Turiddu
camminava velocemente per la via Etnea di Catania tornando verso casa. Si erano
trasferiti alla Barriera dopo i violenti bombardamenti alleati dei giorni
precedenti e la delibera di sfollamento
decisa dal Governo. Camminava deciso e
con passo militare, portando con fierezza la sua divisa di vigile urbano con i
gradi di tenente. Era una condizione che si era veramente sudata. Ricordava
quanto aveva studiato per prepararsi con
l’aiuto dello zio Vincenzo, ex appuntato e
fratello della madre, alla selezione per l’assunzione.
Poi, quegli anni erano volati via, tutti d’un fiato.
Prima, l’incontro con Maria , il fidanzamento, quindi il matrimonio, l’affitto
della casa in via Etnea e la nascita di Carmelina. Dopo, pochi anni
fa, la seconda figlia Renza ,che ormai aveva due anni e mezzo Le promozioni
fino a quella di tenente, il comando alla sezione annonaria ed il controllo del
mercato nero, che gli avevano valso la possibilità di non andare in guerra ,
perché adibito a servizio necessario per la salute pubblica. Ora aveva
trentasei anni . Era un giovane alto e forte
e camminava verso casa dopo il turno di lavoro. Se si poteva essere
soddisfatti, pure se in un periodo come quello , ebbene lui lo era . Anzi , sostanzialmente
orgoglioso del suo lavoro e della sua famiglia. Nonostante la guerra , fino a
quel pesante bombardamento , erano riusciti ad andare avanti senza troppe difficoltà. Certo, tutto era
razionato ma le bambine crescevano bene e non gli era mancato niente. Sotto
casa loro , al primo
piano dello stabile , abitava una famiglia che gestiva un piccolo panificio due
porte appresso , sempre su via Etnea. Col tempo erano diventati amici ed il
pane non mancava mai. Turiddu , da parte sua,
si procurava al mercato di tanto in tanto qualche sacco di farina e Maria
impastava e faceva la pasta fresca. Turiddu era figlio di dolciere ed , al bisogno, era in grado di lavorare la
pasta lievita e qualche volta preparava il pan di spagna per le bambine. Moto
più bravo di lui era ovviamente il papà Giuseppe, il nonno di Lina e Renza. Si,
Lina perché col tempo il nome troppo lungo di Carmelina era stato
accorciato . La mattina, mentre lui era
già al lavoro, Maria scendeva a piedi
dalla Barriera per portare Lina a scuola
che si trovava in una zona vicina a Via
Etnea all’altezza della stazione ferroviaria dei treni locali della
Circumetnea. Era questa una linea che collegava a Catania i principali paesini
che sorgevano sul versante dell’Etna. Maria portava con se oltre a Lina anche
Renza che, nonostante i suoi due anni e
mezzo, era costretta a farsi molta strada
a piedi , lamentandosi continuamente di voler esser presa in braccio.
Lina invece aveva già otto anni e
frequentava la seconda elementare. Era la figlia grande ed i capricci era già
finiti da un pezzo. Renza invece aveva ancora il diritto di protestare, anche
se, comunque, la strada a piedi non gliela toglieva nessuno. A niente valevano anche le sue proteste
quando , suonata la sirena che avvisava
delle incursioni aeree, l’ordine perentorio era di mettersi sotto il letto .”
Ma perché sotto il letto ?” gridava piangendo Renza, mentre mamma Maria e Lina si mettevano sotto
il tavolo e papà Turiddu, per cui non
c’era più posto, si metteva sotto l’arco della porta che in caso di crollo
doveva in qualche modo resistere.Maria e le figlie sotto il piano della tavola e del letto sarebbero state protette a loro volta dall’eventuale crollo del soffitto , visto che erano all’ultimo piano dello stabile . Avevano deciso di restare a casa perché il rifugio comune era un po' distante ed arrivarci con le bambine era difficoltoso : Avevano poi avuto l’esperienza di passare molto tempo lì, in attesa di bombardamenti che non arrivavano mai e con una sirena che metteva fine all’allarme solo molto tempo dopo. Questo comportava uno stato di sofferenza per tutti ma soprattutto per le bambine. Si erano convinti così che il pericolo era relativo e poteva essere affrontato meglio a casa. Fortunatamente per loro, quando Catania era stata bombardata seriamente e quarantadue strade con le relative abitazioni avevano avuto morti e distruzioni , la zona del quartiere Borgo , dove abitavano , non aveva avuto danni ed era stata sostanzialmente risparmiata. Non avevano avuto invece la stessa fortuna due appartamenti, siti in Via Garibaldi, di proprietà del padre che con gli affitti arrotondava le sue entrate. Questi erano stati rasi al suolo con le relative vittime umane. Dopo il bombardamento l’ordine era stato perentorio:” Si doveva sfollare” e Turiddu aveva trovato quella casa relativamente vicina a Catania ,posta nel quartiere della Barriera. La distanza fra la casa di via Etnea a questa nuova era nell’ordine di ca. tre chilometri che si potevano fare a piedi . La strada era tutta in salita per uscire da Catania . Partendo da casa loro, in via Etnea, si continuava per la stessa strada, si superava a destra il livello della stazione della circumetnea, si superava quello che era stato il palazzo degli Ardizzone Gioeni , diventato ospizio dei ciechi e si arrivava al Tondo Gioeni , che prendeva sempre il none da quella famiglia nobiliare. Questo era uno slargo posto alla fine di via Etnea , sulla sommità della città, e con alle spalle il vulcano Etna nella sua piena grandiosità. Da quel punto, si saliva poi per una strada più piccola con un dislivello ancora più ripido per circa un altro chilometro, raggiungendo il borgo della Barriera del Bosco, detta comunemente solo “ la Barriera “.
Sia
Turiddu che Maria e le figlie si riunivano a pranzo nella casa di via Etnea
perché era più comodo. Solo dopo
rientravano alla casa della Barriera. Maria e le figlie nel primo pomeriggio, Turiddu, invece, tornava
al lavoro a Pazza Duomo, dove stava il Comando dei Vigili Urbani, e finito il
suo turno, nel tardo pomeriggio, tornava anche lui alla casa della Barriera.
Mentre per andare al lavoro , la mattina ,la strada era tutta in discesa; al
ritorno , al contrario, era tutta in
salita ed ai tre chilometri della distanza fra la casa in Via Etnea e quella
della Barriera si aggiungevano quasi altri due chilometri partendo da Piazza Duomo.
Mentre
nella sua mente scorrevano questi pensieri,
Turiddu era ormai arrivato quasi
all’altezza di piazza Stesicoro,
sempre su Via Etnea passati i Quattro Canti. La piazza veniva chiamata
anche piazza Bellini perché, sulla sua destra,
troneggiava il monumento dedicato
al grande compositore nativo
della città. Anche il teatro dell’Opera aveva preso il nome da questo grande
musicista. Sulla sinistra della
piazza si accedeva invece a quello che era stato l’anfiteatro greco
romano. Questo aveva una parte scoperta
visibile, mentre un’altra parte
continuava sotto terra. Oltre questa zona recintata della parte scoperta dell’anfiteatro, sempre
alla sinistra in alto, si poteva ammirare la chiesa di S.Agata al carcere, dove la patrona
di Catania sembra fosse stata torturata ed incatenata. Turiddu
aveva da poco oltrepassato Piazza
Stesicoro quando, improvvisamente, l’aria venne solcata da un rombo improvviso.
La gente tutt’intorno a lui rimase di colpo immobile e disorientata fino a quando, con la stessa improvvisa
rapidità, cominciò a scappare urlando in
tutte le direzioni, mentre appariva sullo
sfondo la sagoma di un caccia dell’aviazione nemica.
Turiddu,
accorgendosi di tutto questo , analizzava velocemente tutte le possibilità a
disposizione e, mentre l’aereo si avvicinava, si appiattì contro il muro della parete della
strada, cercando di essere il meno
visibile possibile. Il caccia era
isolato. Probabilmente, era in ricognizione; ma, ora, stranamente e inspiegabilmente, si orientava contro una popolazione civile e
indifesa. Aveva abbassato la sua traiettoria sulla città e sparava colpi di mitragliatrice, colpendo i
marciapiedi fra le urla delle persone. Era
della RAF britannica. Dopo aver superato il livello della Piazza Duomo, adesso,
il caccia stava virando per tornare indietro . Turiddu non aspettò un attimo.
Non poteva stare ancora lì e decise di correre all’impazzata verso un posto più
sicuro Cercava un portone aperto dove infilarsi
per sfuggire all’aereo; ma, molti prima di lui avevano avuto la stessa
idea e, dopo essere entrati, se lo erano
chiusi alle spalle .
Turiddu correva , correva . ma sentiva il rombo
dell’aereo sempre più vicino. Ad un certo punto arrivò vicino al palazzo delle Poste, sulla sinistra di via Etnea, poco prima di
Villa Bellini, la più grande villa pubblica
e monumentale della città . L’aereo cominciò a sparare di nuovo e
Turiddu sentì i colpi battere sul
marciapiede poco distante da lui. Fece
uno scarto e salì di corsa i pochi
gradini dell’entrata del Palazzo delle Poste , rifugiandosi dentro la grande
arcata dell’ingresso. L’aereo , fortunatamente, passò oltre continuando la sua pazza mitragliata di una
strada ormai vuota , sparendo all’orizzonte
oltre l’Etna.
CONTINUA
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