RACCONTI

DUE FAMIGLIE




E così' l'attendeva l'Africa! Questo pensava Gaetano, mentre la nave partita da Napoli continuava a solcare il mare verso L'Abissinia. La terra più a sud dell’impero richiedeva il suo impegno, il suo servizio, ora che i venti di guerra sconvolgevano il mondo e le colonne inglesi puntavano alla conquista di quei territori. Per la prima volta, Gaetano si trovava in un vero viaggio per nave e per un attimo si ritrovò a pensare  a quelli che aveva  dovuto affrontare il padre  per raggiungere l’America e per ritornare in Italia. Anche per lui quel viaggio comportava il trasferimento in un altro continente: l’Africa. Era partito quella mattina da Napoli insieme agli altri giovani carabinieri destinati a prestare servizio ad Asmara in Eritrea.  Appena arruolati, avevano frequentato insieme il corso di formazione nella scuola   allievi carabinieri a Roma, provenienti da tutte le parti d’Italia. Qualcuno era siciliano come lui. Uno era della provincia di Palermo e uno di quella di Siracusa. Gaetano invece era della provincia di Agrigento e precisamente originario di Siculiana. Suo padre, di ritorno dall’America dopo la grande guerra, aveva allargato la proprietà del terreno del nonno, acquisendo diversi terreni limitrofi grazie alle disponibilità rivenienti dal lavoro americano. A New York aveva lasciato una figlia giovane appena sposata mentre lui era ritornato in Italia con gli altri due figli maschi avuti dalla prima moglie, morta prematuramente. Tornato al paese, il padre si era risposato ed aveva dato un nuovo impulso alle proprietà con ottimi risultati. I terreni non erano molto distanti dal paese e, pur se abitavano in un comodo casolare all’interno della campagna di proprietà, era facile raggiungerlo per tutte le attività necessarie. Gaetano era così cresciuto serenamente insieme ai due fratelli del primo matrimonio e le tre sorelle e il fratello del secondo matrimonio del padre. Aveva alternato alla frequenza della scuola il lavoro nei campi, nel periodo estivo, anche se in misura molto limitata. Pur se il paese non era molto lontano dal mare e dalla sua splendida spiaggia, Gaetano vi si recava raramente e non aveva imparato a nuotare. Capitava di andarci, qualche volta insieme al padre, per barattare i loro prodotti agricoli con qualche cassetta di pesce. In special modo, era facile trovare sarde ed alici. Quelle che non si consumavano subito si conservavano sotto sale e costituivano un ottimo pasto al bisogno.  La vita procedeva tranquilla ma il diavolo prepara sempre le sue trappole. Lo zio di Gaetano era commerciante e per la sua attività aveva avuto bisogno di un importante prestito dalla banca locale. Questa aveva voluto a garanzia delle cambiali e, non ritenendo sufficiente solo la firma dello zio, aveva preteso l’avallo da parte del padre di Gaetano che non si era sentito di negare il suo consenso. Il tempo era passato, l’attività commerciale aveva avuto dei problemi e lo zio di Gaetano era risultato inadempiente ai suoi obblighi. In quella situazione, la banca aveva agito legalmente anche nei confronti del padre di Gaetano attaccandolo e privandolo di parte dei terreni. Le prospettive del futuro erano cambiate. La proprietà non poteva bastare più per tutti e anche per Gaetano si pose la necessità di cercare rapidamente una possibile occupazione. Gli era sempre piaciuta la divisa ed una vita attiva e libera. Decise, quindi, di arruolarsi nell’arma dei carabinieri. Era giovane, aveva conseguito il diploma ed era pronto per il servizio militare. A quel punto, meglio provare ad arruolarsi nell’Arma. Superò la selezione e salutata la famiglia si trasferì a Roma per frequentare in caserma il corso di preparazione all’inquadramento in  servizio.

La caserma era in zona centrale, vicino a viale delle Milizie e non lontano da Castel Sant’Angelo e San Pietro. Questo permise a Giovanni di addentrarsi con facilità, nelle ore di libera uscita, per le strade del centro  alla scoperta di quella splendida città. Insieme agli altri due allievi siciliani, dapprima cercarono di visitare i principali monumenti   e successivamente, grazie anche alle indicazioni dei colleghi romani,   scoprirono Trastevere con le sue viuzze  e le sue osterie  popolari dove assaggiare del buon vino, i piatti della cucina tradizionale e scambiare qualche sguardo con  le ragazze.  . Il tempo, tuttavia era passato,  rapidamente  e senza rendersene neanche conto era già sulla nave a ricordare quei momenti con una relativa nostalgia.
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Turiddu camminava velocemente per la via Etnea di Catania tornando verso casa. Si erano trasferiti alla Barriera dopo i violenti bombardamenti alleati dei giorni precedenti  e la delibera di sfollamento decisa dal Governo. Camminava deciso  e con passo militare, portando con fierezza la sua divisa di vigile urbano con i gradi di tenente. Era una condizione che si era veramente sudata. Ricordava quanto aveva studiato per prepararsi  con l’aiuto dello zio Vincenzo, ex appuntato e  fratello della madre, alla selezione per l’assunzione.
Poi, quegli anni erano volati via, tutti d’un fiato. Prima, l’incontro con Maria , il fidanzamento, quindi il matrimonio, l’affitto della casa  in via Etnea  e la nascita di Carmelina. Dopo, pochi anni fa, la seconda figlia Renza ,che ormai aveva due anni e mezzo Le promozioni fino a quella di tenente, il comando alla sezione annonaria ed il controllo del mercato nero, che gli avevano valso la possibilità di non andare in guerra , perché adibito a servizio necessario per la salute pubblica. Ora aveva trentasei anni . Era un giovane alto e forte  e camminava verso casa dopo il turno di lavoro. Se si poteva essere soddisfatti, pure se in un periodo come quello , ebbene lui lo era . Anzi , sostanzialmente orgoglioso del suo lavoro e della sua famiglia. Nonostante la guerra , fino a quel pesante bombardamento , erano riusciti ad andare avanti  senza troppe difficoltà. Certo, tutto era razionato ma le bambine crescevano bene e non gli era mancato niente. Sotto casa loro  , al primo piano dello stabile , abitava una famiglia che gestiva un piccolo panificio due porte appresso , sempre su via Etnea. Col tempo erano diventati amici ed il pane non mancava mai. Turiddu , da parte sua,  si procurava al mercato di tanto in tanto qualche sacco di farina  e Maria  impastava e faceva la pasta fresca. Turiddu era  figlio di dolciere  ed , al bisogno, era in grado di lavorare la pasta lievita e qualche volta preparava il pan di spagna per le bambine. Moto più bravo di lui era ovviamente il papà Giuseppe, il nonno di Lina e Renza. Si, Lina  perché col tempo  il nome troppo lungo di Carmelina era stato accorciato .  La mattina, mentre lui era già al lavoro, Maria  scendeva a piedi dalla Barriera  per portare Lina a scuola  che si trovava in una zona vicina a Via Etnea all’altezza della stazione ferroviaria dei treni locali della Circumetnea. Era questa una linea che collegava a Catania i principali paesini che sorgevano sul versante dell’Etna. Maria portava con se oltre a Lina anche Renza  che, nonostante i suoi due anni e mezzo, era costretta a farsi molta strada  a piedi , lamentandosi continuamente di voler esser presa in braccio. Lina invece aveva già otto anni  e frequentava la seconda elementare. Era la figlia grande ed i capricci era già finiti da un pezzo. Renza invece aveva ancora il diritto di protestare, anche se, comunque, la strada a piedi non gliela toglieva nessuno.  A niente valevano anche le sue proteste quando  , suonata la sirena che avvisava delle incursioni aeree, l’ordine perentorio era di mettersi sotto il letto .” Ma perché sotto il letto ?” gridava piangendo Renza,  mentre mamma Maria e Lina si mettevano sotto il tavolo e papà Turiddu,  per cui non c’era più posto, si metteva sotto l’arco della porta che in caso di crollo doveva in qualche modo resistere. 

Maria e le figlie sotto il piano della tavola e del letto  sarebbero state protette a loro volta  dall’eventuale crollo del soffitto , visto che erano all’ultimo piano dello stabile . Avevano deciso di restare a casa perché il rifugio comune  era un po' distante ed arrivarci con le bambine era difficoltoso : Avevano poi  avuto l’esperienza di passare  molto tempo lì, in attesa di bombardamenti che non arrivavano mai e con una sirena che metteva fine all’allarme solo molto tempo dopo. Questo comportava uno stato di sofferenza per tutti  ma soprattutto per le bambine. Si erano convinti così che il pericolo  era relativo e poteva essere affrontato meglio a casa. Fortunatamente per loro, quando Catania era stata bombardata seriamente  e quarantadue strade con le relative  abitazioni avevano avuto morti e distruzioni , la zona del quartiere Borgo , dove abitavano , non aveva avuto danni ed era stata sostanzialmente risparmiata.  Non avevano avuto invece la stessa fortuna due appartamenti, siti in Via Garibaldi,  di proprietà del padre che con gli affitti arrotondava le sue entrate. Questi erano stati rasi al suolo con le relative vittime umane.  Dopo il bombardamento l’ordine era stato perentorio:” Si doveva sfollare” e Turiddu aveva trovato quella casa relativamente vicina  a Catania ,posta nel quartiere della Barriera. La distanza fra la casa di via Etnea a questa nuova  era nell’ordine di ca. tre chilometri che si potevano fare  a piedi . La  strada era tutta in salita per uscire da Catania . Partendo da casa loro, in via Etnea, si continuava per la stessa  strada,  si superava  a destra il livello della stazione della circumetnea, si superava   quello che era stato il palazzo degli Ardizzone Gioeni , diventato ospizio dei ciechi e si arrivava al Tondo Gioeni , che prendeva sempre il none da quella famiglia nobiliare. Questo era uno slargo posto alla fine di via Etnea , sulla sommità della città, e con alle spalle il vulcano Etna nella sua piena grandiosità. Da quel punto, si saliva  poi per una strada più piccola  con un  dislivello ancora più ripido per circa un altro chilometro, raggiungendo il borgo della Barriera del Bosco, detta comunemente solo “ la Barriera “.
Sia Turiddu che Maria e le figlie si riunivano a pranzo nella casa di via Etnea perché era più comodo. Solo dopo  rientravano alla casa della Barriera. Maria e le figlie  nel primo pomeriggio, Turiddu, invece, tornava al lavoro a Pazza Duomo, dove stava il Comando dei Vigili Urbani, e finito il suo turno, nel tardo pomeriggio, tornava anche lui alla casa della Barriera. Mentre per andare al lavoro , la mattina ,la strada era tutta in discesa; al ritorno , al contrario,  era tutta in salita ed ai tre chilometri della distanza fra la casa in Via Etnea e quella della Barriera si aggiungevano quasi  altri due chilometri  partendo da Piazza Duomo.
Mentre nella sua mente scorrevano questi pensieri,  Turiddu era ormai arrivato quasi  all’altezza di piazza Stesicoro,  sempre su Via Etnea passati i Quattro Canti. La piazza veniva chiamata anche piazza Bellini perché, sulla sua destra,  troneggiava il monumento dedicato  al grande compositore  nativo della città. Anche il teatro dell’Opera aveva preso il nome da questo grande musicista. Sulla sinistra  della piazza  si accedeva invece a  quello che era stato l’anfiteatro greco romano. Questo aveva una parte  scoperta visibile, mentre  un’altra parte continuava  sotto terra. Oltre  questa zona recintata  della parte scoperta dell’anfiteatro, sempre alla sinistra in alto, si poteva ammirare la chiesa  di S.Agata al carcere, dove  la patrona  di Catania sembra fosse stata torturata ed incatenata. Turiddu aveva  da poco oltrepassato Piazza Stesicoro quando, improvvisamente, l’aria venne solcata da un rombo improvviso. La gente  tutt’intorno a lui  rimase di colpo immobile e disorientata  fino a quando, con la stessa improvvisa rapidità,  cominciò a scappare urlando in tutte le direzioni, mentre  appariva sullo sfondo la sagoma di un caccia dell’aviazione nemica.

 Turiddu, accorgendosi di tutto questo , analizzava velocemente tutte le possibilità a disposizione e, mentre l’aereo si avvicinava,   si appiattì contro il muro della parete della strada,  cercando di essere il meno visibile possibile. Il caccia  era isolato. Probabilmente, era in ricognizione; ma, ora, stranamente  e inspiegabilmente,  si orientava contro una popolazione civile e indifesa. Aveva abbassato la sua traiettoria sulla città e  sparava colpi di mitragliatrice, colpendo i marciapiedi  fra le urla delle persone. Era della RAF britannica. Dopo aver superato il livello della Piazza Duomo, adesso, il caccia stava virando per tornare indietro . Turiddu non aspettò un attimo. Non poteva stare ancora lì e decise di correre all’impazzata verso un posto più sicuro Cercava un portone aperto dove infilarsi  per sfuggire all’aereo; ma, molti prima di lui avevano avuto la stessa idea  e, dopo essere entrati, se lo erano chiusi alle spalle .

Turiddu  correva , correva . ma sentiva il rombo dell’aereo sempre più vicino. Ad un certo punto arrivò vicino al palazzo delle Poste,  sulla sinistra di via Etnea, poco prima di Villa Bellini, la più grande villa pubblica  e monumentale della città . L’aereo cominciò a sparare di nuovo e Turiddu sentì i colpi  battere sul marciapiede  poco distante da lui. Fece uno scarto  e salì di corsa i pochi gradini dell’entrata del Palazzo delle Poste , rifugiandosi dentro la grande arcata dell’ingresso. L’aereo , fortunatamente, passò oltre  continuando la sua pazza mitragliata di una strada ormai vuota , sparendo all’orizzonte  oltre l’Etna.

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Si stava bene ad Asmara! Certo, non era Roma; ma, sembrava quasi di essere in una elegante cittadina italiana,  con una vita comoda e gradevole. Gaetano  era già lì da quasi  un anno . Era sbarcato a Massaua  ed era poi arrivato ad Asmara col treno, grazie alla ferrovia costruita dagli italiani che collegava le due città.  L’azione italiana in quel territorio era stata importante. In soli cinque anni,   a partire dal 1936, Asmara aveva  cambiato il suo volto. Era stato  costruito un  grande  aeroporto internazionale  che permetteva  il collegamento  con l’Italia, grazie alla Linea dell'Impero. Era stata inoltre realizzata  una moderna strada asfaltata per Addis Abeba ,detta "Via dell'Impero", una efficiente ferrovia per Massaua e una Teleferica che collegava la città ( posta su di un altipiano  a 2300 mt sul livello del mare) col Mar Rosso  e che veniva considerata  la  maggiore del mondo.  Il volto di Asmara era quello di una città in cui l’opera dei moderni architetti del Regime si era espressa, accoppiando le nuove linee della modernità con un raro equilibrio. Erano stati realizzati  edifici come l'"Art Deco" Cinema Impero, la "Cubista" Pensione Africa, la chiesa ortodossa Tewahdo, il teatro dell'Opera, la costruzione "futurista" Fiat Tagliero, la  Cattedrale secondo uno stile neoromanico ed il "neoclassico" Palazzo del Governatore. La città era piena di ville  in stile "coloniale italiano". Già nel  1939 Asmara aveva una popolazione di ca. 98.000 abitanti, dei quali 53.000 erano Italiani. Era  la principale "città italiana" nell'Africa Orientale Italiana mentre  in   tutta l'Eritrea vi erano ca.  75.000 Italiani.

 La zona centrale della città, dove si trovava anche la caserma dei carabinieri, era riservata quasi esclusivamente agli italiani, C’era poi una zona  periferica destinata ai locali e un’altra  mista per  arabi e indiani i cui progenitori erano arrivati dal Mar Rosso. Il fronte di guerra era sempre più vicino e le cose non stavano andando per  il verso giusto. Giovanni e gli altri carabinieri rimasti ad Asmara erano i custodi dell’ordine pubblico della città; ma, in quel momento, v i era una pesante sensazione di silenzio ed incertezza nell’aria. Poco distante,  a  Tekelezan , le truppe italiane più tenaci ed organizzate stavano cercando di opporre l’ultima resistenza  all’avanzata britannica , ma la nuova posizione era molto meno difendibile  di quella dell’ormai persa Cheren. Verso Cheren erano confluite la 4° Divisione Indiana,  che si era impadronita  del monte Forcuto e di Sanchil  , mentre  la 5° divisione  indiana era riuscita, dopo molti giorni di resistenza italiana,  a forzare il passo di Dongolaas. Adesso si temeva il peggio!
Le notizie che arrivavano erano sempre più sconsolanti e la mattina del 1 aprile 1941  si ebbe la certezza che le truppe britanniche sarebbero arrivate presto ad Asmara : Tekelezan  era caduta!
Gaetano era decisamente preoccupato. La guarnigione di stanza ad Asmara era di una sessantina di carabinieri che regolavano la vita della città e  garantivano la sicurezza della popolazione italiana. Per questo motivo , fino all’ultimo, la scelta dell’alto comando , era stata quella di restare  e di mantenere la presenza dei carabinieri nella  città. Ora, le truppe inglesi stavano per arrivare , occupando l’intera Eritrea. L’Impero  era caduto ed ormai tutto era cambiato. Gaetano, durante quell’anno di permanenza ad Asmara, si era fatto molte conoscenze ed amicizie. Oltre ai colleghi con cui era arrivato in Africa  ed  era stato a Roma,  era legato ai “ siciliani”, un gruppo di persone che si era trasferito nella colonia  in cerca di lavoro ed  un miglioramento delle proprie condizioni di vita.  In particolare, frequentava alcune famiglie che vivevano in città ma erano proprietarie  di diverse fattorie agricole nell’altipiano, con alcuni ettari di terreno dove coltivavano il miglio e  tenevano anche degli animali :  alcuni buoi  e  dei polli . Asmara era un buon centro commerciale e queste persone portavano qui i loro prodotti. Il comando  generale aveva stabilito che i carabinieri di stanza in Eritrea , adibiti all’ordine pubblico, rimanessero nei loro posti, in attesa dell’arrivo delle truppe inglesi, anche a garanzia della popolazione italiana residente e così con trepidazione  tutti erano in attesa del loro arrivo per vedere cosa sarebbe successo.
Adesso, erano ormai alcuni giorni che le truppe inglesi erano arrivate e si erano insediate in città occupando il palazzo  del governo. Presero atto che i carabinieri italiani erano rimasti tutti ai loro posti di servizio e decisero di approfittare  della loro presenza come fattore di mediazione per l’occupazione del territorio nei confronti della parte più importante della popolazione, che era di origine italiana, e  che , in qualche modo , fino a quel momento li aveva considerati come nemici. Presero pertanto contatto  con il comandante dei carabinieri e lo informarono della decisione di accettare la loro collaborazione. Allo stesso tempo , tuttavia, fecero presente che , come d'altronde era comprensibile per chi era stato un militare  per tutta la vita , era necessario un atto formale di adesione al nuovo potere costituito. Desideravano pertanto che ogni carabiniere di stanza ad Asmara prestasse formale giuramento sottoscritto di sottomissione e fedeltà all’impero britannico  e alle sue istituzioni. Questa era la condizione in cambio della quale si sarebbe dato vita ad una forma di collaborazione che avrebbe permesso ai carabinieri di continuare a svolgere il loro servizio , mantenendo la  posizione occupata. Chi non avesse prestato giuramento, sarebbe stato invece arrestato e considerato prigioniero di guerra. Gli inglesi lasciarono il testo del giuramento da far sottoscrivere  da tutti i carabinieri , ma pretesero che una copia fosse firmata immediatamente dal comandante della stazione  e se ne andarono solo  dopo che lo stesso l’ebbe firmata davanti a loro.
Il giorno dopo il comandante della stazione dei carabinieri di Asmara convocò uno per uno i suoi sottoposti richiedendo l’apposizione della firma di giuramento al nuovo potere costituito sul documento predisposto dal Comando di occupazione inglese. Uno dopo l’altro, tutti entrarono nella stanza del comandante e firmarono il giuramento. Venne poi il turno di Gaetano. Gli avvenimenti di quei giorni erano precipitati nella sua mente e nel suo cuore sconvolgendolo. Lui era un italiano, aveva prestato giuramento al Re d’Italia fino alla morte e la guerra non era finita. Si, adesso il comando inglese  aveva il controllo di Asmara;  ma, l’Italia non era ancora battuta e tanti altri italiani stavano combattendo. Lui aveva giurato fedeltà! Perché doveva abiurare  quel giuramento? Non era giusto! Mentre il comandante gli spiegava che il loro compito era in quel momento accettare la situazione per il bene dei compatrioti residenti ad Asmara, Gaetano fremeva . Ad un certo punto espresse con chiarezza il suo pensiero  e il suo rifiuto aperto a quello che gli veniva chiesto. Non l’avesse mai fatto! Il Comandante non era  solito tollerare  il rifiuto di uno dei suoi sottoposti, per qualsiasi motivo, e vide  quel naturale  atteggiamento di perplessità e di disagio di Gaetano come un ‘insubordinazione. Invece di parlargli ancora, cercando di ottenere la sua comprensione, si alzò in piedi urlando ed investendo Gaetano con violenza e con un mare d’insulti. Gaetano era un giovane rispettoso dell’autorità e con un carattere equilibrato. Non era solito perdere la testa e controllava abbastanza bene le sue emozioni. Per la prima volta , tuttavia , nella vita sentì montare dentro di sé una rabbia incontrollabile. No! Non era lui che stava tradendo la fiducia degli altri! Era quel pazzo di comandante che  tradiva l’Italia ! Era lui che non aveva rispetto dei suoi sentimenti! Ma come diavolo si permetteva d’insultarlo in quel modo?!? Sentì la propria mano  scendere lentamente verso il fodero della pistola. Era quasi se fosse un altro a muoversi al suo posto , mosso da un’ ira tremenda. Il comandante comprese al volo quello che stava succedendo e gli grido  con voce squillante:
-          CARABINIEREE! A..TTENTI!
Senza  rendersene conto  Gaetano  ubbidì. Era  un comando che era entrato dentro di lui  senza permettergli di riflettere e che aveva eseguito immediatamente.  In quel mentre, il comandante gli si avvicinò rapidamente e gli sciolse il cinturone con  la pistola, mentre contemporaneamente  chiamava i sottoposti.
-Quest’uomo è agli arresti- disse rivolgendosi ai carabinieri prontamente entrati nella stanza – Portatelo in guardina.
-Questo è quello che succede a chi non presta giuramento al nuovo potere costituito ad Asmara , sotto il Comando dell’Impero Britannico.- aggiunse il Comandante- Chiunque non presta giuramento verrà considerato  prigioniero di guerra e incarcerato in  attesa di nuovi ordini.
CHIARO?
-Sissignore! -risposero tutti in coro.

Gaetano era ammutolito.  Dentro di lui lottavano insieme la rabbia per quello che aveva subito , l’umiliazione e la vergogna per essere stato arrestato proprio dai suoi commilitoni! Lui non aveva fatto niente! Non era giusto quello che stava subendo.

I compagni  carabinieri lo accompagnarono nel sotterraneo verso i locali dove stavano le celle. Erano tutti in evidente imbarazzo! Gaetano era un giovane che tutti volevano bene e rispettavano. Quella  situazione era insostenibile! Mentre scendevano , arrivò di corsa il capitano e si mise a parlare fitto fitto ,. bisbigliando, con il capo squadra. Successivamente, se ne andò di corsa come era venuto e la squadra continuò ad accompagnare Gaetano verso le celle. Quando furono arrivati , fecero entrare Gaetano in una delle celle,  gli dissero di accomodarsi su di una sedia accanto alla brandina e di aspettare lì in attesa del loro ritorno. Accostarono il cancello e se ne andarono.
Giovanni era costernato! Sedeva li, su quella sedia, aspettando i commilitoni e, nel frattempo, non riusciva a rendersi conto di quello che era successo: Lui, un carabiniere, un tutore dell’ordine , un elemento integerrimo dell’Arma, quell’Arma che era l’orgoglio italiano, lui, che  per tutta la vita aveva portato avanti il senso del dovere , dell’onestà , della dedizione al servizio , adesso era in una cella  imprigionato dai suoi compagni!
 Non poteva crederci!
Il tempo passava e lui rimaneva solo! Non tornava nessuno ! Che stava succedendo? Lui era prigioniero di guerra , gli avevano detto. Sarebbe stato portato in un campo di concentramento! Che fine avrebbe fatto? Sarebbe mai tornato  a casa da quella guerra?  Pensò a sua madre , a suo padre ed ai fratelli e sorelle in Sicilia. Non li vedrò più?
Si avvicinò alla porta della cella e si rese conto che era accostata. Si, aveva visto che non era stata chiusa a chiave ma, fino a quel momento, non si era ancora reso conto che era aperta. Provò a spingerla . Il cancello si aprì e lui uscì fuori lentamente. Si guardò attorno e non c’era nessuno. Che stava succedendo? Dov’erano tutti? Lentamente, salì la scaletta  e non vide ancora nessuno. Ora era nei locali superiori ,vicino ad una porta che dava fuori, mentre nell’altra stanza, in fondo, sentiva il parlottio degli altri carabinieri.
Che fare?  Quella situazione non era normale! Era molto strano che la porta della cella fosse rimasta  accostata e che tutti fossero spariti! Era  come se lo invitassero a scappare. E lui scappò!
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Lina giocava con Armando il piccolo zio , fratello della mamma,  e Renza  nel terreno  fuori dalla casa di Mascalucia,  dove la sua famiglia si era  rifugiata  dopo che i bombardamenti su Catania si erano fatti devastanti e  continui e gli alleati erano sbarcati in Sicilia. Adesso, il fronte si era attestato nella  Piana di Catania. L’8° armata guidata da  Montgomery era riuscita a superare il ponte Primosole sul Simeto   ma la forte resistenza  dei paracadutisti tedeschi e degli uomini della "Hermann Göring" sistemati in posizione difensiva, favoriti dalle postazioni d'osservazione sopraelevate dell'Etna la bloccava a una decina di chilometri dalla città. I combattimenti continuavano da una settimana quando giunse notizia che era arrivata dal Nord Africa una divisione di fanteria  per rafforzare le forze britanniche.
Erano i primi giorni di agosto  e rispetto alla solita afa che colpiva Catania in quelle giornate estive a Mascalucia la sera il tempo rinfrescava e si stava un po' meglio. La casa di Mascalucia era stata affittata dai nonni materni. Fin dai primi bombardamenti su Catania avevano deciso di “ sfollare” sull’Etna e avevano trovato la possibilità di affittare questa casa ampia grazie ad una conoscenza comune. C’era stata po la possibilità di ospitare anche la figlia con la sua famiglia e i genitori del genero rimasti soli a Catania e bisognosi anche loro di scappare dai bombardamenti. La convivenza non era stata molto semplice a causa del  carattere forte delle due “ nonne”  e dei rapporti non facili fra Maria  e la suocera.
Quella sera ,dopo cena, mentre i bambini giocavano i grandi si erano seduti fuori all’aperto per discutere della situazione.
Quella mattina era successo il finimondo ! C’era stata una vera e propria battaglia. Tutto era cominciato quando dei soldati tedeschi, dopo avere sottratto la motocicletta ad un miliare italiano portaordini e dopo aver tentato di rubare i quattro cavalli ad un carrettiere , avevano riprovato a rubare i  cavalli ad una famiglia catanese  sfollata nel paese. I tedeschi avevano sparato  provocando un morto ed un ferito. In un altro punto del paese, in un casolare, un tedesco ubriaco aveva sparato ed ucciso un soldato italiano. Successivamente i tedeschi avevano ucciso ancora un altro soldato italiano.
 Non se ne poteva più.
In paese c’era una famiglia di armieri che aveva un deposito le distribuì a molti paesani  nel paese  e gli stessi risposero a quelle prepotenze con  le armi. Fu il “segnale” dell’inizio della resistenza popolare.
Molti cittadini armati di fucili e pistole  erano scesi  per le strade, sparando ai soldati tedeschi. Molti sparavano  dalle terrazze delle case e dal campanile della chiesa principale del paese. Gli  abitanti  di Mascalucia erano stati poi aiutati  dai soldati italiani,  carabinieri e  Vigili del fuoco, sfollati da Catania.
 La sparatoria durò circa quattro ore.
I tedeschi, dopo avere lasciato diversi caduti sul campo, si erano ritirati  quindi dal  paese lasciandolo in mano agli insorti. . Alcuni paesani avevano riferito a Turiddu che si muoveva qualcosa e che i tedeschi si stavano preparando alla ritirata anche da Catania. Questa voce era stata in qualche modo confermata dai suoi superiori d’ufficio che avevano detto che nello spazio di pochi giorni Catania sarebbe stata liberata dagli alleati. Era per questo che Turiddu insisteva con Maria e gli altri che era ormai il caso di provare a ritornare in città.
-E’ necessario farlo adesso , prima che vi sia quel momento di vuoto di potere  in cui i delinquenti possono tentare di entrare nelle case vuote per rubare. Poi- disse Turiddu- io devo  tornare in ufficio e quindi è il momento  di tornare  adesso insieme in città.
- Per noi va bene – rispose la madre di Turiddu- Vero, Giuseppe?- aggiunse rivolgendosi al marito.
-Si , certo – rispose lui- Bisogna andare via di mattino presto – Dopo la prima scarica di cannonate dei tedeschi verso la piana . Dopo, c’è qualche ora di pace e a quel punto possiamo già essere  arrivati a Catania.

- Ma siete proprio sicuri di non voler restare con noi  fino a quando la situazione non è definita? – chiese la madre di Maria
-  No mamma , partiamo adesso- rispose Maria- . E’ meglio ! Turiddu potrebbe avere difficoltà a tornare qui dopo ed è meglio andare via ora, insieme.
Così decisero e la mattina dopo  presto si misero in cammino per tornare a casa in città. Lina e Renza cercavano di fare del loro meglio ma c’erano punti da attraversare in campagna difficili e Turiddu e Maria dovevano spesso fermarsi per prenderle in braccio per lunghi tragitti. D’altra parte , spesso ci si doveva fermare per aspettare e far riposare gli anziani genitori di Turiddu.
Alla fine, comunque  , mentre riprendevano, le cannonate tedesche, arrivarono ai margini dell’abitato cittadino. Usciti dall’agglomerato urbano della  Barriera del bosco, si trovarono già al Tondo Gioieni  da cui si poteva ammirare il panorama della città. Poco distante c’era la casa dei genitori di Turiddu  e ci arrivarono in pochi minuti. A questo punto rimase un chilometro in discesa su Via Etnea  verso la loro casa nel quartiere Borgo, prima di Piazza  Cavour.
Arrivarono stanchi e preoccupati ma contenti di avercela fatta  senza  incidenti di percorso.


Gaetano si era rifugiato fuori Asmara , nella campagna di suoi amici di origine italiana. Aveva ottenuto dei documenti nuovi grazie all’amicizia con i dipendenti dell’anagrafe  locale che preparavano le carte d’identità  e aveva preso il nome di  Fortunato Speranza. Avevano timbrato il documento  con un colpo di martello  su di una moneta riscaldata sul fuoco che aveva dato un risultato simile a quello di un timbro a secco. “Fortunato” del resto era conosciuto e voluto bene da tutta la comunità italiana, dai colleghi carabinieri  rimasti in servizio e dagli impiegati dell’amministrazione di governo che aveva conosciuto negli anni di servizio. Quel documento era abbastanza sufficiente per garantirgli una relativa agibilità anche nei confronti dei controlli occasionali delle truppe inglesi  . “Fortunato” lavorava  insieme a molti braccianti di colore ed altri italiani  nelle campagne dell’Eritrea vicino ad Asmara ed otteneva  il necessario per vivere . I pasti erano garantiti e per dormire  vi era un grande capannone di legno coperto da grandi foglie di palma , adibito a dormitorio comune. La sera ormai stanchi si crollava sui mucchi di fieno preparati per il giaciglio e si perdevano completamente i sensi in un profondo sonno ristoratore.
Quella sera , tuttavia , appena preso sonno , Fortunato fu improvvisamente svegliato insieme a tutti gli altri da un  frastuono che veniva dal tetto. Nel buio della notte si vedevano le foglie di palma tutte smosse come se vi stesse passando in mezzo un treno. Era impressionante! Qualcosa stava strisciando  sul tetto del capannone ed era enorme! Subito tutti si alzarono dal giaciglio   spaventati. Alcuni scapparono di corsa fuori , altri  si raggrupparono in un angolo del capannone armandosi di bastoni , coltelli ed attrezzi da lavoro .
Era un animale ed era grosso! Strisciava sopra il tetto  scompigliando tutto e facendo un rumore sordo: Doveva essere molto lungo perché sembrava  arrivare da un lato all’altro  del tetto.
Ad un tratto  sembrò  che scendesse lungo la parte esterna. Fuori le grida di molti indigeni, accorsi a vedere che cosa stesse succedendo, risuonarono forte nel buio.
Un serpente ! Un serpente ! – gridavano- E’ un Pitone enorme . Attenti! Attenti! Sparategli!
Fortunatamente per tutti, ed anche per lui stesso, il Pitone, tuttavia, se ne andò così come era venuto salendo su di un grosso albero prospiciente al capannone e sparendo dopo pochi minuti dalla vista di tutti.
Non ho mai visto un animale simile! – disse Fortunato – Doveva essere lungo  quattro o cinque metri!
-E’ un animale formidabile e pericoloso anche se non è velenoso- gli rispose Amir – un compagno di lavoro eritreo. Ha una forza tremenda  con le sue spire riesce a stritolare le sue prede e addirittura ad ingoiarle intere.
-Meno male che non aveva fame!  –disse “ Fortunato” sorridendo-
-Meno male! – rispose Amir


Dopo quella bella notte in campagna  “ Fortunato” pensò bene  di cercare qualche altro sbocco professionale rispetto a quel duro lavoro manuale. Sempre aiutato dai suoi amici italiani,  si procurò un calesse /carretto tirato da un cavallo con cui  iniziò un servizio di trasporto di persone o di merci .Metà dei soldi guadagnati andavano ai proprietari del calesse e con l’altra metà Fortunato riusciva a vivere dignitosamente e pagarsi un letto  in un ammezzato /cantina di altri conoscenti.
Il tempo passava  e arrivò anche ad Asmara la notizia  dell’armistizio firmato da Badoglio fra l’Italia e le forze alleate. Fortunato poteva riacquistare la sua identità  presentandosi al Comando dei carabinieri ed alle forze alleate. Tutto procedette abbastanza bene ma alla fine  Fortunato venne tuttavia considerato, a causa delle sue precedenti azioni . equiparato agli altri prigionieri di guerra   ma con la possibilità di un inquadramento in un campo di lavoro nei campi petroliferi sulla costa Araba dirimpettaia.
“Fortunato” ritornato Gaetano  si ritrovò così per la prima volta nella sua vita seduto  in fila con alti compagni all’interno di un aereo militare adibito al trasporto di uomini verso i campi petroliferi arabi. Non aveva mai preso l’aereo ed era comprensibilmente emozionato  . Quando si ritrovò in aria  , la tensione , piano piano si allentò e tutti cominciarono a prendersi in giro l’un l’altro e trasformare l’iniziale paura in riso.Il viaggio durò meno di quanto si aspettavano e presto dopo aver di nuovo sospeso il fiato durante la manovra di atterraggio si ritrovarono in Asia , fra le sabbie arabe e vicino al mare.
Gaetano imparò a lavorare nei campi di petrolio e a nuotare nelle acque dell’oceano indiano, poi finalmente la guerra finì   e si cominciò a predisporre il rientro in Italia. Passò ancora qualche mese e finalmente Gaetano potette prendere posto nell’aereo militare che lo avrebbe sbarcato all’aeroporto di Fiumicino a Roma . Ormai era un veterano del volo , diceva a se stesso, e in ogni caso  non vedeva l’ora di rientrare  in Italia e riprendere il suo posto fra i carabinieri.
Gaetano fu reintegrato nell’Arma  e mandato a prendere servizio a Ventimiglia promettendogli  che  appena possibile sarebbe stato trasferito in Sicilia  con la possibilità finalmente di riprendere meglio i contatti familiari. Prima di andare a Ventimiglia aveva avuto comunque una licenza di un mese per andare in Sicilia . Era stato incredibile rivedere  il suo paese e i suoi fratelli e sorelle ,anche se aveva appreso la notizia che nel frattempo il padre era morto . Adesso doveva riprendere una nuova vita. La guerra era finita e bisognava ricominciare. Gaetano era giovane e desiderava una donna  sua , una famiglia dei figli: Voleva una della sua terra  e trovò la possibilità di scambiare una corrispondenza  con una ragazza di Caltanissetta . La preferiva alle ragazze che aveva conosciuto a Ventimiglia. La sentiva più vicina alle cose più intime in cui credeva e che sentiva essere la sua più profonda natura: Passò il tempo e Gaetano ritornò in Sicilia  ,sposò quella ragazza e si stabilì a Caltanissetta . Un giorno, la sua figlia minore  avrebbe incontrato il figlio di Turiddu.
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Era il 4 di agosto 1943. Turiddu dovette salutare subito Maria e le bambine perché doveva presentarsi al Comando in Piazza Duomo.
Le voci della ritirata tedesca in corso erano ormai dilaganti . Tutti aspettavano quel cambiamento e non si parlava d’altro . Turiddu invece ebbe altro su cui concentrare la sua attenzione . Era stato comandato di presentarsi l’indomani mattina alla Direzione delle Poste per accompagnare il Direttore nel trasporto dei valori  in cassa presso la Banca  d’Italia.  La mattina successiva presto, insieme al Direttore,  montarono sul pulmino di trasporto valori .Erano  decisamente  guardinghi e preoccupati . Appena partiti, videro che tutti punti stradali normalmente sorvegliati dai soldati tedeschi erano vuoti.
-Che succede Tenente? -chiese il Direttore- la città sembra vuota . Non c’è nessuno in strada.
- Sembra proprio che i tedeschi siano andati via – rispose Turiddu--Sono giorni che si parla  che Kesserling aveva intenzione di far lasciare la città alle truppe tedesche. Penso che l’abbia fatto.
- Ed ora che facciamo? -disse il Direttore- In questo momento , prima che arrivino gli alleati  in città, chi comanda?  A chi portiamo i valori che stiamo trasportando? Chi mi garantisce che le varie amministrazioni siano ancora funzionanti e responsabili?
- Nessuno -ammise Turiddu- Siamo nella terra di nessuno. Tutta la precedente amministrazione deve essere convalidata dalle nuove autorità occupanti. Figuriamoci poi i valori che stiamo trasportando! Farli sparire, sarebbe questione di un attimo!  Non solo, ma potremmo anche essere accusati di averli trafugati.
Turiddu si fermo un attimo a riflettere. Il Direttore  , nel frattempo, dal canto suo stava in silenzio ma tradiva il suo nervosismo contorcendosi febbrilmente le mani in un continuo strofinio.
Dobbiamo essere certi di consegnare i depositi a chi ci garantisce il buon esito dell’operazione . A qualcuno con i poteri avallati dalla nuova amministrazione. Anzi, dovremmo aspettare l’entrata degli americani in città.-propose Turiddu .
-Oppure potremmo sparire con i soldi  e chi s’è visto, s’è visto- disse il Direttore.facendo  esplodere tutto il suo nervosismo in una risata .
Il ridere fu contagioso e Turiddu senza rendersene conto ne fu coinvolto senza volerlo:
-Complimenti Direttore- Rispose Turiddu ridendo. Dopo una vita integerrima finalmente avremmo un vero premio: Ah! Ah! Ah!
- Era ora che qualcuno si accorgesse di noi!!!- Aggiunse il Direttore ormai  fuori di se dalla risate
-Eh no! Speriamo che nessuno se ne accorga!  -Disse Turiddu-ridendo ancora più forte.
- Hoi ! Hoi Hoi! Basta non ne posso più-Rispose il Direttore-Ho le lacrime agli occhi !
Dopo , riprendendo il controllo disse : Che facciamo? Dobbiamo fare passare  almeno  la mattina e vedere che succede.
Dirigiamoci verso la Villa Bellini. Entriamo dentro : All’ingresso ci sono i vigili  miei colleghi e ci faranno passare : Aspettiamo li dentro, nelle strade della villa. Potremo anche avere delle informazioni su quello che succede dagli altri vigili urbani!
Va bene ! E … speriamo bene ! – Aggiunse il Direttore.
Tutto si svolse come Turiddu aveva previsto. All’ingresso c’erano due vigili che riconoscendo il tenente scattarono sull’attenti e senza discutere fecero passare il pulmino.  Dopo Turiddu e il Direttore posteggiarono il pulmino vicino ad  una fontana alla base della strada in salita dove stanno le varie panchine dette degli innamorati e che porta al piazzale dove si trova il Palco della musica.


Trascorsa mezza giornata , verso le tre del pomeriggio , Turiddu stanco ed impaziente si accorse di un certo trambusto all’ingresso del giardino dove sostavano i colleghi vigili urbani: Chiese al Direttore  di potersi allontanare un attimo per vedere che succedeva  e si diresse verso i suoi colleghi. Arrivato si accorse che proprio davanti all’ingresso della villa lungo il viale Regina Margherita stavano sfilando delle camionette di truppe “alleate”. Si rivolse ai vigili suoi colleghi e gli chiese:
_-Sono arrivati gli americani?
-No!  Sono inglesi – rispose un collega-  Ce ne sono pure molti di colore. Truppe di africani delle colonie inglesi.
- Da quanto tempo li hai visti?
- E’ circa mezz’ora che stanno passando.
- Adesso ascoltami- disse Turiddu- ti do un incarico importante-
-Comandi sig. Tenente-rispose il vigile
-Devi andare al Municipio e chiedere ai superiori se il nuovo Comando Militare  ha preso in mano le redini dell’amministrazione locale . e dove ha stabilito i suoi locali. Dove si è insediato? Quindi ,appena hai questa informazione ,  torna qui ,subito.-disse Turiddu-
Il vigile parti immediatamente a svolgere l’importante incarico conferitogli da Turiddu e tornò trafelato dopo ca due ore.
Allora? – chiese Turiddu-
-Gli inglesi sono a Piazza Duomo . Hanno preso tutto un palazzo come sede del loro Comando e l’amministrazione della città fa riferimento a loro. 
-Bene – Disse Turiddu – Grazie – Adesso li andiamo a trovare.



Si diresse verso il pulmino portavalori , parlò con il Direttore delle Poste e convennero di recarsi subito in Piazza Duomo. Nonostante i bombardamenti la strada era resa praticabile e si poteva arrivare al Duomo percorrendo via Etnea. Così fecero  e finalmente dopo le opportune presentazioni e intercessioni dei suoi superiori  si poterono liberare del prezioso carico e scortati da militari inglesi consegnarlo ai responsabili locali della Banca d’Italia perché riponessero i depositi  valori in cassaforte in contropartita del credito a favore del conto di evidenza delle Poste Italiane.
Quella difficile giornata si stava concludendo onorevolmente. Turiddu ed il Direttore delle poste potevano finalmente tornare a casa, poveri come prima, ma con la coscienza pulita ed orgogliosi di aver fatto il proprio dovere.
Circa un mese dopo , la sera  a letto Turiddu e Maria parlavano insieme sulla  nuova situazione :
-          Beh! Ormai  si può pensare che la guerra  sta finendo. Con la firma dell’armistizio con gli alleati siamo ormai in territorio  protetto e libero.- disse Turiddu
-          Non ci posso ancora credere ! – rispose Maria –
Le bambine nell’altra stanza stavano riposando tranquille ed il silenzio regnava nella casa.
-          Sai  penso che ricomincerò a studiare  e completerò il mio percorso di laurea-aggiunse Turiddu
-          E come farai ? Ancora non ci sono servizi regolari per passare lo Stretto.- rispose Maria
-          No ti preoccupare . Mi hanno detto che si passa tranquillamente con delle barche di pescatori  da Messina; e poi, ci vuole ancora qualche mese per riprendere bene a studiare. Poi speriamo di fare qualche miglioramento di stipendio   avere una promozione e riuscire a riparare le case bombardate di mio papà.
-          C’è speranza? -Chiese Maria
-          Mah! Mi hanno detto che con l’esperienza che ho accumulato ai servizi annonari potrei assumere un  ruolo di Direzione ai Mercati Generali e mi darebbero anche un aumento di stipendio.  Tutto questo sempre  rimanendo nel corpo dei vigili urbani ma distaccato nel ruolo.
-          Magari!
-          Chissa? A questo punto potremmo anche ingrandire la famiglia!  Potrebbe finalmente arrivare un maschietto! Che ne dici?
-          Dico che per adesso non abbiamo occhi per piangere  e che bisogna aspettare – rispose Maria.
Aspettarono anni  e anni ma alla fine il maschietto arrivò  e quando si fece grande incontrò una ragazza : la figlia di Gaetano.
-           
FINE



IL TEMPO DEI RICORDI



Ad un tratto il sole era apparso timido fra le nubi grigie del cielo.
Io ero lì, appoggiato contro un palo, mentre intorno cadeva la pioggia.
Era come se tutte quelle gocce inzuppassero la mia anima di profondità, di sofferenza, di amarezza, di maturità.
Aspettavo l’autobus per ritornare a casa; ma, oggi, non ne avevo voglia. Oggi, avrei voluto far qualcosa di diverso. Non avrei voluto interrompere quel momento della mia vita per andare a casa!
Avrei voluto passeggiare sotto la pioggia; magari, insieme a Rosalba, che avevo visto poco prima all’altra fermata dell’autobus. L’avrei presa per mano e le avrei parlato a lungo. Le avrei raccontato qualcosa di me. Forse, le avrei parlato di Ketty oppure  le avrei raccontato  della festa  in cui avevo deciso di non andare.
Poi, avrei ascoltato quello che mi avrebbe detto , mentre la pioggia avrebbe  aumentato la mia percezione di tutto questo, scavando in  profondità  all’interno del mio animo.
Accesi una sigaretta e ,nel vederla ardere e consumare al fuoco, ripensai , come tante altre  volte, al tempo  che consumava allo stesso modo ,inesorabilmente, le nostre passioni,  tutte le cose più belle e più spiacevoli e ,intanto, smussava, nei ricordi,  gli spigoli degli avvenimenti che, altrimenti, avrebbero  rinnovato la nostra sofferenza.
Era tornato, dopo l’estate, quel  vago ed imprecisato  periodo dell’anno che poteva essere definito il tempo dei ricordi.
Il cielo, le cose, le persone, i fatti assumevano una capacità evocativa nei confronti del passato e nello stesso tempo, fondendosi fra di loro, perdevano i contorni e creavano le basi di quello strano  miracolo.
Potevo essere a Parigi o  a Vienna  o in uno dei posti più importanti della mia vita.
Si! Ricordo…… era un giorno come questo. Accompagnavo Chiara a casa. Aveva gli occhi grigi come il cielo su di noi. Mi ricordo delle poche parole scambiate mentre le prendevo le mani e la guardavo negli occhi . Poi, improvvisamente, tornavo al Convegno e alle parole di Don Ciccio, oppure mi tornava in mente il cielo dei film di Bergman. Quel cielo maestoso e terribile che governava sulle vicende umane.
Vidi l’autobus scendere  giù in lontananza e lo raggiunsi.
Avevo la sigaretta accesa e il bigliettaio m’invitò a spegnerla. Poi, mi sedetti mentre l’autobus si lanciava  con me in una folle corsa a ritroso, aggirando le curve della strada in cui rivedevo  i miei pensieri su Ketty e ritornavo a capire, come già ieri, la solitudine profonda e la dignitosa resistenza del mio essere.
Ora  , con più maturità, riuscivo a riflettere  con maggiore distacco e scoprire la profonda insicurezza dell’essere umano.
Ecco….ora, sotto il mio sguardo, era passata una coppia sorridente, felice di stare insieme.
Ed ecco che ritornavano  a passare davanti ai miei occhi  tutte le mie speranze e le sofferenze , le gioie e le delusioni mentre pensavo  a Romana, a Don Ciccio,  a Rosalba, a Ketty, ad Angelo e vedevo su tutti e dentro di noi il bisogno ed il senso dell’eterno. Tanta voglia di  amore e di  felicità!

Flussi di memoria



Mi ritrovai ad osservare una fotografia che lo ritraeva  da ragazzo e notai che aveva la stessa espressione,  mista di stupore ed entusiasmo di fronte alla vita , di determinazione   che lo avrebbe sempre caratterizzato anche nell’età adulta.
 Più in là, c’era un’altra foto che lo ritraeva insieme ai due fratelli Castro. In essa  “ El Che” sorrideva insieme a Fidel  che, tuttavia,  sembrava  caratterizzato da una personalità più complessa. In lui, vedevo l’aspetto che l’accomunava al  “Che” : “la forza vitale della giovinezza e la capacità di lotta e di amicizia”; ma, c’era anche un aspetto più riflessivo , peculiare  di un uomo che si dedicherà  con passione all’articolazione del pensiero ed alla realizzazione concreta di un progetto di società e di governo. Accanto a loro Raul,  il più giovane dei fratelli Castro, si perdeva in  uno sguardo di ammirazione  e di dedizione nei confronti di Fidel.
Pensavo ancora alla carica rivoluzionaria  di quelle persone   ed anche all’allegria, inevitabilmente connessa alla loro gioventù ,alla condivisione dell’amicizia , della passione e degli obiettivi che desideravano realizzare insieme.
Poi, per un attimo, improvvisamente, mi ritrovai immerso nella mia stessa gioventù e negli anni dell’impegno  e di lotta che l’avevano segnata. Dimentico della stessa dimensione fisica e temporale, ripensavo a quelle giornate vissute intensamente nei locali della Facoltà di Scienze Politiche e ai temi del colloquio che un giorno avevo avuto  con un giovane ricercatore tedesco titolare di una borsa di studio presso la mia Facoltà..  Aveva quasi ventisei anni e mi raccontava che presto, al suo ritorno in Germania , avrebbe provato ad accedere all’insegnamento universitario. Stupito, gli chiesi  se non era troppo giovane per un incarico accademico e lui gentilmente mi spiegò che i tempi d’inserimento nella professione  universitaria in Germania erano molto più rapidi che in Italia e molti diventavano professori fra i venticinque e i trent’anni. Veniva da  Berlino ed aveva partecipato attivamente al movimento della “Università Critica” il cui leader era stato  Rudi Dutschke
e che aveva avuto una ribalta mondiale  sia per i contenuti espressi sia  per essere stato uno dei primi e  principali movimenti radicali degli studenti. Lo scambio di idee era intenso e puntuale e, dopo aver parlato  della situazione del Movimento studentesco a Scienze Politiche e  nell’ambito cittadino,  ricordo che affermai con decisione che la “ contestazione “ del sistema scolastico e sociale erano strettamente legati e costituivano il punto centrale della nostra azione politica.
 Ero talmente certo di quell’affermazione che fui letteralmente spiazzato dalla sua risposta. Hans ( era questo il nome del giovane borsista tedesco)  sottolineava come  la questione centrale non era per niente costituita dalla  “contestazione” del sistema ma dall’urgenza di passare ad una fase rivoluzionaria che ne cambiasse totalmente i termini.
- Non è sufficiente limitarsi ad una critica! - disse
- E’ necessario cambiare radicalmente il sistema sociale a cui è funzionale questa struttura  selettiva dell’istruzione. E’ la classe dominante ad imporre le sue logiche per perpetuare un sistema di oppressione e di sfruttamento dell’individuo e solo una totale rivoluzione di questa logica può portare ad una reale liberazione delle classi popolari e dello stesso processo dell’istruzione e dello sviluppo culturale.
E continuando aggiunse:
-E tu….. sei disposto a partecipare  a questo  processo?
Sei disposto a mettere in gioco la tua vita per portare avanti questa lotta?-Mi disse –
Non risposi immediatamente e gli dissi che era una questione che stavo valutando.
Ero disposto a rischiare la mia vita per portare avanti  il processo rivoluzionario necessario a realizzare il mondo nuovo che desideravo? Il mondo nuovo dove, finalmente, ogni persona ed io stesso potevamo sperare nella completa realizzazione?
Furono giorni d’intensa riflessione. Quella domanda era al centro dei miei pensieri e inevitabilmente  avvinceva la mia anima. Si, la mia vita aveva senso solamente se ero disposto a dedicarla  e rischiarla per quello che desideravo.
 Passeggiavo  per le strade  della città  ormai incurante di tante cose di cui in precedenza mi sarei in qualche modo preoccupato : il mio aspetto , i miei vestiti, la direzione del mio cammino ecc. Non m’interessava altro che portare avanti quell’esperienza che aveva cambiato totalmente la mia vita e mi dava una strana forza interiore e una nuova tranquillità. Mi sedetti per terra, sul marciapiede,  osservando il passare della gente. Mi chiedevo cosa pensassero e cosa desiderassero veramente. Mi chiedevo cosa mi avrebbe riservato il futuro e per un attimo pensai  di chiedere a Francesca di lasciare insieme a me la città per andare a studiare  a Roma iniziando anche una nostra  possibile convivenza.
Ma di cosa avremmo vissuto?
No…., per il momento il nostro posto era qua! Dovevamo pazientare ancora , completare gli studi e cercarci un lavoro. Chissà se poi sarebbe venuta insieme  a me?!? 
Quanto tempo era passato!
Quante cose erano cambiate!
L’intera cultura , le speranze  di una generazione erano ormai  superate da una nuova fase storica in cui addirittura in quegli USA  che erano  stati la patria  degli hippies  e della musica di Woodstock aveva trionfato un politico  come Donald Trump!
I ricordi  pian piano sparirono  e, con essi, i tanti anni trascorsi, riportandomi a Santa Clara , davanti alle foto che ritraevano “El Che”.
Guardandolo,  comprendevo  e condividevo quella sua giovinezza , quella voglia di vita e di cambiamento che leggevo nel suo volto.
Gli anni erano passati , le scelte oggi  erano diverse, ma la dedizione ed il mettersi in gioco per quello in cui si crede rimanevano un momento insostituibile della  vita.


VERSO ORIENTE


Mario sorseggiava una gradevole Metaxa, seduto ad un tavolo, nella galleria di legno esterna al bar cafè posto alla fine della striscia di spiaggia di sabbia di Psili Ammos ,il cui none tradotto è appunto “sabbia fine”. Il mare di fronte si confondeva scuro con il cielo trapunto di stelle. La notte era limpida e serena. Il tranquillo silenzio era interrotto solo dallo sciabordio della risacca delle onde sulla riva mentre, guardando in mare, passavano lentamente alcune piccole barche da pesca con la lampara accesa. Mario aspirò una boccata del suo sigarillo cubano e, quindi, bevve un altro sorso del liquore. Era il più famoso brandy di produzione greca, dal colore ambrato e con un leggero retrogusto di miele e di frutta passita, dato forse dalla presenza nella lavorazione proprio del vino moscato dell’isola in cui si trovava: Samos.
Ritornò ad osservare il buio della notte, punteggiato dalla luce delle stelle e delle lampare in mare, e non poté non notare, ancora una volta, come quegli elementi così diversi si armonizzassero insieme in un connubio magico.  Il nero ed il bagliore della luce. Lo stesso contrasto che si può osservare in altre situazioni fra l’oscurità del profondo ed il rosso del magma che ne fuoriesce. Due aspetti così diversi, ma così contraddittoriamente uniti, della stessa madre natura, della vita. Quello stesso intreccio di passione e di passività, d’amore e di morte, di debolezza e di forza che ritroviamo in ogni momento, anche dentro noi stessi.
Mario non riusciva a smettere di guardare affascinato quelle luci e quelle attività, rese ancora più magiche dal buio della notte. Finì il suo bicchiere di Metaxa, pagò il conto e ,con il sigaro in mano, si avviò lungo la stradina che    costeggiava la spiaggia verso il villaggio residence dove alloggiava per quel suo breve soggiorno nell’isola.
Usciti dal borgo, la strada s’inerpicava per una collina alberata sulla cui sinistra si scorgeva il mare  e da cui, a circa un miglio di distanza, si profilava la costa turca.
 Era quasi un promontorio  e una zona militare sorvegliata.
Mario si avviò  lungo la strada tranquilla nel buio della notte e scorse non molto lontano un gruppo di giovani: ragazzi e ragazze   che cantavano . Inframezzavano il canto con scrosci di risa e di tanto in tanto , quando la strada andava in leggera discesa, si lanciavano insieme correndo in avanti, tenendosi per mano.
Ad una certa distanza,  li seguiva una donna  che si trovò, dopo qualche minuto, affiancata a Mario. Per lui fu quasi inevitabile  guardarla e ,sorridendole, chiederle se quel gruppo di giovani era con lei.
Scoprì con piacere che era italiana e  madre di uno di quei ragazzi .
-          Domani , mio figlio si sposa con una ragazza greca e questi sono i suoi amici , venuti dall’Italia per festeggiarlo -disse la signora il cui nome era Laura
-          Tanti cari auguri allora e complimenti ! - aggiunse Mario- Deve essere un momento importante anche per lei! Ha altri figli?  E’ il primo che si sposa?
-          Si è il primo e l’unico perché non ho altri figli. Per me è un cambiamento importante  perché vivevo sola con lui  che ha ancora venticinque anni , mentre adesso verrà a vivere n Grecia , proprio qui a Samos. La famiglia della futura moglie è la proprietaria del grande albergo residence  sulla spiaggia di Posidonio  e lui lavorerà qui insieme a loro.
-          Non ha un marito, un compagno? – le chiese Mario
-          No. Con il padre di Francesco , è questo il nome di mio figlio, ci siamo lasciati molti anni fa e lui si è sempre visto poco. Non è nemmeno venuto qui  per il matrimonio! Ho avuto qualche storia ma adesso sono sola   ed alla mia età mi trovo improvvisamente in una situazione completamente nuova.
-          Perché quanti anni ha? – le chiese Mario- Mi scuso se glielo chiedo, ma mi sembra ancora giovane.
-          Ho quasi sessant’anni – gli rispose Laura- la ringrazio del complimento ma gli anni ci sono tutti. Tra l’altro, sono impegnata con il  lavoro e  ci vorrà ancora un bel po' per essere libera. Al momento, dovrò tornare da sola a Roma , organizzarmi  e pensare di vedere mio figlio solo nei periodi di ferie.
-          Ma, adesso, non pensiamoci. C’è il matrimonio di Francesco ed il resto non conta.
-          -Dove farete la festa  del matrimonio ? Nell’albergo sulla spiaggia a Posidonio? – chiese Mario-
-          Certo  - rispose Laura- Perché non vieni ? Posso darti del tu?
-          Con piacere- disse Mario-
-          Sai, la festa del matrimonio qui in Grecia è molto vivace. SI mangia e si balla tutta la notte: Ti divertiresti e poi mi faresti compagnia. – aggiunse Laura- Sei solo qui a Samos  o con altri, con la tua donna?
-          No, sono venuto solo . Mi sono fermato a  Samos prima di procedere per Istanbul dove ho un incontro d’affari con un mio cliente , dei rappresentanti dell’Istituto del Commercio con l’estero italiano, dei rappresentanti  del governo turco  e un imprenditore locale.
-          Waw! Interessante! Di che si tratta?
-          Ti spiegherò un’altra volta. Intanto, godiamoci la serata…. è magica! Poi , se mi confermi l’invito per la festa del matrimonio , ne sarei contento. Sarà sicuramente molto bella  e possiamo viverla al meglio insieme. 
-          Bene, allora   d’accordo! Sei ufficialmente invitato. Scambiamoci i telefoni per i futuri dettagli.
-          Così fecero. Nel frattempo, i ragazzi erano scomparsi quasi dalla vista e Laura chiese a Mario dove alloggiasse.
-          -Ho   preso in affitto per qualche giorno un appartamento , proprio vicino al residenze di Posidonio. C’è vicino anche qualche villetta e sono tutte dello stesso proprietario   che le usa come case vacanza. Penso che i genitori della fidanzata di tuo figlio lo conoscano perché ha una convenzione con loro che permette a noi affittuari di poter utilizzare le strutture del Residence alle stesse condizioni dei suoi clienti. Sia il   ristorante che   la spiaggia antistante  e tutti gli altri servizi.
-          Incredibile! Allora siamo vicini di casa… - sorrise Laura-
-          Certo  e quindi …….Posso permettermi di accompagnarla a casa , Signora? -le chiese Mario offrendole galantemente il braccio
-          E’ un vero piacere …Signore – rispose Laura sorridendo.
Si allontanarono lentamente, tenendosi a braccetto, in direzione di Posidonio. La notte era limpida , rischiarata dalla luna, ed i suoi riflessi tingevano d’argento il mare in lontananza.
Dopo aver lasciato  Laura al Residence , Mario attraversò i viali che lo portavano al suo appartamento che raggiunse rapidamente. Sdraiato a  letto, con la finestra interamente aperta, ripensava a quella particolare serata  ed  a Laura . Era una donna interessante! Anche se non era più nel fiore degli anni, conservava intera una serena  femminilità che risultava seducente. Perso in quei pensieri  ed immaginando la festa dell’indomani, Mario si ritrovò presto avvolto nelle nebbie del sonno.

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Le note del Sirtaki si diffondevano nella calda notte mentre  al centro della pista  la coppia degli sposi ballava insieme agli amici più cari.
Tutt’intorno,  i tavoli erano disposti su dei livelli man mano più rialzati ,come in una specie di anfiteatro. Gli invitati  offrivano,  di tanto in tanto, una bottiglia di spumante agli sposi che veniva portata  fino alla pista dove si trovavano su di un piccolo vassoio insieme a due calici da parte dei valenti ed equilibristi camerieri.  Lo sposo stappava la bottiglia , riempiva i due calici e ,dopo averne assaggiato il contenuto insieme alla sposa, gridava alto il suo ringraziamento. Dopo, la bottiglia veniva offerta,  insieme ad un giro di spumante, a tutti gli  invitati.
Questo rito si susseguiva  diverse volte nel corso della serata  e dava ulteriore “ carburante” alla festa.
Laura era contenta e commossa,  mentre osservava la gioia del figlio appena sposato,  e finalmente provava una sensazione di rilassamento. La serata trascorreva serenamente e anche Mario si sentiva del tutto a suo agio. Quell’isola gli stava entrando nel sangue e quella musica  lo trasportava  in un universo di sensualità e di bellezza.
Il residence dove si svolgeva la festa  sorgeva direttamente sul mare    e godeva dell’affaccio diretto su di una  spiaggia di sabbia fine .
Mario sentì il desiderio di dirigersi alla spiaggia e chiese la complicità di Laura . che fu d’accordo ad accompagnarlo.
 Si allontanarono  camminando lentamente sulla spiaggia e  si presero per mano. Il palmo tiepido di Laura  aderiva dolcemente a quello di Mario ed una corrente di tenero calore si riversava nei loro corpi.
-E’ stato bello stasera….. ed anche tu sei bella- disse  Mario guardando Laura negli occhi
-Forse perché sono contenta  - rispose Laura- Mio figlio era felice ed io ho avvertito  dentro il desiderio di lasciarlo andare libero verso la sua felicità. Mi sono risentita donna ,oltre che madre,  e questa notte poi è splendida!
-Ed io non pensavo minimamente che questa sosta a Samos  sarebbe stata così importante!-Aggiunse Mario- Ti avevo detto che mi fermavo solo qualche giorno prima di andare ad Istanbul per una consulenza. Dopodomani parto;  ma, allo stesso tempo, voglio stare con te.
A quelle parole, Laura non riuscì a trattenere un sorriso e un’espressione di sensualità e di tenerezza si disegnò sul suo volto.
-Vieni con me – Disse Mario- andiamo insieme . Sarà bellissimo. Ho sempre sognato di vedere Istanbul e con te sarà ancora più affascinante. Andiamo insieme !
Si….- Rispose Laura-  E comincio a ridere piano per una felicità improvvisa che le sgorgava inarrestabile da tutto il corpo.
Si – aggiunse Mario – ed ascoltandola  ridere piano si estasiò a guardarla e la baciò .
Si persero l’uno nell’altra , soli sotto le stelle  e pian piano nudi si rotolarono,  con l’innocenza dei bambini , sulla sabbia  e fecero l’amore gemendo ed ansimando di piacere.
Dopo si tuffarono nel mare, continuando a cercarsi   fra le onde.
·                 *                    *                              *                                 *                                            *
  
 

  
Stavano seduti al tavolo  della colazione nella saletta dell’albergo che si trovava sulla sommità dell’edificio . Dalle vetrate, che limitavano l’ambiente, si ammirava uno scenario incantevole, con  in primo piano la cupola della Moschea Blu .Erano arrivati ad Istanbul la sera prima  e si erano sistemati in questo gradevole piccolo albergo posto direttamente sulla piazza dell’antico Ippodromo , nel  cuore del quartiere di  Sultanahmet , vero centro storico della città. Mario  versò dei cucchiaini di miele dentro la tazza di yogurth bianco. Dopo, aggiunse abbondanti pezzi di frutta secca  e cominciò a gustare il tutto con estremo piacere. Aveva imparato a preparare  lo yogurth in questo modo in Grecia  e ,quando si presentava l’occasione utile, quella era la colazione che preferiva. Laura  aveva preso invece il caffè lungo , alla turca, ed un piattino con dei dolci al miele.
-Che bello qui! – disse Laura- sorridendo a Mario.- sembra di essere all’interno delle mille e una notte. Questa moschea qui davanti è bellissima: Noi stiamo qui seduti comodamente a fare colazione , davanti a questo spettacolo!
- E’ vero , Istanbul è affascinante – rispose Mario-Pensa che da qui, spostandoci  a piedi, possiamo vedere tanti monumenti importanti e vivere l’atmosfera più antica della città . Oggi, dopo la riunione di lavoro con i miei clienti, potremo andare in giro tranquillamente. Poi ,stasera, prendiamo il battello e facciamo la gita sul Bosforo .Va bene?
- D’accordo – rispose Laura.
Si lasciarono e dopo Mario si diresse verso  Piazza Taxim dov’era la sede dell’incontro di lavoro. La zona brulicava di persone  e ci si trovava nel centro  vissuto della città. Tutti i partecipanti alla riunione della riunione arrivarono nei tempi previsti e si arrivò rapidamente a discutere dei punti più importanti. I clienti di Mario  desideravano poter espandere in Turchia  la propria attività di consulenza informatica  nei confronti del settore sanitario della pubblica amministrazione Turca ma soprattutto desideravano poter commercializzare un programma antivirus di produzione coreana di cui avevano ottenuto  l’esclusiva per l’area del Medio oriente  e nord Africa. Naturalmente, all’attività di vendita era collegata anche quella generale di consulenza. La Turchia era il paese ideale per avviare questa attività estera nell’area in quanto veniva considerata da tutti i paesi ,anche del Nord Africa, il veicolo ideale  per lo sviluppo dei contatti con L’Europa. La posizione , la storia , la presenza di una forte componente musulmana  rendevano affidabile questo paese agli occhi di quelli limitrofi e non. Per poter entrare in maniera importante nel mercato turco e dei paesi vicini era importante, tuttavia, capire che bisognava dare un  ruolo importante all’imprenditoria locale: Questo era stato abbondantemente spiegato dal  funzionario dell’Istituto del Commercio con L’estero  nel loro incontro a Roma  ed aveva lasciato capire che era quella una condizione pregiudizievole. In caso di uno sviluppo positivo dell’iniziativa  vi erano invece delle buone opportunità dal punto di vista finanziario in quanto esistevano dei forti aiuti per le aziende italiane  esportatrici per l’anticipazione dei loro crediti tramite il sistema bancario, con una garanzia parziale  dello Stato: Questo avrebbe permesso un avvio importante dell’attività. I rappresentanti del governo turco avevano portato alla riunione il capo di un’azienda che ritenevano potesse  partecipare con successo all’iniziativa e nel corso della riunione spiegarono che aveva senso continuare l’incontro solo se si pensava ad una partnership  di carattere sostanzialmente egualitario: 50 e 50. Se si era disponibili ad accettare questa precondizione, allora si poteva continuare a discutere con profitto e non vi sarebbero stati problemi. L’azienda turca presente era in grado di coprire l’intero territorio nazionale e fare da veicolo per ulteriori commerci nei paesi vicini: Mario , d’accordo con il suo cliente , propose a questo punto la costituzione di una nuova società paritaria con quote divise al 50% che gestisse l’affare sia in Turchia che nella restante area individuata ed ottenne così un entusiastico accordo da parte di tutti. La riunione non poteva concludersi meglio e a quel punto , per festeggiare la decisione comune, i rappresentanti dell’azienda turca invitarono  tutti i presenti  con le eventuali consorti o altre accompagnatrici a partecipare ad una cena con crociera lungo il Bosforo per la sera stessa.
Vedrete- disse Mister Kaya, il capo dell’azienda turca- sarà divertente e godrete di uno spettacolo unico e affascinante che vi farà amare Istanbul.
Si salutarono, dandosi appuntamento per la sera sul pontile vicino al ponte di Galata. Mario rimase a parlare con il rappresentante del Ministero italiano e con il suo cliente. Erano ampiamente soddisfatti di come si era svolta la riunione e del tempismo con cui Mario era intervenuto chiudendola positivamente. Dopo qualche minuto, presi ulteriori accordi per le varie incombenze operative dei prossimi giorni, Mario chiese se poteva portare Laura con sé  quella sera e, rassicurato su questo punto, salutò tutti e  si allontanò.
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 Quel pomeriggio , insieme a Laura,  avevano visitato la torre di Galata  all’interno dell’antico quartiere  edificato dai Genovesi : Avevano ammirato il panorama della città , le sue moschee , la parte occidentale e quella asiatica , il ponte che le unisce  e la bellezza del Bosforo. Poi si erano addentrati lentamente fino al ponte di Galata scoprendo nel suo  spazio sottostante  i vari ristorantini e bancarelle di pesce. Era  un susseguirsi di piccole botteghe  e di   tavoli all’aperto  che ricordavano tanto  alcuni posti dei paesi a mare del Sud d’Italia. Pian piano si fece sera  e si diressero all’appuntamento  davanti all’imbarcadero per il  battello della gita serale sul Bosforo.Erano circa le nove di sera quando  insieme agli altri salirono sul battello. C’era  Mister  Kaya insieme alla moglie, in abito tradizionale, ma con il volto scoperto, il rappresentante  italiano  del ministero per il commercio con l’estero , una signora  elegante  probabilmente coetanea di laura , il cliente di Mario, e il rappresentante del governo turco con la moglie , vestita all’occidentale. Oltre a loro c’erano diversi turisti   e tutti furono fatti accomodare nei tavoli preparati  in un’area del ponte dove fu servito uno spumante  italiano come segno di  benvenuto. C’era un tavolo già preparato per  Mister Kaya ed i suoi ospiti che furono subito intrattenuti dallo chef e serviti con precedenza rispetto a tutti gli altri .Mentre   gustavano i piatti tradizionali della cucina turca  e godevano dello spettacolo  della costa e di alcuni  splendidi palazzi storici  illuminati,  venivano intrattenuti anche da un piccolo gruppo di musicisti . La serata  fu molto gradevole. Finita la cena,  passarono ad esplorare il battello soffermandosi sulle gallerie laterali  dove ognuno ritrovava la sua intimità  con il partner  o con gli amici più stretti. Quando passarono sotto il lungo ponte illuminato, Mario e Laura  erano sulla parte posteriore del battello e così poterono  osservare il ponte nella sua interezza mentre si allontanava lentamente. Dopo circa due ore dalla  partenza , il battello rientrò  al molo e, dopo essersi salutati con tutti gli altri, Mario e  Laura si avviarono verso l’albergo.         

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-          Please Mister! Help me! Aiutatemi vi prego!-
-          Quella voce  dolce e lamentosa allo stesso tempo  usciva  dall’angolo buio della notte,  lungo la stradina che stavano percorrendo, e si rivolgeva proprio a lui. Guardò meglio in mezzo al buio  e gli sembrò di vedere, raggomitolata a terra, una figura  avvolta in un grande velo  che teneva sulle gambe un altro fagotto più piccolo.
-          Chi sei? -rispose Mario- Com’é che parli la mia lingua?
-          Vi prego aiutatemi- rispose subito  quella stendendo la mano.
-          In quel mentre, forse disturbata dal movimento , la figura più piccola prese improvvisamente vita  scoppiando a piangere . Era un bimbo piccolo e singhiozzava invocando  la sua mamma.
-          Laura si avvicinò immediatamente cercando di aiutare  quelle due persone : la madre ed il bambino. Mentre Mario cercava di sorreggere la ragazza , Laura prese in braccio il bambino  che, nonostante  non venisse preso dalla madre , tuttavia sembrò calmarsi. La ragazza, dopo essersi alzata,  riprese il bambino dalle braccia di Laura e rivolta a Mario gli chiese:
-          - Siete italiani vero? Anch’io sono italiana   e sono disperata . Aiutatemi! Non so dove andare , non ho soldi e il mio bambino ha fame.
-          Hai un posto dove dormire? – le chiese Mario- vivi con qualcuno?
-          No stiamo sulla strada. Viviamo di elemosina e il bambino ha fame.
-          Va bene – disse Mario  senza pensarci due volte– vieni con noi! Stasera dormirete e mangerete : Poi, se vuoi ci racconterai di te . Andiamo.
-          Insieme a Laura  sorressero  la ragazza e il bambino, presero la piccola valigia che aveva con sé , si diressero verso una strada principale .Chiamarono un taxi e si fecero accompagnare all’albergo.  Arrivati nella Hall, Mario pagò una stanza anticipatamente per i due nuovi ospiti e chiese  che  portassero loro da mangiare in camera.

Adesso, il viso della ragazza era disteso, quasi sereno,  e guardava il suo piccolo che sorrideva a Laura che lo solleticava. Avevano mangiato con calma e finalmente  stava seduta, riposando   comodamente su di una poltrona.
Come ti chiami ? – Le chiese Mario
Il mio nome  adesso è Fatima ma sono nata  Irene . Così mi hanno chiamata all’Istituto dove mi hanno cresciuta in Italia… a Roma. Non ho mai conosciuto i miei genitori . Non si sapeva chi fossero: Mi hanno trovata  abbandonata davanti alla porta dell’istituto e mi hanno presa, curata e cresciuta.
Com’è che ti trovi qui? – chiese Laura
Cinque anni fa  ho conosciuto  Salim, un ragazzo siriano, che era venuto in Italia  per ammirare le bellezze dell’antichità del nostro Paese. Era pazzo per il Colosseo….pensate un po'!
Ci siamo innamorati  e mi ha portato con sé nel suo Paese. Ci siamo sposati con il rito musulmano ed ho preso il nome di Fatima. Tre anni fa  è nato il piccolo  Abdul………… poi, c’è stato l’inferno.
Prima la protesta,  poi una vera e propria guerra civile  che non ha risparmiato nessuno. Mio marito è morto,   vittima di un attacco terroristico ed io sono rimasta sola  con Abdul.  A quel punto non sapevo cosa fare e  ho pensato di ritornare in Italia. Ho  ritirato tutti i soldi che avevo  , i documenti più importanti e mi sono unita ad una carovana di profughi che cercava di passare il confine  con la Turchia. Ci sono riuscita come vedi ….. ma siamo a terra!
-          Irene, tu e Abdul non siete più soli-  le disse Mario- verrai con noi in Italia, ma prima  dobbiamo fare in modo che non vi siano problemi per Abdul. Domani andiamo al Consolato italiano e cerchiamo di far convalidare i documenti che ne comprovano la tua maternità.
Irene era felice  e rideva e piangeva, stringendo a se il piccolo Abdul e ringraziando ora Laura ora Mario continuamente.
Scese la notte e, finalmente , la pace regnava nel suo cuore!
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I giorni seguenti furono densi e frenetici . Mario, grazie anche all’aiuto delle sue conoscenze con la funzionaria del ministero del commercio con l’estero italiano, che si era messa subito a disposizione intermediando con il console  di stanza ad Istanbul , aveva convalidato anche per l’Italia   l’atto di nascita di Abdul emesso dalle autorità siriane. In tal modo Irene , che aveva  conservato la cittadinanza italiana , ed Abdul potevano rientrare in Italia  insieme  a Mario e Laura.
Oltre a questi aspetti più formali ed importanti non erano mancati gli aspetti più piacevoli del giro dei negozi per ricostituire il guardaroba di Irene ed Abdul. In questo, Laura si era dimostrata molto brava accompagnandoli  e consigliandoli. Il risultato era ormai costituito da quella graziosa mamma con bambino al seguito che passeggiava elegante per le strade di Istanbul.
Dopo aver portato avanti  i diversi impegni di lavoro e salutato mr. Kaya, Mario era pronto per il rientro in Italia con il suo nuovo gruppo.
 Quel viaggio  gli aveva cambiato la vita! Non avrebbe mai pensato di tornare con tanti nuovi amori , ognuno di natura diversa ma di uguale importanza.
 Mentre l’aereo si alzava in volo verso l’Italia, il suo sguardo si volse verso Laura che  chiacchierava amabilmente con Irene , seduta serenamente  accanto ad Abdul che non smetteva mai di guardarsi attorno e di chiedere qualcosa.
 Si,  era stato veramente fortunato ad incontrarli!
Ora, erano passati alcuni mesi  dal loro rientro in Italia ed Irene  si era progressivamente ambientata a casa di Mario e ,quando Abdul la lasciava un attimo libera,  provava ad aiutarlo nel suo lavoro  dimostrando una rara attitudine.
Quella sera erano tutti insieme a cena insieme a Laura, la cui storia con Mario continuava ancora più intensamente.
-Bene – disse Mario . che bella tavolata! C’è un bel bambino che sta morendo di fame . E’ vero Abdul?
- si , nonno, ma non sto morendo ………… ho molta fame – rispose il bimbo-
Si …..è vero… è sorprendente sentirti chiamare nonno , ma quello era un vezzo che Abdul si era preso  pian piano e che era piaciuto a tutti . Non che significasse che Mario sembrasse un vecchio bacucco; ma, semplicemente, era chiaro al bambino che non fosse suo padre e che non poteva essere il compagno di sua madre . Abdul,  inoltre ,vedeva ai giardinetti  i nonni dei suoi piccoli amici che somigliavano molto nel comportamento e nell’età a Mario  . Così lo aveva cominciato a chiamare nonno . Dapprima Mario e tutti gli altri si erano messi a ridere; poi, la parola si era insinuata piano piano dentro al cuore.
Certo- rispose Mario- e vedo arrivare un bel piatto fumante di pasta . Che te ne pare?
Si…..Si  - cominciò a gridare Abdul impaziente- ….. buona ….buona….
Quando erano ormai alla fine,  Mario si rivolse a Laura e Irene dicendo:
-          Mie belle  ragazze  ho il desiderio di dirvi una cosa  a cui tengo molto e che spero vi faccia piacere.
-          Di che si tratta?- risposero in coro le due donne
-          Dobbiamo preoccuparci ? – aggiunse Laura
-          Penso proprio di si – rispose Mario.- Ho pensato molto a questa cosa e poi ho visto una bella villetta  con giardino  nella periferia dell’EUR che mi sembra perfetta per noi. Laura . Irene vi piacerebbe andare  a vivere insieme  in questa nuova casa  ed essere  un’unica famiglia?
-          Oh! Dio! -Esclamò Laura
-          Mamma mia  – aggiunse Irene- una famiglia!
-          Si – disse Mario – rivolto a Laura – vorrei che tu venissi a vivere con noi e che restassimo sempre insieme. Non è molto che ci conosciamo ma è speciale quello che è successo fra di noi e sono sicuro  di quello che provo per te. E tu?
-          Oh! Mario  anch’io! – rispose Laura – Vengo! Vengo!
-          Irene,  capisco che ti sembra forse avventato quello che ti dico, ma  sei entrata insieme ad Abdul nella mia vita  e non saprei più fare a meno di te. Abdul mi chiama nonno  ed io ti sento  come mia figlia e, se me lo permetti, ti vorrei adottare ed andare a vivere insieme,  tutti e quattro, nella nuova casa.
-          Posso chiamarti figlia mia?
-          Nessuno mi ha mai chiamata . figlia mia , papà – rispose Irene, commossa
-          Nessuno mi ha mai chiamato papà – disse Mario.
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MASTRU CIFULIANU





C’era una volta, e ancora c’è, una terra cinta dal mare.
Arsa dal sole e con dentro un monte che sbotta e sprizza sassi di fuoco!
In un tempo che c’era e or non c’è più, accadde una storia che forse è vera !
Così la ricordano e così era, e se così non  sarà, in altro modo sarà!

                        *                                  *                                  *

Chi la racconta era una nonna, col viso schiarito da un  lume a petrolio,
Quando non c’era la televisione e neanche la radio d’ascoltare.
Si stava seduti accanto alla “conca” ,cercando il calore  per riscaldare,
mentre le braci e le parole creavano un mondo tutto da immaginare.

                        *                                  *                                  *


In un paese che non so, viveva un  bravo calzolaio che tutti conoscevano come” Mastru Cifulianu “. Stava al lavoro tutto il giorno e spesso non aveva neanche il tempo per andare a casa a mangiare, nonostante  la sua abitazione fosse solo  ad un isolato di distanza dalla bottega.
Così stando le cose, la moglie, che sapeva quanto gli piacessero i legumi, verso metà mattinata, metteva a sobbollire dei fagioli  in una pentola di coccio con un rametto di salvia e uno spicchio d’aglio e quando erano quasi pronti , per l’ora di pranzo, toglieva la pentola dal fuoco , aggiungeva dell’olio d’oliva a crudo e di corsa usciva da casa per portare il tutto alla  bottega .
Quando Mastru Cifuliano vedeva arrivare la moglie, le faceva mettere la pentola su di un tavolino accanto, nell’attesa di mangiare quei benedetti fagioli. La pentola, che era di coccio, manteneva nel frattempo il suo calore e  i fagioli continuavano a sobbollire insieme all’olio d’oliva, che era stato aggiunto, espandendo per tutto il vicinato un profumino da leccarsi i baffi.
Attratti da quell’odore, si presentarono alla porta di Mastru Cifulianu dei briganti!
Erano brutti ceffi, con la barba ispida e non rasata e gli occhi cattivi  che, al solo guardarli, sentivi che quel giorno non avrebbe portato niente di buono:

-         Mastru Cifuliano ……….  vi trattate bene!!! Il profumo dei vostri fagioli si sente per tutto il paese e voi non vi degnate di dividerli con i vostri ospiti. L’ospite è sacro!…….. e non accontentarlo…… è una grave offesa!
-          
Così dicendo, il capo dei briganti  si avvicinò alla pentola e la scoperchiò:

-         Ma che meraviglia è questa? Com’è che i fagioli stanno bollendo senza fuoco?

Mastru Cifulianu sapeva di non poter combattere contro i  briganti usando la forza. Questi erano in maggior numero ed  armati; inoltre, erano  balordi disposti a tutto,  avvezzi ad una vita di violenza . Così, pensò che se non poteva liberarsi di loro con la forza doveva provare  ad usare l’astuzia  e disse:

-         Ah! ….  se sapeste!  …..  Io sono un uomo fortunato! Questa che vedete è una  pentola magica!  Quando ho fame la riempio d’acqua e quando  non c’è nessun altro attorno le dico “Pentola lavora, io sono il tuo padrone” e come per miracolo essa si riempie del cibo che desidero e lo cucina senza bisogno della brace.
-          Ma….. attenzione! …  Basta che ci sia qualche altro  presente  o che cerchi di costringermi ad usarla con la forza, la pentola non funziona più. Si ribella e non lavora!
 Ah!  Ah!  Ah!  .... - rise divertito – ma i fagioli sono pronti e vi invito a  mangiare.
                                    *                           *                         *
I briganti non si fecero pregare due volte e cominciarono a mangiare con avidità, condendo il tutto con sonori rutti. Quando ebbero finito, il loro capo si rivolse a Mastru  Cifuliano dicendogli:
-Bravo!…Bravo! …e volevate tenere questo ben di Dio tutto per Voi, quando, come avete visto, abbiamo tante bocche da sfamare? Non pensate alle nostre mogli ed ai nostri figli? Noi abbiamo bisogno! Non è per cattiveria, ma questa pentola ce la dovete dare.
E Mastro Cifuliano , di rimando
-Ma prendetela pure! Solo che non v’aspettate che funzioni. Ve l’ho detto, è una pentola capricciosa e non sente ragioni. Con la forza non funziona. Non dite che non vi ho avvisato!
Bene, bene, non preoccupatevi. -rispose il capo dei briganti-Ci penseranno le nostre mogli a farla funzionare. Tenete! - e, buttando due soldi sul tavolo, aggiunse-  questi sono per la pentola. Non andate a dire che ve l’ho presa senza pagarla. -
Così dicendo, si alzò dalla sedia e rivolto ai suoi compari, gridò: Andiamo. -Lasciando il povero Mastru Cifuliano più confuso che persuaso.
 Ma guarda che confusione per una pentola di fagioli!
 Non aveva più voglia di restare in bottega. Si era fatto anche tardi e gli venne voglia di tornare a casa. Chiuse i battenti di legno spesso della porta e si avviò. Era ormai giunto l’imbrunire, quando il sole, al tramonto, lascia gli ultimi fuochi di colore al buio delle tenebre. La campagna intorno perdeva già la definizione dei suoi particolari per lasciarsi andare ad un gioco di sagome di alberi e cespugli, che si stagliavano sullo sfondo di un cielo, ancora chiaro, che perdeva colore.
La casa non era lontana e vi arrivò presto.  La moglie lo accolse   sull’uscio e lui, rapidamente, le raccontò tutto, suscitando esclamazioni di sorpresa e di spavento.
Poi, pian piano, la calma ritornò nella casa e marito e moglie si sedettero fuori, davanti all’uscio, ad aspettare il sonno della notte. In lontananza, qualche cane abbaiava rompendo quel silenzio di pace, che li circondava. La notte era calda e limpida. La luna, alta nel cielo, porgeva la gobba a ponente con accanto due stelle luminose.  Una era più piccola, ma l’altra sembrava una candela accesa nel cielo. Il sonno non tardò ad arrivare e marito e moglie si alzarono ed andarono a dormire.
·                          *                           *
L’indomani , tutto soddisfatto, il capo dei briganti invitò a casa  tutta la sua ciurmaglia, comprensiva di mogli e figli  per far ammirare a tutti i poteri della nuova pentola. L’allegria si trasformò, tuttavia presto in rabbia. Le urla e le maledizioni si unirono ai bisticci ed ai rimproveri della moglie che gli rinfacciava di essersi fatto prender per il naso da un semplice artigiano.  Gli altri componenti della banda giurarono e spergiurarono di aver visto con i loro occhi la pentola fare il suo dovere, tanto che avevano “sbafato fagioli a sazietà”, ma il gruppo delle mogli non ne volle sapere gridandogli in faccia che erano  sicuramente ubriachi e si erano fatti fregare come degli “scunchiuruti” privi di senno.
La  vedremo! Vi farò vedere io  chi è “scunchiurutu”  e chi , alla fine, rimane fregato! Mastru Cifuliano siete morto-gridò il capo,  sbattendo con forza il pugno sul tavolo e facendo sobbalzare tutti attorno dallo spavento.- Tutti con me! Andiamo a prendere quel cane morto!
Furono fuori in un attimo,  come una folata di vento rabbioso, decisi a vendicarsi . Arrivarono subito alla bottega  di Mastru Cifuliano e, senza dargli il tempo di spiegarsi o di reagire, lo picchiarono e ,ormai privo di sensi, lo misero legato in un sacco per portarselo dietro e buttarlo dalla scogliera.
·         * *
Mastru Cifuliano si sveglio, in preda agli scossoni, in piena oscurità. Sentiva le ossa rotte ma era ancora vivo ! Era legato mani e piedi e rinchiuso dentro un sacco, ma riusciva a respirare. Lo stavano tasportando sicuramente con un carro e sentiva tutte le scosse del terreno accidentato.
Ad un tratto,  il carro si fermò e sentì i briganti scendere.
Mastru Cifulianu mi sentite? – gridò il capo dei briganti-  Vi sento , vi sento- rispose lui.
Bene, allora, alla faccia vostra, prima di buttarvi nel mare dalla scogliera e fare piazza pulita della vostra persona, noi ce ne andiamo a mangiare!
Se avete fame ,vi possiamo dare ,qualche stronzo di cane! Lo volete? Aah.. lo volete?
Non voglio!...Non voglio!.. – ripeteva, gridando disperato Mastru Cifuliano –
I briganti si allontanarono per andare a mangiare e lasciarono così il povero Mastru Cifuliano solo sul  carro, chiuso dentro un sacco a lamentarsi gridando : Non voglio! Non voglio!
Non voleva morire e continuò a gridare disperato “non voglio” per tanto tempo, quando, ad un certo punto, sentì avvicinarsi qualcuno  che, con voce sconosciuta e timorosa, gli chiese:
-Cos’è che non volete? Che ci fate chiuso in un sacco?
Mastru Cifuliano rispose :
-Non voglio la figlia del Re. Me la vogliono fare sposare contro la mia volontà. Io sono sposato ed amo mia moglie e loro per costringermi mi hanno messo nel sacco.
-Ma cosa dite? – rispose l’uomo- io sono un povero pastore e sarei stato ben felice di sposare la figlia del re  e di avere una vita diversa e con tante ricchezze!
- Allora prendete il mio posto- gli disse subito Mastru Cifuliano-Mettetevi nel sacco al posto mio e nessuno se ne accorgerà. Arriverete a corte , davanti alla figlia del re,  e nessuno potrà impedirvi di sposarla.
- Dite che si può fare? –rispose il pastore
- Certo, ma sbrighiamoci – disse Mastru Cifuliano- i gendarmi stanno tornando.
In fretta e furia , il pastore aiutò Mastru Cifulianu a liberarsi e questi, a sua volta, lo aiutò a mettersi nel sacco , al suo posto, sopra il carro. Detto fatto, si allontanò rapidamente portandosi con sé il gregge del pastore.
Dopo un po’ i briganti furono di ritorno satolli ed ubriachi. Vedendo tutto a posto ed il sacco con dentro il presunto Mastru Cifuliano esattamente dove era stato lasciato, senza sospettare nulla, ripresero il viaggio verso la scogliera e ,appena arrivati, buttarono dall’alto,  nel mare, il malcapitato pastore , interrompendo il suo sogno di nobiltà.
Quale fu la loro sorpresa quando sulla strada del ritorno scorsero Mastru Cifuliano circondato dal suo nuovo gregge di pecore!?!
Questa proprio non ci voleva, pensò Mastru Cifulianu, scorgendo i briganti, Ed ora che gli dico? Cosa faccio? Poi con un radioso sorriso  andò loro incontro dicendo:
-cari amici , finalmente  vi ritrovo. Non sapevo proprio come ringraziarvi!

I briganti non credevano ai loro occhi.

-Capo, ma l’abbiamo appena buttato giù dalla scogliera- dissero in molti- Questo qui è un fantasma!
-Ma quale fantasma e fantasma! –rispose Mastru Cifuliano – mi volete far credere che non sapevate che quella scogliera è miracolosa?  Vi devo ringraziare! Ogni persona che si butta in mare dalla scogliera ritorna a terra come nuovo insieme ad un gregge di pecore. Gli sterminati campi del mare  gli regalano un gregge di pecore tutto per lui! Avete capito?
 Grazie ! Grazie ! Sono per sempre obbligato ! Salutamu!  S’abbenerica!
Così dicendo si allontanò,  lasciando i briganti con la bocca aperta e gli occhi sgranati.
-Ma se è così , diventiamo tutti ricchi! – disse il capo- se ci buttiamo tutti noi , con le nostre mogli ed i nostri figli dalla scogliera, avremo tante pecore e greggi  che non le ha neanche il Re.
-Vero è- risposero in coro i briganti- Di corsa,… andiamo!

E così, corsero felici  verso la scogliera, portando con sé   le famiglie, con gli occhi perduti in un sogno di ricchezza, e non tornarono mai più.


Corrida

Questo breve racconto è stato scritto molti anni fa in chiave di narrazione antropologica .Non prende pertanto le parti di nessuno dei protagonisti : né del toro né del torero,né del pubblico. Buona lettura!

          


L’arena era piena di gente che aspettava l’imminente corrida.

In Spagna, la corrida rappresenta la sfida di un uomo contro il toro. Nel torero,la folla vuole vedere un uomo capace di combattere il toro  senza averne paura. Un uomo  che faccia giostrare il toro attorno a sé, beffandolo ad ogni carica.

Delle persone, vicino a me, discutevano sui tori. Nell’aria tersa scoppiavano mortaretti ed il suono delle voci indistinte sembrava il rombo di un ‘aeroplano.

Alcuni dicevano che i tori erano buoni. Che erano bassi e tarchiati e con delle corna  dure e piccole; ma, altri diceva  che , pur potenti e veloci fossero, Paco, il torero, li avrebbe fatti giostrare ed uccisi elegantemente.

Il sole scottava i volti della gente e splendeva alto nel cielo azzurro. Alcuni avevano comprato delle noccioline, prima di entrare nell’arena,  ed ora le mangiavano  in attesa dell’entrata dei toreri.

C’erano parecchi turisti  che scattavano fotografie. Faceva un gran caldo e molti si toglievano le giacche; il venditore di cappelli, quel giorno, avrebbe fatto di certo affari. Qui e là si accedevano delle controversie. I fortunati  si erano scelti  i posti più vicini all’arena  in modo da vivere lo spettacolo quasi direttamente.

Nell’aria c’era un senso d’attesa. Domandai  ad un mio vicino chi fosse Paco ed egli mi rispose che era un torero  dallo stile spavaldo e temerario; ma, nello stesso tempo, elegante .

Un idolo della folla!

Si udirono degli squilli di tromba. L’ingresso dell’arena si aprì facendo entrare nello spazio sabbioso gli Alguaciles, che conducevano solennemente i loro cavalli bardati. Ad un metro circa di distanza, li seguiva  la Cuadrilla con al centro , nel suo sfolgorante costume rosso, Paco, l’Espada, che si ergeva  in tutta la sua elegante e slanciata figura.

La folla era impaziente. Osservai i miei vicini. Avevano  gli occhi fissi sull’arena  ed i visi bruciati , storti in una smorfia d’attesa e d’apprensione.

La Cuadrilla  si era allontanata  dal centro dell’arena. La folla ammutolì di colpo. Tra poco  il toro sarebbe entrato come una vaporiera imbizzarrita.

Un grido percorse l’arena in tutta la sua ampiezza. Il toro era entrato correndo.

Rapidi i Banderilleros entrarono in azione, agitando i loro mantelli scarlatti davanti al muso  della bestia  per farla innervosire. Subito dopo , fecero il loro ingresso nell’arena  i Picadores , sui loro cavalli bardati,reggendo in mano la lunga Pica. Uno dei Banderilleros agitò la cappa dinanzi al toro…..Quello  calò la testa e caricò….Aveva il rosso negli occhi e vedeva sempre più vicina la cappa  agitata che lo innervosiva…Eccola!…Eccola!

Ad un tratto  la cappa sparì ed esso  si trovò  a tu per tu con i Picadores.

Pancho, il Picador, osservava il toro.Prese la mira e calò la Pica sul dorso del toro, appoggiandovisi con tutte le sue forze. La bestia , però, aveva ormai toccato il ventre del cavallo  e l’aveva squarciato. Ora, le budella dell’animale uscivano fuori dalla ferita. Era uno spettacolo rivoltante; ma , la folla vedeva solo il toro ed il Picador. Un cronista, vicino a me,  scriveva sul bloc notes che , finora, lo spettacolo non aveva offerto niente d’eccezionale. Ora, il toro era  stato lasciato solo , al centro dell’arena. Dalle sue narici usciva il fiato , misto a polvere .

Entrarono  quindi i Banderilleros, ciascuno con due aste di legno, le banderillas, munite di fiocchi  e rivestite di carta colorata ma con la punta in acciaio.Si fece avanti il primo e corse  incontro al toro. Questo caricò e, quando sembrava che l’animale  stesse per colpirlo, il banderillero piantò  nel dorso del toro le aste e , facendo leva su di esse, si sollevò e  scartò di lato. Gli altri  fecero la stessa cosa. Alla fine , la bestia si trovò con le banderillas piantate nel dorso. Cercò di smuoverle, ma le punte d’acciaio erano entrate a fondo nella sua carne. .La cosa lo innervosì ancora di più. Ora, il cronista scriveva  che i banderilleros erano stati  molto bravi e avevano svolto il loro compito con maestria.

Il toro era fermo ed ansava.

Le trombe squillarono e Paco, l’Espada, entrò nell’arena tenendo in mano la muleta e lo stocco  e fu salutato da un lungo e consistente applauso. La sabbia  si alzava in nuvolette giallastre dietro i suoi passi.Egli guardava ai lati della pista. Dietro le staccionate robuste, Paco  intravedeva  gli altri toreri  pronti ad ogni evenienza. Osservò la folla che lo acclamava e pensò che essa voleva da lui uno spettacolo senza risparmio di energia e d’audacia. Voleva provare  il brivido per il rischio continuo della vita che lui avrebbe corso e pensò ancora che , se egli non l’avesse accontentata, gli stessi che ora l’acclamavano lo avrebbero , in seguito , deriso e criticato.

Ora , il toro era fermo dinanzi a lui. Dal collo gli colava  il sangue vermiglio che, cadendo sulla sabbia, si mescolava ad essa macchiandola di un colore bruno. Gli occhi bovini lo fissavano; erano rossi dalla rabbia.La bocca era piena di bava schiumosa.

Ora era lì davanti a lui. Era una sfida, una sfida a morte. Paco lo sapeva, si ripeteva ogni domenica. I  muscoli dell’animale affioravano sotto la pelle e sembrava volessero schizzar fuori. Il suo corpo era pervaso da un tremito di collera. Era massiccio sulle zampe.

La folla , adesso , stava silenziosa e aspettava.

Paco si mosse. Il suo passo era lento e deciso. Sollevò la  muleta che , piegata in alcuni punti, assumeva un colore violaceo.

 Incitò il toro…………incitò ancora.

Quello abbassò la testa e caricò. Caricava diritto al corpo di Paco. Ora egli lo vedeva sempre più vicino avvolto in una nuvola di polvere gialla.

Paco si mosse lentamente di lato ed il suo fianco  sfiorò le corna  del toro nella sua corsa , mentre la muleta si drizzava tesa sul corpo dell’animale.

La folla gridò ……Ooolé!

Ed ogni volta il toro caricava e si lanciava  nel vuoto  accompagnato da un sonoro ….Ooolé!

Sembrava quasi che il toro fosse fuori posto nell’arena. Paco lo trattava come se non avesse  nessuna importanza e lo evitava quasi con insofferenza.

La sua condotta, così temeraria e spavalda, faceva impazzire la folla!

Il cronista , vicino a me, scriveva emozionato  :” non si era mai visto uno spettacolo simile dai tempi di Belmonte e Manolete”.

Ora, Paco  aveva impugnato lo stocco. Era l’ultimo passaggio del toro. Il silenzio entrò nell’arena e ammutolì la folla. Gli occhi di tutti fissavano l’uomo e la bestia . Uno davanti all’altra su quella terra giallastra. Paco agitò la muleta. Il toro caricò ancora……………….Uno……due passi…….un passo indietro……..e alzò la muleta mentre la bestia passava. Ora era lì sotto il suo sguardo  e per un attimo era lui , Paco, ad averla lì tutta per sé… Mirò ….. e subito dopo lo stocco era entrato completamente nellla carne del toro , fra la collottola e la spalla……………………………………

Il toro rimase fermo….., istupidito.

La folla esplose in un boato e ,come se fosse stato ucciso da quel suono, la bestia piegò le ginocchia e cadde al suolo, mentre Paco alzava  il braccio destro al cielo ,in segno di vittoria , fra le grida e gli applausi della folla.




                                                PAGINE MALTESI







I PREPARATIVI


Avevamo sognato a lungo quel viaggio e cercato di pensare a   tutto quello che potesse essere necessario.
 Innanzi tutto: le ragazze. A questo era servita   la decisione d’iniziare a fare corrispondenza, per diventare amici di penna, con il maggior numero possibile. L’intenzione era di poterle successivamente incontrare proprio durante il nostro primo viaggio. Scartate quelle che scrivevano in inglese e da posti troppo lontani, cominciai a rispondere a delle ragazze francesi, spagnole e maltesi.  
Era l’inizio dell’ultimo anno del Liceo. Quell’anno, avevamo gli esami di maturità e saremmo stati interrogati sul programma di tutti e cinque anni. Non volevo neanche pensarci!
Alfio, l’amico d’infanzia con cui avevamo deciso di partire dopo gli esami, era in un’altra classe. Con lui avevamo a lungo chiacchierato di questo progetto durante le vacanze estive precedenti, quando il solleone si prendeva gioco di noi ed il principale divertimento consisteva nell’ingaggiare interminabili partite di pallone o tamburelli nella stradina che costeggiava il suo condominio. Fortunatamente, era una strada senza sbocco e le uniche automobili che passavano erano quelle dei condomini che venivano a parcheggiare. La strada era diventata così il nostro personale campo giochi frequentato dai ragazzi del condominio e da me, che venivo con l‘autobus a trovarli. Io abitavo nel centro della città, dove non si poteva più giocare in strada, e appena possibile venivo a casa di Alfio. Eravamo amici e compagni di scuola fin dalla quarta elementare e sia i suoi genitori, sia il fratello, più piccolo di qualche anno, mi consideravano di famiglia.
Avevamo sempre giocato, da anni, al pallone o a tamburelli in quella stradina con incontri interminabili che finivano solo per generale sfinimento dei partecipanti, per le urla dei genitori che ci ricordavano i compiti da fare per l’indomani o perché si stava facendo tardi ed era l’ora di tornare a casa per la cena. A quel punto, stanchi, ma soddisfatti, andavamo a bere l’acqua che usciva lateralmente, a filo, dai lati di una vasca fontana condominiale. Salutavo tutti, mentre con Alfio continuavamo a chiacchierare fino alla fermata dell’autobus per tornare a casa.
 Avevo un’altro amico e compagno di classe con cui studiavo quell’ultimo anno; ma, con lui giocavamo a pallavolo, sport di cui eravamo appassionati.
Quell’estate, con i ragazzi più grandi avevamo preso l’abitudine di giocare anche qualche volta a carte a casa di Alfio. Per lo più a briscola o scopone. Durante quelle partite, si cominciò a parlare del viaggio dopo la maturità. Franco disse subito che quell’anno sarebbe andato in montagna con i suoi.
Con gli altri si affrontò il problema del possibile costo del viaggio. Alfio ed io c’eravamo informati sul fatto che fra il costo del traghetto, l’ostello/pensione e le spese di mantenimento dovevamo considerare una spesa di almeno 20.000 lire la settimana, oltre al costo del viaggio. Avevamo risparmiato per anni sulle paghette mensili erogate dai nostri genitori ed eravamo pronti; ma, gli altri, a sentire quelle cifre, rabbrividirono. Piero disse di poter disporre di sole 5.000 lire, oltre le spese di viaggio. Pensate che posso farcela a stare almeno una settimana? Piero, è inutile prenderti in giro, risposi, non puoi partire con sole 5.000 lire. Devi chiedere qualcosa ai tuoi. Siete pazzi? –rispose-quelli non vogliono neanche che io parta da solo. Non se ne parla nemmeno.
Col passare del tempo divenne chiaro che a partire saremmo stati in due: io e Alfio.
Forse era anche meglio perché ci conoscevamo da sempre e ci consideravamo come fratelli.
Quell’anno avevamo gli esami di maturità.
 Il Liceo stava veramente finendo e, con questo, un’intera stagione di amicizie, amori, sentimenti. Una vita passata sempre insieme, nella classe per la maggior parte della giornata. Poi, di corsa verso casa, per pranzare e quindi i lunghi pomeriggi di studio passati da soli o insieme a qualche amico, parlando delle compagne di classe o di come conoscere nuove ragazze.
A volte ci s’innamorava e improvvisamente si spariva dal gruppo suscitando i commenti ironici e sanzionatori degli altri. Allora, non pensavi ad altro che di sentirla al telefono o di cercare di vederla. Eri felice, ma quando l’amore finiva, il mondo ti crollava addosso e soffrivi come un cane. Poi, il tempo ti aiutava a riprenderti e, senza sapere come, ti ritrovavi di nuovo vivo.
Adesso non facevo più atletica, di cui ero stato appassionato. Andavo bene nella corsa veloce e nel salto in lungo, qualche anno prima, avevo vinto i campionati, nella categoria fino ai sedici anni, del mio Liceo. Con grande orgoglio avevo ricevuto la tuta nera e verde, con il nome del Liceo, con cui ero andato ad allenarmi qualche pomeriggio allo stadio. Poi, i miei genitori non mi avevano permesso di partecipare ai campionati interstudenteschi ed avevo lasciato perdere.
Uscivo da una classica delusione d’amore adolescenziale e, quell’anno, avevo deciso di pensare solo a studiare, cercare di capire quali erano i miei interessi e quale attività lavorativa mi sarebbe piaciuta.
Fino a qualche anno prima, avevo pensato di fare il medico; ma poi, avevo deciso di lasciar perdere. Gli studi erano troppo lunghi ed io volevo al più presto essere indipendente ed andare a vivere da solo. Volevo guadagnare e fare a modo mio, senza che nessuno mi dicesse cosa fare.
Quell’anno frequentavo con Alfio la GS-FUCI, che s’ispirava all’esperienza milanese di quella che poi sarebbe diventata Comunione e Liberazione. A quel tempo, ci stavamo tutti dentro ed ancora non si parlava di politica, ma d’impegno sociale. Era anche un ambiente dove speravamo di conoscere delle ragazze in gamba. C’era, in ogni modo, una forte tensione per il cambiamento. Ci sentivamo stretti in una gabbia organizzata da cui volevamo uscire per vivere la nostra vita, a modo nostro.Volevamo amare ed essere amati. La cultura beat aveva invaso i nostri cuori. Ascoltavamo i cantautori impegnati, ma anche i gruppi rock e non disdegnavamo le semplici canzonette. Cominciavamo a discutere del senso della nostra vita e della società che ci circondava. Odiavamo l’ipocrisia, che ci sembrava essere ovunque, e le continue proibizioni. Alcuni amici avevano deciso di andare a studiare fuori: Due compagni di classe volevano andare a studiare psicologia a Lovanio, in Belgio. D’altra parte, in Italia non c’era neanche la Facoltà. Io avrei voluto fare Sociologia e sarei voluto andare a Trento; ma, i miei si opposero con decisione. Dopo, venni a conoscenza che la Facoltà di Scienze Politiche, presente anche a Catania, dopo un biennio propedeutico uguale per tutti, avrebbe istituito degli indirizzi di studio con specializzazioni diverse, fra cui anche l’indirizzo sociologico. Decisi che mi sarei iscritto a quella Facoltà, una volta superati gli esami. Avevamo un gran fervore intellettuale. Leggevamo di tutto e avevamo discussioni infinite sui massimi sistemi. Quando possibile, andavamo anche alla Biblioteca Universitaria, per approfondire argomenti di nostro interesse. Io ero tendenzialmente con una mentalità autoritaria e conservatrice; ma, mi scontrai a fondo con un mio compagno di classe che, invece, era uno studioso appassionato dell’esistenzialismo di Sartre e del pensiero socialista. Pian piano, mi ritrovai a guardare con un occhio più critico un po’ tutto e pormi tante domande a cui non sapevo rispondere. Quest’inquietudine veniva riportata anche sugli studi, in famiglia, nella stessa GS cattolica che frequentavo ed ero sempre meno disposto ad accettare   qualunque tesi mi fosse presentata senza prima metterla completamente in discussione. Nel frattempo, continuavo a scrivere alle ragazze organizzando il futuro viaggio dell’estate. Sia Io che Alfio trovammo interesse in due ragazze maltesi simpatiche e disponibili. Ci diedero tante informazioni su Malta, sulle sue spiagge, sulle cose da vedere e da fare. Alfio cominciò ad affezionarsi alla sua amica e decidemmo che Malta poteva essere la metà giusta per quell’estate. Ci dicevano che la vita costava poco e che forse ci poteva essere la possibilità di essere ospitati presso la casa di una zia della ragazza di Alfio.
La scuola continuava ma il mondo studentesco era in subbuglio. Era da qualche tempo che negli USA i ragazzi dell’università contestavano la società americana, Era sorto un importante movimento per i diritti civili guidato da Martin Luther King e un grande movimento pacifista e alternativo di rifiuto della guerra in Vietnam. Sentivamo parlare del libero amore, mentre, da noi, il sesso era ancora un argomento di cui si parlava solo in privato e con gli amici più fidati. I rapporti prematrimoniali erano un peccato, diceva la Chiesa Cattolica, e le ragazze erano molto sensibili a queste raccomandazioni. A maggio, in Francia, scoppia la rivolta studentesca. I giornali ne sono pieni ed il Movimento studentesco arriva anche in Italia, diffuso inconsapevolmente dalla televisione. Ricordo una trasmissione in cui vennero intervistati i principali leaders del Movimento Studentesco delle varie sedi universitarie. C’era Bassetti , c’erano Viale e Bobbio a Torino, c’era mi sembra Boato da Trento e forse Scalzone e Piperno da Roma. Forse anche Sofri della Normale di Pisa. Il movimento era ancora circoscritto alle università; ma, dopo qualche giorno, il Preside del mio Liceo decise di tenere un’assemblea proprio sul tema della contestazione giovanile, forse con l’obiettivo di prevenire possibili esplosioni improvvise. Il risultato fu, invece, di diffondere anche fra di noi l’interesse per quello che stava accadendo. Intervennero esponenti universitari legati al movimento anarchico e della sinistra e ci furono primi ed inaspettati episodi di contestazione nei confronti di professori e dello stesso Preside.
Eravamo ormai arrivati quasi alla fine della scuola ed io decisi di farmi crescere la barba come segno evidente di adesione alla protesta giovanile. Nel mio immaginario erano tre gli elementi distintivi del personaggio che volevo essere: la barba, un’immancabile sciarpa al collo a quadri scozzesi, l’eskimo.Considerato ch’eravamo alle soglie dell’estate mi accontentai di farmi crescere la barba rimandando sciarpa ed eskimo all’università.
 Non mi piaceva la barba intera e decisi di farmene crescere una alla Lincoln, senza baffi, che m’incorniciava il volto.
Fumavo raramente e la prima esperienza dell’aspirazione del fumo nei polmoni era stata un disastro. Ero quasi svenuto, nella mia stanzetta piena di fumo, tra la preoccupazione e la successiva ira dei genitori.
Per darmi un atteggiamento, avevo scelto di fumare la pipa e ,pertanto, camminavo completo di armamentario vario di filtri, aggeggi per pulire e pressare il tabacco ed una pipa molto bella. color marrone scuro a forma ricurva.  Da vecchio marinaio.
Il tempo degli esami era vicino ed anch’io non potevo mancare all’appuntamento con un classico di quei tempi: la nottata di studio. Avevo un ammezzato, ai piani superiori, con una piccola finestrella ed una scaletta di legno che portava alla terrazza che copriva l’appartamento. La utilizzavamo come ripostiglio e qualche volta anche come studio di disegno e di pittura. Sia io che mia sorella eravamo appassionati di pittura, forse per imitare mio padre che, da giovane, per hobby si divertiva a dipingere. Era abbastanza bravo. Preferiva dipingere ad acquarello e ad inchiostro di china; ma, la sua opera più bella era, per me, un piatto bianco su cui aveva dipinto una piccola barca a vela: Era stato realizzato affumicando il piatto con una candela e realizzando il disegno per sottrazione del nero fumo. La fiamma della candela aveva leggermente bruciato una parte del piatto lasciandogli un colore giallastro che ben si accoppiava con la scena realizzata, simulando il colore di una luna o di un sole al tramonto. Tutti noi figli avevamo il desiderio di provare ad imitarlo ed ognuno di noi si divertiva a dipingere. Io avevo scelto di dipingere ad olio su tela: Mi piacevano moltissimo i colori ed i soggetti dei quadri di Gauguin, Van Gogh ed altri. Amavo proprio la materialità del colore. Mi piacevano moltissimo le sfumature del cielo al tramonto ed avevo realizzato un piccolo quadro, che avevo regalato qualche anno prima ad una ragazza. Raffigurava un cavallo, la cui sagoma scura ed indistinta si stagliava all’interno di un rosso tramonto.
Quell’ammezzato era perfetto per la “ nottata” di studio prima degli esami. Misi un tavolo pieghevole e delle sedie. Chiesi a mia madre di prepararci una frittata di patate per cena ed invitai due miei compagni di scuola, con cui studiavo in quel periodo. C’erano anche due brandine pieghevoli in caso di stanchezza improvvisa ed irrinunciabile. In realtà, provammo all’inizio a studiare ma, dopo aver assaggiato la frittata, inevitabilmente cominciammo a chiacchierare dei nostri desideri, delle paure ed emozioni che riempivano il cuore e la mente. Il tempo passò così inesorabile ed in qualche modo fra qualche piccola dormita, un po’ di studio e molte discussioni spuntò l’alba. A quel punto salimmo la scaletta che ci portava in terrazza per ammirare meglio il sorgere del nuovo giorno ed i nostri pensieri volarono alti ognuno verso il proprio mondo lontano.
Gli scritti non mi erano andati bene, specialmente la matematica. Non so perché, ero tanto convinto di saper svolgere bene il compito da rifiutare ripetutamente offerte di aiuto da parte dei compagni vicini. Alla fine, invece, mi ritrovai impelagato in una confusione da cui non seppi più uscire e che poi seppi essere stata premiata con un voto fra il quattro ed il cinque.
Arrivò così la data degli orali. Temevo che la mia barba nuova fiammante, in tempi di contestazione studentesca, mi avrebbe reso la vita più difficile, ma non m’importava. Non m’importava neanche se non fossi riuscito a superare gli esami di maturità.
 Andasse come doveva andare! Avevo voglia di cambiare, di andare oltre quell’esperienza e di lasciarmi tutto alle spalle: delusioni amorose, studi, gli stessi compagni ed amici della scuola mi stavano stretti. Volevo andare oltre ed essere libero e quella era una cosa che, pensavo, dipendeva solo da me. Non avrei più permesso a nessuno di fermare il mio cammino e le mie scelte. 
Mi chiamarono per gli orali. La commissione era schierata: Il presidente era un uomo anziano, calvo, con gli occhiali e con degli occhi attenti e vivaci. Accanto a lui stavano gli altri insegnanti della commissione ed i membri interni.  La mia barba lo incuriosì e cominciò a chiedermi perché l’avessi fatta crescere. Da lì, passammo a parlare di filosofia, poi di storia, italiano ecc ecc. e devo dire che fu una discussione ampia ed approfondita. Uno scambio d’idee profondo all’interno del quale venivo interrogato sulle varie materie, con qualche riferimento anche agli anni precedenti. Quello, infatti, era l’ultimo anno in cui agli esami di maturità venivano portati i programmi di tutti e cinque anni. In ultimo, si parlarono e mi fecero presente che vi era stato un problema nello scritto di matematica. Fui, così, oggetto di una verifica delle mie conoscenze nella materia. Dopo, mi spiegarono che il superamento degli esami non era in discussione, ma che l’intoppo in matematica scritta   avrebbe rovinato la media della votazione complessiva. Alla fine, ebbi comunque la media del sette e fui felice perché, all’epoca, dava la possibilità della parziale esenzione dalle tasse universitarie.
In quel periodo, durante gli esami, avevamo familiarizzato con i ragazzi della Quinta A. In particolare avevo parlato con alcuni di loro della Facoltà di Scienze Politiche, dove volevo iscrivermi. In generale avevamo anche parlato delle posizioni progressiste che si stavano affermando nel mondo studentesco. Un giorno, ci ritrovammo così a discutere del nostro futuro seduti ad un tavolo di un bar, all’aperto sotto il grattacielo, nella piazzetta antistante, con una scalinata ai lati di una fontana moderna. Sopra, vi era un piazzale ideato come area pattinaggio che in realtà era stata utilizzato sempre per improvvisate partite di calcio fra studenti.
Carlo era il più quadrato di tutti, Da sempre iscritto alla giovanile del PCI, era appassionato di storia e desiderava iscriversi a Scienze Politiche perché, ancora in quell’anno, i maturati del Liceo Scientifico non potevano iscriversi né a Lettere né a Storia e Filosofia. Era stato recentemente modificato il percorso di studi di Scienze politiche   con un biennio propedeutico e successivamente degli indirizzi che permettevano a molti noi di trovare lo sbocco desiderato. In particolare vi erano cinque indirizzi: internazionale, giuridico, economico, storico e sociologico.
In questo modo, ognuno di noi avrebbe potuto seguire i propri interessi: Carlo lo storico, Giovanni il giuridico ed io il sociologico.

Io, Carlo e Giovanni, assaporando le nostre granite di mandorla, la mia macchiata al caffè, parlavamo del futuro. L’impegno, gli studi, le ragazze. Io raccontai che ad agosto avrei fatto il mio primo viaggio. Dove vai? A Malta-risposi-. E che ci vai a fare?_ - mi chiesero-. Ci aspettano delle ragazze che abbiamo conosciuto per corrispondenza-risposi-poi, il mare è bello e ci sono spiagge stupende.
Divertiti, mi dissero. Nel frattempo vuoi venire ad una festa che dà la mia ragazza?-Mi chiese Giovanni- Certo che vengo, ti pare che mi faccio pregare?- risposi-
Festeggia il suo compleanno e ci saranno le sue compagne di classe e la sorella di due anni più piccola, che è molto carina.- aggiunse Giovanni.- Sarà il 20 luglio e così dopo parti più contento.
Non pensare di perdermi di vista fino al 20 luglio!- dissi io- A proposito, mi dicono che suoni bene la chitarra. E’ difficile imparare?
Ma no! Dipende da quanto sei tonto!-ammicco Giovanni. Allora, è un problema- risposi io, ridendo.
Così ci mettemmo d’accordo ed andai a trovarlo a casa sua per le prime lezioni.Era la prima volta che vedevo una casa che sembrava una libreria. Tutta la mia famiglia era formata da accaniti lettori. Casa nostra era piena di libri, ma pensavo di essere un’eccezione. La casa di Giovanni era ancora più caratterizzata dalla presenza di libri. Librerie piene fino al tetto e con molti testi antichi. Mi raccontò che avevano portato a casa loro anche i libri del nonno, dopo la sua scomparsa. Era anche lui un grande appassionato di letteratura. Dopo la mia attenzione fu catturata dalla magica chitarra di Giovanni e dalle sue dita che scorrevano veloci sulle corde. Era una chitarra ritmica-mi spiegò-adattissima per le canzoni folk e la musica leggera. Cominciai con il classico giro del Do: do maggiore-la minore—fa maggiore-sol settima. Con questo puoi accompagnare un sacco di canzoni-mi disse Giovanni- ma ti devi esercitare ogni giorno e quindi devi comprare una chitarra. Non la prendere né troppo buona, né troppo scarsa, perché, quando avrai cominciato ad imparare bene, ti piacerà avere tra le mani una chitarra decente. Una troppo buona costa molto e sarebbe sprecata con te.
Lo ringraziai e da quel giorno cominciai ad esercitarmi con la chitarra nuova, appena comprata, seguendo i suoi consigli. Ci vedevamo ed in seguito m’insegnò il giro di minore semplice: la minore-re minore-mi settima ed altro ancora. Così cominciai a strimpellare felice per ore, chiuso nella mia stanzetta, il ragazzo della via Gluck di Celentano, Sapore di sale, di Gino Paoli, Tous les garcons et les filles di F.Hardy ed altre ancora. Nel frattempo con Alfio preparavamo il viaggio con interminabili telefonate. Le ragazze ci avevano detto che una delle località più belle e frequentate dai giovani era St. Paul’s Bay. Bisognava ormai rapidamente procedere alla prenotazione dell’alberghetto dove andare almeno per i primi giorni, per poi vedere sul posto dove era meglio stare. C’era anche la possibilità dell’ospitalità di una zia di una delle ragazze; ma, questo si sarebbe visto dopo. La cosa più importante era anche fare i biglietti di andata e ritorno con la nave che partiva da Siracusa e ,dopo una notte di viaggio, arrivava a Malta, La Valletta.
Ci recammo così, insieme, in un’agenzia turistica. Prenotammo l’alberghetto a St. Paul’s Bay per cinque giorni e, con i biglietti del passaggio nave in tasca, ritornammo trionfanti a casa. Avevamo preso due cuccette, per dormire sulla nave, nel viaggio di andata; mentre, il ritorno era previsto di giorno ed era stato sufficiente il solo biglietto.
Scrivemmo alle ragazze che era tutto a posto e che saremmo partiti il tre di agosto per rientrare a casa dopo quindici giorni.
Il tempo passò in fretta e senza che me ne accorgessi arrivò il giorno della festa. Mi misi una polo, un paio di jeans, i miei mocassini preferiti e mi diresse verso casa della ragazza di Giovanni.
Andai a piedi perché non avevo la patente di guida e dopo qualche chilometro arrivai all’indirizzo della ragazza. A quei tempi, le feste iniziavano presto perché la maggior parte dei ragazzi e delle ragazze dovevano tornare a casa prima della mezzanotte, come cenerentola. Molti, come me, poi erano a piedi e bisognava calcolare anche il tempo per il ritorno che, tuttavia, era più veloce, perché andavamo quasi sempre di corsa. Insomma, le ragazze andavano via per le undici massimo, accompagnate dai ragazzi o riprese dagli scocciati genitori, poco contenti di quell’incombenza serale. Per questo motivo, le feste (rigorosamente in casa, con il giradischi o meglio il mangiadischi in funzione, grazie ai dischi portati da tutti i partecipanti e possibilmente, sempre con le luci centrali della stanza da ballo accese, per permettere alle ispezioni improvvise dei genitori di concludersi con facilità) iniziavano nel tardo pomeriggio, verso le diciotto e trenta, diciannove.
Nonostante queste disposizioni di massima, subito dopo l’ispezione, le luci centrali venivano sempre spente concedendo alle coppie che ballavano un po’ d’atmosfera. In effetti, un po’ di ragione, dal loro punto di vista, i genitori potevano averla. Il ballo, infatti, era una pericolosissima battaglia di sospiri ed avvicinamenti. Tutte le ragazze ti mettevano una mano sulla spalla per stabilire le distanze con il tuo corpo durante il ballo; tuttavia, se gli sguardi, la musica, le parole sussurrate, il respiro più affannoso, i profumi facevano il miracolo di spostare la mano della ragazza dietro il tuo collo, l’abbraccio era inevitabile e con esso………….. lo sbocciare di un possibile amore ,suggellato già subito da un primo tenero bacio. In altri casi, si diceva che c’erano ragazze che ci stavano e l’abbraccio immediato, senza parole e facendo finta di niente, permetteva un ballo piacevolissimo e molto aderente. D’altra parte, spesso, cosi come era cominciato, tutto finiva nel completo anonimato ed ognuno riprendeva a ridere e scherzare con i propri amici e amiche come se nulla fosse successo.
Suonai alla porta e mi aprì un sorriso con due occhi grandi, neri e brillanti che mi invitavano ad entrare
.
       -    Ciao, io sono la sorella della festeggiata e mi chiamo Elena e tu chi sei?
-         Ciao, mi chiamo Giuseppe e sono un amico di Giovanni.
-         Dai entra la festa è già iniziata- Così dicendo, mi attirò dentro con il braccio e mi portò nella stanza dove c’erano già gli altri invitati e dove il giradischi era già in azione.
-         Ecco Giovanni –mi disse- e questa è mia sorella.
-     E’ un piacere conoscerti e ti faccio tanti auguri. –feci io-
Scambiammo due chiacchiere e poi mi allontanai per dare uno sguardo in giro. Luci rigorosamente accese. Buon numero di ragazze partecipanti- Sedie a profusione. Musica gradevole con gli ultimi successi dei gruppi italiani, Mina, Beatles e Tom Jones.
Dopo un po’, mi accorsi che Elena era libera e così mi avvicinai e la invitai a ballare. Era un lento piacevole e, tra una nota e l’altra, cominciammo a conoscerci. Lei andava al Classico ed aveva finito il primo liceo. Aveva sedici anni ed era un fiorellino bruno. Le raccontai di me, dei miei sogni e desideri e le dissi che presto sarei partito per Malta insieme con un amico.
     Ci vediamo al ritorno e mi racconterai –mi disse – e ci scambiammo i numeri di telefono. Può         darsi anche che ti scrivo-le dissi – Posso? – Certo, mi farebbe piacere.- rispose Elena-
E così ,non vedevo l‘ora di partire per poterle scrivere e ritornare al più presto per vederla.
Dopo qualche giorno le valige erano già pronte e telefonai ad Alfio per fissare l’appuntamento alla stazione da cui avremmo preso il treno per Siracusa . Da quella città, infatti, partiva la nave per Malta.
C’eravamo finalmente! Il mio primo viaggio da solo, senza i miei genitori. Verso l’avventura.


                                                     *                      *                      *

Seconda parte- La tempesta



 Ci trovammo alla stazione per prendere il treno per Siracusa, da cui partiva la nave per Malta. La partenza era prevista per le 11 di sera; ma, bisognava presentarsi all’imbarco entro le 22. Ero stato accompagnato da mio padre, mentre Alfio era arrivato con il suo ed il fratello minore. I due genitori si conoscevano di vista e cominciarono a scambiare qualche impressione su questo viaggio a Malta dei loro figli. Certo che a vederci, eravamo quanto meno originali. Io ed Alfio avevamo entrambi diciotto anni e ci presentavamo a quell’appuntamento, io con la barbetta alla Lincoln ed un’improbabile pipa in bocca; mentre, Alfio, appassionato di cinema e vice redattore in erba di critica cinematografica di uno dei giornali locali, camminava con un cappello, simil cowboy in testa, che voleva somigliare a quello che portava Fellini, durante le riprese dei suoi films. Effettivamente, guardandoci con l’occhio dei genitori, c’era da preoccuparsi!
    Fortunatamente, il senso dell’autocritica non ci sfiorava minimamente ed ognuno, “convinto” del proprio personaggio, procedeva spedito sul suo cammino verso il futuro, salvo sorridere, in cuor proprio, del personaggio interpretato dal compagno d’avventura. 
Arrivò il treno e ci avviamo verso la nostra carrozza, con la valigia al seguito. Salutammo tutti e ci sistemammo. Quindi, ci affacciamo dal finestrino, in attesa che il treno partisse.
Effettivamente, provavo una certa emozione.
Mentre il treno cominciava a muoversi ed il padre ed il fratello di Alfio sorridevano nel salutarci, non avrei mai immaginato di vedere mio padre correre dietro la carrozza, incapace di sopportare il distacco che mi allontanava da lui.
 Quell’uomo forte nel corpo e nello spirito, scevro e severo, mi mostrò in un attimo un affetto che non avrei mai dimenticato. Quella tenerezza mi fece sentire, per sempre, ancora più forte ed adulto. Salutandolo, il mio cuore era ormai lontano e libero.
Ci guardammo per un attimo con Alfio e scoppiammo a ridere.
 Ce l’avevamo fatta! Eravamo in viaggio!
Il tempo passò in fretta e presto si delineò la stazione di arrivo. Dalla stazione al porto, il passo fu breve ed in perfetta puntualità, un quarto alle dieci di sera, eravamo già davanti alla nave.
Ma la vita é strana e mai avremmo immaginato la sorpresa che ci attendeva!
Davanti alla scaletta della nave, eccoli lì, inaspettati ed indefinibili, ci aspettavano sorridenti i genitori di Alfio insieme al malcapitato fratello minore che non sapeva dove nascondersi, ma che ci sorrideva malignamente, immaginando la nostra delusione.
-         Che sorpresa! Che sorpresa!  Ci sforzammo di bofonchiare. ( Si può dire bofonchiare o è anch’esso inopportuno?)
-         Quando siamo tornati a casa, abbiamo parlato con la mamma-rispose il papà di Alfio- e ci siamo resi conto che in un’ora potevamo essere a Siracusa. Così, ci siamo detti: andiamo a salutarli.Siete contenti? Sorpresi?
-         Certo! Non ce l’aspettavamo ! –aggiungemmo tra gli sguardi sempre più maligni e divertiti del “ fratellino” di Alfio- Ci avete fatto una bella sorpresa! – Non immaginate quanto, pensammo all’unisono-
In ogni modo, ormai, la sorpresa c’era stata e bisognava pensare all’imbarco. Sbrigammo le varie incombenze e andammo a vedere dove sistemare i bagagli, vicino alle cuccette destinateci. C’erano diversi spazi per i bagagli, in relazione ad un determinato numero di cuccette. Non avremmo mai immaginato che tutte le (credo centinaia) di cuccette si trovassero nella stiva della nave. Tutti insieme, con cuccette a castello sparse in ogni angolo della stiva. Dopo aver preso possesso delle cuccette, andammo ad esplorare la nave. Salimmo due piani di scale ed arrivammo sul ponte superiore. Quella sera il mare era agitato e la nave, ancora ormeggiata, ondeggiava maestosamente. Chiedemmo ad un marinaio anziano se era sempre così e lui ci rassicurò affermando che era solo l’inizio e quella notte si prevedeva un mare molto mosso nel Canale di Sicilia.
- Per cominciare ad abituarvi ed evitare il malessere, cercate di stare il più possibile al centro della nave-ci disse-, all’aria aperta e cercate di mangiare roba secca, senza bere.
- Cosa ci consiglia? –chiedemmo
- Va bene anche un panino col salame-ci rispose- ma bevete il meno possibile.
Forti di questi consigli, ci riunimmo ai genitori ed al fratello di Alfio per la cena. Era possibile, infatti, farla sulla nave, prima della partenza, anche con gli eventuali ospiti.
Sedemmo ad un tavolo grande, dove stavano già altre persone, e fu l’occasione per scambiare qualche impressione sullo stato della nave e la situazione metereologica. Fummo tutti d’accordo che la nave: “ La città di Alessandria”, era più che altro una bagnarola, scomoda ed essenziale nei servizi. Speriamo che regga bene questo mare dicemmo. Nel frattempo, eravamo in preda ad un ondeggiare lento che combinava insieme il rollio ed il beccheggio. Delle signore ordinarono una minestrina. Per rimanere leggere – dissero – nonostante le avessimo sconsigliate raccontando le istruzioni del marinaio. Io ed Alfio chiedemmo dei panini al salame e non bevemmo quasi niente.Dopo qualche minuto, una delle signore, che avevano mangiato la minestra, chiese il permesso di allontanarsi in preda al mal di mare. Noi eravamo ancora a posto. Salutammo i genitori di Alfio ed il fratello, che scesero dalla nave, e ci dirigemmo sul ponte per prendere aria al centro della nave, come ci aveva consigliato il marinaio. Ci sedemmo su delle panchine di legno vicino all’albero maestro.
 Era già notte e la nave cominciò a muoversi, allontanandosi dal molo ed entrando in mare aperto.
 C’erano tante stelle nel cielo; ma, io ne ricordo una che fissavo e che faceva un movimento circolare seguendo una traiettoria come di una circonferenza.
 Cominciava da un punto in alto, seguendo il movimento della nave, e scendeva circolarmente giù fino ad oltre il mio punto di equilibrio. Annaspavo nel mio cervello e, solo dopo le prime volte, accettai questo senso di vuoto oltre l’equilibrio, che accompagnava quel movimento.Poi, all’interno di questo vuoto, la stella ricominciava a salire cercando di completare quell’immaginaria circonferenza nel cielo, restituendomi al mio senso di equilibrio e di controllo; ma, prima di riuscirci, ricominciava a precipitare all’indietro rituffandomi in quell’interminabile vuoto.Avanti ed indietro inesorabilmente.Questo era per me il mal di mare che provai a superare accettando quello strana sensazione, sempre eguale ed esterna al mio equilibrio.
 Anche Alfio stava abbastanza bene e dopo circa un’ora, essendosi alzato il vento, provammo a scendere nell’area cuccette.
Tantissima gente popolava la stiva della nave, attrezzata con le cuccette a castello. C’insinuammo fra le persone e pian piano raggiungemmo le nostre, sedendovici sopra. Gli altri occupanti vicini erano già sdraiati. Le luci erano sempre accese. Il fatto che fossero decentrate, non molto forti ed in qualche modo coperte dalle strutture metalliche, non disturbava molto gli occhi e permetteva di riposare. Poteva essere ormai oltre mezzanotte e c’era ancora un certo brusio, causato da tanti che non dormivano ancora. Si ondeggiava sempre più forte e la stiva scricchiolava. 
C’era un giovane vicino di cuccetta che ci osservava sorridendo.
-         State andando in vacanza?- Ci chiese- Di dove siete?
Parlava bene l’italiano ma l’accento era leggermente diverso dal nostro e capimmo che era straniero.
-         Si, andiamo a Malta per una quindicina di giorni. Ci hanno detto che è molto bella !Tu invece?
-         No, io ritorno a casa. Lavoro in Sicilia. Faccio il muratore ma sono Maltese. Adesso c’è un periodo di ferma a vado a casa.
Continuammo a parlare per un po’.Dopo, considerando che il mare si faceva sempre più forte, decidemmo di tentare di riposare. Eravamo stanchi ed emozionati. La fatica per la sopportazione del continuo malessere del mare ci aveva sfiancati e ci addormentammo.
Passò qualche ora di benedetto riposo; ma dopo, ci svegliammo a causa dell’oscillazione sempre più forte della nave, che continuava a scricchiolare. Decidemmo di salire in coperta dove c’era un salone dove sedersi, con il bar annesso. Anche se a quell’ora era chiuso, avremmo aspettato l’alba per fare colazione.
 La nave oscillava paurosamente e quando tentammo di salire la scala per andare al primo livello superiore, dove stavano i bagni, scoprimmo che la cosa non era tanto semplice. Mentre provavamo a salire dei gradini, subito dopo il movimento della nave ci costringeva a fermarci, se non a scenderne altri. Bisognava, pertanto, calcolare il tempo del movimento a favore e salire di corsa più gradini possibile, fermandosi poi a resistere, durante il movimento contrario.
Salimmo e provammo a cercare i bagni. Inutile neanche provarne a descrivere lo stato, visto che, oltre che per le necessità corporali, erano serviti a molti per liberarsi lo stomaco.
Senza pensarci troppo, comunque, li utilizzammo lo stesso. Nel mentre, provai a guardare dall’oblò, ma non riuscii a vedere niente perché la nave, oscillando, scendeva sotto il livello del mare, che ne copriva l’orizzonte.
Alla fine, riuscimmo a salire in coperta, facendo un’altra scala, ed entrammo nel salone. C’erano una decina di persone, noi compresi, tra cui un ufficiale ed un marinaio dell’equipaggio. Stavano sedute per lo più attorno ad un tavolo lungo. Sedemmo anche noi. Il mare continuava ad essere agitato e non si aveva voglia neanche di parlare.
-Stiamo per lasciare il punto più difficile del Canale di Sicilia ed il mare si dovrebbe calmare –disse l’ufficiale- Ha raggiunto forza sette, tempesta! Adesso deve essere forza cinque/sei e con il sorgere dell’alba dovrebbe rasserenarsi. Le previsioni sono positive! Dovremmo arrivare a La Valletta per le undici.
-Siamo rimasti in pochi svegli –disse un passeggero- La maggior parte sta male o cerca di riposare.
Continuammo così a scambiare qualche parola. Il mare, effettivamente, cominciò a calmarsi e qualcuno cominciò ad accendere una sigaretta.
 Io tirai fuori la pipa. Quale occasione migliore per un vero lupo di mare!?!
Occasionalmente, ci trovammo a parlare con quel passeggero di cinema, di cui anche lui era appassionato. L’argomento cadde su Fellini, considerato uno fra i migliori registi del nostro tempo, ed Alfio fece notare come portasse in suo onore un cappello simile a quello utilizzato dal regista.
Parlando e fumando si fece l’alba: Aprì il bar e mai colazione fu tanto desiderata. Presi un caffè ed un cornetto che gustai con piacere visto, tra l’altro, che la sera prima avevo mangiato solo un panino.
Ormai il giorno era chiaro, il mare si era calmato e ci venne desiderio di uscire all’aria aperta.Dopo un po’ di tempo, pian piano scorgemmo, in lontananza, i contorni dell’isola di Malta.
 “La nottata era passata” avrebbe detto Eduardo e stavamo arrivando alla meta.
La maestosità del porto di Harbour si offriva ai nostri occhi e con esso le varie navi militari della flotta Nato di cui Malta era una delle basi navali principali nel Mediterraneo. C’erano probabilmente almeno degli incrociatori, se non una cannoniera ancorata nel porto, perché era lunghissima ed armatissima. Del resto non ne capivamo niente e restammo incerti su quello che avevamo visto. Ci cominciammo a preparare. Ognuno prese la sua valigia e dopo essere scesi per la scaletta dalla nave e toccato finalmente il suolo maltese, non vi nascondo che avremmo idealmente baciato per terra, lieti per la fine di quella traversata.


Terza parte- Primo giorno a Malta

Ad aspettarci al porto c’erano Maria e Catherine, le nostre due amiche di penna. Maria era l’amica di Alfio e Catherine la mia. Era molto carina. Non molto alta e ben proporzionata, con un caschetto di capelli neri ondulati e due occhi di un azzurro intenso.
Ciao, tu sei Giuseppe, vero?  Certo, sei l’unico con la barba! -Mi disse. E cominciammo a ridere contenti di essere lì, insieme.
 Cominciammo e ragionare su cosa fare. Allora, dovevamo andare a St.Paul’s Bay  per prendere possesso della stanza e lasciare i bagagli. Poi, nel pomeriggio ci saremmo visti alla stazione degli autobus, visto che provenivamo tutti da paesini diversi.

 I piccoli autobus, a Malta, erano il mezzo più comune per muoversi e collegavano tutte le località dell’isola con corse frequenti e comode. Tutti i paesini più sperduti erano raggiungibili facilmente. Le ragazze dovevano andare una a Dingli e l’altra a Zurrieq ed entrambe avevano circa tre quarti d’ora di viaggio da fare, compresi i tempi morti nelle località di scambio. Forse noi, invece, in mezz’ora saremmo arrivati. Mentre parlavamo insieme sul da farsi, mi sento chiamare.
-Giuseppe! Tu a Malta? Che caspita ci fai qui? – Incredibilmente, davanti a me, appare la faccia sfacciata e sorridente di Giorgio, uno dei miei due compagni di banco del Liceo.
Il nostro banco era a tre posti, occupati alla mia sinistra da Giorgio ed alla mia destra da Marco.
La nostra professoressa di Storia e Filosofia dell’ultimo anno, sospirando, aveva esclamato rivolta a tutta la classe: -Ma come si fa a trovare accanto, nello stesso banco, due ragazzi che sono l’opposto l’uno dell’altro! - indicando me e Giorgio- Tanto l’uno è serio e classico nel vestire, quanto l’altro è un buffone ed uno strascicato. Uno è studioso ed intellettuale, l’altro svogliato e sportivo.
Ci voleva bene entrambi, pur così diversi nel comportamento e negli interessi. Giorgio era un mito sia nel giocare al calcio che con le ragazze ed era stato il primo della classe a girare con una vespa scassata tra l’invidia e l’ammirazione di tutti. Ironia della sorte, avevamo avuto una storia con la stessa ragazza al quarto anno di Liceo. Prima lui e dopo io. Per lui era stata una storia breve, tra le mille. Per me, invece, era stato un grande amore che alla fine, dopo l’estate e prima dell’inizio del quinto anno, mi aveva lasciato distrutto.
Ed eccoci li a Malta!
- Io sono in vacanza con il mio amico Alfio. Tu che ci fai qui? - gli dissi.
-Sono qui per l’estate con la mia famiglia-rispose- mio padre è qui, nella base navale Nato.
In effetti, il padre di Giorgio era un ufficiale di marina di grado elevato ed aveva dei comandi importanti in rappresentanza dell’Italia.
-Perché sei al porto, oggi? –gli chiesi?
. Per rimorchiare ragazze, all’ingrosso-mi rispose- Vengo con quel pulmino –che m’ indicò con il dito- e le carico per portarle in albergo. Poi facciamo amicizia ed usciamo insieme.
-Come fai a caricarle nel pulmino? Che ne sanno chi sei? - gli chiesi
-Le carico e basta. Dico: servizio trasporto alberghiero gratis. Molte non sono italiane, comprendono poco quello che dico; ma, in qualche modo, fra qualche parola di francese e d’inglese capiscono che è gratis e salgono. Poi durante il viaggio mi presento. Ne carico tante in modo da riempire il pulmino, si sentono sicure e si divertono. Così facciamo amicizia e funziona.
. Beato te, che hai questa fantasia! -gli dissi- Oggi ti è andata male. Le ragazze stanno con noi e ci devi portare tutti alla stazione degli autobus alla Valletta. Vuoi?
-Certo che voglio. Salite! – rispose Giorgio
In men che non si dica, arrivammo così alla stazione degli autobus.
Grazie Giorgio, sei un grande! gli dissi. seguito in coro dagli altri.
Dai, passiamo la serata insieme- ci disse lui- Che ne dite? Io porto una ragazza e andiamo a mangiare qualcosa a Sliema, in qualche locale in riva al mare. Vediamoci davanti al Cordina e poi decidiamo il da farsi.
Fummo tutti d’accordo, decidemmo di vederci per le sette di sera davanti al Cordina e ci salutammo.  A quel punto, rimasti soli con le ragazze, ci mettemmo d’accordo con loro di vederci per le cinque del pomeriggio alla stazione degli autobus. Aspettammo che i loro bus fossero partiti e quindi prendemmo il nostro in direzione St.Paul’s Bay.
Arrivammo in albergo prima di pranzo. Era piccolo ma grazioso, con diverse camere, tra cui la nostra, con l’ingresso in una galleria che guardava il mare e la costa prospiciente. La camera era grande e confortevole.  Posammo i bagagli, ci rinfrescammo e decidemmo di andare a trovare qualcosa da mangiare nel villaggio. Vi erano molti giovani in giro e molte ragazze. Per lo più avevamo la sensazione che la popolazione fosse composta da turisti maschi e femmine oltre che a sole ragazze maltesi. In questa località turistica non si vedevano anziani, famiglie, bambini e pochissimi maschi adulti.
Mentre addentavamo un hot dog e bevendo una Seven up (tipica gassosa diffusissima) ci confrontammo sul da farsi nel pomeriggio/sera. Alfio era dell’opinione di andare insieme all’appuntamento con le ragazze; ma, non aveva nessuna voglia di continuare poi la serata insieme con il mio compagno di classe Giorgio.
Sicuramente dovrò accompagnare Maria a Dingli – mi disse Alfio- perché è possibile che sua zia possa ospitarci, andando momentaneamente a casa dei suoi genitori. Se tutto va bene, domani ci possiamo trasferire là. Possiamo risparmiare un po’ di soldi ed io posso stare più vicino a Maria.
-Ma non ti secca conoscere i suoi genitori? –gli chiesi
- No, mi ha detto che la lasciano fare, senza immischiarsi nelle sue scelte. Sono anche anziani e non parlano l’italiano. Poi siamo solo amici di penna in vacanza.
OK – proviamo-aggiunsi- Se non ci troviamo bene, possiamo sempre andarcene!
Era estate piena, la giornata era chiara e l’aria tersa. Nel pomeriggio, c’incontrammo con le ragazze e decidemmo di fare una passeggiata per Kings Way, la strada principale della Valletta, per cominciare a farcene un’idea. Si camminava con piacere perché la strada aveva un carattere strettamente pedonale, ad eccezione delle carrozze tipiche   che passavano insieme a qualche mini bus di servizio pubblico e taxi. Mi stupii nel vedere la strada controllata da coppie di agenti in divisa che andavano avanti ed indietro. D’altra parte, l’amministrazione era ancora in mano inglese e se ne coglieva l’impronta. Parlammo insieme del da farsi e Maria confermò quanto aveva pensato Alfio. Sarebbe rimasta fino alle diciannove con noi e poi insieme ad Alfio sarebbe tornata a casa per vedere di organizzare il nostro trasferimento nell’appartamento della zia. Con Alfio ci saremmo trovati poi in albergo.
Catherine, invece, poteva rimanere fino alle 20; ma, dopo doveva tornare a casa. Nel frattempo, si poteva entrare nella Cattedrale di San Giovanni per ammirare le opere del Caravaggio e poi, se restava tempo, dare uno sguardo al palazzo del Gran Maestro dei Cavalieri di Malta
Quando entrammo nella Cattedrale, rimasi letteralmente ammirato dalla bellezza dei dipinti del soffitto a volta e dall’esempio completo di stile barocco con cui era stata realizzata. La cattedrale prendeva il nome dal santo dei suoi patroni, i Cavalieri di San Giovanni. I dipinti del soffitto, i disegni sul muro di pietra e le scene della vita di San Giovanni, presenti negli altari laterali, erano opera di Mattia Preti; ma, nulla poteva eguagliare la gioia di trovare davanti ai propri occhi il capolavoro del Caravaggio “La decollazione di San Giovanni Battista”.
Restammo incantati a guardarlo con Catherine e lei mi sorrise. Poi, mentre Alfio e Maria si attardavano, ci sedemmo in silenzio ad aspettarli sulle sedie di legno, con lo sguardo perso nella bellezza di quel luogo sacro.  
Prima di lasciarci con Maria ed Alfio, avemmo il tempo di dare uno sguardo all’esterno del palazzo del Gran Maestro dei Cavalieri di Malta, poi ci avviamo verso il Cordina, dove avevamo appuntamento con Giorgio.
Durante il pomeriggio, vi era stato un continuo scambio di sguardi, sorrisi e sfioramenti delle braccia fra me e Catherine. Eravamo tesi e piacevolmente eccitati da quell’incontro e dalla nostra reciproca presenza. Le chiesi se era contenta del fatto che ero venuto a trovarla ed il suo sorriso fu la risposta più esauriente. Le luci cominciavano ad accendersi. Ci ritrovammo in uno spiazzo, con un palazzo illuminato alle spalle, mentre il cielo sopra di noi cominciava a scurire e ci baciammo. Era bella, con quegli occhi blu intenso, luminosi e pieni di giovane vita.

Ci trovammo alle sette, come d’accordo con Giorgio, davanti al Cordina. Questo era uno dei locali storici della valletta-Un caffè ristorante dall’interno elegante, con lampadari di cristallo e dipinti art nouveau, ampiamente rimodernato e considerato dai Maltesi uno dei locali più prestigiosi dell’isola. Giorgio aveva portato con sé una ragazza inglese, che aveva conosciuto in una delle sue scorribande al porto. Una biondina esile e graziosa.
Spiegammo a Giorgio che Catherine doveva essere a casa massimo per le nove di sera e quindi i programmi per la serata erano cambiati. Avremmo preso insieme qualcosa lì al Cordina e poi alle otto Catherine avrebbe preso l’autobus per Zurrieq.
Restammo così insieme e spiegai a Giorgio che sarebbe stato difficile programmare un nuovo incontro, considerati i vari impegni delle ragazze e nostri. Ad ogni modo, mi lasciò il numero di telefono per ogni eventualità. Ci salutammo ed accompagnai Catherine alla piazzetta da cui partivano tutti gli autobus per le varie località dell’isola.
Eravamo contenti di essere di nuovo soli! Il tempo passò in fretta e dovette andare via non senza esserci dato l’appuntamento per l’indomani pomeriggio. Un raggio di luce nei suoi occhi fu l’ultima cosa che ricordo mentre saliva di corsa sull’autobus in partenza.
Prima di tornare in albergo, rimasi un po’ a godermi la sera passeggiando per Kings way. Arrivai in una piazza, quasi in fondo alla strada, dove c’era un bar con una miriade di tavoli all’aperto, in cui si poteva consumare qualcosa, ascoltando musica dal vivo. C’erano sempre dei complessi   di giovani o, qualche volta, dei cantanti con repertorio swing ecc. Era piacevole ascoltare i successi del momento seduti tranquillamente in un tavolino, per il tempo che volevi, consumando solamente una Seven up. Ascoltai due, tre canzoni e poi mi recai a prendere l’autobus per il ritorno.

L’albergo era sulla costa ed era piacevole incontrare tanti ragazzi e ragazze che passeggiavano sul lungomare. Entrai e chiesi la chiave, ma mi dissero che era stata presa da Alfio che mi aspettava in stanza. Passando per la galleria, vista mare, che conduceva alla mia stanza, rimasi stordito dalla visione di una splendida bionda che stazionava quasi davanti alla porta della nostra stanza. Era la porta prima. la nostra vicina di camera. Passando le sorrisi e sbirciando nella sua stanza vidi che c’era una sua amica che si stava cambiando per la notte. Di bene in meglio!
Alfio hai visto le nostre vicine di stanza? - dissi entrando nella mia camera-
No, chi sono? - mi chiese Alfio.
Due biondone-risposi- vieni. Così facendo mi affacciai in galleria sorridendo alla vicina che scoprii parlava esclusivamente l’inglese. Insieme ad Alfio, tentammo di scambiare qualche parola nell’unica lingua straniera che avevamo studiato a scuola: il francese; ma, considerati i risultati, fu meglio augurare la buona notte nell’unica parola conosciuta in inglese: Good night!
Rientrammo così in stanza, esattamente come le inglesine a fianco.
Alfio mi raccontò del pomeriggio. Era andato tutto bene e l’indomani stesso potevamo essere ospitati dalla zia di Maria. Decidemmo così che la mattina avremmo saldato l’albergo e ci saremmo catapultati a Dingli, dove Maria ci aspettava per le 11 del mattino.
Come primo giorno non potevamo lamentarci. La serata era splendida e rimasi un po’ a fumare la pipa, affacciato nella galleria a guardare il mare. Pensavo a Catherine, a casa, a quella notte magnifica. Malta, Giorgio che avevo rivisto, l’Università che mi aspettava al ritorno ed anche Elena. Poi, pian piano, mi misi a seguire con gli occhi una barca, con una luce che si allontanava, e pensai alla luce degli occhi di Catherine quando mi sorrideva.
Che notte splendida!


Pagine maltesi- parte quarta- a casa della zia





Passeggiando per le vie deserte ed illuminate da una luce calda e diffusa, che evidenziava tutti i palazzi ed ogni angolo di Mdina, non potei fare a meno di pensare di come la descrivesse pienamente la definizione di “città silente”. Si alternavano, in un’atmosfera senza tempo, le strette strade medioevali, che, improvvisamente, si aprivano, mostrando imponenti palazzi di architettura barocca.  Il pensiero, per un momento, mi lasciava immaginare di poter incontrare una di quelle famiglie nobili, discendenti dai Normanni o dai grandi feudatari siciliani, che ne fecero, in passato, la propria residenza. Non c’erano riferimenti evidenti sull’epoca in cui eravamo. Tutto perfettamente conservato.
Sembra che anche S. Paolo abbia vissuto in questi luoghi.
Quella sera, approfittando del fatto di trovarci a Rabat, centro di smistamento degli autobus in direzione Dingli, avevamo deciso di dare uno sguardo a quell’affascinante “città silente”.
Da qualche giorno, ci eravamo trasferiti a casa della zia di Maria a Dingli con il vantaggio di risparmiare sull’alloggio, ma con il disagio di una maggiore lontananza da La Valletta e dalle altre borgate più turistiche limitrofe, come Sliema e St. Julien. Dingli era un paesino molto piccolo con poca gente e nessuna attrazione turistica, a parte le vicine scogliere. La casa della zia di Maria era un antico piccolo casolare circondato da un giardino ed un orto. L’appartamento, che ci ospitava, era al primo ed unico piano, perché quello di terra era adibito a magazzino attrezzi e ripostiglio. L’entrata dell’appartamento e le finestre davano su di una terrazza che rappresentava anche l’unica via d’ingresso. Da un  lato della stessa si poteva raggiungere l’uscita tramite una scala esterna che la collegava al giardino e, importantissimo, all’unico bagno disponibile, situato all’interno di un piccolo capanno.
L’appartamento era costituito da un grande stanzone con due lettini ai lati opposti ed un grande tavolo al centro. Lungo tutte le pareti e sui mobili e mobiletti vi erano decine e decine d’immagini, quadretti e statuette a carattere religioso, oltre agli immancabili candelabri e lumini vari di cera. Sembrava una sagrestia! A parte l’impressione, c’era comunque spazio a sufficienza e comodità, se non consideriamo il problema gabinetto.
Il giorno dell’arrivo, dopo aver sistemato i bagagli, la zia e Maria rimasero un po’ con noi per darci il tempo di prendere confidenza con il posto. Naturalmente, una delle prime informazioni riguardò il bagno e ci accompagnarono per farci vedere che la chiave d’ingresso stava nella serratura. Poi, ci rendemmo conto che, all’interno del locale, esisteva solo il gabinetto ed un piccolo lavandino. Neanche l’ombra del bidè (usanza moderna) e, almeno, di una doccia. Era proprio un servizio esterno di campagna. Maria notò la nostra delusione e ci disse che avremmo potuto usare il bagno di casa sua per poterci fare la doccia, al bisogno.
Il peggio doveva ancora venire! Dopo una mezz’oretta di chiacchiere, ebbi il bisogno di sperimentare la comodità del bagno. Mi avviai, scesi la scala e con gratitudine trovai subito che la porta si apriva agevolmente. La richiusi alle mie spalle e nell’accomodarmi vidi che non ero solo!
Non ero abituato alla presenza di animali a casa mia ed, invece, compresi che lì avrei dovuto condividere quel mio momento d’intimità con la curiosa fissità dello sguardo di un magnifico gatto, appollaiato davanti a me.  Cercai di farlo sloggiare ma quell’amabile quadrupede non ne aveva alcuna intenzione. Così, considerando l’urgenza, mi rassegnai alla sua curiosa compagnia.
Superato quell’attimo di smarrimento, precipitai quindi nel terrore!  Non riuscivo a trovare la cassetta dell’acqua dello scarico.
 Cercai pulsanti …….. catenelle………. ma non ce n’erano!?!
Esplorai tutto l’ambiente, cercando un contenitore… un secchio   da riempire con l’acqua del lavandino. Niente!....... Mentre………, sarà stata la mia impressione, il gatto continuava ad osservarmi sornione. Alla fine, dovetti cedere. Uscii dal casotto, salii le scale e chiesi alla zia di Maria di darmi un secchio per l’acqua. La zia fu estremamente gentile…anche troppo!  Scese con me le scale e, nel magazzino sottostante l’appartamento, trovò un secchio che riempì d’acqua e, prima che potessi rendermi conto di quello che stava facendo, entrò nel casotto e pulì il gabinetto, lasciandomi in preda ad una profonda vergogna. Sorridendo, mi disse che avrebbe lasciato il secchio dentro il casotto in modo che tutto ci fosse più facile! …………. Certo! Pensai. Sarebbe stato meglio averglielo messo prima.
Abitando ormai nello stesso paesino, avevamo conosciuto i genitori di Maria, che ci avevano invitato spesso a pranzo: Era la prima volta che andavamo fuori casa e all’estero e così capimmo subito quanto fosse eccellente la cucina italiana! La nostra cara e amata pasta non c’era! L’acqua non era buona: era di un sapore salmastro e forse poco sicura per la salute.
Decidemmo di non berne mai; anche perché, invece, la gassosa più comune: la “Seven up” era molto buona e dissetante.
Nonostante la buona volontà, il piatto migliore che ci venne offerto furono delle polpettine, stile cucina inglese. Erano molto gentili ma era meglio mangiare altrove. Alla Valletta c’erano diversi locali dove si mangiava sia la cucina italiana che quella inglese. Quando desideravamo mangiare un buon piatto di tagliatelle al ragù bolognese andavamo al “Bologna”, cucina italiana e deliziose giovani cameriere. Quando invece, con una modica spesa, desideravamo un piatto sostanzioso, non si poteva sbagliare. Si andava al “Britannia”: Il locale era immenso e sotto il livello stradale. Si accedeva attraverso una scaletta e si mangiava un’ottima bistecca alla Bismark. Non finirò mai di ringraziare il grande statista tedesco per questa ricetta. Mi portavano un’enorme bistecca con sopra un uovo fritto e circondata da quattro contorni: patate fritte, insalata di pomodori, altrettanto di barbabietola rossa a fette, carote lesse a fettine.
Mi abituai a berci sopra un’ottima birra ed uscivo sorridente e satollo come non mai!
Ci vedevamo ogni giorno con Catherine; ma alternativamente la mattina o il pomeriggio e comunque doveva tornare per cena a casa. Dopo averla accompagnata alla stazione dei bus per Zurrieq passeggiavo per la Valletta e mi capitava di tornare spesso al bar con i tavolini all’aperto dove si poteva ascoltare musica dal vivo, mentre si sorseggiava un semplice caffè o una seven up. A volte uscivamo con Maria ed Alfio, specialmente per andare a visitare dei siti interessanti dell’isola.

Una mattina, ad esempio, eravamo andati nel borgo di Pawla, non molto lontano dalla Valletta, per visitare il complesso megalitico di Tarxien. Era uno spettacolo impressionante. Non avrei mai pensato che, a poche miglia marine dalla Sicilia, averi potuto vedere templi megalitici, i dolmen, le incisioni sulle pareti fatte da uomini della preistoria vissuti quasi 3.000 anni prima di Cristo. Eppure, eravamo in mezzo a quella meraviglia. Incise nelle pareti dei passaggi fra i templi vi erano rappresentate file di animali: arieti, capre, tori tutti in fila, l’uno dietro l’altro come se fossero in processione e poi tante decorazioni a spirale. La cosa che mi colpiva era l’intensità e la bellezza della rappresentazione che ti toccava al di là della possibile imperfezione del disegno.
Molto superficialmente, quando avevo sentito palare della preistoria, ero stato sempre portato a pensare a uomini rozzi, quasi scimmieschi mentre adesso capivo quanto potevo sentirli simili a me. Come potevo intuire la loro passione nel disegnare quelle figure. La dedizione con cui avevano voluto rappresentarle e decorare quelle pareti. Decorarle per rendere più belle e per fare in modo che gli altri che guardavano riconoscessero in quelle immagini la vita che li circondava.
Un grande bisogno di spiritualità, per riunirsi insieme a considerare il mistero dell’esistenza e della speranza, così come sempre abbiamo fatto e continuiamo a fare.
 Uomini primitivi…………………………come me.
Quella sera, lasciata Catherine e mangiato qualcosa al Britannia, mi ritrovai a Rabat una buona mezz’ora prima dell’appuntamento con Maria ed Alfio, per il ritorno a Dingli. Era già buio e la sera era tersa e limpida. Non avendo niente da fare, decisi di passare quella mezz’ora facendo una passeggiatina e m’inoltrai su di una stradina che portava in aperta campagna. Pian piano le poche luci di Rabat si allontanarono e mi ritrovai nel buio più completo, con una pioggia di stelle nel cielo rese più evidenti proprio grazie alla mancanza di altre sorgenti di luce vicine. Vi era un gran silenzio e mi sentivo solo; ma, il possibile timore fu rimpiazzato presto da una sensazione di pienezza e quasi d’euforia. Pensavo alla bellezza di quelle giornate, a Catherine alla gioventù che palpitava forte dentro i nostri cuori, alla bellezza di quella pioggia di stelle nel cielo e sentivo dentro di me   una sensazione di forza e di libertà. Stetti ancora  qualche minuto a passeggiare sotto la luna e poi tornai indietro ad aspettare Alfio e Maria.

 Pagine Maltesi -Ultima parte  
    
Nei giorni seguenti, cambiammo di nuovo alloggio- La casa della zia di Maria, pur se accogliente, presentava diverse difficoltà . Le principali erano quelle legate all’uso del bagno ed, inoltre, la lontananza dalla Valletta. Nel corso di varie visite a questa città, trovammo un piccolo alberghetto, ideale per un soddisfacente rapporto qualità prezzo, e decidemmo di trasferirci. Ora, avevamo a disposizione molti più punti ristoro e potevamo spostarci in ogni punto dell’isola con facilità. Quasi ogni giorno, ci capitava di ritrovarci ad ascoltare musica dal vivo , seduti nei tavolini all’aperto, nella piazza principale,  quasi alla fine di King’s way, o di passeggiare  per la stessa via pedonale accompagnando le ragazze ai relativi autobus. Era sempre particolare notare, in quelle passeggiate ,come il massimo dell’eleganza per molti maltesi fosse accoppiare un camicia bianca  con cravatta nera su dei pantaloni altrettanto neri come le scarpe lucide ed appuntite.
Stavamo bene insieme io e Catherine. Era un rapporto  sereno e divertente . Senza pretese, forse, ma pieno di vita. Rimasi, quindi,  dispiaciuto, ma senza farne un dramma, quando mi spiegò che sarebbe partita fra pochi giorni insieme ai genitori per andare a trovare la sorella, che si trovava in Gran Bretagna per motivi di lavoro.
Decidemmo di fare qualche cosa di bello per salutarci e Catherine propose una gita in battello all’isoletta di Comino, nella parte nord di Malta. Il battello salpava da St. Julien. Arrivava in ca. mezz’ora   a Comino, dove sostava sino a dopo pranzo, per consentire una giornata balneare nelle splendide  spiagge ed insenature dell’isoletta, e poi  si ritornava nel pomeriggio.


Ci ritrovammo così, l’indomani, nell’isola di Comino,  dove si trovano  forse le più belle spiagge di Malta. Le sfumature del colore azzurro del mare andavano dal celeste al turchese. Non avevo mai visto niente del genere. Eravamo nella Blue Lagoon , un posto incantevole. Una specie di canale naturale fra Comino e Cominotto, un isolotto più piccolo e completamente disabitato  posto ad una breve distanza di fronte all’isola. La spiaggia era prevalentemente rocciosa con scogli e con un breve tratto  di spiaggia .
 L’acqua era stupenda. Trasparente, limpida e  di un colore celeste intenso.
Ci lasciammo scivolare dentro le onde in un bagno ristoratore nuotando dolcemente    mentre i raggi del sole scendevano anch’essi in mezzo a noi circondandoci in un tripudio di riflessi  dorati . Eravamo degli Dei in un paradiso!.
Così ,qualche giorno dopo, ricordavo quei momenti vissuti con Catherine nella Blue Lagoon, mentre già la nave solcava implacabile il mare verso casa. C’eravamo salutati con un sorriso e con la promessa di scriverci e rivederci  la prossima estate.
Forse! Eravamo troppo giovani  e troppo felici per quei giorni passati insieme per rattristarli oltre il normale dispiacere di un gioco finito troppo presto.
Ma già nuovi pensieri ed avventure erano all’orizzonte: l’Università, il racconto delle vacanze agli amici rimasti a casa, telefonare ad Elena.
Le altre volte che ero stato in viaggio , ad un certo punto, tornava inevitabilmente la nostalgia di casa. Desideravo gli angoli della mia stanza, le mie abitudini , i miei libri, le compagnie e la vita di ogni giorno.
Quella volta era diverso. Sarei potuto stare lì per sempre. Non avevo nessuna nostalgia del ritorno ed anzi, quando pensavo alla mia casa, mi veniva di andare con il pensiero a quella che mi sarei potuta costruire ovunque fossi andato. Chiesi ad Alfio se anche lui avesse una sensazione simile e ci ritrovammo a pensare che,  dopo tutto , avremmo potuto vivere benissimo a Malta
La nave continuava la sua rotta e si cominciava ad intravedere  Porto Palo e la punta di Capo Passero.
 Eravamo delle persone diverse rispetto a  quando eravamo partiti .Ormai eravamo degli adulti ed il pensiero del ritorno a casa non era per niente entusiasmante .
 Volevamo essere liberi e disporre del nostro tempo. Vivere la nostra vita  a modo nostro  e da quel momento sarebbe stato così




                                                          KENYA


    
  Anche quella mattina, Cesare uscì dal negozio, in Via dell’Omo, ed   entrò nella sua fiammante Alfa Romeo per andare in banca. Più che un negozio era un’ampia esposizione di radiatori, stufe ed articoli per impianti di riscaldamento; mentre, nel retro, vi era proprio il capannone artigianale, dove venivano realizzati i prodotti e vi erano gli spogliatoi e gli uffici.
Non era niente male per uno che aveva cominciato come garzone di bottega a Centocelle, pensò Cesare.
 A Centocelle c’era pure nato e cresciuto in via dei Gerani, dove si poteva ancora giocare per la strada, nel dopoguerra, con gli altri ragazzi.
Qualche volta, ci si divideva in bande avversarie e si arrivava sino nei campi, dietro le case, a combattere, tirandosi le pietre ed, alla fine, sdraiandosi a terra sull’erba, stanchi e felici. Con uno stupido sorriso fra le labbra a guardare il cielo e ad indovinare la forma delle nuvole.
Gli amici, quelli “ nun se tradiscono” pensava Cesare. Ed ancora oggi c’incontravamo tutti i giovedì sera per combattere.     




 Ormai non si correva più per la strade o per i campi. Non si tiravano più pietre ma, seduti comodamente attorno ad un tavolo,   ci si misurava lo stesso, servendosi di un mazzo di carte da poker.
Il giovedì sera era sacro. Erano tutti ormai uomini fatti, che lavoravano sodo e non facevano mancare niente alla moglie ed ai figli; ma il giovedì sera era loro e non c’era “trippa per gatti”.
Cesare amava il gioco d’azzardo e le belle donne. Riusciva però a non fare clamore ed evitare “ strascichi” fastidiosi. Aveva sempre preferito non mettere in pericolo la famiglia con le sue scappatelle ed alla fine, coll’avanzare dell’età, non disdegnava di frequentare qualche signora “ pulita” e compiacente in cambio di un regalo.
Anche per quanto riguardava il gioco d’azzardo, riusciva a goderne senza esserne schiavo o peggio ancora, pensava, subendo dei contraccolpi economici. No! Ormai guadagnava bene e poteva permettersi il lusso di destinare una somma, una volta la settimana, alla possibile perdita al gioco. Quello e non altro! E potevi stare sicuro che in tutti quegli anni non aveva mai mancato alla parola. La forza e la tranquillità di quella decisione lo tenevano al tavolo da gioco con la giusta ebbrezza, concentrazione e l’adeguato controllo.
 L’emozione gli prendeva lo stomaco ed il piacere intenso del rischio calcolato e della sfida si mescolavano con la capacità del controllo.
Quando salutava gli amici, alla fine della serata, e, fumando l’ennesima sigaretta, si dirigeva, nella notte, verso la sua Alfa Romeo, sia che avesse vinto o perso, si sentiva elettrizzato e pieno di una potenza e di una forza matura di cui ringraziava il cielo, ma anche se stesso.
Aveva lavorato sodo e nessuno doveva permettersi di toccare quello che aveva costruito, pensava, accarezzando la canna della pistola nella custodia sotto l’ascella. 



Aprì la portiera, si sedette e, soddisfatto della strumentazione della sua macchina, avviò il motore con un piacevole rombo. Prese rapidamente Via Prenestina, in direzione della città, ed in men che non si dica arrivò all’incrocio con via Palmiro Togliatti. Procedette ancora avanti su Via Prenestina verso Piazzale Preneste, dove era la sede della sua banca, e posteggio facilmente nelle vicinanze.
Si recava in banca almeno una volta la settimana per il versamento dell’incasso, in assegni e contanti, dell’attività, facendo confluire nel conto societario gli assegni e nei libretti al portatore i contanti. Era un cliente importante della banca sia per l’attività aziendale, sia per il suo conto personale. L’azienda era una srl con due soci principali che detenevano il 70% delle quote mentre il restante 30% era intestato alle rispettive mogli. Il socio di Cesare era un tecnico e non s’interessava né dei rapporti con i clienti, né della banca. Per tutto quello che riguardava invece la produzione era il punto di riferimento centrale. Qualsiasi problema tecnico era di sua competenza e veniva prontamente risolto. Passava la giornata nel laboratorio mentre Cesare presidiava lo spazio esposizione e gli uffici di cui era il vero “dominus”. La forza dell’azienda era nei contatti con i costruttori. Per anni la zona, Prenestina, Tiburtina, Casilina e Nomentana erano state oggetto di uno sviluppo edilizio costante ed erano fra i quartieri più popolosi della periferia romana. Cesare aveva messo a frutto nel tempo i guadagni   dell’attività e la sua sostanziale solidità economica concedendo ampie dilazioni nei pagamenti ai costruttori per la fornitura e messa in uso degli impianti di riscaldamento e caldaie : In questo modo, otteneva due risultati: un vantaggio sulla concorrenza e la possibilità di mettersi d’accordo con i costruttori ,fissando un prezzo ufficiale per la fornitura degli impianti , caldaie e radiatori da pagare con bonifici e/o assegni ed un prezzo reale, che teneva conto delle ampie dilazioni di pagamento concesse,  da regolare fuori fattura, in contanti .Questo permetteva di ottenere una corrente d’incassi molto interessante, non sottoposta a carico fiscale, che alimentava i versamenti nei libretti al portatore destinati sia all’attività aziendale che ai conti personali . La parte dei libretti al portatore destinata all’attività era stata poi costituita in garanzia degli affidamenti bancari. Denaro contro denaro, senza scarto e con un miglioramento anche del tasso debitore applicato su quella parte dei crediti accordati.
Questo permetteva all’azienda d’avere sufficienti spazi di manovra per la propria attività e di offrire ulteriori convenienti dilazioni, facendo da banca alla sua clientela, a condizioni ben più vantaggiose di quelle che pagava sui finanziamenti bancari. 
Quella mattina, Cesare entrò quindi, come sempre, in banca per le sue operazioni abituali, che venivano svolte dagli impiegati, mentre lui stava comodamente seduto nell’ufficio del Direttore .



Per l’esattezza, anzi, prima di sedersi a parlare nell’ufficio con il Direttore ed il suo Vice, andavano a prendere insieme il caffè nel vicino bar. Era quella una piacevole ritualità che si consumava ogni volta regolarmente. Cesare suonava alla porta dell’ufficio del Direttore che gli veniva aperta dal Vice. Questi informava il Direttore della sua presenza ed insieme si avviavano verso il bar. Al ritorno il Vice prendeva in carico le operazioni da effettuare, mentre Cesare si sedeva nell’ufficio del Direttore, chiacchierando nell’attesa del loro completamento.
Quel giorno, oltre ai versamenti sul conto e nei vari libretti, Cesare   chiese di prenotare anche cinquemila dollari per il suo prossimo viaggio . Si avvicinava la fine dell’anno e, subito dopo, Cesare si era organizzato per il suo viaggio in Kenya.
-Quando pensi di partire? – gli chiese il Direttore della banca-
-Ho l’aereo per la sera del 3 gennaio in modo d’arrivare comodamente a Nairobi nella successiva mattinata. Poi, c’è tutto il tempo per sistemarsi in albergo, farsi una doccia, pranzare e riposarsi. Quindi, nel pomeriggio, normalmente ti portano al primo Safari .
-Così, subito,  il primo giorno che arrivi ?
-Si. Mi piace così. Credimi, ogni volta che arrivo in Kenya e scendo dall’aereo, ho come la sensazione di una scarica d’energia che parte dal suolo e mi entra   dentro, dalle gambe. È una sensazione unica che mi capita ogni volta che ci vado. Sarà l’ambiente! Pensa che anche se la temperatura è elevata non provi sofferenza per il caldo perché l’aria è secca e pulita. Arrivi in albergo ti sistemi, ti fai una doccia e ti senti un Dio: Non c’è problema!
-Mi succedeva questa cosa da bambino quando andavo in spiaggia – rispose il Direttore- Quando mi mettevo il costume ed affondavo i piedi nella sabbia, era come se ricevessi una scarica d’energia. Ti capisco!
-Poi nel pomeriggio si va nella savana, al tramonto, per vedere i grandi animali: È uno spettacolo! Pensa …ho ancora davanti agli occhi la sagoma di un elefante maestoso che si staglia sullo sfondo di un tramonto con colori incredibili che vanno dal rosso all’arancio, al blu e, sullo sfondo, il Kilimangiaro! Un’altra volta, andammo su di una collina sotto di cui abbiamo visto passare una massa enorme di gnu. Non finivano mai ed era impressionante la bellezza di quello spettacolo! Dovresti andarci per capire che si prova!
-Eh… magari! Per adesso, sotto le feste, non se ne parla. Vengono a trovarci i miei suoceri e con i miei facciamo grandi riunioni a casa mia: Poi c’è la bambina piccola e siamo contenti così. Ma tu?  Parti con tua moglie ed i figli?
- Non se ne parla proprio! Ormai la mia carovana l’ho fatta. Ho sessantaquattro anni e queste sono vacanze premio, che mi godo da solo e senza famiglia attaccata alle caviglie. D’altra parte, l’Africa non piace a nessuno. La prima volta che ne parlai a casa, mia moglie mi disse: io non ci vengo, vacci da solo: Ed io ci vado, ma non da solo.  Mi faccio accompagnare da un’amica che scelgo per l’occasione e a cui pago il viaggio e la compagnia. Inoltre, nell’albergo, c’è anche il casinò attrezzato ed elegante, con la roulette ed i vari tavoli. Mi porto anche l’abito da sera con la giacca bianca.
-Hai pensato a tutto?!
-Credimi … ne vale la pena!  Passi dieci giorni che ti pulisci il cervello e ricarichi il corpo.
Nel frattempo, le operazioni bancarie di Cesare erano state eseguite ed il Vice era di ritorno con le ricevute dei versamenti ed i libretti aggiornati.
-Cesare ho prenotato la valuta in dollari che hai chiesto –disse il Vice- Quando vieni a ritirarli?
-Passo il due mattina, rispose Cesare. Ti trovo?
-Certo,….. purtroppo! - rispose il vice – mica sono fortunato come te!
-E te, invece, ci sarai? . disse Cesare rivolgendosi al Direttore-
-No, approfitto delle feste per stare in famiglia fino alla Befana. Ci vediamo al ritorno. Un abbraccio.
E così, si salutarono e Cesare, uscito dalla banca, si avvio alla macchina per fare ritorno in azienda.




Continua                       

Le immagini del villaggio Masai , dei bambini e della jeep  che correva nella savana, accanto alle zebre,  passavano veloci nelle mente di Cesare; mentre,  lentamente, “ spillicava “ la sua mano di carte da poker.
Un asso…………un Kappa……..un otto…un Kappa    e      …..un Kappa!

Aveva un tris di Kappa servito!

Guardò  con calma i suoi avversari e specialmente il russo , in abito da sera , che gli stava di fronte. Era l’avversario più pericoloso e quello che, nei giorni precedenti, gli aveva reso la vita più difficile al tavolo. Era più giovane di Cesare. Doveva avere appena cinquant’anni, aveva ancora tutti i capelli biondi ed uno sguardo gelido. Camminava sempre con due che erano ,evidentemente, le sue guardie del corpo; mentre, al fianco c’era lei: Maria, che quella sera era ancora più desiderabile, avvolta in un abito bianco che la fasciava tutta,mettendo in risalto le sue morbide forme.

Quella mattìna, il russo era rimasto in albergo e Maria, insieme al fratello  Tony, aveva partecipato lo stesso al safari che prevedeva la visita ad un villaggio Masai, oltre che l’avvistamento di zebre ed altri animali nel percorso lungo la savana.

Cesare si era adoperato perché la sua amica  di viaggio prestasse le giuste attenzioni a Tony, in modo da poter conoscere  meglio Maria. Aveva notato che la donna, nonostante la differenza d’età, lo guardava spesso intensamente e la cosa lo stuzzicava. L’assenza del russo , la distrazione del fratello Tony  mettevano Cesare nella migliore delle condizioni e Maria sembrava essersene accorta  e fu facile  conoscersi . Fu un susseguirsi di sguardi, di frasi e di leggeri sfioramenti del corpo seguiti ancora da sguardi e sorrisi che crearono una sorta di complice intimità fra di loro.

I capelli neri, fluidi e lucenti di Maria incorniciavano quel viso sensuale illuminato da degli occhi incredibilmente verdi con delle pagliuzze dorate scuro vicino alla pupilla.

Uno sguardo profondo ed insieme caldo che ti conduceva in fondo alla sua anima.

Cesare era attratto dalle labbra piene e sensuali di Maria ed il lor primo bacio fu caldo, appassionato ed insieme dolce e profondo. Non credeva di poter provare ancora quelle sensazioni del ragazzo che era stato tanti anni prima ed ora che la guardava alta, in abito da sera, accanto al russo, sapeva che quella storia non sarebbe finita tanto facilmente.

Al suo turno, Cesare si dichiarò servito, con un lieve ghigno feroce sulle labbra ed uno sguardo deciso che squadrava le reazioni del russo. Questi cambiò una carta.

-Parola al servito! – Tutti guardarono Cesare che non esitò a fare la sua puntata, piena e consistente. Un tris di Kappa non era poi tanto male! Se non entrava il gioco a nessun,  poteva anche vincere e ci stava provando. Tutti lasciarono il gioco tranne il russo che prese tempo. I loro sguardi s’incontrarono studiandosi a lungo…poi il russo fece la sua puntata sorridendo e rilanciando abbondantemente la posta in gioco. Aveva pensato che Cesare bleffava e voleva spaventarlo senza costringerlo a mostrare il suo punteggio.
Allora, forse ha paura e non ha poi un gran punteggio in mano-pensò Cesare. Poteva andare a vedere e stanarmi: Invece, no rilancia! Ha cambiato una carta e magari partiva con una doppia coppia e non gli è entrato niente!

-        Non m’abbasta! –sussurrò Cesare al russo, e raddoppiò la posta, nel silenzio gelido del tavolo. Maria lo guardava preoccupata mentre Tony, il fratello si mostrava incuriosito.

Il russo ora aveva perso la sua baldanza! Cesare poteva ancora bluffare; oppure, mi sta portando molto in alto per spellarmi meglio -pensò-  e poi… chi mi dice che non mi venga a vedere, se rilancio? A questo punto,……… mi può anche vedere ………………..ed io…. ho solo una doppia coppia agli assi!………………Forse è meglio finirla qui!

-Va bene, lascio e la saluto- Disse  in un inglese rimasticato, buttando le sue carte sul tavolo. Detto fatto, si alzò e si allontanò seguito dai suoi  guardia-spalle , da Tony e dalla sorella Maria che salutò Cesare con un sorriso.

Cesare raccolse con calma il bottino e  posò a sua volta le carte coperte sul tavolo , lasciando che il mazziere le mischiasse alle altre, senza scoprirle; quindi, si alzò , affermando che ormai, per lui, la serata si era conclusa. Si avviò alla cassa, per cambiare le fiches, e quindi salì nella sua stanza ,seguito dalla sua amica, che aveva passato le ultime ore al night bar dell’Hotel  , sorseggiando  cocktails.
......



Erano passati ormai due mesi dal viaggio in Kenya e dall’incontro con Maria e quello strano gruppo di persone che comprendeva il fratello Tony e quel gelido russo, sempre circondato dai suoi scagnozzi.
Cesare manteneva dei contatti giornalieri con Maria, tramite delle chat su Facebook, dal suo computer nell’ufficio del negozio. 
Aveva da tempo creato un profilo sul social, protetto da sguardi indiscreti, e lo utilizzava in quell’occasione.
Maria ed il fratello Tony abitavano insieme in un appartamento a Bucarest, pagato dal russo a cui erano legati per vivere. 
Tony gestiva un supermercato di proprietà di una delle società fantasma controllate dal russo;  mentre, Maria, ufficialmente lo collaborava ma, in realtà, era a disposizione di Yuri ………… il russo. 
Nel corso delle chat, Maria non perdeva l’occasione di raccontare a Cesare come fosse stufa di quella situazione e di come non desiderasse altro che poter essere di nuovo libera.
Ci aveva pensato tanto! Avrebbe potuto fare anche un colpo di testa e scappare via lontano……. E il fratello?
Tony era legato mani e piedi al russo ed, inoltre, avrebbe pagato amaramente per la sua fuga!..... No!
Bisognava pensare a tutto, anche al futuro di Tony e ci volevano soldi per andare via e sparire!
Cesare si stava affezionando a quella ragazza e si sentiva in qualche modo lusingato del suo interesse per lui! Non parlavano solo delle difficoltà, perché Maria non mancava di soffermarsi sul fatto di pensare spesso a lui e di ricordare quei bei momenti vissuti insieme, per un breve tempo, in Kenya.
- Perché non ci rivediamo? - Gli diceva- Per Pasqua io e Tony potremo tornare a casa dai nostri genitori, a Nazaré , non molto lontano da Lisbona, e Yuri ci lascia andare senza problemi.
Potresti venire subito dopo Pasqua a Lisbona  e, per qualche giorno, potremmo stare insieme. Che ne dici?
-E che ne dici?- Cesare  era invogliato da quella proposta.
 Che poteva essere  un week end a Lisbona? Che problema c’era?
Prendeva tempo ogni volta , ma ci pensava; eccome se ci pensava! Aveva voglia di lei  e della sua calda e morbida sensualità.
-Va  bbene! -scrisse Cesare- vengo. Parto da Roma il giovedì dopo Pasqua e ritorno la domenica. Ho trovato pure una combinazione abbastanza vantaggiosa  di volo più Hotel  a Lisbona e, se per te va bene, confermo e ti do tutti i dettagli dell’albergo .

Era la domenica delle palme. La giornata era bella, con un primo sole splendente dopo le piogge  dei giorni precedenti, e Cesare   desiderava uscire per fare una passeggiata. S’incammino su per la breve salita davanti casa e si ritrovò  quasi davanti alla chiesa del quartiere. Improvvisamente, si rese conto di non aver preso un ramo d'ulivo benedetto, quell’anno, ed in cuor suo sperò di essere ancora in tempo per trovarne ancora   qualcuno.
Entrò nel cortiletto, antistante l’entrata della chiesa, dove su di un banco di legno, messo lì per l’occasione, stavano gli ultimi ramoscelli d’ulivo rimasti: Una signora gliene porse qualcuno gentilmente e, dopo averla ringraziata, Cesare entrò in chiesa. Rimase vicino alle ultime file delle panche di legno, accanto ad un prete che parlava con due donne.Era del sud America e raccontava che tra qualche giorno sarebbe tornato a casa per vedere i suoi. Poteva avere una quarantina d’anni, alto e con capelli scuri. Quando le donne si allontanarono, Cesare si avvicinò al prete dicendo: _ Padre un sego di croce … solo un segno di croce. - Non sapeva perché glielo chiedesse- Forse era il subbuglio di sentimenti che albergava nel suo cuore da quando era ritornato dal suo viaggio in Kenya. Forse voleva solo una ulteriore benedizione per i ramoscelli d'ulivo che aveva preso. Chissà?!
 Il prete, dapprima sorpreso, gli si rivolse dicendo- Certo, desidera una benedizione – e così dicendo, gli prese il capo tra le mani e poi, alzando lo sguardo al cielo e sorridendo,lo benedisse facendo il segno della croce e dicendo- “in nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, Amen” - “Amen” rispose Cesare e si allontanò, sentendo ancora il conforto delle mani del prete che avevano circondato il suo capo.
Adesso, i ramoscelli di ulivo erano certamente benedetti e desiderò  portarli a casa.
Il giorno di Pasqua, i suoi figli sarebbero stati a pranzo a casa sua e glieli avrebbe dati, come ogni anno, in segno di attenzione nei loro confronti e nella speranza della loro serenità.
Cosa può sperare di più un padre? Se non di vedere i propri figli sereni?
Poi, dopo Pasqua, sarebbe partito per il Portogallo dove avrebbe rivisto Maria.




La macchina camminava veloce per la strada che, costeggiando il mare, portava a Nazaré, nella regione dell’Estremadura. Maria era andata a prendere Cesare all’aeroporto di Lisbona, da sola. Si sarebbero visti poi, la sera, anche con il fratello Tony. Cesare guardava il profilo di Maria e le sue braccia nude che stringevano il volante e provava una sensazione di piacere espandersi in tutto il suo essere.
 Era bella! Ed era fortunato ad aver suscitato il suo interesse!
Erano quasi arrivati. Il paese, si stendeva attorno ad una lunga spiaggia di sabbia bianco-dorata, sulle rive dell’Atlantico; mentre, in alto, su di un promontorio, era posto il quartiere più antico e caratteristico “ Il Sitio” dove stava un belvedere, il Miradouro do Suberco, con una veduta spettacolare sull’oceano e sulle sue onde, fra cui quella più alta mai cavalcata da un surfista nella storia dell’uomo.
Maria posteggiò la macchina sul lungomare, davanti all’alberghetto dove aveva prenotato una stanza per Cesare. Stava nella parte nuova di Nazaré: La Praia, ed era comodo perché era al  centro della vita della cittadina.
I genitori di Maria e di Tony, invece, abitavano nel quartiere più antico: Pederneira, posto su di una lingua di terra che domina da meridione Nazaré ed in cui nacque il primo insediamento di pescatori.
Il padre era stato anche lui un pescatore, fin da ragazzino, ed anch’egli, per anni, nei mesi estivi, il sabato al tramonto, aveva partecipato da protagonista allo spettacolo dell’Arte Xavega, una pesca con la sciabica, tirando a riva le reti cariche di pesce; mentre, tutt’intorno, la moglie, insieme alle altre venditrici, lanciava urla di richiamo ai clienti, usando un linguaggio dal gergo antico e di difficile comprensibilità.
Ora, aveva più d’ottant’anni ed era molto malandato. Aveva difficoltà a reggersi sulle gambe e passava gran parte del suo tempo seduto su di una sedia sull’uscio di casa a guardare i vicini e la gente che passava.
La madre, era più giovane di qualche anno e qualche volta, indossava le sette gonne della tradizione e vendeva il pesce al mercato nel banco della vicina di casa, che, in quelle occasioni, le dava poi qualcosa per ringraziarla..
Senza una modesta pensione dello Stato e l’aiuto di Maria e Tony non sarebbero potuti andare avanti, nonostante la modestia del loro tenore di vita.
Maria accompagnò Cesare nella stanza e finalmente, dopo tanto tempo, la lunga attesa, imposta dalla lontananza, fu ripagata dai baci più caldi ed intimi che si potessero desiderare e la passione, morbida e calda, si fece strada lentamente nei loro corpi.

Più tardi Cesare si ritrovò ad osservare Maria ancora addormentata tra le sue braccia e senza prevederlo vide la sua mano accarezzare i suoi capelli. Che gli stava succedendo?
Poteva, alla sua età, con gli impegni di lavoro e familiari che aveva, lasciarsi coinvolgere tanto in quella storia? No, non poteva, ma per il momento era là con Maria e “nun glie’mportava de ‘gniente”.
Nel pomeriggio uscirono a piedi sul lungomare e presero l’ascensore per salire al Sitio posto su di un impressionante strapiombo di roccia . Dall’alto del Miradouro la vista era stupenda. Il tramonto stava tingendo di colori di fiamma il cielo con toni che andavano dal rosso fuoco via via verso le sfumature più incredibili per tuffarsi nel blu del cielo mentre riflessi di luce calda lambivano come onde l’azzurro scuro del mare. Dopo, visitarono l’ Ermida da Memoria, una piccola cappella in cui si ricorda il miracolo che avrebbe fatto la Madonna impedendo che il cavallo di un nobile, D. Fuas Roupinho, si lanciasse nel precipizio.Accanto , nel belvedere, viene mostrato ancora il segno lasciato sulla roccia dal ferro di cavallo in quella mattinata nebbiosa del 1182. Impressionante!


Continuarono lentamente la passeggiata godendosi quella dimensione al di fuori del tempo e dello spazio, che li faceva sentire totalmente liberi e padroni della propria vita e si diressero verso il Santuario de Nossa Senhora da Nazaré. All’interno di questa è custodita la statua della Madonna col Bambino, che , secondo la leggenda , è la più antica del Portogallo. Sembra che la statua fosse stata offerta da S. Girolamo a S. Agostino il quale, a sua volta, l'avrebbe donata al monastero spagnolo di Cauliniana. Di là sarebbe stata portata a Nazaré, molto tempo prima che esistesse la nazione portoghese. Poi, all'epoca delle invasioni musulmane, i cristiani, per preservarla dalle profanazioni, l'avrebbero nascosta in una grotta del villaggio di Pederneira, dove sarebbe rimasta per quattro secoli, finché non fu ritrovata dall'alcade di Porto de Mós, il cavaliere templare d. Fuas Roupinho. Questo alcade è lo stesso del miracolo ricordato dall’Armida da Memoria e per testimoniare la sua gratitudine a Maria, fece costruire la cappella e vi fece collocare la statua ritrovata nella grotta.Poi successivamente la statua fu portata nell’attuale santuario edificato da re Ferdinando I nel 1377. La statua della Madonna di Nazareth , da cui ha preso il nome la cittadina , rappresenta una vergine nera scolpita in legno ed è posta nella navata centrale protetta dal vetro.
Cesare rimase meravigliato nell’osservare la bellezza delle classiche piastrelle portoghesi bianche e blu che decoravano l’interno del Santuario. Non che a Roma non avesse visto le più belle chiese del mondo; ma, quelle decorazioni erano particolari e sapeva già che quella giornata , con tutti i suoi aspetti e le sue immagini ,sarebbe rimasta impressa nella sua memoria.
La sera , ripreso l’ascensore  e ritornati sulla spiaggia, incontrarono Tony e si diressero al ristorante da Miguel per cenare insieme.
Erano contenti di vedersi e di stare insieme in libertà senza pensare , per un attimo , ai loro problemi. Miguel era famoso per la sua barca d’aragosta e frutti di mare che decisero di annaffiare con un buon bianco della regione del Douro.
Cesare non credette ai suoi occhi quando portarono le due barche d’aragosta che avevano ordinato . Ora capiva perché il tavolo dove li avevano fatti accomodare era da sei persone . Le barche erano enormi e brulicanti d’aragosta, granchi enormi , frutti di mare vari che andavano dalle cozze , alle vongole giganti, ai cannolicchi, ecc. e poi gamberoni , scampi ecc. Un ben di Dio!
Cesare si ritrovò a succhiare con voluttà la testa di uno scampo mentre lo attendevano due cozze, belle piene. Sorseggio un buon dito di vino bianco gelato ed attaccò con un altro pezzo d’aragosta.
-Dovrebbe esser sempre così- sussurrò Maria
-E chi ce lo impedisce? - rispose Cesare di rimando
-facciamo un nome a caso? –disse Tony- un certo Yuri.
Di colpo il clima fra di loro si fece teso e cominciarono a parlare fitto fitto di quella situazione . Non poteva durare ! O decidevano di salutarsi lì o dovevano far qualcosa per liberarsi di Yuri.
E…si!- disse Tony.- e come mangiamo? Quello ci fa vivere a me , Maria ed anche ai nostri genitori. Avete capito? Se non pensiamo a trovare un modo di guadagnare bene  e subito , ci facciamo solo delle illusioni. Dobbiamo essere indipendenti per poterci allontanare e magari far perdere le nostre tracce, se no, è meglio lasciar perdere.
-Si è meglio così. Lasciamo perdere – aggiunse Maria.
Ed io che ci sto a fare ? rispose Cesare- Non conto niente? Non posso darvi una mano?
E come ? – disse Maria?
-un modo ci sarebbe – fece Tony
-Di che parli?- Rispose Cesare- Parla liberamente. Dimmi che pensi.
-Tu sai che gestisco un supermercato per conto di Yuri e ti posso dire che conosco abbastanza bene i gusti della gente. E poi si si parla anche con altri del settore ….
E allora? – lo incalzò Cesare-
E allora…… i prodotti italiani vanno forte!- aggiunse Tony- La pasta ,il vino soprattutto , alcuni formaggi.. sono molto apprezzati . C’è tanta gente che ha vissuto in Italia ed ha imparato a mangiare all’italiana. Anche le persone  di un certo livello, se gli parli della cucina italiana e dei vini italiani , ne sono innamorati. Tu dall’Italia potresti mandare la merce  e noi potremmo venderla   in Romania, anche allo stesso Yuri ed alla sua organizzazione  senza che lui  sappia chi ci sta dietro.
-Si è vero – disse Cesare- la mia banca mi ha proposto spesso di mettermi a disposizione una fiduciaria per eventuali operazioni in cui non voglio figurare a mio nome. Potremmo fare una società insieme,  ma intestare le quote alla fiduciaria .Tra l’altro, la banca ha una sede anche a Bucarest e sarebbe facile raccogliere tutte le vostre firme necessarie alla costituzione delle quote e mettervi a disposizione un conto della nuova società.
Potrei anticipare io i soldi per le prime spedizioni . Dopo, diventa un giro che si alimenta da solo e ,una volta avviata l’attività, con gli utili conseguiti sarete liberi di decidere quello che volete fare.
-Lo faresti?- Chiese Maria
-Certo che lo farò. Se tu sei d’accordo è cosa fatta!. Appena torno a Roma  vado in banca e sistemo tutto. Appena pronti, facciamo la prima spedizione che neanche  è passato un mese .
-Magari!|- fecero in coro Maria e Tony
- Dai brindiamo – aggiunse Cesare – al nostro futuro insieme – e riempì i bicchieri mentre si scaldava gli occhi col sorriso di Maria!.
-          


Erano stati bravi! Avevano organizzato tutto alla perfezione e, con l’aiuto della fiduciaria della Banca, Yuri comprava merce dall’Italia senza sapere che, dietro la “Italy export “ ,c’erano Cesare, Maria e Tony.
Gli affari andavano bene. Per iniziare, Cesare  aveva messo a garanzia della Banca un libretto al portatore di 50.000 euro ed aveva ottenuto un affidamento di pari importo . Dopo qualche mese  di spedizioni e di vendite, le cose andavano bene e si cominciava a vedere un buon guadagno, che cominciava a riempire il conto segreto di Tony e Maria.
Tutto andava per il meglio e presto si sarebbe arrivati al momento della liberazione.
Ne valeva la pena di aspettare ! Maria era stata irremovibile! Non dovevano fare insospettire Yuri e quindi bisognava fare il sacrificio di non vedersi  fino alla conclusione del loro tentativo . Poi si sarebbero ritrovati liberi a Nazaré.
Tutto bene quindi , ma stamattina Cesare era nervoso! Maria e Tony gli avevano parlato  di una possibilità  che avrebbe permesso di accelerare i tempi. Yuri era entusiasta dei prodotti italiani e, con le sue conoscenze in Russia, era pronto ad espandersi anche in quel mercato. Voleva fare un’ordinazione grossa ; ma, con una dilazione di almeno 90 gg. Si trattava di 150.000 euro di controvalore merce. 
Maria e Tony erano su di giri e pronti a mettere in gioco tutti i guadagni di quei mesi per investirli nell’operazione. Con tutto questo e con l’aiuto ulteriore di Cesare non si superavano i 100.000 euro di aumento della garanzia. La Banca doveva fidarsi e dare un temporaneo in bianco di almeno altri   50.000 euro.
Quella mattina,  Cesare era pertanto dovuto andare in Banca  per chiedere l’accordo all’operazione. Aveva dovuto faticare non poco a convincere il Direttore ed, alla fine,  aveva dovuto mettere la sua fideiussione personale a garanzia con l’impegno che, finita l’operazione, gli sarebbe stata restituita.
Mia moglie ed io siamo in comunione dei beni  e la casa è anche sua- aveva detto Cesare-
Non l’ho mai coinvolta  nella mia attività e non voglio farlo adesso. Promettimi che tra qualche mese , alla scadenza dell’operazione, mi restituisci la fideiussione.
Promesso- rispose il Direttore-
Te credo- rispose Cesare – e si strinsero la mano, guardandosi dritto negli occhi per suggellare quel patto.
Tutto era stato fatto come si deve. Maria era strafelice  e la merce era già arrivata a Bucarest nel giro di una settimana. Da li, era partita per la Russia,  gestita da una delle tante società di Yuri.
Ora erano passati già due mesi  e Cesare non capiva  lo stato d’animo di Maria .
Non c’era mai  e rispondeva  con molto ritardo ai suoi messaggi. Quando rispondeva era come se  fosse lontana  e formale . Diceva che Tony non stava bene di salute e che era molto impegnata con il lavoro e con il fratello. Dopo qualche tempo non rispose più ai suoi messaggi. Provò a cercare Tony. Inutilmente. Si negava.
Erano passati, inoltre, quattro mesi  dalla spedizione della merce e vi era un opprimente silenzio. Il Direttore della Banca  voleva notizie sui pagamenti  e Cesare non sapeva che rispondere.
Il temporaneo è scaduto da trenta giorni , posso rinnovarlo per altri quindici - gli aveva detto il Direttore della Banca quella mattina- ma poi, ti devo chiedere ufficialmente il rientro dell’esposizione.
Te giuro che nun so gniente! –rispose Cesare-Non ho nessuna notizia ed ho deciso di andare a vedere che succede. Parto domani per Bucarest e ti faccio sapere.
Ti ripeto-disse il Direttore- se tra quindici giorni non arrivano i soldi, devo mettere la pratica al rientro. Questo significa  che i libretti a garanzia vengono estinti per decurtare il saldo debitore del conto e per il resto dovrai rispondere tu  in virtù della fideiussione. Speriamo di poter evitare di coinvolgere la tua azienda in questo pasticcio!
Cesare era preoccupato! Anni di lavoro ,  la sua azienda . il rapporto con il socio , la sua stessa famiglia erano minacciate da questa situazione  debitoria che rischiava di allargarsi oltre il dovuto .
Che c….. era successo? Ma porco  D……, che mi stanno a piglià  per c…..!
E Maria ? Dove stanno Maria e Tony? Perchè non rispondono? Se Yury li ha toccati, guai a lui , pensò Cesare,  accarezzando la sua pistola.

Appena arrivato a Bucarest, prima ancora di cercare  l’albergo, si fece portare al supermercato dove lavorava Tony.
Dov’è Maria? Che fate voi due ? Che sta succedendo?-disse Cesare  appena incontrato Tony.
Cesare che ci fai qui? Non ti preoccupare . Va tutto bene !Vieni ti porto da Maria.
Così facendo, Tony si fece seguire, portandolo con la sua macchina nell’appartamento dove stava Maria.
Cesare, con Maria ci sta anche Yuri ed è meglio che non ti veda – disse Tony- facciamo una  cosa,  ti porto in un albergo di un mio amico,  qui vicino, ed avverto Maria di passarti a trovare al più presto . Tu l’aspetti in camera e lei ti spiegherà tutto. Va bene?
-No  non va bene gniente! – rispose Cesare-  Io salgo  e mettiamo tutto in chiaro, anche con Yuri
-Lascia stare Cesare! Quello è armato e pericoloso e sta con due guardie del corpo armate fino ai denti . Abbi pazienza ! Che vuoi fare ?  Ti spiegherà tutto Maria!
-Va bbene- acconsentì Cesare- ma nun me state a coglionà! Se , entro oggi, non parlo con Maria , faccio l’inferno!
Dai Cesare , va bene, andiamo –rispose Tony. Sistemò Cesare nell’albergo e lo lasciò solo ad aspettare.
Che situazione! Cesare non sapeva che pensare! Ma guardatelo ! Seduto sul letto di una stanza a Bucarest ad aspettare…  per ore!
Finalmente qualcuno bussò alla porta. Era Maria!
Più bella che mai, ma con uno sguado gelido e distante!
Che ci fai qui? Gli disse-
Che ci faccio qui? –rispose Cesare – Tu non ti fai trovare –soldi nun ne arrivano-la Banca mi chiede il rientro –vengo a Bucarest, Tony non sa che dirmi  e tu mi parli così? Che significa tutto questo ? che sta succedendo?
Le parole che seguirono furono come aghi gelidi piantati ad uno ad uno, lentamente, nella mente e nel cuore di Cesare.
Fin dall’inizio , fin da quando si erano conosciuti in Kenya avevano riso di lui con Yuri e Tony  e preordinato ogni cosa. Non c’era nessuna costrizione da parte di Yury. Lei lo amava e Yuri era il suo uomo: Un uomo pericoloso è vero. Il capo di un’organizzazione criminale, è vero, che la stava aspettando nella hall dell’albergo con i suoi uomini. Fin dall’inizio erano d’accordo e la merce era già stata venduta tutta in Russia e in Romania.
-Ma tu  non vedrai un soldo Cesare – Gli disse Maria.
-Ma pensavi davvero che mi potessi mettere con un vecchio come te?
-Che potessi lasciare Yuri per te? Che tu mi piacessi?
Si , Cesare lo aveva creduto e le parole  di Maria risuonavano come boati nella sua testa e nel suo cuore.
Non ci vedeva più dalla rabbia e dalla disperazione . Prese la pistola e la puntò verso di Lei.
-E che vuoi fare  con quell’arnese? Vuoi sparare? Sei già morto anche tu! Yuri non farà passare un minuto prima  di ucciderti e pestarti sotto i suoi piedi.
Che vuoi fare ? Spara……..e spara…….. -gli gridò in faccia Maria, sfidandolo con violenza.
L’esplosione rimbombo nella sua mente!
Il corpo di Cesare fu sconvolto da quella scossa mentre un  dolore lancinante e sordo invadeva il suo petto  e il suo cuore dolorante, spaccandolo in due.
Si dice che, nel momento del passaggio, scorra davanti agli occhi la vita intera  e Cesare si scoprì bambino correre con i suoi amici per le strade di Centocelle , sentì lo sguardo protettivo del padre su di lui e la carezza della madre sul suo volto. Poi si rivide, giovanotto,  faticare con allegria nei suoi primi lavori ed entrare nella macchina veloce portando la moglie ed i figli in una gita fuori porta. Sentì sulla bocca le labbra di sua moglie ed entrò sorridente in azienda. Raccontava del Kenya ai suoi amici e la bellezza dei leoni  e degli elefanti le cui sagome si stagliavano scure sullo sfondo del tramonto africano.
Cesare, ora, stava  steso per terra, abbattuto da un infarto mortale; ma, sulla sua bocca, c’era disegnato un sorriso, rivolto all’ultima immagine  nella sua mente:Maria!




LE CHANT DES PARTISANS

Ascoltai per la prima volta quest’inno, questa canzone partigiana, dalle labbra di una ragazza belga ,d’origine italiana, che me la cantò durante una notte in treno.
Eravamo in uno scompartimento a cuccette, di seconda classe, di un treno, proveniente dalla Francia che arrivava fino in Calabria.  Io ero con un mio amico di ritorno da Montecarlo, dove eravamo stati qualche giorno, ed eravamo diretti a Roma, per assistere al Festival dell’Unità.
Erano i primi anni ’70.
In quello scompartimento, oltre a noi due, c’era quella ragazza, un giovane inglese ed una signora anziana.
Come succede sempre in quelle occasioni, non si aveva sonno e l’interesse a conoscere nuove persone era prevalente.
La ragazza era appassionata di teatro. Recitava con altri giovani in una piccola compagnia ed abitava, mi sembra, a Bruges. Era diretta a Sapri, bella località di mare della Calabria, dove sarebbe rimasta   per un periodo di vacanza a casa di lontani parenti.


(nella fotografia  Nancy Wake eroina della resistenza francese)
Mentre aggiustavamo le cuccette, ci mettemmo a parlare ed aiutammo l’anziana signora  a sistemarsi in una cuccetta bassa, per lei più comoda, che le avevamo ceduta in cambio.
La signora era una donna veramente gradevole ed interessante. Era piena di curiosità e voleva sapere tutto di noi. Ci raccontò che, alla sua età, la più gran passione era viaggiare e tornava infatti da una crociera nel Mediterraneo a suo dire incantevole. Il giovane inglese parlava uno stentato italiano ma riusciva a farsi capire. Anche lui amava i viaggi  ed,  infatti, era diretto in Egitto per realizzare il suo sogno di vedere le piramidi e fare un giro a dorso di un cammello. In cuor nostro ognuno adottò questi strani ed interessanti compagni di viaggio e soprattutto ascoltavamo la cara nonnina da cui prendere insegnamento. Dopo un po’, il treno stava per arrivare a Genova, quando scoprimmo che nessuno dei nostri compagni di viaggio c’era mai stato. Il treno avrebbe fatto una fermata di quindici minuti e proponemmo ai nostri nuovi amici di approfittare di quel tempo, per scendere di corsa dal treno ed uscire almeno dalla stazione per mettere piede nella piazza antistante e poter affermare quindi che eravamo stati anche per un attimo a Genova.
Così fu deciso , mentre la signora anziana ci augurava una buona visita a Genova e c’informava che, nel frattempo, avrebbe cercato di prendere sonno.
Di corsa, ponemmo in atto il nostro piano e con una soddisfazione da bambini ci stringemmo le mani nella piazza antistante la stazione di Genova, felici del nostro successo.
Senza perdere un attimo, tornammo poi di corsa al treno e ansimanti, ma soddisfatti, salutammo l’anziana signora che, ad occhi chiusi, ci sorrise.
Ci mettemmo così nel piccolo corridoio della carrozza ,chiudendo la porta dello scompartimento per non disturbare il riposo della signora, e ,seduti per terra, cominciammo a raccontarci di noi. Scoprimmo le nostre comuni passioni politiche, il movimento studentesco, la tradizione popolare, le canzoni e gli spettacoli.
 Le raccontai che nelle riunioni fra amici, capitava spesso di cantare, accompagnati dalla chitarra, le canzoni popolari e di lotta e le chiedemmo se conosceva Bella Ciao.
Lei ci rispose di si, ma, a sua volta ci chiese se conoscevamo l’inno dei partigiani francesi e così lo cantò.

Ami, entends-tu le vol noir des corbeaux sur nos plaines
Ami, entends-tu les cris sourds du pays qu'on enchaîne
Ohé, partisans, ouvriers et paysans c'est l'alarme
Ce soir l'ennemi connaîtra le prix du sang et des larmes...
                                   2
Montez de la mine, descendez des collines, camarades,
Sortez de la paille les fusils, la mitraille, les grenades,
Ohé, les tueurs, à vos armes et vos couteaux, tirez vite,
Ohé, saboteurs, attention à ton fardeau, dynamite..
                                   3
C'est nous qui brisons les barreaux des prisons pour nos frères
La haine à nos trousses et la faim qui nous pousse, la misère
II y a des pays où les gens au creux des lits font des rêves
Ici, nous, vois-tu, nous on marche, nous on tue ou on crève.
                                   4
Ici, chacun sait ce qu'il veut, ce qu'il fait quand il passe
Ami, si tu tombes, un ami sort de l'ombre à ta place,
Demain du sang noir séchera au grand soleil sur nos routes
Chantez, compagnons, dans la nuit la liberté nous écoute...
                                   5
Ami, entends-tu les cris sourds du pays qu'on enchaîne
Ami, entends-tu le vol noir du corbeau sur la plaine


https://youtu.be/sUZWlf_vuKg




IL BAMBINO E IL PESCIOLINO




C'era una  volta, tanti anni fa,   un piccolo borgo di pescatori in riva al mare.
In una delle sue minuscole case abitava un uomo con la sua famiglia, composta dalla moglie e dal figlio di cinque anni.
Quando il padre andava a pesca e la madre si occupava delle faccende domestiche, il bambino correva subito verso la spiaggia di sabbia vicina per raccogliere conchiglie, giocare con le orme che i suoi piedi lasciavano nella sabbia, tirare calci alle onde, sollevando dei begli spruzzi d’acqua e tante altre cose ancora.
La vita trascorreva serena nel borgo, anche se la maggior parte delle famiglie presenti viveva in condizioni al limite della povertà.
 Fortunatamente, questa situazione creava una strana solidarietà fra tutti. Si prestavano volentieri le cose e gli attrezzi di cui avevano bisogno e ,soprattutto, non disdegnavano il piacere di sedersi davanti all’uscio di casa la sera, dopo aver finito il lavoro ed aver cenato, per chiacchierare del più e del meno con i vicini o intrattenersi piacevolmente con i passanti. Intanto, i bambini giocavano fra di loro sotto gli occhi vigili e benevoli dei genitori.
Domani si torna ad uscire in mare. Ci si rivede all’alba al molo per la pesca e speriamo che sia buona ed il tempo non ci faccia brutti scherzi! Il vento sembra lieve e la giornata dovrebbe essere calma domani. Speriamo!
Presto sarebbero andati tutti a letto. Grandi e piccoli! Giovani e vecchi! Tutti a pensare a quello che li attendeva con le prime luci del nuovo giorno.
Quella notte si alzò il mare ed il frastuono delle onde arrivava fino alle orecchie di chi cercava di prendere sonno ed il sibilo del vento risuonava tutt’intorno. Finalmente, il vento si placò ed il frastuono s’interruppe, lasciando il posto ad un’improvvisa calma.
Il bambino non era riuscito ad addormentarsi e quell’improvviso silenzio lo incuriosì. Provò a sbirciare fuori dalla finestra socchiusa e restò sbalordito dalla limpidezza del cielo e dal chiarore magico della luna. Fu irresistibilmente attratto da quell’atmosfera surreale e ,facendo attenzione a non far rumore ed a non svegliare i genitori,  aprì l’uscio di casa e si ritrovò fuori, libero e felice. 
Il cielo era di un colore nero reso brillante dalle innumerevoli stelle che s’inseguivano l’un l’altra a perdita d’occhio, mentre la luce di una splendida luna piena illuminava tutto intorno.
Si diresse verso il mare dove la luce si rifletteva sulle onde  in uno splendore argenteo che non si può immaginare se non si è visto con i propri occhi,  guardando le coste di uno dei paesi che si affacciano nel Mediterraneo.
Ebbe voglia di camminare sulla spiaggia, guardando la luna alta nel cielo e beandosi dei riflessi di luce che brillavano sul mare, quando, ad un tratto, la sua attenzione fu richiamata da un movimento davanti a se, sulla sabbia.
Fece quasi un balzo all’indietro quando quella piccola cosa che si muoveva davanti a lui,   e che scoprì essere un pesciolino d’argento, lo apostrofò dicendo:
-         O piccolo uomo aiutami! Aiutami per favore! Se non mi butti subito in acqua non riuscirò  a vivere! Aiutami ti prego!
-         Che devo fare ?- dimmelo- rispose il bambino
-         Prendimi in mano e buttami in acqua, ti prego! Sto soffocando!
Il bambino non esitò più. Pur temendo di fargli male, prendendolo in mano, raccolse il pesciolino dalla sabbia e lo lanciò in mare.
Dopo un attimo, il pesciolino d’argento riemerse dalle acque, brillando sotto la luce della luna  e, rivolgendosi al bambino, gli disse:
-         Oh! Grazie, piccolo uomo! Mi hai salvato la vita e ti sarò per sempre riconoscente!
-         Come hai fatto a finire sulla sabbia ?– gli chiese il bambino
-         E’ stata la forza delle onde a trascinarmi e ,quando l’ultima onda mi ha spinto forte sulla sabbia, il riflusso non è stato sufficiente a riportarmi in mare. Così sono rimasto lì a soffocare. Se non fossi passato tu, sarei morto.
-         Allora sono contento  di essere passato. Siamo amici quindi?-disse il bambino sorridendo-
-         Certo- rispose il pesciolino d’argento- saremo amici per sempre e per suggellare la nostra amicizia mi potrai chiedere due regali. Due cose che desideri più d’ogni altra ed io ti esaudirò.
-         E’ bellissimo- rispose il bambino- posso veramente?
-         Certo! Dimmi cosa desideri e sarà fatto immediatamente.
-         C’è una cosa che vorrei- disse il bambino – vedo i miei genitori sempre preoccupati di trovare i soldi per andare avanti. Lavorano tutto il giorno e non si lamentano mai; ma, spesso la pesca non va bene ed i soldi non bastano. Allora, qualche volta, mio padre va a letto prima di cena e dice che non ha fame; ma, io so che è perché  il cibo non basta per tutti e lo lascia per me e la mamma. Io vorrei aiutarli! Vorrei che potessero vivere e lavorare senza  la paura del domani. Vorrei  che potessero stare senza la preoccupazione di non  avere quello che è necessario per me. Vorrei che la nostra casa fosse bella e non cadesse a pezzi! Mi puoi aiutare tu, pesciolino d’argento?
-         Sì piccolo uomo. Io posso aiutarti. In nome della nostra amicizia,  ti dico che  puoi tornare a casa e tutto quello che mi hai chiesto è diventato realtà. I tuoi genitori non avranno più preoccupazioni per il futuro e troverai la tua casa rimessa a nuovo e tinteggiata di fresco.
Ma hai ancora un desiderio da esprimere. Che cosa desideri?
-         Per adesso mi interessa solo vedere la casa nuova ed i miei genitori.-rispose il bambino- 
-         Scappo via subito! Ma come faccio a rivederti?
-         Basta che aspetti una sera di luna piena    e vieni in spiaggia. Se mi chiami verrò a risponderti- e dopo aver detto questo si tuffò fra le onde lasciando solo il bambino nella spiaggia.
A quel punto il bambino, ancora incredulo, di tutto quanto era avvenuto, non stava più nella pelle  e non vedeva l’ora di tornare a casa. Si mosse di corsa ed in un baleno arrivò.
Quale fu la sua sorpresa nel vedere la sua casetta tutta rimessa a nuovo e tinteggiata di fresco, con i suoi genitori ad aspettarlo sull’uscio.





- dove sei andato? Ci hai fatto preoccupare! – gli dissero- Ma è stata una notte fantastica! 
Quando ci siamo svegliati, non riuscivamo a credere ai nostri occhi! La casa era tutta nuova! Ti ricordi la finestra rotta? Era stata riparata. Le scale  che portano nella soffitta erano tutte nuove. Le pareti tinteggiate di bianco immacolato ...E poi…….
-    E poi - chiese il bambino?
-    E poi, mentre guardavamo tutto questo, sentiamo dei colpi          alla porta.
-    Dei colpi? – chiese il piccolo-
-  Si, dei colpi. Qualcuno che bussava dicendo: aprite è un messaggero del Re.
-        E voi?
-     E noi abbiamo aperto ad un Cavaliere con tanto di piuma sul cappello, seguito da due guardie. Il Cavaliere aveva una pergamena in mano e a quel punto si è fatto strada in casa ed ha cominciato a leggere. Diceva che il Re, nella sua grande magnificenza, aveva deciso di premiare il nostro villaggio e di dare ad una famiglia dello stesso, che era stata sempre fedele ed industriosa, un premio. Una rendita vitalizia, modesta ma sufficiente per vivere!
    Un gesto  per mostrare al mondo la bontà del Re!
-   Sei contento? E così dicendo i  genitori lo presero per mano e cominciarono a ballare in tondo    ridendo fino alle lacrime.
Il bambino rideva anche ed, in cuor suo, sapeva che tutto quello era il regalo del pesciolino d’argento per la nuova amicizia ,che era nata quella notte.
Era inutile parlarne! Non lo avrebbero creduto  e sarebbe stato inutile insistere!
 Però…. Era stato bravo il pesciolino d’argento!
Passarono i giorni ed il bambino aspettava con ansia  che arrivasse la nuova luna piena per tornare a trovare il suo amico pesciolino, sulla spiaggia.
Aveva pensato, qualche volta, al nuovo regalo da chiedergli; ma, era già contento di tutto quello che era successo. Tutto procedeva a meraviglia! La casa era chiara e luminosa. Tutti erano sereni e contenti e non mancava mai niente.
Venne dunque la luna piena  ed il bambino, appena fatta notte, sgusciò in silenzio fuori di casa.
 In pochi secondi, di corsa, arrivò alla spiaggia e comincio a dire:
-   Oh Pesciolino! Pesciolino d’argento!
Fammi contento!  Fammi contento!

       Ed ancora:

-   Oh Pesciolino! Pesciolino d’argento!
Fammi contento!  Fammi contento!

Dopo pochi secondi, il pesciolino d’argento, rilucente sotto i riflessi della luna, apparve in mezzo alle onde del mare e disse:
-  Buona notte, piccolo uomo! Come stai? Ti è piaciuto il mio regalo?
-  Certo che mi è piaciuto!-rispose il bambino- E’ stato  tutto tanto bello! Sono contento di     vederti.       Tu sei mio    amico, vero?
-    Hai ancora dei dubbi?
-  No, hai ragione- disse il bambino. E’ che mi sembra tutto meraviglioso! I miei genitori sono sereni e contenti! La casa è tutta nuova! Io ho un amico speciale! Mi sembra di sognare!
-   E tu, hai pensato al regalo che posso ancora  farti ? incalzò il pesciolino d’argento- Cosa desideri. Pensaci bene, è l’ultimo regalo che posso farti.
-  Di questo non devi preoccuparti.Hai già fatto molto.Una cosa c’è che mi diverto a pensare e mi piacerebbe tanto; ma, non so se posso chiederlo. Non so se è giusto!
-   Prova. Dimmelo e ti aiuterò- rispose il pesciolino
-   Ecco! Non prendermi in giro, ma io, a volte, penso a come     sarebbe bello essere grande.
-   Che cosa vuoi essere? Un gigante?
-   No, grande in quel senso. Voglio essere, grande!Un uomo già cresciuto e adulto. Uno grande. Vorrei provare a vedere cosa c’è oltre il bosco attorno al villaggio. Viaggiare per il regno. Conoscere nuove persone. Pensa a quante cose potrei raccontarti!
-   Il pesciolino lo ascoltò pensieroso e disse.
- Sei proprio certo del tuo desiderio? Non pensi ai tuoi genitori? Non vuoi più giocare con gli altri bambini?
-  I miei genitori sono contenti ed io poi tornerò a trovarli sempre. Invece di giocare potrò fare tutto davvero. Pensa che bello! E poi, non preoccuparti perché tornerò a trovarti e raccontarti tutto quello che ho visto. Ci pensi?
-  Certo!Ricordati che la vita di un adulto è piena di pericoli e di fatica. Non ci sono più i genitori a pensare per te. Dovrai fare da solo! Sei pronto per tutto questo?
-  Si, è vero! Ci ho pensato; ma, in compenso potrò andare dove voglio. Potrò fare tutto a modo mio. Non ho paura della fatica, del lavoro e dei pericoli. Li affronterò e se uno non fa male, non deve temere niente. Così dice sempre mio padre.
-  Va bene – disse il pesciolino- torna a casa e domani, quando ti sveglierai, sarai un  giovane adulto. Ricordati che qui hai un amico.Fatti vedere qualche volta.
- Certo- rispose il bambino – e corse via emozionato e raggiante senza guardarsi indietro e vedere la preoccupazione disegnata sulle sembianze del pesciolino d’argento.

Così fu. La mattina dopo il bambino era sparito ed i genitori videro che il loro piccolo era diventato “ grande” e si era trasformato in un bel giovanotto. Risero in cuor loro; ma, nello stesso tempo, gli dispiacque di non aver più quel piccolino, in giro per la casa.
Dopo qualche tempo, il giovane uomo spiegò ai genitori il suo desiderio di vedere il mondo.
Non abbiate paura-disse- tornerò presto   - ma, prima, voglio veder cosa c’è oltre il bosco  e nelle strade del Regno.
Così fece ed una mattina  saltò a cavallo per andare incontro al suo destino.
Tutto era nuovo attorno a se. Lui che aveva visto, attorno,sempre ampi spazi ed il mare, adesso, era passato attraverso boschi fitti, dove i raggi del sole filtravano a mala pena in mezzo al verde degli alberi. Eppure, era tutto meraviglioso! La vita, attorno a se, brulicava in tanti esseri viventi. Il silenzio  era in realtà uno stupendo sommesso rumore in mezzo al quale, se ascoltavi con attenzione, percepivi il cinguettio di un uccello, il sospiro del vento, lo scalpettio di un animale  il rumore di un ramo  abbattuto o di una pigna che cadeva.
Poi c’erano nuove città e paesi. Tante, tante persone, dai mestieri più diversi. Mercati pieni di prodotti. , le urla dei venditori  che presentavano le merci ed il lavoro paziente e misurato degli artigiani, nelle loro botteghe.
I sorrisi delle donne! I loro sguardi curiosi ed intriganti! Il loro portamento elegante e flessuoso!
Una lo aveva particolarmente colpito! L’aveva vista, dietro le sbarre della finestra, guardarlo mentre passava a cavallo appena fuori dalla città che stava visitando.
La seconda volta, guardandola, lei gli aveva fatto cenno di avvicinarsi e, contemporaneamente, lo aveva pregato di fare silenzio.
Messo sull’avviso di un possibile pericolo, il giovane uomo si avvicino alle sbarre della finestra con cautela e fu letteralmente abbagliato dalla bellezza della sua interlocutrice.
Aveva i capelli di un biondo cenere, legati dietro con una coda. I lineamenti era perfetti e gentili, con delle labbra rosa morbide e carnose disegnate perfettamente. Gli occhi …….Che occhi! Avevano un colore blu chiaro, come del mare  più profondo all’orizzonte,  in una giornata di sole.
- Che succede? Perché hai paura? Perché stai dietro una finestra con le sbarre?
Le domande si accavallavano sulla bocca del giovane uomo, fremente della risposta.
-Sono prigioniera in questa casa-rispose la ragazza- stai attento! Parla piano e non  farti vedere! Mi tiene rinchiusa un uomo grande e feroce. Un guerriero! Un Orco maligno, senza pietà che mi ha rapita  e mi vuole tutta per se.
-E tu come fai a sopportarlo? Perché non scappi? – le disse il giovane uomo-
-Non posso. Sono sempre chiusa in questa stanza ad aspettarlo. Quando ho bisogno di una qualsiasi cosa devo tirare  il cordone di una campanella  e lui mi apre armato e provvede ai miei bisogni. Non ce la faccio più! Io piango! Piango sempre, giorno e notte. La notte poi è il momento peggiore perché lui viene a trovarmi  e………………..
- Zitta! Zitta! Non dire altro- aggiunse il giovane uomo e proseguì dicendo:
-  Ma, dimmi. E’ solo? Ci sono altre persone nella casa? La servitù? Dei guardiani?
-   Non lo so! Non vedo mai nessuno e non sento rumori. La casa però è grande e noi ci troviamo solo nella parte posteriore. Non so dirti altro.  Aiutami!- rispose la ragazza-
-   Bisogna affrontare l’Orco. Non c’è altro modo di liberarti.  – disse il giovane uomo
-  Ma come? Sei pazzo? Tu non l’hai visto. E’ una specie di gigante, alto e forte. Armato fino ai denti. Ti ucciderà ed io rimarrò  sempre più sola e abbandonata.
-  Vedrò io come fare – rispose il giovane uomo. Tu devi solo coltivare la speranza dentro il tuo cuore. Adesso devo andare ma tornerò presto e ti libererò. Mi credi? Hai fiducia in me?
-    La ragazza lo guardava teneramente ed il giovane uomo, con uno sforzo d’abilità, si sporse dal cavallo  su cui era in sella, per avvicinare il più possibile il volto alle sbarre della finestra. La sua bocca ed il suo respiro ora si fondevano quasi con quello della ragazza ed un lungo e tenero bacio li unì per sempre.
    Cercò in qualche modo di sfiorarle il volto in una carezza e si     allontanò sussurrandole:
        -Torno presto, non piangere!
















Il cavallo galoppava senza sosta  attraverso il bosco, verso casa, mentre un tumulto di pensieri si agitava nella mente del giovane uomo. Che fare? Come liberare la ragazza? Come uccidere l’Orco che la imprigionava? Se non era solo ?  Se aveva delle guardie con se?
Passò la notte nel bosco, dopo aver acceso un fuoco e cercato di magiare qualche cosa. Non aveva fame ed era in preda alla disperazione. Dormì agitato, con sogni di lotta e di terrore; ma, ad un tratto, la sua mente  si placò. Pensò di trovarsi in riva al mare e parlare con il suo amico: il pesciolino d’argento. Si, forse aveva bisogno di parlare di questa storia con un amico. Aveva bisogno del consiglio del pesciolino d’argento. Si avviò al galoppo verso il mare ed aspettò la notte di luna piena; quindi, cominciò a chiamare:

-         Oh Pesciolino! Pesciolino d’argento!
-         Fammi contento! Fammi contento!
E ancora e ancora
-         Oh Pesciolino! Pesciolino d’argento!
-         Fammi contento! Fammi contento!
Il mare  riluceva sotto i raggi della luna e, ad un tratto, più delle onde brillò, in mezzo ad esse, un pesciolino..... un pesciolino d’argento.
-Eccomi a te giovane uomo! Eccomi a te, amico mio! Cosa posso fare per te? – disse il pesciolino d’argento.
Il giovane uomo poté finalmente liberare il suo cuore e raccontò all’amico per filo e per segno tutto quello che era successo. La ragazza prigioniera, l’Orco, il suo amore ed il desiderio di liberarla.
Dovrai essere forte – gli disse il pesciolino d’argento – Nessuna impresa del genere è mai sicura e priva della possibilità dell’insuccesso, della sconfitta. Il male esiste davvero  ed è forte, è cattivo e punge e taglia come la lama di una spada. Come il suo nome dice, appunto, fa male!
Guarda accanto a te, per terra. Cosa vedi? – disse il pesciolino d’argento-
Il giovane uomo si voltò e guardò verso terrà dove vide stesa una bellissima spada luccicante sotto la luce della luna. La lama sembrava affilatissima e tagliente!
Prendila – disse il pesciolino d’argento- quella è la spada del coraggio e della giustizia  che nelle mani di chi ama diventa un’arma micidiale. La lotta fra l’amore ed il male è una lotta eterna ma tu puoi vincerla con la forza ed il coraggio che ti vengono dal tuo amore. Certo, vi saranno momenti in cui penserai di non farcela. Potrai anche pensare di esser stato un pazzo a sfidare il male; ma, se ci pensi bene,  a che vale la vita se non lotti per le persone e le cose che ami ed in cui credi?
Va dunque! Prendi la spada con te ed usala con coraggio! Uccidi l’orco, libera la ragazza e portala qui davanti al mare perché così io possa avere una nuova amica.
Il giovane uomo prese la spada e la alzò con la punta rivolta al cielo, sotto lo sguardo benevolo e amico del pesciolino d’argento.
Vado- disse- ma tornerò presto con una giovane donna al mio fianco.
Così facendo, pose la spada al suo fianco e si diresse  a passi decisi verso il cavallo. Vi montò sopra ed, al galoppo, sparì nella notte.

-    Apri! Ho detto apri! -gridò il giovane uomo bussando ferocemente alla porta della casa dove      stava rinchiusa la giovane donna.
-         Chi è che bussa a quest’ora? Chi sei? Che vuoi ? -gridò l’Orco , aprendo l’uscio e vedendo il giovane uomo con la spada  in pugno, la prese a sua volta  esplodendo in un ruggito bestiale.
Il giovane uomo si vide perduto e sentì il sangue gelarsi nelle vene. Le gambe quasi non lo reggevano; ma,  con la coda dell’occhio, si rese conto che l’Orco, nell’esprimere  la sua ferocia,  aveva commesso un errore, per eccesso di sicurezza, ed aveva allargato la sua guardia.
Spinto da una voglia insopprimibile di sopravvivenza, dalla disperazione e dal desiderio di abbattere quell’orribile animale affondò con tutto il coraggio che possedeva la spada dritta nel petto dell’Orco trafiggendogli il cuore.
Un’espressione, innanzi tutto di stupore si dipinse sul volto del bestione ferito a morte. Poi, la coscienza di quello che era successo lo spinse a raccogliere tutte le forze rimaste in un rigurgito di rabbia estrema  per scagliarsi contro il giovane uomo; ma, le forze lo abbandonarono  di colpo, cadde prima in ginocchio e quindi stramazzò al suolo.Subito il giovane uomo frugò nelle sue tasche e trovò una chiave, quella che avrebbe aperto la prigione della sua giovane donna.

I due giovani passeggiavano mano nella mano nella notte illuminata dalla luna piena, sulla spiaggia. I loro passi si susseguivano, l’uno dopo l’altro, incontro allo sciabordio delle onde sull’arena.
Dopo essere stata liberata la giovane donna era stata portata nel borgo dei pescatori  a conoscere i genitori  del suo nuovo compagno. La festa era stata grande e la mamma del giovane uomo l’aveva più volte abbracciata sotto lo sguardo benevolo del figlio e del marito.
Avevano deciso di sposarsi e di vivere  anche loro nella bella casa  del borgo. Ora, il giovane uomo desiderava presentare la sua compagna al suo amico più caro: il pesciolino d’argento.
Ecco perché erano lì adesso, sulle rive del mare, a guardarsi con affetto e sorridersi.
Poi, insieme, cominciarono a chiamare il loro amico dicendo:

-         Oh Pesciolino! Pesciolino d’argento!
-         Fammi contento! Fammi contento!

E ancora insieme.

-         Oh Pesciolino! Pesciolino d’argento!
-         Fammi contento! Fammi contento!
E il pesciolino apparve tra le onde,  rilucente d’argento, sotto i raggi della luna piena, alta nel cielo.
-         Chi si vede! – disse- Finalmente ti sei ricordato di me! E chi è quella bella, giovane donna che ti guarda con tanto amore?
Cominciarono così a parlare fitto fitto, raccontandosi tutto e più e più ancora, mentre la notte scorreva intorno  a loro,  riconoscendoli  per sempre amici.



Nel profondo Nord.



La prima volta che la vidi rimasi impressionato dalla sua vita, regolata dai tempi della fabbrica, e dall’eleganza del suo centro storico. In determinati orari, la città sembrava svuotarsi della maggior parte dei suoi abitanti. La mattina presto, i tram silenziosi portavano gli operai, ancora semiaddormentati, lungo Corso Unione Sovietica verso Mirafiori: il grande cuore pulsante della città.
Altri si dirigevano al Lingotto; mentre, fuori città, lo stabilimento di Rivalta attirava tutti quelli che abitavano a Tetti francesi, Orbassano, Rivoli ecc.
A seguire, c’era poi l’ondata della scuola e degli impiegati che andavano in ufficio.
Dopo, improvvisamente, più niente.
Via Roma si dispiegava elegante da Porta Nuova a Piazza Carlo Alberto e sino a Piazza Castello ,dove si possono ammirare il Palazzo Madama ,il Palazzo Reale il Teatro Regio e l’Armeria Reale , con i suoi migliori negozi, nella piena tranquillità del mattino.
Sotto i portici, protettivi dalla pioggia e dalla neve, i passanti si attardavano a guardare le vetrine eleganti, scambiandosi sorrisi d’approvazione. Per lo più, erano signori e signore, avanti nell’età, generalmente dall’aspetto educato e facoltoso, d’origine piemontese. Pochissimi stranieri. Qualche meridionale, specialmente donne e bambini non ancora in età scolastica, dalle parti più vicine a Porta Nuova e del quartiere limitrofo, delimitato da Via Sacchi da una parte e da Corso Umberto, fino a Corso Vittorio e Piazza Statuto, dall’altra.
Accanto, quasi parallela a Piazza Carlo Alberto, la splendida Piazza Garignano, con il palazzo omonimo ed il ristorante del “ Cambio”, famoso per le sue specialità della cucina tradizionale piemontese e per essere stato uno dei preferiti dal Conte Camillo Benso di Cavour.
Era, per me, affascinante osservare le vetrine e l’ambiente delle antiche pasticcerie e cioccolaterie prospicienti su Piazza Carlo Alberto.
Come resistere alla voluttà dei tipici gianduiotti e quale sorpresa, per me meridionale,   osservare l’eleganza e la bontà di quei magnifici pasticcini "mignon" dai mille sapori, che raggiungevano l’eccellenza nel ripieno di una panna soffice e delicata.!
Contrariamente a quanto accade nel Meridione, dove per la maggior parte dell’anno, grazie ad un clima favorevole, i locali tengono i tavoli per i clienti per lo più all’esterno, a Torino era bello osservare la cura degli ambienti interni dei locali,dedicati ai tavolini per le consumazioni dei clienti, Specialmente quelli più antichi presentavano delle splendide decorazioni in legno.
Mi sembrò di essere in un film quando, per la prima volta, m’inoltrai nel centro della città, sottobraccio ad una ragazza, all’interno di una fitta nebbia rischiarata dalle luci giallastre dei lampioni. Camminavamo, come all’interno di un soffice palcoscenico, scoprendo le vetrine illuminate dei negozi .
Quante volte rimasi affascinato dalla neve che cadeva lenta, imbiancando le strade ed i tetti delle case! Non l’avevo mai vista!
Era piacevole tornare a casa per ripararsi dal freddo, in inverno, accolti dal dolce tepore dei termosifoni accesi e, di corsa, sedersi a tavola per gustare una fumante “ bagna cauda” accompagnandola con un vino rosso dal sapore pieno come un“ dolcetto” o un “nebbiolo”.
Per noi meridionali, Torino, Milano e poche altre città erano state il Nord: quella metà ambita e desiderata di una vita migliore attraverso la possibilità di sfuggire alla disoccupazione o di trovare un lavoro più remunerativo rispetto a quello delle campagne. E poi, era bello trovare una città con servizi funzionanti. I trasporti   con i tram che ti portavano in tutti gli angoli della città : La pulizia delle strade mentre al sud,spesso, trovavi angoli colmi di spazzatura. Il verde pubblico ben curato. Sevizi sanitari di qualità e scuole in cui non mancava niente. Insomma, avevi la sensazione che tutto fosse diverso.
Anche dal punto di vista culturale, per me, il Nord rappresentava la presenza diffusa di una cultura di sinistra, sviluppatasi ancora di più con la lotta partigiana. Le lotte nelle fabbriche del 68/69, saldatesi con il movimento degli studenti, avevano ulteriormente contribuito a rafforzare una mentalità del cambiamento e di una maggiore giustizia sociale che trovava in Torino una delle capitali di quello che chiamavamo il Movimento Operaio. Le lotte dell’operaio massa alla Fiat facevano parte della storia. Più volte, più tardi nel tempo, trovandomi a conoscere e parlare con anziani operai Fiat ,ormai in pensione, ho provato la sensazione di una certa comunanza d’esperienze e di un’epoca che ci ha visti insieme a cercare una nuova società. La Resistenza non era una parola vuota a Torino . Avevo letto con attenzione le pagine di Fenoglio sulla lotta partigiana nelle Langhe  e la presenza politica di quell’esperienza era stata molto forte nella cultura della città.
Quello che invece in qualche modo non pensavo di trovare era il diffuso senso della patria ed il forte legame fra le forze armate e la popolazione. In special modo ho potuto vedere l’affetto che la gente riservava al corpo degli Alpini.
Un anno, mi trovavo temporaneamente a Torino, a casa di mio zio, quando la città fu invasa dagli Alpini che l’avevano scelta per la loro festa annuale.
Uscimmo per strada a vedere sfilare questi giovani e meno giovani Alpini insieme ad un amico di mio zio: una penna bianca.
Era stato, infatti, un ufficiale e aveva fatto l’ultima guerra nel corpo degli Alpini. Ne aveva viste tante e raccontava che spesso il suo rapporto con gli alleati tedeschi non era stato fra i migliori. Loro avevano tutto ed erano ben equipaggiati
-“noi spesso arrancavamo e, nonostante questo, la prima volta che ho puntato la pistola contro qualcuno è stato proprio a seguito di un litigio con un ufficiale tedesco che inveiva violentemente contro di noi perché ritardavamo la marcia e prometteva provvedimenti punitivi verso i miei soldati”
Ma quelli erano altri tempi!
Incontravamo per Via Roma gruppi di reduci, di giovani  e di  congedati che alla sola vista della penna bianca del nostro amico lo circondavano d’affetto.
Canti, risate e l’immancabile bicchiere “de vin “ univa quella grande famiglia degli Alpini in un unico corpo vivente.
 L’indomani, alla sfilata ufficiale, mentre si passava per Via Garibaldi, dai balconi dove era esposta la bandiera italiana, le donne gridavano in coro:
-         “Viva gli Alpini”
-         “ Viva l’Italia”
Non avevo mai visto una cosa del genere!
Il sentimento patriottico, in quegli anni di contestazione studentesca e di lotte operaie, era stato visto, al contrario, spesso come un retaggio di un passato da dimenticare, un sentimento nazionalistico sbagliato ed, al limite, inopportuno.
Quella spontaneità e quell’amore per i propri figli che, andando nel corpo degli alpini, erano diventati dei soldati ed erano sempre lì pronti a difendere la propria terra e le proprie famiglie mi fece pensare che non vi era niente di sbagliato in quel sentimento: Era l’uso improprio del nazionalismo da cui si doveva diffidare. Quello che porta all’egoismo ed al conflitto; ma, non la sana relazione della gente con le proprie abitudini, la propria terra e la propria cultura. Specie   se questo rappresenta solo un biglietto da visita da mostrare all’altro che proviene da un altro paese.
Tornai a casa con mio zio e la penna bianca commossi e soddisfatti di quella giornata. Ci aspettava una buona cena calda insieme, annaffiata da un discreto barolo. Dopo, continuammo a discutere e a giocare a carte, sostenuti dallo spirito di una buona grappa.
Torino, per me era questa:
-La Fiat, le strade silenziose, la vita scandita dai tempi della fabbrica, l’eleganza del centro storico, la presenza di noi meridionali nei quartieri periferici, Porta Palazzo con le sue bancarelle e tanti prodotti tipici del Sud, gli ottimi vini rossi e gli spumanti, le storie degli Alpini e della Resistenza, le donne bionde ed eleganti che ti sfilavano attorno con un discreto sorriso sulle labbra e nello sguardo, il Museo Egizio, Superga, la Sacra Sindone che ho avuto la fortuna di vedere, i portici che ti riparavano dal mal tempo, il fiume Po e il Valentino, le storie sulle lotte della fabbrica, una cultura dell’impegno e del servizio, Via Po ed i suoi negozietti, gli appartamenti con i pavimenti di legno scricchiolanti sotto il peso dei nostri passi, la nebbia ..la neve….la giovinezza!


UN NUOVO MONDO




Antonio stava seduto nello studio del padre e guardava con attenzione il contenuto dei cassetti della scrivania.
In uno trovò una fotografia del nonno, ancora giovane. Aveva dei lunghi baffi con le punte arricciate in alto e gli occhi dal colore molto chiaro. La fotografia era in bianco e nero e questo lo indusse a pensare che dovevano essere probabilmente azzurri.
Suo padre gli aveva raccontato spesso che il nonno aveva i baffi tendenti al biondo mentre lui ricordava di avere punti della barba rossi e biondi. Antonio non aveva mai potuto verificare le sue parole avendo visto sempre il padre ben rasato e con i capelli già bianchi. Il nonno poi era morto prima che lui nascesse ed Antonio non aveva quindi nessun ricordo personale. Sapeva che in gioventù aveva aperto una pasticceria nel centro di Catania, ai Quattro Canti, con un discreto successo. Insieme alla fotografia Antonio trovò anche un quadernetto con una copertina nera che scoprì essere una raccolta di ricette per dolci. Tra questi vi erano alcune delle vere e proprie prelibatezze della pasticceria siciliana come i cannoli, la cassata, i panzerotti ecc.
In fondo ad un altro cassetto c'erano delle lettere trattenute da un elastico, vecchie fotografie, un quadernetto per appunti, alcuni ritagli di giornale.
Man mano che procedeva nella lettura di quei ricordi, episodi ed intimità raccolte e conservate dal padre in quel cassetto Antonio sentiva diminuire dentro di sé il dolore per la sua recente scomparsa. Quella complice vicinanza col padre nella lettura dei suoi ricordi gli permetteva di sorridergli con tenerezza.
Pur con tutta la differenza della razza e nonostante fosse stato un padre adottivo, per lui era suo padre e quando sentiva il dolore della perdita aumentare dentro di sé si sommava ad esso una rabbia feroce.
Perché? Perché si deve morire? Perché si deve perdere per sempre il proprio padre o qualunque persona cara? 
Si accorse di stringere i pugni scuri e di sbatterli violentemente sul tavolo. Non poteva sopportarlo!
Poi la sua attenzione fu distolta dai rumori provenienti dall’altra stanza. Erano arrivati gli uomini del trasporto funebre e stavano chiudendo la bara. Antonio uscì dallo studio e si ritrovò confuso in una scena di cui era protagonista davanti a tutti. Scese le scale, sorreggendo la madre anziana, seguendo la bara. Poi, tenendola per braccio, s’incamminò fra due file di conoscenti e amici per la strada che portava alla chiesa.
S’ irrigidì in un atteggiamento fiero e composto perché non voleva dare spettacolo del suo dolore. Era già motivo di curiosità vedere quel giovane di colore camminare commosso, sorreggendo un’anziana signora bianca dietro il carro funebre; ma, tutto il quartiere li conosceva. Antonio e la sua famiglia abitavano lì da sempre e tutti avevano visto crescere quel piccolo bambino di colore adottato da una coppia già matura e senza figli.
C’erano molti dei suoi amici e colleghi dell’università che lo salutarono col pugno chiuso alzato. Erano compagni di quegli anni di lotte studentesche in cui avevano imparato ad apprezzarsi e sentirsi fratelli di fronte a mille difficoltà ed ostacoli. Carlo era venuto a trovarlo subito e aveva condiviso con lui il ricordo del lutto del proprio padre che aveva perso qualche anno prima. Ora, era lì insieme agli altri a fare onore al feretro che passava. Era strano vedere tutti quei giovani in corteo e lungo i marciapiedi. Non era uno spettacolo usuale! Erano lì per lui. Per stargli vicino, solidali al suo dolore.
Dopo la funzione in chiesa qualcuno lo segui anche al cimitero.







Nei giorni seguenti, Carlo e gli altri amici rimasero spesso a fargli compagnia.
La sera si stava fuori fino a tardi. Spesso, si andava fuori città nei paesi limitrofi. In riva al mare o sulle pendici dell’Etna, il vulcano che sovrasta Catania.
Una volta, si ritrovarono a Capo Mulini.
C’era una piccola trattoria in riva al mare, con i tavoli posti proprio su di una piattaforma di legno piazzata fra gli scogli di pietre laviche . Era un piacere  assaporare quella pepata di cozze, sorseggiando il vino bianco freddo della casa, sotto un cielo profondamente nero ma punteggiato dalla mille luci delle stelle e rischiarato da quel quarto di luna.
Si parlava del passato e del futuro. Delle lotte all’università, del Movimento, che ormai era in riflusso, e di ciò che li aspettava. Carlo aveva una bella voce , suonava da sempre la chitarra ed aveva spesso cantato in pubblico con successo.
Cantava le canzoni della Resistenza , i canti del lavoro  e di lotta del movimento operaio e contadino.
La prima volta che Antonio lo aveva conosciuto era stato proprio ad un concerto tenuto presso la sede di una libreria considerata uno dei centri  culturali e progressisti di Catania. Erano i primi mesi che frequentava l’università ed un collega, che lavorava all’Einaudi come venditore, gli aveva segnalato che nei locali della libreria vi sarebbe stato quel concerto per voce e chitarra.
La sede era abbastanza vicina a casa di Antonio. Era al primo piano di un palazzetto di Via Etnea vicino alla Villa Bellini.
Per ironia della sorte, da un portone vicino si accedeva anche alla sede  provinciale del Movimento Sociale Italiano . La sede dei “fascisti” come li definivano gli studenti di sinistra. Molti di loro erano anche conosciuti come “ picchiatori” per le loro azioni di disturbo e scontro fisico  nei confronti delle attività politiche del Movimento degli Studenti.
Quella sera, Antonio si diresse da solo a quel concerto, che iniziava nel tardo pomeriggio .
Nessuno dei suoi amici si era mostrato interessato e così aveva deciso di andare comunque a vedere. La sala era abbastanza piccola. In un angolo era stato ricavato lo spazio per il gruppo musicale composto da tre persone : Carlo, voce e chitarra, Franca , voce e Cesare voce.
Era la prima volta che Antonio ascoltava dei canti popolari e rimase colpito per l’intensità dei testi e per la passione racchiusa pur nella semplicità delle melodie. Canti appassionati, quasi gridanti la sofferenza e la volontà di riscatto dei loro protagonisti. Franca cantò, con una voce acuta  e  allo stesso tempo melodiosa, “ la mondina”. Carlo si esibì anche in una canzone  celebrativa della figura del rivoluzionario sudamericano Simon Bolivar ed in una canzone della guerra civile spagnola,  accompagnando il canto alternando il suono della chitarra a delle battute a tamburo sulla stessa, con il dorso della mano.Fu una bella serata ed un successo.
Antonio rivide pertanto con piacere Carlo quando si presentò, come neo studente,  davanti al picchetto di compagni che presidiava l’ingresso della facoltà occupata.
Con piacere Antonio garantì per la sua identità e Carlo fu fatto passare. Col tempo e nel corso delle lotte studentesche poi diventarono compagni ed amici, come tutti i componenti del Movimento degli studenti della Facoltà. Quello era forse uno degli aspetti più belli di quella situazione. Il numero relativamente modesto dei frequentanti e degli attivisti permetteva di vivere quella realtà d’impegno politico anche come una grande occasione d’amicizia personale. Dopo il rito delle assemblee e dei collettivi, le stesse persone si rincontravano nei gruppi di studio, che avevano sostituito  nella maggior parte dei casi le lezioni cattedratiche.
Non era raro rivedersi poi all’interno delle sale di lettura, dove si cercava di studiare,  e che alla fine si trasformavano in una grande riunione di amici, arricchita da risate e chiacchiericci.
Spesso, dopo, si andava insieme a cercare una delle vecchie osterie, frequentate una volta solo da muratori, meccanici o altri operai  in pausa pranzo, ed ora meta ambita di tanti studenti.

Sui tavolacci arrivavano così delle salsicce arrosto fumanti, spesso aromatizzate con semi di finocchio, che venivano annaffiate  col robusto vino rosso della casa. E dire che Antonio fino a qualche anno prima non aveva mai assaggiato un sorso di vino né bevuto un caffè!

CONTINUA





Ripensava a tutto questo mentre, seduto di fronte al mare di Capo Mulini, s’interrogava sul proprio futuro confrontandosi con quello degli altri.
-Penso che cercherò al più presto di trovare un lavoro  -disse Antonio-
-E l’università? -chiesero gli altri- e la laurea?
- No, non penso di lasciare. Al contrario, cercherò di sbrigarmi a prendere le ultime materie. Addirittura, voglio partecipare alla selezione per un corso privato esterno che sta organizzando il Dipartimento di Sociologia sui temi dello sviluppo del Mezzogiorno. Sembra che sarà un corso  molto qualificante, con lezioni tenute da professori come Michele Salvati e Vianello. Vi saranno poi tutti i professori di Sociologia economica della Facoltà e lo stesso Preside. Oltre a questo, però, voglio cercare di partecipare il prima possibile a dei concorsi. Considerati i tempi che ci sono  fra la data degli esami ,i risultati e le successive assunzioni  è meglio iniziare subito. Adesso in famiglia i soldi sono pochi anche se mia madre ha la pensione di reversibilità e non abbiamo affitto da pagare.
-Hai ragione! E’ meglio per tutti darsi una mossa  e sbrigarsi. Ormai il Movimento è finito ed ognuno di noi deve trovare la sua strada
-Si ma è importante restare amici -rispose Antonio – Non possiamo perderci e fare come se tutto quello che abbiamo fatto fosse stato niente. Io penso che dovremmo parlare fra di noi e capire insieme come affrontare questa fase della nostra vita in un modo nuovo.
-Che vuoi dire? Risposero gli altri
- Perché non dobbiamo aiutarci a comprendere se è possibile vivere  nella società in un modo nuovo? Negli USA vi sono stati   e vi sono ancora gli Hippies che vivono in comunità e si dividono tutto. Molti giovani hanno un nuovo modo di pensare alla vita . al lavoro , all’amore , al sesso.
-Si ma sono fuori dalla realtà  e non hanno coscienza politica – rispose Bruno- Noi siamo molto più avanti di loro. Noi abbiamo partecipato al movimento rivoluzionario degli studenti e degli operai. Noi abbiamo una visione  del materialismo storico che  questi non sanno neanche che cos’è. Questi non hanno storia alle spalle . Vuoi mettere  la lezione della Resistenza? Le lotte operaie? La lezione di Lenin  di Gramsci e Togliatti .Le ultime considerazioni di Mao e la rivoluzione culturale.
-Lo capisco, hai ragione -disse Antonio- Io non metto in discussione tutto questo. Credo nell’importanza del partito e del sindacato e di continuare il nostro impegno politico ma non siamo più nella fase del Movimento . Oggi sugli aspetti della vita personale siamo abbastanza soli. Per esempio vuoi prendere la musica ? Io non me la sento di ascoltare solo le canzoni popolari e dire che tutto il resto è reazionario . A me piacciono le canzoni di Lucio Battisti  che non si possono ascoltare perché è fascista.
- Va beh! rispose Carlo , certo non è un esempio di progressismo. Ma l’hai sentito mai  quando canta “ Emozioni”? Ma che caspita di senso hanno le sue canzoni? Ascolta qua “ ……”sdraiarsi felice sopra l'erba ad ascoltare un sottile dispiacere”  …. E poi senti questa….”.E stringere le mani per fermare qualcosa che e' dentro me, ma nella mente tua non c'e'” .- Ma di che sta parlando?- Ascolta, ascolta……..”Capire tu non puoi …..tu chiamale se vuoi emozioni “ – Ma finiamola!
- Eppure ti posso dire che le sue canzoni mi hanno accompagnato in questi anni  al pari di  quelle rivoluzionarie-rispose Antonio- Quando ero innamorato di Francesca  la sua canzone  dallo stesso titolo mi sembrava  una cosa mia. E “i giardini di marzo”?  Ascolta, lasciamo perdere per un attimo Battisti. E Woodstock? Che ne pensi?
- Che vuoi che ne pensi? Non la condivido -rispose Carlo- Questo affidare alla droga e alla musica  il motivo per stare insieme è una cosa che non mi piace. Queste adunate gigantesche per fare che? Dove è l’impegno sociale di queste persone?
-Carlo , io non voglio copiare queste persone e ti ho detto che non rinnego l’impegno sociale. Sono solo curioso di capire anche questi aspetti delle società diverse dalla nostra. Voglio sentire quella musica. Voglio capire cos’è quel nuovo modo di vivere di cui parlano. Tutto qua. E poi ricordati le loro lotte per i diritti civili e contro la guerra. Il primo movimento degli studenti è nato a Berkeley
Io non parto da posizioni predefinite, voglio solo, insieme a voi, cercare di capire se è possibile tornare alla vita comune,  comportandosi diversamente dai nostri genitori? Non so se sia giusto o sbagliato . Voglio capirlo.
-Non m’interessa Antonio - rispose Carlo- Non so che ne pensate voi, ma a me interessa altro. Ho l’opportunità di partecipare   ad uno spettacolo teatrale  di  Giorgio Gaber e penso di andare a vivere a Milano per qualche tempo.
- Bravo Carlo! – esclamarono tutti in coro-Come hai fatto? Come lo hai conosciuto?
-E’ successo quando Giorgio è venuto a presentare il suo ultimo spettacolo, questo inverno. Ha chiesto di conoscere qualcuno del Movimento  che si occupasse anche di spettacolo ed abbiamo passato una serata insieme alla sua Compagnia. Mi ha sentito cantare e mi ha proposto di partecipare con alcune canzoni al nuovo spettacolo a cui sta lavorando; … io ho accettato. Dovrei partire per Milano  a settembre.
La serata finì così. Sull’entusiasmo suscitato dalle parole di Carlo, con la prospettiva del suo soggiorno a Milano e della partecipazione  allo spettacolo di Gaber, che ci sembrava un sogno di buon augurio per il futuro di tutti.


CONTINUA



L’estate era nel suo pieno splendore. Antonio era solo a casa. La madre aveva accettato l’invito del fratello,  che abitava a Roma, di passare un periodo in quella città, per non stare troppo sola dopo la morte del marito.
Certo, c’era Antonio , ma Lui non poteva starle dietro tutto il giorno e  Lei neanche lo desiderava. Preferiva vederlo riprendere la sua vita con i suoi amici ed i suoi interessi per superare anche Lui quel brutto momento.
No, era meglio così!
Era partita per Roma con il fratello, che era venuto a Catania  per i funerali insieme alla moglie, e sarebbe tornata agli inizi di ottobre.
Le giornate di Antonio passavano così, senza un impegno preciso.   Spesso andava al mare,  dove L’estate era nel suo pieno splendore. Antonio era solo a casa. La madre aveva accettato l’invito del faceva delle lunghe nuotate e prendeva il sole,  anche se era naturalmente “ abbronzato”. Quella era una battuta che utilizzava spesso anche con i suoi amici e soprattutto con le ragazze  per esaltare la sua tintarella naturale rispetto al colorito bianchiccio di chi cominciava a prendere il sole ad inizio stagione e rischiava pesanti scottature. Oltre che nella  lunga striscia di sabbia della “plaia” che continuava , senza soluzione di continuità fino ad oltre la foce del Simeto e poi ancora verso Siracusa, gli piaceva, forse ancora di più, bagnarsi nell’altro lato della costa. Nel tratto di mare  a Nord, in direzione di Messina .
Quella era, al contrario, una costa rocciosa. Una costiera  formata dalle eruzioni laviche dell’Etna giunte sino al mare. Gli scogli di pietra lavica si succedevano l’uno dietro l’altro, con forme diverse, creando un ambiente naturale all’interno del quale era facile trovare minuscole forme di vita. Spesso, si trovavano sulla superficie degli scogli delle cozze nere o delle “patelle” , piccole conchiglie che si attaccano a ventosa .
Se poi si guarda sotto il livello dell’acqua, la costa  è un pullulare  di piccoli pesci , ricci di mare, qualche polpo che trova facilmente la sua tana  tra gli anfratti degli scogli. Un vero paradiso!

I ricci di mare erano una delle passioni di Antonio. Gli piaceva assaggiare quelle gustose ed aromatiche uova arancioni con qualche goccia di limone spremuta sopra.  Quando era bambino , i suoi genitori lo portavano a volte nella vicina Acitrezza, dove vi era un’intera piazza attrezzata con tavolacci e panche di legno in cui le famiglie  catanesi, la sera della domenica, si rimpinzavano di cozze nere e ricci di mare. La quota media  dei ricci si aggirava almeno sulla trentina a persona!

Un altro rito domenicale, che ricordava con altrettanto piacere, era invece costituito dalla salita a Zafferana Etnea , un paese sulle pendici dell’Etna , dove, nella piazza principale prospiciente all’ingresso dei giardini comunali, erano posti una miriade di tavoli  per far gustare ai golosi catanesi le famigerate pizze siciliane :dei calzoni fritti ripieni di “tuma” ( formaggio fresco di pecora)  e acciuga.
 Si poteva poi concludere la cena assaggiando una specialità tipica di quel locale: i biscotti chiamati “sciatore”. Una specie di biscotto Regina gigante , della lunghezza di ca. dieci centimetri, interamente ricoperto di cioccolato. Si dice che il nomignolo “ sciatore” sia dovuto al fatto che gli sportivi appassionati di sci , prima di procedere più avanti sulla strada verso le piste, si fermassero  a Zafferana  per fare colazione,  appunto con quei biscotti. Dall’altro lato della piazza si stagliava poi la chiesa principale del paese conferendo a quel posto un pizzico di maestosità.

Vi erano due strade principali per arrivare sull’Etna.
La prima  passava per Nicolosi e saliva al rifugio Sapienza ed oltre  da dove, accanto  al “cratere vecchio”, partiva la funivia che portava alle piste di neve.
La seconda passava per  “i monti rossi” e proseguiva verso Zafferana oltre la quale si saliva, attraverso una strada panoramica, da cui si poteva vedere anche il mare, su di un versante boscoso  e naturale all’interno del quale sorgeva l’albergo “ Emmaus” .
Lì si poteva passare  un  bel soggiorno in mezzo alla natura  ed al verde incontaminato dei boschi . Da Zafferana poi si poteva prendere  una strada che da Santa Venerina scendeva serpeggiante verso la costa  all’interno di un panorama mozzafiato.





I ricordi estivi di Antonio erano disseminati fra quelle località dove era abitudine quasi ogni sera, per i giovani catanesi, recarsi a cercare qualche locale dove passare la serata o ritrovarsi insieme nella casa di villeggiatura di qualcuno dei genitori. Quasi nessuno rimaneva la sera a Catania Centro perché offriva poco   per i giovani. A parte qualche locale di livello elevato e qualche cinema, non c’erano situazioni attraenti per passare la serata. Solo da qualche anno, grazie alla frequentazione dei giovani studenti di sinistra alternativi, le antiche osterie si erano pian piano trasformate in accoglienti trattorie dove, ad un prezzo contenuto, potevi gustare le specialità della cucina tradizionale.
Antonio ed i suoi amici avevano scoperto e fatto sviluppare una piccola osteria nel quartiere Borgo che ormai era diventata un punto alla moda e ben frequentato. In fondo, in giro trovavi sempre le stesse persone. Le trovavi nelle manifestazioni politiche, in quelle sportive, al cinema, all’università, a passeggio ecc. ecc.
Ad Antonio piaceva andare anche a gustare le bistecche di carne di cavallo arrosto cotta su piccoli bracieri piazzati sulla stessa strada accanto alle osterie ad esempio di Via Plebiscito, vicino al quartiere popolare di San Cristoforo.
Lì, ricordava Antonio, aveva vissuto una delle situazioni più comiche della sua militanza politica. Insieme ad altri compagni di uno dei cosiddetti “gruppuscoli extraparlamentari” doveva organizzare un comizio in una piazzetta di quel quartiere. Erano arrivati con diverse auto piene di manifesti d’appendere sui muri, con i megafoni e l’attrezzatura di legno per predisporre una specie di piccolo palco.
 Era ormai sera e ,qualche minuto dopo aver cominciato ad affiggere i manifesti e disporre le barre di legno per il palco, una piccola folla di persone del quartiere cominciò ad aggirarsi intorno, curiosa ed infastidita della loro presenza, considerata sostanzialmente estranea. Mentre cominciavano a formarsi dei piccoli capannelli di discussione e di protesta, nel frattempo, erano arrivati un nugolo di bambini-ragazzi di quell’età pericolosissima compresa fra gli otto e i dodici anni che, in men che non si dica, cominciarono a distruggere tutto quello che i “compagni” avevano realizzato, portandoselo via, fuggendo da tutti i lati e ritornando da mille altre parti fra le risate degli abitanti del quartiere.
 I “compagni” provarono inizialmente a protestare ed anche a minacciare, ma furono letteralmente travolti dal combinato fra adulti minacciosi e bambini/ragazzi velocissimi distruttori e rapinatori.
La figuraccia era ormai consumata ed il comizio improponibile!
La versione ufficiale fu di sconforto e di rabbia; ma, bisogna confessare che Antonio ed i suoi più cari “compagni” non riuscivano a smettere di ridere, commentando la serata all’interno dell’auto che li trasportava a casa.




Durante quelle giornate, Antonio si vedeva più spesso con Alberto e Sandro. Alberto era un collega dell’università con cui erano diventati amici sia sul piano politico, ma soprattutto su quello personale, confidandosi la delusione per i due grandi amori sfortunati di cui erano stati protagonisti. Antonio, durante quegli anni universitari, aveva amato Francesca e con la stessa intensità Arturo aveva amato Silvana. Sandro invece era un amico d’infanzia. Con lui aveva frequentato la scuola elementare, la media e il Liceo Scientifico. Sandro era l’amico con cui Antonio si vedeva separatamente dall’ambiente dell’università ed anche dalle frequentazioni relative alla militanza politica di quegli anni. Con lui aveva fatto i primi viaggi fuori dall’Italia ed era una presenza costante della sua vita.
Antonio ed Alberto facevano spesso coppia per conoscere nuove ragazze ed i commenti seduti in macchina a fine serata, sotto casa di Antonio, duravano anche delle ore.
Antonio aveva la patente ma non l’automobile. Non era molto appassionato della guida, ma non aveva del resto i mezzi economici per acquistare un’auto. Il pilota ufficiale era, pertanto. Alberto che, al contrario, era un grande appassionato di motori ed affezionatissimo alla sua Cinquecento. Una sera, tornando da una serata con pizza in un paesino sulle pendici dell’Etna, gli equipaggi amici, man mano che si scendeva lunghe le strade tortuose che portavano in città, si sfidarono in una pazza corsa. Nella Cinquecento di Alberto, stava seduto a lato Antonio, mentre, nell’altra auto, c’erano Mimmo e Marcello, due colleghi ed amici universitari. Man mano che si andava avanti, Alberto prese un vantaggio sull’altra macchina. I volti dei due giovani erano tesi ed eccitati. Nell’ultimo tratto, prima di arrivare in Città, il percorso era a senso unico ma con una strada stretta e tortuosa. Le curve si succedevano l’una all’altra rapidamente, mentre la macchina avversaria incalzava da vicino. Ad un tratto, subito dopo una curva, ecco che l’auto di Alberto ed Antonio si ritrovò improvvisamente   con un muro davanti che copriva una curva a gomito. La Cinquecento era lanciata e frenare sarebbe stato un disastro, con uno schianto certo. Non c’era abbastanza spazio.
Alberto, senza pensarci su, entrò nella curva a gomito e di controsterzo portò la macchina fuori da quell’incubo. Antonio era rimasto freddo e vigile, teso come un arco. Un boato uscì dalle gole di Alberto ed Antonio misto ad una risata che squarciava il silenzio assordante di qualche istante prima. Non riuscivano a credere di esserne usciti fuori senza danno e, subito, alla tensione subentrò un senso di trionfo e di potenza. L’altra macchina, che li seguiva, si accostò con calma alla Cinquecento di Alberto, che ora procedeva lentamente.
- Ma siete pazzi? - gridò Mimmo- affacciato dal finestrino della sua auto
- Si, è stato pazzesco – rispose Antonio – mentre Alberto gridava e rideva!
Tutti, dopo, scesero dalle macchine per abbracciarsi e ridere senza fine



Qualche tempo dopo, durante l’estate, Sandro ed Antonio organizzarono una passeggiata pomeridiana al Luna Park con alcune ragazze che abitavano vicino  a casa di Sandro. Una delle due ragazze si chiamava Lina, abitava proprio nel suo stesso palazzo e si conoscevano sin da piccoli. L’altra ragazza, amica di Lina, abitava poco distante, in un villino a due piani degli anni ‘50 ,e si chiamava Laura. Era molto carina; anzi, nel gergo che si usava tra maschi, si poteva affermare che era proprio “bbona”.
Era una giornata calda, ma con il cielo terso che rendeva sopportabile la temperatura elevata. Ben diversa dalle giornate di scirocco, quando il termometro saliva insieme ad un alto grado d’umidità rendendo il caldo insopportabile. Il Luna Park si trovava sul lungo mare nuovo dopo Piazza Europa dalla parte della costa verso Ognina, Aci Castello ecc. I ragazzi si organizzarono per andarci con  la macchina di Sandro,  con Antonio a lato e le due ragazze dietro.
Sembravano tornati bambini quando gridavano eccitati sull’Otto Volante. Dopo, dall’altezza della grande ruota poterono ammirare romanticamente il tramonto sul mare e quindi si tuffarono in una sparatoria al bersaglio dove Antonio, con il suo fucile, diede prova di una grande mira e, dopo aver collezionato un innumerevole numero di centri, vinse uno splendido orsacchiotto che regalò a Laura.
Al ritorno, la composizione dell’equipaggio in macchina  fu diversa. Sandro sempre alla guida ma con accanto Lina ; mentre, Antonio  fece compagnia , nel sedile posteriore, a Laura. Antonio sentiva la vicinanza della ragazza accanto a sé ed il suo calore lo eccitava. Non poté fare a meno, quindi,  di avvicinare la sua coscia a quella di Laura e contemporaneamente prenderle la mano. Laura non disse niente ma non ritirò la mano , lasciandola in quella di Antonio. Per tutto il tragitto non parlarono , mentre il cuore di Antonio batteva all’impazzata, la sua mano accarezzava quella di Laura e le due cosce continuavano a mantenersi strettamente attaccate.
-Ciao a presto- gli disse Laura-come se non fosse successo niente-
-Ciao  ti telefono -rispose Antonio.
Nei giorni seguenti,  Sandro confidò ad Antonio  di aver avuto sentore da   Lina circa  una richiesta di notizie di Laura su di lui.
In particolare, voleva sapere che tipo eri – gli disse Sandro- Se sei un pazzo, un farfallone , uno… stronzo.. in poche parole, che si diverte a prendere in giro le ragazze per prenderle e poi lasciarle.
-E Lina che le ha detto? - chiese  questo punto Antonio
- Che ti conosce da sempre -rispose Sandro- Che puoi dare l’impressione di essere impulsivo, ma che sei un bravo ragazzo. Laura a questo punto si è tranquillizzata e sembra che sia in attesa di una tua telefonata. Che aspetti?
-Niente. Hai ragione. Oggi la chiamo- concluse Antonio
Quel pomeriggio la chiamò e comprese, con piacere, che Laura ne era rimasta contenta.





Si videro un pomeriggio, per una passeggiata ed un cinema. Lei era venuta con la sua cinquecento bianca. Lasciarono l’auto vicina al cinema Odeon  in una traversa di Via Umberto e decisero di fare due passi a piedi, visto che mancava una mezz’ora per l’inizio del film.
Laura accettò che Antonio la prendesse sotto braccio  e lui ne approfittò per sfiorarle il seno. Il contatto fra di loro era magico e carico di passione. Svoltarono in una viuzza secondaria , senza gente, e si baciarono a lungo. Non riuscivano a staccarsi e così   fu anche durante tutta la proiezione del film. Il contatto, seduti l’uno accanto all’altra nel buio della sala cinematografica, era ancora più intenso. Antonio  non riusciva a trattenersi e Laura non si tirava indietro. Da quel giorno la loro confidenza diventò sempre più forte e per tutto il tempo che stavano insieme erano appiccicati l’uno all’altra.  Antonio confidò a Laura che per lui era la prima volta e che la desiderava tanto. Lei ne fu contenta e gli confidò che aveva già fatto l’amore con il suo precedente fidanzato. Approfittarono del fatto che la madre di Antonio era in viaggio a Roma dal fratello e andarono a casa sua. La prima volta di Antonio fu  così ,proprio a casa sua. Nel suo letto e amorevolmente guidato da Laura. Quella ragazza lo faceva impazzire! Il piacere di Antonio aumentava, senza che potesse controllarlo, nel seguire la passione di Laura , i cui gemiti diventavano grida seguendo il ritmo dell’amore. Antonio si ritrovò così a fare di nuovo l’amore con Lei e questa volta a lungo , desiderando che non finisse mai e trovando quindi la felicità insieme .
Da quel giorno , ovunque si trovassero erano un corpo solo , una sola passione che li travolgeva. La madre di Antonio stava per tornare a casa e così diventò necessario trovare un posto dove incontrarsi. Antonio trovò una piccola casetta di un vano con bagno  e con la porta d’ingresso affacciata in un cortile di un quartiere popolare a due passi  dalla via  che portava alla Plaja. L’anziana signora  proprietaria lo aveva accolto con simpatia ed avevano concordato un prezzo accettabile per l’affitto. Alberto lo aiutò a portare un letto ed un  materasso nella casetta .Quella mattina , prima di chiedergli la cortesia di aiutarlo, quando Alberto aveva bussato per venirlo a prendere , Antonio , sulla porta di casa , sorridendo gli aveva detto:“ fatto”. Alberto aveva capito subito di cosa si trattava e  sorridendo lo aveva abbracciato forte.
-Bravo Antonio . Ce l’hai fatta! Raccontami com’è stato ?
- Non c’è cosa più bella Alberto e quando la vedi godere ti fa impazzire: E’ come se trovassi finalmente la casa che hai sempre desiderato! Adesso però mi devi aiutare a traslocare.
Antonio cominciò a raccontargli della casa  presa in affitto e della necessità del trasporto almeno di un letto e di un materasso. Facendo un sondaggio fra gli amici, trovarono una rete pieghevole adatta allo scopo ed un materasso. Così, in un baleno, la casa era arredata.
Antonio e Laura divennero  degli assidui frequentatori di quella casa,  donandosi i loro corpi e la loro passione.
Qualche tempo dopo, Laura invitò Antonio a casa sua  e gli fece conoscere i suoi genitori . Erano persone simpatiche ed aperte. Certo,  fu per loro una sorpresa  vedere che il ragazzo della figlia era di colore. Parlando con il padre di Laura , Antonio  fu contento di capire che era un  progressista e sindacalista . Parlarono a lungo, ma discretamente. Gli chiese quali fossero i suoi progetti per l’avvenire . Antonio gli raccontò che era rimasto senza padre da poco e che contava di laurearsi al più presto e trovare lavoro, cominciando anche dal basso se era necessario. Aveva anche della aspirazioni per la carriera universitaria , ma la cosa era molto difficile. Certo, era ben conosciuto e stimato da tutti i professori ma non era detto che accettassero di avere come assistente un contestatore . Laura, dopo un po', lo tolse dall’imbarazzo per fargli vedere la sua stanza e si baciarono appassionatamente anche con i genitori di lei a due passi, nell’altra stanza. Laura era molto contenta di quell’incontro ed il giorno dopo volle parlare  con Antonio del loro futuro.
-Antonio  che ne pensi di noi due? Stiamo bene insieme , vero?-disse Laura
- Si! Io ti amo -rispose Antonio
- Anch’io disse Laura e voglio vivere con te. Fidanziamoci  e appena avrai un lavoro potremo sposarci.
- Laura io non credo nella famiglia tradizionale- rispose Antonio- Io voglio essere libero e seguire i miei sentimenti senza ipocrisia: Noi staremo insieme, vivremo insieme fino a quando ci ameremo  ma dobbiamo essere liberi di lasciarci se il nostro amore un giorno dovesse finire: Non possiamo esser schiavi di un’ istituzione ipocrita. Non ne abbiamo bisogno. Il nostro amore e la nostra passione sono più forti di ogni regola.
- Antonio , io non voglio essere la tua amante o qualche cosa di peggio,  che usi e lasci quando vuoi- disse Laura- Io voglio un avvenire  con una persona  che si voglia prendere cura di me. Una persona che si prenda degli impegni importanti per stare con me.
- Laura non ci capiamo- rispose Antonio- Io voglio stare con te. Io ti amo e mi voglio prendere cura di te in un modo nuovo: Noi dobbiamo esser dei compagni di vita , liberi ed uniti affrontando insieme il futuro fino a quando ne saremo convinti : Senza finzioni od obblighi al di fuori del nostro  amore.
Laura non rispose ma era cambiata in volto.
- Così non m’interessa Antonio – gli disse- pensiamo ad una vita diversa ed è meglio che ci pensiamo sopra  tutti e due.


Da quel momento Laura non accettò più di uscire con Antonio, nonostante lui glielo chiedesse ogni giorno ed ogni volta che Lei rispondeva al telefono. Poi cominciò a negarsi . Rispondeva sempre la madre o qualche volta la sorella più piccola . Antonio era distrutto. Vagava per la città  come un cane randagio. Poi ricominciò a parlare con i suoi amici di quello che era successo. Alberto gli diede torto. Se si aveva la fortuna di una passione come quella  perché non pensare al matrimonio? Gli altri invece , specialmente  Maurizio , Mimmo e Beppe erano d’accordo con Antonio. Non si potevano  tornare a seguire le regole della  società che avevano contestato. Dovevano vivere in un modo nuovo. Dovevano capire insieme come si poteva costruire un mondo nuovo!


Si cominciarono a trovare a casa di Antonio, perché la madre era ripartita per Roma e così si era tutti più liberi. Si vedevano dopo cena e la prima grande passione comune era rappresentata dalla musica e dal modo di viverla insieme. Ognuno portava dei “long playing” e si ascoltava la musica liberamente sdraiati sul pavimento del salone della casa di Antonio, utilizzando i cuscini del divano e di altre stanze, per stare più comodi. Si spegnevano le luci centrali, mantenendo solo quella della lampada ad angolo, e si ascoltava la musica in sottofondo, entrando contemporaneamente in una fase di rilassamento e di meditazione.
I dischi preferiti erano quelli dei Pink Floyd e specialmente  “Atom Earth Mother” e “The Dark Side of the Moon”.
Erano molto apprezzati anche i King Crimson ed i Genesis…Emerson, Lake e Palmer ma anche i cantori della West Coast a cominciare da Crosby, Still, Nash e Joung. Piacevano anche i Traffic ,i Jefferson Airplanes, gli Hot Tuna, gli Yes e Simon e Garfunkel , gli Eagles e tra gli italiani soprattutto la PFM ed il Banco del Mutuo Soccorso, di cui alcuni avevano ammirato il concerto tenuto all’interno del festival dell’Unità  a Roma.
Era stato definitivamente sdoganato Battisti, amato praticamente da tutti. Si fumava tanto e spesso. Quando qualcuno rimaneva senza sigarette, si fumava la stessa girandosela gli uni con gli altri. Poi, quasi inavvertitamente, cominciavano le discussioni. Prima interessavano magari i due più vicini. Dopo, qualcuno si avvicinava  seguito da un  altro ancora e così via.
In quella dimensione,  confidenziale e di amicizia personale, era più facile mostrare il proprio animo e parlare di se stessi e dei propri problemi. Il gruppo iniziale, sempre presente in quelle serate, non superava le  tredici , quattordici persone fra ragazzi e ragazze. Si era valutata l’ipotesi di ripetere l’esperienza delle comunità Hippies americane; ma, alla fine,  si era stati tutti contrari.
Non c’erano le condizioni  per un’esperienza di quel tipo.  Nessuno aveva una particolare abilità artistica, artigianale o lavorativa che potesse dare vita immediatamente ad un percorso comune di lavoro autonomo, con degli introiti  da dividere, per tentare  l’avvio di una comunità. No, era meglio non porsi quell’obiettivo e limitarsi, per il momento, a discutere su come vivere, ad esempio, i sentimenti più intimi in maniera diversa dal passato. Senza sottomettersi all’idea di ripetere i ruoli  sociali prefigurati.
Le discussioni più sentite riguardavano  soprattutto i sentimenti , l’amicizia , il sesso , l’amore.
Se la proprietà privata era un furto come si poteva concepire che si avesse la proprietà di una persona ? L’amore doveva essere libero e seguire sempre il proprio libero impulso. Senza obblighi  e costrizioni. La fedeltà non aveva senso, se era un obbligo.
L’istituzione familiare aveva un senso? Forse, per garantire i figli, si poteva fare un compromesso; ma, solo dopo una normale convivenza e sempre che,  nel frattempo, non si avessero nuovi rapporti.
Antonio seguiva con attenzione questi discorsi e li condivideva;  ma, come tutti, poneva poi il problema di accettare l’evidenza dell’innamoramento.
Non c’era dubbio che  ci si innamorasse  ed allora che senso aveva parlare di libero amore?  Forse, si poteva dire che la libertà non poteva negare  il sentimento particolare nei confronti di una persona speciale. Così tutti accettarono il concetto  che si potesse avere un rapporto “privilegiato”. Un rapporto di coppia speciale che, comunque, doveva essere vissuto in piena libertà da parte dei componenti della coppia  e senza escludere le altre persone, isolandosi.
In quei giorni era  tornato  da Firenze Eugenio, un amico fraterno di Antonio , suo compagno di banco  al Liceo, che si era trasferito in quella città per iscriversi alla facoltà di Architettura.
A tempo perso s’interessava di yoga, meditazione e psicologia di gruppo. Con i suoi amici, a Firenze, aveva sviluppato discorsi molto simili a quelli del gruppo di Antonio. Avevano  vissuto un’esperienza interessante,  chiamata “ psicodramma”, di cui Eugenio era entusiasta, e subito propose ad Antonio di sperimentarla  insieme ai suoi amici.
La proposta fu subito accettata da tutti che, curiosi, aspettarono con impazienza la sera stabilita oper provare questa nuova esperienza. Come sempre, l’appuntamento era a casa di Antonio, approfittando della lunga assenza della madre e del fatto che  l’appartamento aveva un ingresso  autonomo ed i vicini , anziani , non venivano disturbati più di tanto.
La musica di sottofondo era d’obbligo e come sempre la preferenza fu accordata ai Pink Floyd. In prima battuta, tuttavia , questa volta  Eugenio  diede disposizione di mantenere le luci centrali del salone tutte accese. Dovevano vedersi bene  e sentirsi. Dovevano, infatti,  lasciarsi andare al ritmo lento della musica  e ,dondolandosi  l’uno davanti all’altro, cominciare a toccarsi per conoscersi , scambiando poi il compagno o la compagna della coppia. Poteva dare l’impressione di un “ tuca tuca” di  Raffaelliana memoria;  ma, lo scopo era quello di superare la barriera del contatto fisico per creare un nuovo più alto livello di confidenza, che avesse anche una componente corporale. Quando l’ambiente si era disteso e ammorbidito. Eugenio fece stendere a turno delle persone per terra chiedendo poi a tutti di toccarle contemporaneamente. Di carezzarle per tutto il corpo , evitando solo le parti intime. Anche Antonio ebbe lo stesso trattamento di tutti e non poté negare la piacevolezza della cosa  unita, per certi versi, ad un certo imbarazzo. Non ebbe tuttavia il tempo di definire meglio le sue emozioni perché, a quel punto, Eugenio diede l’indicazione di separarsi tutti , di spegnere le luci e rimanere  al buio nel più totale silenzio.
Era una sensazione strana. Non c’era niente di cui preoccuparsi. Erano tutti amici ; tuttavia, si avvertiva un sentimento misto fra inquietudine ed empatia. Il tempo passava e l’emozione aumentava. Ad un certo punto, Antonio cominciò a star male e ,quando Eugenio chiese se c’era qualcuno che voleva parlare , non seppe trattenersi dall’esprimere il proprio malessere.
- Cosa senti? Cosa provi? - gli chiese Eugenio?
- Non so perché…. ma sto male. Ho una sensazione di fastidio e di oppressione, qui nel buio. Mi sento a disagio- rispose Antonio
- Cerca di parlare di questo disagio- insistette Eugenio- di che si tratta?
- Ho come la sensazione di sentirvi distanti. Di non essere capito. Come se mi sopportaste, ma  non vi trovaste bene insieme a me -continuò allora Antonio
- Pensi che non ti vogliamo bene? Che non ti consideriamo? - gli chiese Eugenio
- Si…. ho questa sensazione e mi fa stare male. Mi dispiace e mi sento solo.
A quel punto tutti cominciarono a parlare e spiegare ad Antonio che, in realtà, lo apprezzavano e gli volevano bene. Poi, anche altri vollero manifestare il proprio disagio   che fino a quel momento avevano taciuto. La discussione si trasformò così in una vera confessione   collettiva. Il risultato fu che, alla fine, si sentirono tutti molto più amici di prima e uniti da un vincolo quasi di fratellanza. La musica continuava a riscaldare l’atmosfera secondo uno stile “New Age”. Tuti si sentivano più rilassati e cominciarono ad alzarsi ed a ballare sia da soli che in gruppo, muovendosi liberamente. Le coppie si formavano e si alternavano con facilità. Antonio si trovò a ballare in gruppo con Alessandra, una ragazza amica di  Alberto con cui erano usciti alcune volte, con lo stesso Alberto e con  Carla , amica di Alessandra.  Antonio e Alessandra cominciarono a guardarsi più intensamente e rimasero a ballare da soli. Poi, senza neanche pensarci, Antonio baciò profondamente Alessandra che lo corrispose . Continuarono a ballare ancora un po' insieme,   ma dopo si staccarono per ballare autonomamente in mezzo al gruppo in una sinuosa danza  collettiva .



Da quel giorno le adesioni al gruppo aumentavano sempre di più. L’interesse cresceva e un giorno c’era tanta di quella gente che la riunione fra amici diventò in realtà l’assemblea di un gruppo. Si erano aggiunte diverse persone e soprattutto un’area alternativa che fino a quel momento non aveva trovato contatti con il mondo della contestazione politica giovanile. Questi ragazzi avevano sviluppato parallelamente una rete di attività e di comportamenti alternativi più legati alla musica ed allo stile di vita. Molti frequentavano sempre gli stessi posti della città per ritrovarsi e conoscersi. Uno era tipicamente costituito dalla scalinata d’ingresso della Villa Bellini. A fare da tramite fra gli amici di Antonio e queste nuove persone erano state, in particolar modo, alcune ragazze simpatizzanti del Movimento Studentesco ma sempre rimaste sostanzialmente ai margini. Una sera, discutendo della situazione fra gli amici più stretti, sembrò opportuno cercare una sede dove incontrarsi perché ormai, considerato   il numero delle persone interessate all’iniziativa, sembrava impossibile riunirsi a turno a casa di qualcuno. Si trovò così a buon prezzo uno scantinato, in una zona abbastanza centrale. Si accedeva da un ingresso a livello stradale e subito dopo con una piccola scaletta si   entrava in un primo vano di disimpegno con bagno attiguo e subito dopo in una grande sala. Era uno spazio più che sufficiente. Ci si mise subito all’opera per pulirlo e ripitturarlo di bianco ed alla fine, almeno alla vista, l’aspetto era soddisfacente. Ognuno poi cercò di portare qualche pezzo di mobilio non più utile e destinato ad essere eliminato. Delle sedie, dei materassi vecchi dove sdraiarsi, un tavolo. Antonio portò anche dei quadri che aveva dipinto qualche tempo prima per colorare un po' l’aspetto delle pareti. A questi si aggiunsero diversi manifesti.
Era bello poter avere un luogo d’incontro dove sapevi che avresti trovato quasi sempre qualcuno intento a leggere o ad ascoltare la musica o a discutere con altri. L’allargamento del gruppo a nuove persone, con un vissuto diverso, poneva tuttavia non pochi problemi sia di ordine culturale ed ideale, che pratici. Per la prima volta, quella che era stata l’omogeneità culturale del gruppo veniva messa in discussione e questo creò non pochi problemi e divisioni. Molte delle nuove persone che si erano unite al gruppo non avevano un vissuto di militanza politica ed anzi lo rifiutavano. Sottolineavano, al contrario, l’importanza di comportamenti che fino a quel momento erano stati considerati da quasi tutti come sbagliati. In particolare, Antonio ed i suoi amici si trovarono a doversi confrontare e decidere come comportarsi di fronte persone che facevano uso di droghe e sostenevano l’idea di un comportamento sessuale totalmente libero. Una di quelle sere, mentre si ascoltava la musica seduti tutti insieme per terra su dei cuscini, Antonio vide che in una parte della stanza alcuni cominciavano a passarsi l’un l’altro una sigaretta accesa, aspirandola profondamente. Poi, dopo, avvertì un odore particolare ed intenso; mentre, qualcuno cominciava a gesticolare in maniera strana, come se si muovesse al rallentatore. Giorgio e Paolo, ragazzi più giovani   fra i militanti del Movimento Studentesco e che fin dall’inizio erano stati fra i protagonisti del gruppo, stavano partecipando anche loro a quel rito e dopo un po' cominciarono a ridere come se fossero ubriachi. Giorgio si alzò, un po' barcollando, e cominciò a muoversi cercando di danzare, seguendo la musica, ed aspirando contemporaneamente lunghe boccate di fumo. Si avvicinò e sorridendo con voce impastata offrì il “fumo” ad Antonio che tuttavia rifiutò. Quella era una delle cose da cui non era attirato. Non lo interessava completamente provare quella forma di rilassamento o di euforia (supponeva) prodotta da sostanze. In quel periodo, semmai, si era interessato a forme di meditazione orientale ed aveva sperimentato su di sé delle tecniche di respirazione e di meditazione. Più volte aveva provato la meditazione in assoluto silenzio, per molto tempo, in un ambiente naturale che a lui piaceva molto come davanti al mare al tramonto ed aveva provato quello che nei libri che aveva letto definivano come “compassione”. Un sentimento di appartenenza e di compenetrazione nella realtà naturale interna ed esterna al proprio corpo, accoppiato ad una sensazione di piacere e di emozione.
Giorgio lasciò Antonio e, danzando, si diresse verso Paolo che “fumava” seduto accanto ad un ragazzo nuovo, Fabrizio e a delle ragazze che non conosceva. Quel gruppetto si andava allargando e ben presto alcuni si trovarono a giacere per terra persi nelle loro emozioni, altri continuavano a ridere in maniera irrefrenabile, altri ancora cominciarono a toccarsi ed accarezzarsi. Antonio ebbe la sensazione che per lui la serata era finita e che desiderava uscire a prendere una boccata d’aria fresca. Si allontanò inosservato e si ritrovo per strada all’interno di una notte ormai silenziosa. Passeggiava tranquillo andando verso casa accompagnato saltuariamente dal passaggio di qualche auto. Quante volte era passato per quelle strade! Conosceva quasi la forma ed il disegno di ogni pietra. Da ragazzo, spesso, i suoi spostamenti avvenivano di corsa. Gli piaceva correre per la strada per raggiungere un appuntamento o spostandosi verso una meta. Adesso invece era bello camminare, solo nella notte, andando verso casa.



Nei giorni seguenti Antonio ebbe modo di parlare con Giorgio di quella sera e così scambiarono le loro opinioni sul “ fumo” . Giorgio  gli raccontò che la sua esperienza era stata molto gradevole e che sicuramente l’avrebbe ripetuta . Anche Paolo e molti altri erano d’accordo su questo punto . Paolo poi era una persona intelligente e molto curiosa . Diventato più intimo di Fabrizio , questi gli aveva fatto provare l’acido e Giorgio era un po' preoccupato  per Paolo che, spinto dalla curiosità, era pronto a superare ogni limite  e provare qualunque cosa.  Antonio venne poi a sapere che il “ fumo” era la parte minima del problema. Vi erano diverse persone nuove che facevano uso di eroina e Giorgio aveva trovato una siringa  nello scantinato. Questo poneva dei problemi seri ed Antonio decise di discuterne  in  una riunione riservata solo ai fondatori del gruppo.
-Ragazzi , premetto che non faccio un discorso di ordine morale _ esordì Antonio- anche se personalmente ritengo che l’uso della droga pesante sia dannoso per la salute fisica e mentale. Non mi venite  a dire che un percorso di riscatto personale e di libertà passino attraverso la  dipendenza da sostanze . Questo è il contrario esatto e penso che tutto quello che volevamo fare, da quando ci siamo impegnati anche politicamente,  era l’opposto .
- Si ma non starei a giudicare – rispose Paolo- ognuno segue un percorso originale e deve essere libero anche di sbagliare, se vuole farlo. Se non si prova , se non si hanno esperienze  nuove, non si cresce.
- Ho capito – rispose Antonio- ma non si deve provare per forza tutto  per crescere . Se sai che qualcosa ti fa male ti fermi;
-E chi lo dice che fa male se non lo provi? – disse Paolo
- Ragazzi non fermiamoci su questo punto- disse Giorgio-Il motivo della riunione  non è se sia giusto o meno drogarsi. Questo lo discuteremo  dopo. Intanto, dobbiamo capire come comportarci. Non possiamo permettere che venga usato lo scantinato per drogarsi in santa pace. Possiamo essere oggetto di perquisizione da parte della polizia  e finire tutti in grosse difficoltà .Dobbiamo stare attenti ed evitare di trovarci in una situazione non gestibile.
- Io sono d’accordo - disse Antonio- dobbiamo garantire che il progetto vada avanti e così mettiamo tutti in pericolo .
-Che dobbiamo fare  secondo voi?- Chiese Paolo
-Posso dire la mia ? chiese Pippo, che fino a quel momento aveva ascoltato in silenzio.
-Certo – dissero tutti
-Bene! Propongo che le chiavi d’ingresso siano affidate solo a poche persone-disse Pippo-   che garantiscono l’apertura del locale in determinate ore e giorni assicurando un controllo su quanto avviene, grazie alla loro presenza. Capisco che comporterà un impegno  gravoso e quindi dobbiamo immaginare di ridurre la possibilità di utilizzo di questi locali; ma , per il momento, farei in questo modo
- Io direi anche di parlarne alla prima occasione -aggiunse Antonio- anche a costo di sollevare malumori e obiezioni . E’ meglio chiarirsi le idee ed affrontare il problema.
Decisero di procedere in questo modo . Ognuno dei quattro  si assunse il compito di custodire una copia delle chiavi e di gestire un giorno a turno la settimana sotto la propria responsabilità. Tre giorni restavano non coperti  e lasciati all’iniziativa libera  di ciascuno. Avevano lasciato non coperti proprio  il fine settimana  e cioè venerdi , sabato e domenica , quando  era facile che potessero essere presenti in più di una persona.
Decisero di parlarne con gli altri proprio  quel sabato  quando, verso sera, sapevano che sarebbero stati tutti insieme .
Avevano organizzato un incontro in cui ognuno avrebbe portato qualcosa da mangiare e da bere,  per passare insieme la serata. Quando l’atmosfera era già rilassata  e tutti stavano a proprio agio, seduti a piccoli gruppi chiacchierando fra di loro , Giorgio chiese un attimo d’attenzione  e provò a spiegare le ragioni della loro decisione, pregando tutti di astenersi dall’utilizzare  droga in quei locali . Inevitabilmente,  pur accettando quella decisione, molti ne criticarono il significato implicito.
-Questo è un modo di dirci che non siamo graditi – disse Margherita, una delle ragazze  che erano entrate  nel gruppo di recente e che era una delle “alternative “ che occupavano “ i gradini della scalinata di Villa  Bellini.- vi spacciate per progressisti , dite di voler essere aperti e che desiderate un mondo nuovo ma siete vecchi dentro.
- Margherita – rispose Pippo-  questo luogo , il nostro gruppo può essere sorvegliato dalla polizia . Gran parte di noi è schedata dalla polizia politica che controlla le attività giovanili in città e può guardare  con attenzione al nostro gruppo. Dobbiamo stare attenti ed evitare che possano trovare sostanze in questo scantinato o persone in stato  tossico. Lo  capisci?
- Si ma Margherita pone un problema più grosso – intervenne  Fabrizio-  Voi non tollerate  chi di noi fa uso di droghe. Ho paura che non solo siate contrari    all’eroina o all’acido, ma anche all’erba, che fa solo che bene! Ti rilassa, ti fa stare bene con te e con gli altri.
-E’ vero -confermò Margherita seguita da  tanti altri.
-Ragazzi   io , personalmente sono contrario all’uso di droghe -disse Antonio – ma qui non stiamo parlando di questo; ma, di non usarle in questi locali. Poi , fuori di qui, ognuno è libero di fare quello che vuole. Io non lo condivido;  ma, questo non significa che non voglio che stiate nel gruppo, esattamente come gli altri.

La discussione andò avanti così senza una reale intesa; ma, per lo meno, passò il principio di come dovevano essere utilizzati  quei locali.
Uscendo,  Antonio si trovo a fare un pezzo di strada con  Massimo , un ragazzone di quasi un metro e novanta, amico di Giorgio e di ca. due anni più piccolo di Antonio. Aveva frequentato   il Liceo Scientifico ed ora la sua stessa università.
- Insomma,  non lo sopporti proprio chi si droga? – cominciò Massimo
- No, non è vero- rispose  Antonio- non lo condivido ed in alcuni casi mi dispiace per chi lo fa , specialmente quando è una persona a cui tengo.
Seguì un momento di silenzio. Poi , Antonio continuò dicendo
-Massimo  , ancora, ancora riesco a capire l’uso dell’erba quando è saltuario; ma, ho dei dubbi che presto o tardi non si crei dipendenza e, a quel punto, diventa una schiavitù che ti cambia e ti rende diverso. Non mi piacerebbe caderci dentro. Ma , lasciamo perdere l’erba! Quello che non posso  accettare è che un amico cada nella spirale della droga pesante. A quel punto per me è come se si ammalasse. Come fai a dire  che è positivo, che ti allarga  la mente , che ti rende più libero?
- Antonio, fortunato tu che non ne hai bisogno!-rispose Massimo _ ogni vita è però diversa. Ognuno di noi può avere dentro un dolore insopportabile da cui riesce ad uscire solo in quel modo. Finalmente stai bene , sei in pace  ! Non soffri più! Ti pare niente?
- Massimo io non sto a giudicare nessuno. Mi dispiace invece, profondamente, che per uscire dalla sofferenza si debba farlo in questo modo. Hai tanti amici che ti vogliono bene e ti stimano . Non ti sentire solo. Tu poi credi in cose belle,  che illuminano la vita. Perché devi lasciarti andare  a questa nebbia? A questa visione nera della vita?
-Antonio sei fortunato , te l’ho detto. Non sempre è cosi! A volte, ti porti dentro dolori antichi che non se ne vanno e ti tormentano ad ogni passo. Poi, l’importante è riuscirne a fare a meno delle sostanze, se lo vuoi . Non diventarne schiavo sempre. Darti delle regole  e  cercare di controllarti, per non aumentarne troppo la necessità.
- Ma tu ci riesci?- gli chiese Antonio-
- Ci provo -rispose Massimo.- Ciao , io vado da questa parte
- Ed io per di qua – disse Antonio scherzando- le nostre strade si dividono!
- Hai visto? Te lo dicevo io! -rispose Massimo e si allontanò a grandi falcate nella notte.
Antonio non avrebbe mai pensato in cuor suo che quella era l’ultima volta che lo vedeva e che gli parlava.
Massimo, da quel giorno  non si vide più nello scantinato perché aveva ottenuto un lavoro temporaneo come venditore di una collana di libri e girava tutto il giorno per la città .
La sera, era stanco morto e rimaneva a casa.
Tutto normale , tutto regolare ! Passato quel periodo, si sarebbe rifatto vivo, pensarono tutti, ricordando la simpatia di quel ragazzone.
Ma la vita è particolare – come ripeteva spesso Massimo – e quel ragazzone non tornò più nei locali di quello scantinato affittato dai componenti di un gruppo di ragazzi che volevano  contribuire a realizzare un mondo nuovo.
Quel mondo, per Massimo, non c’era più o forse l’aveva già raggiunto in anticipo, giovane  vittima di una dose eccessiva o mal tagliata o chissà che cosa.
Tutto il gruppo  partecipò in profondo silenzio ai funerali di quel  “compagno” andato via troppo, troppo presto.



Da quel giorno nulla fu più lo stesso.
Quello che era successo aveva colpito gli animi profondamente e rafforzato in molti la convinzione della necessità di prendere le distanze da un atteggiamento troppo disponibile nei confronti dell’utilizzo delle sostanze stupefacenti.
In quel momento, fu accolta con un certo sollievo la possibilità di accettare l’invito di Eugenio di passare il Capodanno a Firenze, realizzando in tal modo l’incontro con il suo gruppo. Eugenio aveva parlato con i suoi amici del gruppo di Antonio e tutti erano molto curiosi d’incontrarli. Per la maggior parte erano studenti; ma, qualcuno lavorava. Vi era la possibilità di essere ospitati, in qualche modo, a casa di qualcuno; mentre, per la notte di capodanno, c’era a disposizione la villa fuori città dei genitori di una delle componenti del gruppo. La casa disponeva di un salone molto grande e diverse camere da letto vuote.
Insieme ad Antonio arrivarono a Firenze altri sei amici, fra cui due ragazze. Le ragazze furono ospitate a casa della compagna di Eugenio e di una sua amica; mentre, Antonio e gli alti ragazzi si divisero fra la casa di Eugenio e quella di un suo amico. Questi  divideva l’appartamento con degli studenti fuori sede che, in quel momento, erano rientrati nella propria città.
Erano arrivati a Firenze la mattina del trentuno ,viaggiando in treno di notte, e già, in quelle prime ore del giorno, avevano avuto modo di presentarsi agli amici di Eugenio e discutere a lungo delle proprie esperienze e dei propri interessi.
Nel pomeriggio, si era andati poi in giro per Firenze. Passare sul Ponte Vecchio fu un’esperienza suggestiva. Camminare tra quella fila di piccole botteghe, ai due lati del ponte, intravedendo il fiume. Antonio si guardava intorno e fu impressionato dalla folta presenza di giovani. La percentuale di ragazzi era molto superiore di quella che era abituato a vedere, passeggiando per le strade della sua città. Gli spiegarono che la presenza di studenti fuori sede a Firenze era moto alta e questo spiegava questa alta percentuale di giovani per le strade. Passo dopo passo, si avviarono verso il centro, nella splendida piazza dominata dal campanile di Giotto e dalla basilica di Santa Maria del Fiore. Si diressero poi verso gli Uffizi e Piazza della Signoria dove era possibile ammirare una copia del David di Michelangelo e infine tornarono a casa per prepararsi   per la sera.
Quel pomeriggio, si era unito al gruppo di Antonio,  Eugenio e i suoi amici anche Aristide, un compagno di lotte e collega universitario. Era un ragazzo abbastanza socievole ed un po' timido; ma, allo stesso tempo, molto determinato nelle sue convinzioni. Sentiva con dispiacere il riflusso del movimento che si era ormai realizzato; ma, riteneva che tutto questo fosse accompagnato da una reazione forte e precisa dei ceti dominanti nei confronti della lotta dei movimenti giovanili ed operai.
-       Stanno cercando in tutti i modi di riconquistare gli spazi di autonomia, libertà e di coscienza che ci siamo guadagnati in questi anni. Aiutati anche da un colpevole distacco nei nostri confronti dei partiti revisionisti- diceva Aristide-
-       Pensavamo di poter cambiare le cose sollevando una grande partecipazione popolare, almeno operaia; ma, mi sembra che oggi siamo di fatto isolati e presi fra due alternative impraticabili. Fra le forze politiche tradizionali che hanno abbandonato il progetto socialista ed una radicalizzazione estremista armata, riservata a dei gruppi ristretti che mi sembrano al di fuori dalla realtà. – rispose Antonio-
-       Tenete presente che, comunque,  la vita va avanti. Noi abbiamo bisogno di lavorare e trovare una nostra collocazione nella società. Capire se potremo avere un rapporto con una donna talmente importante  da avere dei figli oppure no e vivere diversamente. Questi sono problemi nuovi che ci riguardano. - aggiunse Eugenio
-       Ma non capite che non c’è spazio per noi se non facciamo i conti con chi ci comanda? Sembra che gli estremisti siano i gruppi armati che si stanno organizzando per resistere. E come la vogliamo chiamare la violenza silenziosa e perbene che strazia la povera gente? Abbiamo visto le cariche della polizia alle manifestazioni studentesche e anche nei confronti degli scioperi operai. Abbiamo visto “compagni “chiusi in galera per resistenza, dopo essere stati picchiati dai poliziotti. Quella non è violenza? Come chiamare i signori delle industrie che tengono bassi i salari operai, aumentano i ritmi di lavoro e guadagnano soldi a palate sulle loro spalle? Vogliamo parlare poi delle condizioni della povera gente nei paesi sottosviluppati? Spogliati e rapinati delle loro materie prime dalle multinazionali?
-       Aristide, le cose che dici le vediamo tutti ma non sono evitabili   o risolvibili con un atto di forza di poche persone. È necessario che la gente prenda coscienza dell’importanza di modificare gli equilibri della società. È un processo lungo di trasformazione che deve coinvolgere le persone, la loro mentalità i valori in cui credono. Solo così si possono spostare veramente i rapporti di forza e perseguire gli obiettivi di equità sociale e di giustizia che desideriamo. Dobbiamo ottenere il consenso delle persone. Proporre nuove esperienze, modelli culturali, obiettivi immediati. – rispose Antonio
-       No Antonio- rispose Aristide- Le strutture di potere non cambiano da sole né si faranno cambiare da una popolazione che controllano e manipolano come vogliono. Bisogna rompere il “gioco” e c’è chi si sta preparando a farlo.
-       Che vuoi dire? - chiese Eugenio-
-       Non lo so – rispose in maniera elusiva Aristide- lasciamo stare questi discorsi. Piuttosto, a che ora ci vediamo stasera per festeggiare il nuovo anno?
-       Ci vediamo tutti nella villa in campagna di Marisa verso le undici di sera. Ognuno porta qualcosa da mangiare e da bere e così ci divertiamo e stiamo insieme. Saremo una trentina di persone e per una buona parte c’è la possibilità di restare a dormire. - disse Eugenio
A quel punto si salutarono e ognuno si diresse a casa per prepararsi.
Durante la strada per il ritorno, Antonio ed Eugenio procedevano silenziosi, chiusi nei loro pensieri. Le frasi dette da Aristide erano state pesanti. Antonio non avrebbe mai pensato che una persona così mite e gentile potesse giustificare delle posizioni così estreme. Gli faceva male tutto questo e si sentiva in dovere di riflettere su quello che poteva significare per la vita di molte persone. Ripensò anche alla recente scomparsa di Massimo che, per certi versi, gli sembrava simile a quello che poteva comportare una scelta estrema di lotta armata.
La realtà era che per molti giovani di quella generazione era estremamente difficile trovare una strada praticabile e degna d’inserimento in una società di cui non  condividevano le forme e le espressioni. Troppe cose erano state dissacrate e viste nella loro incoerenza ed ipocrisia rispetto a quanto veniva ufficialmente dichiarato, per poterci ancora credere. D’altra parte, ognuno di quei ragazzi desiderava in ogni modo di poter vivere con entusiasmo la propria vita. Ognuno sperava di poter trovare  una strada praticabile per il  cambiamento ed il progresso di una società di cui aveva visto e provato le contraddizioni. La stessa attività politica dei cosiddetti gruppuscoli “extraparlamentari” sembrava ad Antonio priva di reali prospettive sia teoriche che pratiche. Sarebbe stata auspicabile una grande capacità di trasformazione dei partiti popolari ed un ricambio della classe dirigente con l’inserimento di quella che si era formata nel corso delle lotte studentesche ed operaie. Sarebbe avvenuto? Era troppo presto per saperlo. Nel frattempo, la situazione era quanto mai complicata. In fondo, anche il progetto del gruppo di Antonio aveva a che fare con queste problematiche. In qualche modo si cercava di capire come relazionarsi in un modo diverso con la necessità di inserirsi nel mondo sociale adulto  senza rinunciare ai propri valori ed alle cose che si erano comprese.
Qual’era lo spazio per il cambiamento? In che direzione doveva andare?
Capodanno era alle porte e tutti i ragazzi erano arrivati alla villa di Marisa

CONTINUA

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