo calore
lo eccitava. Non poté fare a meno, quindi,
di avvicinare la sua coscia a quella di Laura e contemporaneamente
prenderle la mano. Laura non disse niente ma non ritirò la mano , lasciandola
in quella di Antonio. Per tutto il tragitto non parlarono , mentre il cuore di
Antonio batteva all’impazzata, la sua mano accarezzava quella di Laura e le due
cosce continuavano a mantenersi strettamente attaccate.
-Ciao a presto- gli disse
Laura-come se non fosse successo niente-
-Ciao ti telefono -rispose Antonio.
Nei giorni seguenti, Sandro confidò ad Antonio di aver avuto sentore da Lina circa una richiesta di notizie di Laura su di lui.
In particolare, voleva sapere che
tipo eri – gli disse Sandro- Se sei un pazzo, un farfallone , uno… stronzo.. in
poche parole, che si diverte a prendere in giro le ragazze per prenderle e poi
lasciarle.
-E Lina che le ha detto? -
chiese questo punto Antonio
- Che ti conosce da sempre
-rispose Sandro- Che puoi dare l’impressione di essere impulsivo, ma che sei un
bravo ragazzo. Laura a questo punto si è tranquillizzata e sembra che sia in
attesa di una tua telefonata. Che aspetti?
-Niente. Hai ragione. Oggi la
chiamo- concluse Antonio
Quel pomeriggio la chiamò e
comprese, con piacere, che Laura ne era rimasta contenta.
Si videro un pomeriggio, per una
passeggiata ed un cinema. Lei era venuta con la sua cinquecento bianca.
Lasciarono l’auto vicina al cinema Odeon
in una traversa di Via Umberto e decisero di fare due passi a piedi,
visto che mancava una mezz’ora per l’inizio del film.
Laura accettò che Antonio la
prendesse sotto braccio e lui ne
approfittò per sfiorarle il seno. Il contatto fra di loro era magico e carico
di passione. Svoltarono in una viuzza secondaria , senza gente, e si baciarono
a lungo. Non riuscivano a staccarsi e così
fu anche durante tutta la proiezione del film. Il contatto, seduti l’uno
accanto all’altra nel buio della sala cinematografica, era ancora più intenso.
Antonio non riusciva a trattenersi e
Laura non si tirava indietro. Da quel giorno la loro confidenza diventò sempre
più forte e per tutto il tempo che stavano insieme erano appiccicati l’uno
all’altra. Antonio confidò a Laura che
per lui era la prima volta e che la desiderava tanto. Lei ne fu contenta e gli
confidò che aveva già fatto l’amore con il suo precedente fidanzato.
Approfittarono del fatto che la madre di Antonio era in viaggio a Roma dal
fratello e andarono a casa sua. La prima volta di Antonio fu così ,proprio a casa sua. Nel suo letto e
amorevolmente guidato da Laura. Quella ragazza lo faceva impazzire! Il piacere
di Antonio aumentava, senza che potesse controllarlo, nel seguire la passione
di Laura , i cui gemiti diventavano grida seguendo il ritmo dell’amore. Antonio
si ritrovò così a fare di nuovo l’amore con Lei e questa volta a lungo ,
desiderando che non finisse mai e trovando quindi la felicità insieme .
Da quel giorno , ovunque si
trovassero erano un corpo solo , una sola passione che li travolgeva. La madre
di Antonio stava per tornare a casa e così diventò necessario trovare un posto
dove incontrarsi. Antonio trovò una piccola casetta di un vano con bagno e con la porta d’ingresso affacciata in un
cortile di un quartiere popolare a due passi
dalla via che portava alla Plaja.
L’anziana signora proprietaria lo aveva
accolto con simpatia ed avevano concordato un prezzo accettabile per l’affitto.
Alberto lo aiutò a portare un letto ed un
materasso nella casetta .Quella mattina , prima di chiedergli la
cortesia di aiutarlo, quando Alberto aveva bussato per venirlo a prendere ,
Antonio , sulla porta di casa , sorridendo gli aveva detto:“ fatto”. Alberto
aveva capito subito di cosa si trattava e
sorridendo lo aveva abbracciato forte.
-Bravo Antonio . Ce l’hai fatta!
Raccontami com’è stato ?
- Non c’è cosa più bella Alberto
e quando la vedi godere ti fa impazzire: E’ come se trovassi finalmente la casa
che hai sempre desiderato! Adesso però mi devi aiutare a traslocare.
Antonio cominciò a raccontargli
della casa presa in affitto e della
necessità del trasporto almeno di un letto e di un materasso. Facendo un
sondaggio fra gli amici, trovarono una rete pieghevole adatta allo scopo ed un
materasso. Così, in un baleno, la casa era arredata.
Antonio e Laura divennero degli assidui frequentatori di quella casa, donandosi i loro corpi e la loro passione.
Qualche tempo dopo, Laura invitò
Antonio a casa sua e gli fece conoscere
i suoi genitori . Erano persone simpatiche ed aperte. Certo, fu per loro una sorpresa vedere che il ragazzo della figlia era di
colore. Parlando con il padre di Laura , Antonio fu contento di capire che era un progressista e sindacalista . Parlarono a
lungo, ma discretamente. Gli chiese quali fossero i suoi progetti per
l’avvenire . Antonio gli raccontò che era rimasto senza padre da poco e che contava
di laurearsi al più presto e trovare lavoro, cominciando anche dal basso se era
necessario. Aveva anche della aspirazioni per la carriera universitaria , ma la
cosa era molto difficile. Certo, era ben conosciuto e stimato da tutti i
professori ma non era detto che accettassero di avere come assistente un
contestatore . Laura, dopo un po', lo tolse dall’imbarazzo per fargli vedere la
sua stanza e si baciarono appassionatamente anche con i genitori di lei a due
passi, nell’altra stanza. Laura era molto contenta di quell’incontro ed il
giorno dopo volle parlare con Antonio
del loro futuro.
-Antonio che ne pensi di noi due? Stiamo bene insieme
, vero?-disse Laura
- Si! Io ti amo -rispose Antonio
- Anch’io disse Laura e voglio
vivere con te. Fidanziamoci e appena
avrai un lavoro potremo sposarci.
- Laura io non credo nella
famiglia tradizionale- rispose Antonio- Io voglio essere libero e seguire i
miei sentimenti senza ipocrisia: Noi staremo insieme, vivremo insieme fino a
quando ci ameremo ma dobbiamo essere
liberi di lasciarci se il nostro amore un giorno dovesse finire: Non possiamo
esser schiavi di un’ istituzione ipocrita. Non ne abbiamo bisogno. Il nostro
amore e la nostra passione sono più forti di ogni regola.
- Antonio , io non voglio essere
la tua amante o qualche cosa di peggio,
che usi e lasci quando vuoi- disse Laura- Io voglio un avvenire con una persona che si voglia prendere cura di me. Una
persona che si prenda degli impegni importanti per stare con me.
- Laura non ci capiamo- rispose Antonio-
Io voglio stare con te. Io ti amo e mi voglio prendere cura di te in un modo
nuovo: Noi dobbiamo esser dei compagni di vita , liberi ed uniti affrontando
insieme il futuro fino a quando ne saremo convinti : Senza finzioni od obblighi
al di fuori del nostro amore.
Laura non rispose ma era cambiata
in volto.
- Così non m’interessa Antonio –
gli disse- pensiamo ad una vita diversa ed è meglio che ci pensiamo sopra tutti e due.
Da quel momento Laura non accettò
più di uscire con Antonio, nonostante lui glielo chiedesse ogni giorno ed ogni
volta che Lei rispondeva al telefono. Poi cominciò a negarsi . Rispondeva
sempre la madre o qualche volta la sorella più piccola . Antonio era distrutto.
Vagava per la città come un cane
randagio. Poi ricominciò a parlare con i suoi amici di quello che era successo.
Alberto gli diede torto. Se si aveva la fortuna di una passione come
quella perché non pensare al matrimonio?
Gli altri invece , specialmente Maurizio
, Mimmo e Beppe erano d’accordo con Antonio. Non si potevano tornare a seguire le regole della società che avevano contestato. Dovevano
vivere in un modo nuovo. Dovevano capire insieme come si poteva costruire un
mondo nuovo!
Si cominciarono a trovare a casa
di Antonio, perché la madre era ripartita per Roma e così si era tutti più
liberi. Si vedevano dopo cena e la prima grande passione comune era
rappresentata dalla musica e dal modo di viverla insieme. Ognuno portava dei “long
playing” e si ascoltava la musica liberamente sdraiati sul pavimento del salone
della casa di Antonio, utilizzando i cuscini del divano e di altre stanze, per
stare più comodi. Si spegnevano le luci centrali, mantenendo solo quella della
lampada ad angolo, e si ascoltava la musica in sottofondo, entrando contemporaneamente
in una fase di rilassamento e di meditazione.
I dischi preferiti erano quelli
dei Pink Floyd e specialmente “Atom Earth
Mother” e “The Dark Side of the Moon”.
Erano molto apprezzati anche i
King Crimson ed i Genesis…Emerson, Lake e Palmer ma anche i cantori della West
Coast a cominciare da Crosby, Still, Nash e Joung. Piacevano anche i Traffic ,i
Jefferson Airplanes, gli Hot Tuna, gli Yes e Simon e Garfunkel , gli Eagles e
tra gli italiani soprattutto la PFM ed il Banco del Mutuo Soccorso, di cui
alcuni avevano ammirato il concerto tenuto all’interno del festival dell’Unità a Roma.
Era stato definitivamente
sdoganato Battisti, amato praticamente da tutti. Si fumava tanto e spesso. Quando
qualcuno rimaneva senza sigarette, si fumava la stessa girandosela gli uni con
gli altri. Poi, quasi inavvertitamente, cominciavano le discussioni. Prima
interessavano magari i due più vicini. Dopo, qualcuno si avvicinava seguito da un
altro ancora e così via.
In quella dimensione, confidenziale e di amicizia personale, era
più facile mostrare il proprio animo e parlare di se stessi e dei propri
problemi. Il gruppo iniziale, sempre presente in quelle serate, non superava le
tredici , quattordici persone fra
ragazzi e ragazze. Si era valutata l’ipotesi di ripetere l’esperienza delle
comunità Hippies americane; ma, alla fine,
si era stati tutti contrari.
Non c’erano le condizioni per un’esperienza di quel tipo. Nessuno aveva una particolare abilità
artistica, artigianale o lavorativa che potesse dare vita immediatamente ad un
percorso comune di lavoro autonomo, con degli introiti da dividere, per tentare l’avvio di una comunità. No, era meglio non
porsi quell’obiettivo e limitarsi, per il momento, a discutere su come vivere,
ad esempio, i sentimenti più intimi in maniera diversa dal passato. Senza
sottomettersi all’idea di ripetere i ruoli
sociali prefigurati.
Le discussioni più sentite
riguardavano soprattutto i sentimenti ,
l’amicizia , il sesso , l’amore.
Se la proprietà privata era un
furto come si poteva concepire che si avesse la proprietà di una persona ?
L’amore doveva essere libero e seguire sempre il proprio libero impulso. Senza
obblighi e costrizioni. La fedeltà non
aveva senso, se era un obbligo.
L’istituzione familiare aveva un
senso? Forse, per garantire i figli, si poteva fare un compromesso; ma, solo
dopo una normale convivenza e sempre che,
nel frattempo, non si avessero nuovi rapporti.
Antonio seguiva con attenzione
questi discorsi e li condivideva; ma,
come tutti, poneva poi il problema di accettare l’evidenza dell’innamoramento.
Non c’era dubbio che ci si innamorasse ed allora che senso aveva parlare di libero
amore? Forse, si poteva dire che la
libertà non poteva negare il sentimento
particolare nei confronti di una persona speciale. Così tutti accettarono il
concetto che si potesse avere un
rapporto “privilegiato”. Un rapporto di coppia speciale che, comunque, doveva
essere vissuto in piena libertà da parte dei componenti della coppia e senza escludere le altre persone,
isolandosi.
In quei giorni era tornato
da Firenze Eugenio, un amico fraterno di Antonio , suo compagno di
banco al Liceo, che si era trasferito in
quella città per iscriversi alla facoltà di Architettura.
A tempo perso s’interessava di
yoga, meditazione e psicologia di gruppo. Con i suoi amici, a Firenze, aveva
sviluppato discorsi molto simili a quelli del gruppo di Antonio. Avevano vissuto un’esperienza interessante, chiamata “ psicodramma”, di cui Eugenio era
entusiasta, e subito propose ad Antonio di sperimentarla insieme ai suoi amici.
La proposta fu subito accettata
da tutti che, curiosi, aspettarono con impazienza la sera stabilita oper
provare questa nuova esperienza. Come sempre, l’appuntamento era a casa di
Antonio, approfittando della lunga assenza della madre e del fatto che l’appartamento aveva un ingresso autonomo ed i vicini , anziani , non venivano
disturbati più di tanto.
La musica di sottofondo era
d’obbligo e come sempre la preferenza fu accordata ai Pink Floyd. In prima
battuta, tuttavia , questa volta Eugenio
diede disposizione di mantenere le luci centrali del salone tutte
accese. Dovevano vedersi bene e
sentirsi. Dovevano, infatti, lasciarsi
andare al ritmo lento della musica e ,dondolandosi l’uno davanti all’altro, cominciare a
toccarsi per conoscersi , scambiando poi il compagno o la compagna della
coppia. Poteva dare l’impressione di un “ tuca tuca” di Raffaelliana memoria; ma, lo scopo era quello di superare la
barriera del contatto fisico per creare un nuovo più alto livello di confidenza,
che avesse anche una componente corporale. Quando l’ambiente si era disteso e
ammorbidito. Eugenio fece stendere a turno delle persone per terra chiedendo
poi a tutti di toccarle contemporaneamente. Di carezzarle per tutto il corpo ,
evitando solo le parti intime. Anche Antonio ebbe lo stesso trattamento di
tutti e non poté negare la piacevolezza della cosa unita, per certi versi, ad un certo imbarazzo.
Non ebbe tuttavia il tempo di definire meglio le sue emozioni perché, a quel
punto, Eugenio diede l’indicazione di separarsi tutti , di spegnere le luci e rimanere al buio nel più totale silenzio.
Era una sensazione strana. Non
c’era niente di cui preoccuparsi. Erano tutti amici ; tuttavia, si avvertiva un
sentimento misto fra inquietudine ed empatia. Il tempo passava e l’emozione
aumentava. Ad un certo punto, Antonio cominciò a star male e ,quando Eugenio
chiese se c’era qualcuno che voleva parlare , non seppe trattenersi
dall’esprimere il proprio malessere.
- Cosa senti? Cosa provi? - gli
chiese Eugenio?
- Non so perché…. ma sto male. Ho
una sensazione di fastidio e di oppressione, qui nel buio. Mi sento a disagio-
rispose Antonio
- Cerca di parlare di questo
disagio- insistette Eugenio- di che si tratta?
- Ho come la sensazione di
sentirvi distanti. Di non essere capito. Come se mi sopportaste, ma non vi trovaste bene insieme a me -continuò
allora Antonio
- Pensi che non ti vogliamo bene?
Che non ti consideriamo? - gli chiese Eugenio
- Si…. ho questa sensazione e mi
fa stare male. Mi dispiace e mi sento solo.
A quel punto tutti cominciarono a
parlare e spiegare ad Antonio che, in realtà, lo apprezzavano e gli volevano
bene. Poi, anche altri vollero manifestare il proprio disagio che
fino a quel momento avevano taciuto. La discussione si trasformò così in una
vera confessione collettiva. Il risultato fu che, alla fine, si
sentirono tutti molto più amici di prima e uniti da un vincolo quasi di
fratellanza. La musica continuava a riscaldare l’atmosfera secondo uno stile “New
Age”. Tuti si sentivano più rilassati e cominciarono ad alzarsi ed a ballare
sia da soli che in gruppo, muovendosi liberamente. Le coppie si formavano e si
alternavano con facilità. Antonio si trovò a ballare in gruppo con Alessandra,
una ragazza amica di Alberto con cui
erano usciti alcune volte, con lo stesso Alberto e con Carla , amica di Alessandra. Antonio e Alessandra cominciarono a guardarsi
più intensamente e rimasero a ballare da soli. Poi, senza neanche pensarci,
Antonio baciò profondamente Alessandra che lo corrispose . Continuarono a
ballare ancora un po' insieme, ma dopo
si staccarono per ballare autonomamente in mezzo al gruppo in una sinuosa danza
collettiva .
Da quel giorno le adesioni al
gruppo aumentavano sempre di più. L’interesse cresceva e un giorno c’era tanta
di quella gente che la riunione fra amici diventò in realtà l’assemblea di un
gruppo. Si erano aggiunte diverse persone e soprattutto un’area alternativa che
fino a quel momento non aveva trovato contatti con il mondo della contestazione
politica giovanile. Questi ragazzi avevano sviluppato parallelamente una rete
di attività e di comportamenti alternativi più legati alla musica ed allo stile
di vita. Molti frequentavano sempre gli stessi posti della città per ritrovarsi
e conoscersi. Uno era tipicamente costituito dalla scalinata d’ingresso della
Villa Bellini. A fare da tramite fra gli amici di Antonio e queste nuove
persone erano state, in particolar modo, alcune ragazze simpatizzanti del
Movimento Studentesco ma sempre rimaste sostanzialmente ai margini. Una sera,
discutendo della situazione fra gli amici più stretti, sembrò opportuno cercare
una sede dove incontrarsi perché ormai, considerato il
numero delle persone interessate all’iniziativa, sembrava impossibile riunirsi
a turno a casa di qualcuno. Si trovò così a buon prezzo uno scantinato, in una
zona abbastanza centrale. Si accedeva da un ingresso a livello stradale e
subito dopo con una piccola scaletta si
entrava in un primo vano di disimpegno con bagno attiguo e subito dopo
in una grande sala. Era uno spazio più che sufficiente. Ci si mise subito
all’opera per pulirlo e ripitturarlo di bianco ed alla fine, almeno alla vista,
l’aspetto era soddisfacente. Ognuno poi cercò di portare qualche pezzo di
mobilio non più utile e destinato ad essere eliminato. Delle sedie, dei
materassi vecchi dove sdraiarsi, un tavolo. Antonio portò anche dei quadri che
aveva dipinto qualche tempo prima per colorare un po' l’aspetto delle pareti. A
questi si aggiunsero diversi manifesti.
Era bello poter avere un luogo d’incontro
dove sapevi che avresti trovato quasi sempre qualcuno intento a leggere o ad
ascoltare la musica o a discutere con altri. L’allargamento del gruppo a nuove persone,
con un vissuto diverso, poneva tuttavia non pochi problemi sia di ordine
culturale ed ideale, che pratici. Per la prima volta, quella che era stata
l’omogeneità culturale del gruppo veniva messa in discussione e questo creò non
pochi problemi e divisioni. Molte delle nuove persone che si erano unite al
gruppo non avevano un vissuto di militanza politica ed anzi lo rifiutavano. Sottolineavano,
al contrario, l’importanza di comportamenti che fino a quel momento erano stati
considerati da quasi tutti come sbagliati. In particolare, Antonio ed i suoi
amici si trovarono a doversi confrontare e decidere come comportarsi di fronte
persone che facevano uso di droghe e sostenevano l’idea di un comportamento
sessuale totalmente libero. Una di quelle sere, mentre si ascoltava la musica
seduti tutti insieme per terra su dei cuscini, Antonio vide che in una parte
della stanza alcuni cominciavano a passarsi l’un l’altro una sigaretta accesa,
aspirandola profondamente. Poi, dopo, avvertì un odore particolare ed intenso; mentre,
qualcuno cominciava a gesticolare in maniera strana, come se si muovesse al
rallentatore. Giorgio e Paolo, ragazzi più giovani fra i militanti del Movimento Studentesco e
che fin dall’inizio erano stati fra i protagonisti del gruppo, stavano
partecipando anche loro a quel rito e dopo un po' cominciarono a ridere come se
fossero ubriachi. Giorgio si alzò, un po' barcollando, e cominciò a muoversi
cercando di danzare, seguendo la musica, ed aspirando contemporaneamente lunghe
boccate di fumo. Si avvicinò e sorridendo con voce impastata offrì il “fumo” ad
Antonio che tuttavia rifiutò. Quella era una delle cose da cui non era
attirato. Non lo interessava completamente provare quella forma di rilassamento
o di euforia (supponeva) prodotta da sostanze. In quel periodo, semmai, si era
interessato a forme di meditazione orientale ed aveva sperimentato su di sé
delle tecniche di respirazione e di meditazione. Più volte aveva provato la
meditazione in assoluto silenzio, per molto tempo, in un ambiente naturale che
a lui piaceva molto come davanti al mare al tramonto ed aveva provato quello
che nei libri che aveva letto definivano come “compassione”. Un sentimento di
appartenenza e di compenetrazione nella realtà naturale interna ed esterna al
proprio corpo, accoppiato ad una sensazione di piacere e di emozione.
Giorgio lasciò Antonio e,
danzando, si diresse verso Paolo che “fumava” seduto accanto ad un ragazzo nuovo,
Fabrizio e a delle ragazze che non conosceva. Quel gruppetto si andava allargando
e ben presto alcuni si trovarono a giacere per terra persi nelle loro emozioni,
altri continuavano a ridere in maniera irrefrenabile, altri ancora cominciarono
a toccarsi ed accarezzarsi. Antonio ebbe la sensazione che per lui la serata
era finita e che desiderava uscire a prendere una boccata d’aria fresca. Si allontanò
inosservato e si ritrovo per strada all’interno di una notte ormai silenziosa.
Passeggiava tranquillo andando verso casa accompagnato saltuariamente dal
passaggio di qualche auto. Quante volte era passato per quelle strade!
Conosceva quasi la forma ed il disegno di ogni pietra. Da ragazzo, spesso, i
suoi spostamenti avvenivano di corsa. Gli piaceva correre per la strada per
raggiungere un appuntamento o spostandosi verso una meta. Adesso invece era
bello camminare, solo nella notte, andando verso casa.
Nei giorni seguenti Antonio ebbe
modo di parlare con Giorgio di quella sera e così scambiarono le loro opinioni
sul “ fumo” . Giorgio gli raccontò che
la sua esperienza era stata molto gradevole e che sicuramente l’avrebbe
ripetuta . Anche Paolo e molti altri erano d’accordo su questo punto . Paolo
poi era una persona intelligente e molto curiosa . Diventato più intimo di Fabrizio
, questi gli aveva fatto provare l’acido e Giorgio era un po' preoccupato per Paolo che, spinto dalla curiosità, era pronto
a superare ogni limite e provare
qualunque cosa. Antonio venne poi a
sapere che il “ fumo” era la parte minima del problema. Vi erano diverse
persone nuove che facevano uso di eroina e Giorgio aveva trovato una
siringa nello scantinato. Questo poneva
dei problemi seri ed Antonio decise di discuterne in una
riunione riservata solo ai fondatori del gruppo.
-Ragazzi , premetto che non
faccio un discorso di ordine morale _ esordì Antonio- anche se personalmente
ritengo che l’uso della droga pesante sia dannoso per la salute fisica e
mentale. Non mi venite a dire che un
percorso di riscatto personale e di libertà passino attraverso la dipendenza da sostanze . Questo è il
contrario esatto e penso che tutto quello che volevamo fare, da quando ci siamo
impegnati anche politicamente, era
l’opposto .
- Si ma non starei a giudicare –
rispose Paolo- ognuno segue un percorso originale e deve essere libero anche di
sbagliare, se vuole farlo. Se non si prova , se non si hanno esperienze nuove, non si cresce.
- Ho capito – rispose Antonio- ma
non si deve provare per forza tutto per
crescere . Se sai che qualcosa ti fa male ti fermi;
-E chi lo dice che fa male se non
lo provi? – disse Paolo
- Ragazzi non fermiamoci su
questo punto- disse Giorgio-Il motivo della riunione non è se sia giusto o meno drogarsi. Questo
lo discuteremo dopo. Intanto, dobbiamo
capire come comportarci. Non possiamo permettere che venga usato lo scantinato
per drogarsi in santa pace. Possiamo essere oggetto di perquisizione da parte
della polizia e finire tutti in grosse
difficoltà .Dobbiamo stare attenti ed evitare di trovarci in una situazione non
gestibile.
- Io sono d’accordo - disse
Antonio- dobbiamo garantire che il progetto vada avanti e così mettiamo tutti
in pericolo .
-Che dobbiamo fare secondo voi?- Chiese Paolo
-Posso dire la mia ? chiese
Pippo, che fino a quel momento aveva ascoltato in silenzio.
-Certo – dissero tutti
-Bene! Propongo che le chiavi
d’ingresso siano affidate solo a poche persone-disse Pippo- che garantiscono l’apertura del locale in
determinate ore e giorni assicurando un controllo su quanto avviene, grazie
alla loro presenza. Capisco che comporterà un impegno gravoso e quindi dobbiamo immaginare di
ridurre la possibilità di utilizzo di questi locali; ma , per il momento, farei
in questo modo
- Io direi anche di parlarne alla
prima occasione -aggiunse Antonio- anche a costo di sollevare malumori e
obiezioni . E’ meglio chiarirsi le idee ed affrontare il problema.
Decisero di procedere in questo
modo . Ognuno dei quattro si assunse il
compito di custodire una copia delle chiavi e di gestire un giorno a turno la
settimana sotto la propria responsabilità. Tre giorni restavano non
coperti e lasciati all’iniziativa
libera di ciascuno. Avevano lasciato non
coperti proprio il fine settimana e cioè venerdi , sabato e domenica , quando era facile che potessero essere presenti in
più di una persona.
Decisero di parlarne con gli
altri proprio quel sabato quando, verso sera, sapevano che sarebbero
stati tutti insieme .
Avevano organizzato un incontro
in cui ognuno avrebbe portato qualcosa da mangiare e da bere, per passare insieme la serata. Quando l’atmosfera
era già rilassata e tutti stavano a
proprio agio, seduti a piccoli gruppi chiacchierando fra di loro , Giorgio
chiese un attimo d’attenzione e provò a
spiegare le ragioni della loro decisione, pregando tutti di astenersi
dall’utilizzare droga in quei locali .
Inevitabilmente, pur accettando quella
decisione, molti ne criticarono il significato implicito.
-Questo è un modo di dirci che
non siamo graditi – disse Margherita, una delle ragazze che erano entrate nel gruppo di recente e che era una delle
“alternative “ che occupavano “ i gradini della scalinata di Villa Bellini.- vi spacciate per progressisti ,
dite di voler essere aperti e che desiderate un mondo nuovo ma siete vecchi
dentro.
- Margherita – rispose Pippo- questo luogo , il nostro gruppo può essere
sorvegliato dalla polizia . Gran parte di noi è schedata dalla polizia politica
che controlla le attività giovanili in città e può guardare con attenzione al nostro gruppo. Dobbiamo
stare attenti ed evitare che possano trovare sostanze in questo scantinato o
persone in stato tossico. Lo capisci?
- Si ma Margherita pone un
problema più grosso – intervenne
Fabrizio- Voi non tollerate chi di noi fa uso di droghe. Ho paura che non
solo siate contrari all’eroina o
all’acido, ma anche all’erba, che fa solo che bene! Ti rilassa, ti fa stare
bene con te e con gli altri.
-E’ vero -confermò Margherita
seguita da tanti altri.
-Ragazzi io , personalmente sono contrario all’uso di
droghe -disse Antonio – ma qui non stiamo parlando di questo; ma, di non usarle
in questi locali. Poi , fuori di qui, ognuno è libero di fare quello che vuole.
Io non lo condivido; ma, questo non
significa che non voglio che stiate nel gruppo, esattamente come gli altri.
La discussione andò avanti così
senza una reale intesa; ma, per lo meno, passò il principio di come dovevano
essere utilizzati quei locali.
Uscendo, Antonio si trovo a fare un pezzo di strada
con Massimo , un ragazzone di quasi un
metro e novanta, amico di Giorgio e di ca. due anni più piccolo di Antonio.
Aveva frequentato il Liceo Scientifico
ed ora la sua stessa università.
- Insomma, non lo sopporti proprio chi si droga? –
cominciò Massimo
- No, non è vero- rispose Antonio- non lo condivido ed in alcuni casi
mi dispiace per chi lo fa , specialmente quando è una persona a cui tengo.
Seguì un momento di silenzio. Poi
, Antonio continuò dicendo
-Massimo , ancora, ancora riesco a capire l’uso
dell’erba quando è saltuario; ma, ho dei dubbi che presto o tardi non si crei
dipendenza e, a quel punto, diventa una schiavitù che ti cambia e ti rende
diverso. Non mi piacerebbe caderci dentro. Ma , lasciamo perdere l’erba! Quello
che non posso accettare è che un amico
cada nella spirale della droga pesante. A quel punto per me è come se si
ammalasse. Come fai a dire che è
positivo, che ti allarga la mente , che
ti rende più libero?
- Antonio, fortunato tu che non
ne hai bisogno!-rispose Massimo _ ogni vita è però diversa. Ognuno di noi può
avere dentro un dolore insopportabile da cui riesce ad uscire solo in quel
modo. Finalmente stai bene , sei in pace ! Non soffri più! Ti pare niente?
- Massimo io non sto a giudicare
nessuno. Mi dispiace invece, profondamente, che per uscire dalla sofferenza si
debba farlo in questo modo. Hai tanti amici che ti vogliono bene e ti stimano .
Non ti sentire solo. Tu poi credi in cose belle, che illuminano la vita. Perché devi lasciarti
andare a questa nebbia? A questa visione
nera della vita?
-Antonio sei fortunato , te l’ho
detto. Non sempre è cosi! A volte, ti porti dentro dolori antichi che non se ne
vanno e ti tormentano ad ogni passo. Poi, l’importante è riuscirne a fare a
meno delle sostanze, se lo vuoi . Non diventarne schiavo sempre. Darti delle
regole e
cercare di controllarti, per non aumentarne troppo la necessità.
- Ma tu ci riesci?- gli chiese
Antonio-
- Ci provo -rispose Massimo.-
Ciao , io vado da questa parte
- Ed io per di qua – disse
Antonio scherzando- le nostre strade si dividono!
- Hai visto? Te lo dicevo io!
-rispose Massimo e si allontanò a grandi falcate nella notte.
Antonio non avrebbe mai pensato
in cuor suo che quella era l’ultima volta che lo vedeva e che gli parlava.
Massimo, da quel giorno non si vide più nello scantinato perché aveva
ottenuto un lavoro temporaneo come venditore di una collana di libri e girava
tutto il giorno per la città .
La sera, era stanco morto e
rimaneva a casa.
Tutto normale , tutto regolare !
Passato quel periodo, si sarebbe rifatto vivo, pensarono tutti, ricordando la
simpatia di quel ragazzone.
Ma la vita è particolare – come
ripeteva spesso Massimo – e quel ragazzone non tornò più nei locali di quello
scantinato affittato dai componenti di un gruppo di ragazzi che volevano contribuire a realizzare un mondo nuovo.
Quel mondo, per Massimo, non
c’era più o forse l’aveva già raggiunto in anticipo, giovane vittima di una dose eccessiva o mal tagliata
o chissà che cosa.
Tutto il gruppo partecipò in profondo silenzio ai funerali di
quel “compagno” andato via troppo,
troppo presto.
Da quel giorno nulla fu più lo
stesso.
Quello che era successo aveva
colpito gli animi profondamente e rafforzato in molti la convinzione della
necessità di prendere le distanze da un atteggiamento troppo disponibile nei
confronti dell’utilizzo delle sostanze stupefacenti.
In quel momento, fu accolta con
un certo sollievo la possibilità di accettare l’invito di Eugenio di passare il
Capodanno a Firenze, realizzando in tal modo l’incontro con il suo gruppo.
Eugenio aveva parlato con i suoi amici del gruppo di Antonio e tutti erano
molto curiosi d’incontrarli. Per la maggior parte erano studenti; ma, qualcuno lavorava.
Vi era la possibilità di essere ospitati, in qualche modo, a casa di qualcuno;
mentre, per la notte di capodanno, c’era a disposizione la villa fuori città
dei genitori di una delle componenti del gruppo. La casa disponeva di un salone
molto grande e diverse camere da letto vuote.
Insieme ad Antonio arrivarono a
Firenze altri sei amici, fra cui due ragazze. Le ragazze furono ospitate a casa
della compagna di Eugenio e di una sua amica; mentre, Antonio e gli alti
ragazzi si divisero fra la casa di Eugenio e quella di un suo amico. Questi divideva l’appartamento con degli studenti
fuori sede che, in quel momento, erano rientrati nella propria città.
Erano arrivati a Firenze la
mattina del trentuno ,viaggiando in treno di notte, e già, in quelle prime ore
del giorno, avevano avuto modo di presentarsi agli amici di Eugenio e discutere
a lungo delle proprie esperienze e dei propri interessi.
Nel pomeriggio, si era andati poi
in giro per Firenze. Passare sul Ponte Vecchio fu un’esperienza suggestiva. Camminare
tra quella fila di piccole botteghe, ai due lati del ponte, intravedendo il fiume.
Antonio si guardava intorno e fu impressionato dalla folta presenza di giovani.
La percentuale di ragazzi era molto superiore di quella che era abituato a
vedere, passeggiando per le strade della sua città. Gli spiegarono che la
presenza di studenti fuori sede a Firenze era moto alta e questo spiegava
questa alta percentuale di giovani per le strade. Passo dopo passo, si
avviarono verso il centro, nella splendida piazza dominata dal campanile di
Giotto e dalla basilica di Santa Maria del Fiore. Si diressero poi verso gli
Uffizi e Piazza della Signoria dove era possibile ammirare una copia del David
di Michelangelo e infine tornarono a casa per prepararsi per la sera.
Quel pomeriggio, si era unito al
gruppo di Antonio, Eugenio e i suoi amici
anche Aristide, un compagno di lotte e collega universitario. Era un ragazzo
abbastanza socievole ed un po' timido; ma, allo stesso tempo, molto determinato
nelle sue convinzioni. Sentiva con dispiacere il riflusso del movimento che si
era ormai realizzato; ma, riteneva che tutto questo fosse accompagnato da una
reazione forte e precisa dei ceti dominanti nei confronti della lotta dei
movimenti giovanili ed operai.
-
Stanno cercando in tutti i modi di riconquistare gli
spazi di autonomia, libertà e di coscienza che ci siamo guadagnati in questi
anni. Aiutati anche da un colpevole distacco nei nostri confronti dei partiti
revisionisti- diceva Aristide-
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Pensavamo di poter cambiare le cose sollevando una
grande partecipazione popolare, almeno operaia; ma, mi sembra che oggi siamo di
fatto isolati e presi fra due alternative impraticabili. Fra le forze politiche
tradizionali che hanno abbandonato il progetto socialista ed una
radicalizzazione estremista armata, riservata a dei gruppi ristretti che mi
sembrano al di fuori dalla realtà. – rispose Antonio-
-
Tenete presente che, comunque, la vita va avanti. Noi abbiamo bisogno di
lavorare e trovare una nostra collocazione nella società. Capire se potremo
avere un rapporto con una donna talmente importante da avere dei figli oppure no e vivere
diversamente. Questi sono problemi nuovi che ci riguardano. - aggiunse Eugenio
-
Ma non capite che non c’è spazio per noi se non
facciamo i conti con chi ci comanda? Sembra che gli estremisti siano i gruppi
armati che si stanno organizzando per resistere. E come la vogliamo chiamare la
violenza silenziosa e perbene che strazia la povera gente? Abbiamo visto le
cariche della polizia alle manifestazioni studentesche e anche nei confronti degli
scioperi operai. Abbiamo visto “compagni “chiusi in galera per resistenza, dopo
essere stati picchiati dai poliziotti. Quella non è violenza? Come chiamare i
signori delle industrie che tengono bassi i salari operai, aumentano i ritmi di
lavoro e guadagnano soldi a palate sulle loro spalle? Vogliamo parlare poi
delle condizioni della povera gente nei paesi sottosviluppati? Spogliati e
rapinati delle loro materie prime dalle multinazionali?
-
Aristide, le cose che dici le vediamo tutti ma non sono
evitabili o risolvibili con un atto di
forza di poche persone. È necessario che la gente prenda coscienza
dell’importanza di modificare gli equilibri della società. È un processo lungo
di trasformazione che deve coinvolgere le persone, la loro mentalità i valori
in cui credono. Solo così si possono spostare veramente i rapporti di forza e
perseguire gli obiettivi di equità sociale e di giustizia che desideriamo.
Dobbiamo ottenere il consenso delle persone. Proporre nuove esperienze, modelli
culturali, obiettivi immediati. – rispose Antonio
-
No Antonio- rispose Aristide- Le strutture di potere non
cambiano da sole né si faranno cambiare da una popolazione che controllano e
manipolano come vogliono. Bisogna rompere il “gioco” e c’è chi si sta
preparando a farlo.
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Che vuoi dire? - chiese Eugenio-
-
Non lo so – rispose in maniera elusiva Aristide-
lasciamo stare questi discorsi. Piuttosto, a che ora ci vediamo stasera per
festeggiare il nuovo anno?
-
Ci vediamo tutti nella villa in campagna di Marisa
verso le undici di sera. Ognuno porta qualcosa da mangiare e da bere e così ci
divertiamo e stiamo insieme. Saremo una trentina di persone e per una buona
parte c’è la possibilità di restare a dormire. - disse Eugenio
A quel punto
si salutarono e ognuno si diresse a casa per prepararsi.
Durante la
strada per il ritorno, Antonio ed Eugenio procedevano silenziosi, chiusi nei
loro pensieri. Le frasi dette da Aristide erano state pesanti. Antonio non
avrebbe mai pensato che una persona così mite e gentile potesse giustificare
delle posizioni così estreme. Gli faceva male tutto questo e si sentiva in
dovere di riflettere su quello che poteva significare per la vita di molte
persone. Ripensò anche alla recente scomparsa di Massimo che, per certi versi,
gli sembrava simile a quello che poteva comportare una scelta estrema di lotta
armata.
La realtà era
che per molti giovani di quella generazione era estremamente difficile trovare
una strada praticabile e degna d’inserimento in una società di cui non condividevano le forme e le espressioni.
Troppe cose erano state dissacrate e viste nella loro incoerenza ed ipocrisia
rispetto a quanto veniva ufficialmente dichiarato, per poterci ancora credere.
D’altra parte, ognuno di quei ragazzi desiderava in ogni modo di poter vivere
con entusiasmo la propria vita. Ognuno sperava di poter trovare una strada praticabile per il cambiamento ed il progresso di una società di
cui aveva visto e provato le contraddizioni. La stessa attività politica dei
cosiddetti gruppuscoli “extraparlamentari” sembrava ad Antonio priva di reali
prospettive sia teoriche che pratiche. Sarebbe stata auspicabile una grande capacità
di trasformazione dei partiti popolari ed un ricambio della classe dirigente
con l’inserimento di quella che si era formata nel corso delle lotte
studentesche ed operaie. Sarebbe avvenuto? Era troppo presto per saperlo. Nel
frattempo, la situazione era quanto mai complicata. In fondo, anche il progetto
del gruppo di Antonio aveva a che fare con queste problematiche. In qualche
modo si cercava di capire come relazionarsi in un modo diverso con la necessità
di inserirsi nel mondo sociale adulto senza rinunciare ai propri valori ed alle cose
che si erano comprese.
Qual’era lo
spazio per il cambiamento? In che direzione doveva andare?
Capodanno era
alle porte e tutti i ragazzi erano arrivati alla villa di Marisa
CONTINUA
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