venerdì 25 gennaio 2019

DUE FAMIGLIE - Parte 2



Turiddu camminava velocemente per la via Etnea di Catania tornando verso casa. Si erano trasferiti alla Barriera dopo i violenti bombardamenti alleati dei giorni precedenti  e la delibera di sfollamento decisa dal Governo. Camminava deciso  e con passo militare, portando con fierezza la sua divisa di vigile urbano con i gradi di tenente. Era una condizione che si era veramente sudata. Ricordava quanto aveva studiato per prepararsi  con l’aiuto dello zio Vincenzo, ex appuntato e  fratello della madre, alla selezione per l’assunzione.
Poi, quegli anni erano volati via, tutti d’un fiato. Prima, l’incontro con Maria , il fidanzamento, quindi il matrimonio, l’affitto della casa  in via Etnea  e la nascita di Carmelina. Dopo, pochi anni fa, la seconda figlia Renza ,che ormai aveva due anni e mezzo Le promozioni fino a quella di tenente, il comando alla sezione annonaria ed il controllo del mercato nero, che gli avevano valso la possibilità di non andare in guerra , perché adibito a servizio necessario per la salute pubblica. Ora aveva trentasei anni . Era un giovane alto e forte  e camminava verso casa dopo il turno di lavoro. Se si poteva essere soddisfatti, pure se in un periodo come quello , ebbene lui lo era . Anzi , sostanzialmente orgoglioso del suo lavoro e della sua famiglia. Nonostante la guerra , fino a quel pesante bombardamento , erano riusciti ad andare avanti  senza troppe difficoltà. Certo, tutto era razionato ma le bambine crescevano bene e non gli era mancato niente. Sotto casa loro  , al primo piano dello stabile , abitava una famiglia che gestiva un piccolo panificio due porte appresso , sempre su via Etnea. Col tempo erano diventati amici ed il pane non mancava mai. Turiddu , da parte sua,  si procurava al mercato di tanto in tanto qualche sacco di farina  e Maria  impastava e faceva la pasta fresca. Turiddu era  figlio di dolciere  ed , al bisogno, era in grado di lavorare la pasta lievita e qualche volta preparava il pan di spagna per le bambine. Moto più bravo di lui era ovviamente il papà Giuseppe, il nonno di Lina e Renza. Si, Lina  perché col tempo  il nome troppo lungo di Carmelina era stato accorciato .  La mattina, mentre lui era già al lavoro, Maria  scendeva a piedi dalla Barriera  per portare Lina a scuola  che si trovava in una zona vicina a Via Etnea all’altezza della stazione ferroviaria dei treni locali della Circumetnea. Era questa una linea che collegava a Catania i principali paesini che sorgevano sul versante dell’Etna. Maria portava con se oltre a Lina anche Renza  che, nonostante i suoi due anni e mezzo, era costretta a farsi molta strada  a piedi , lamentandosi continuamente di voler esser presa in braccio. Lina invece aveva già otto anni  e frequentava la seconda elementare. Era la figlia grande ed i capricci era già finiti da un pezzo. Renza invece aveva ancora il diritto di protestare, anche se, comunque, la strada a piedi non gliela toglieva nessuno.  A niente valevano anche le sue proteste quando  , suonata la sirena che avvisava delle incursioni aeree, l’ordine perentorio era di mettersi sotto il letto .” Ma perché sotto il letto ?” gridava piangendo Renza,  mentre mamma Maria e Lina si mettevano sotto il tavolo e papà Turiddu,  per cui non c’era più posto, si metteva sotto l’arco della porta che in caso di crollo doveva in qualche modo resistere.
 Maria e le figlie sotto il piano della tavola e del letto  sarebbero state protette a loro volta  dall’eventuale crollo del soffitto , visto che erano all’ultimo piano dello stabile . Avevano deciso di restare a casa perché il rifugio comune  era un po' distante ed arrivarci con le bambine era difficoltoso : Avevano poi  avuto l’esperienza di passare  molto tempo lì, in attesa di bombardamenti che non arrivavano mai e con una sirena che metteva fine all’allarme solo molto tempo dopo. Questo comportava uno stato di sofferenza per tutti  ma soprattutto per le bambine. Si erano convinti così che il pericolo  era relativo e poteva essere affrontato meglio a casa. Fortunatamente per loro, quando Catania era stata bombardata seriamente  e quarantadue strade con le relative  abitazioni avevano avuto morti e distruzioni , la zona del quartiere Borgo , dove abitavano , non aveva avuto danni ed era stata sostanzialmente risparmiata.  Non avevano avuto invece la stessa fortuna due appartamenti, siti in Via Garibaldi,  di proprietà del padre che con gli affitti arrotondava le sue entrate. Questi erano stati rasi al suolo con le relative vittime umane.  Dopo il bombardamento l’ordine era stato perentorio:” Si doveva sfollare” e Turiddu aveva trovato quella casa relativamente vicina  a Catania ,posta nel quartiere della Barriera. La distanza fra la casa di via Etnea a questa nuova  era nell’ordine di ca. tre chilometri che si potevano fare  a piedi . La  strada era tutta in salita per uscire da Catania . Partendo da casa loro, in via Etnea, si continuava per la stessa  strada,  si superava  a destra il livello della stazione della circumetnea, si superava   quello che era stato il palazzo degli Ardizzone Gioeni , diventato ospizio dei ciechi e si arrivava al Tondo Gioeni , che prendeva sempre il none da quella famiglia nobiliare. Questo era uno slargo posto alla fine di via Etnea , sulla sommità della città, e con alle spalle il vulcano Etna nella sua piena grandiosità. Da quel punto, si saliva  poi per una strada più piccola  con un  dislivello ancora più ripido per circa un altro chilometro, raggiungendo il borgo della Barriera del Bosco, detta comunemente solo “ la Barriera “.
Sia Turiddu che Maria e le figlie si riunivano a pranzo nella casa di via Etnea perché era più comodo. Solo dopo  rientravano alla casa della Barriera. Maria e le figlie  nel primo pomeriggio, Turiddu, invece, tornava al lavoro a Pazza Duomo, dove stava il Comando dei Vigili Urbani, e finito il suo turno, nel tardo pomeriggio, tornava anche lui alla casa della Barriera. Mentre per andare al lavoro , la mattina ,la strada era tutta in discesa; al ritorno , al contrario,  era tutta in salita ed ai tre chilometri della distanza fra la casa in Via Etnea e quella della Barriera si aggiungevano quasi  altri due chilometri  partendo da Piazza Duomo.
Mentre nella sua mente scorrevano questi pensieri,  Turiddu era ormai arrivato quasi  all’altezza di piazza Stesicoro,  sempre su Via Etnea passati i Quattro Canti. La piazza veniva chiamata anche piazza Bellini perché, sulla sua destra,  troneggiava il monumento dedicato  al grande compositore  nativo della città. Anche il teatro dell’Opera aveva preso il nome da questo grande musicista. Sulla sinistra  della piazza  si accedeva invece a  quello che era stato l’anfiteatro greco romano. Questo aveva una parte  scoperta visibile, mentre  un’altra parte continuava  sotto terra. Oltre  questa zona recintata  della parte scoperta dell’anfiteatro, sempre alla sinistra in alto, si poteva ammirare la chiesa  di S.Agata al carcere, dove  la patrona  di Catania sembra fosse stata torturata ed incatenata. Turiddu aveva  da poco oltrepassato Piazza Stesicoro quando, improvvisamente, l’aria venne solcata da un rombo improvviso. La gente  tutt’intorno a lui  rimase di colpo immobile e disorientata  fino a quando, con la stessa improvvisa rapidità,  cominciò a scappare urlando in tutte le direzioni, mentre  appariva sullo sfondo la sagoma di un caccia dell’aviazione nemica.


Turiddu, accorgendosi di tutto questo , analizzava velocemente tutte le possibilità a disposizione e, mentre l’aereo si avvicinava,   si appiattì contro il muro della parete della strada,  cercando di essere il meno visibile possibile. Il caccia  era isolato. Probabilmente, era in ricognizione; ma, ora, stranamente  e inspiegabilmente,  si orientava contro una popolazione civile e indifesa. Aveva abbassato la sua traiettoria sulla città e  sparava colpi di mitragliatrice, colpendo i marciapiedi  fra le urla delle persone. Era della RAF britannica. Dopo aver superato il livello della Piazza Duomo, adesso, il caccia stava virando per tornare indietro . Turiddu non aspettò un attimo. Non poteva stare ancora lì e decise di correre all’impazzata verso un posto più sicuro Cercava un portone aperto dove infilarsi  per sfuggire all’aereo; ma, molti prima di lui avevano avuto la stessa idea  e, dopo essere entrati, se lo erano chiusi alle spalle .
Turiddu  correva , correva . ma sentiva il rombo dell’aereo sempre più vicino. Ad un certo punto arrivò vicino al palazzo delle Poste,  sulla sinistra di via Etnea, poco prima di Villa Bellini, la più grande villa pubblica  e monumentale della città . L’aereo cominciò a sparare di nuovo e Turiddu sentì i colpi  battere sul marciapiede  poco distante da lui. Fece uno scarto  e salì di corsa i pochi gradini dell’entrata del Palazzo delle Poste , rifugiandosi dentro la grande arcata dell’ingresso. L’aereo , fortunatamente, passò oltre  continuando la sua pazza mitragliata di una strada ormai vuota , sparendo all’orizzonte  oltre l’Etna.

CONTINUA

Nessun commento:

Posta un commento