Antonio stava seduto nello studio
del padre e guardava con attenzione il contenuto dei cassetti della scrivania.
In uno trovò una fotografia del
nonno, ancora giovane. Aveva dei lunghi baffi con le punte arricciate in alto e
gli occhi dal colore molto chiaro. La fotografia era in bianco e nero e questo
lo indusse a pensare che dovevano essere probabilmente azzurri.
Suo padre gli aveva raccontato
spesso che il nonno aveva i baffi tendenti al biondo mentre lui ricordava di
avere punti della barba rossi e biondi. Antonio non aveva mai potuto verificare
le sue parole avendo visto sempre il padre ben rasato e con i capelli già
bianchi. Il nonno poi era morto prima che lui nascesse ed Antonio non aveva
quindi nessun ricordo personale.
Sapeva che in gioventù aveva aperto
una pasticceria nel centro di Catania, ai Quattro Canti, con un discreto
successo.
Insieme alla fotografia, Antonio
trovò anche un quadernetto con una copertina nera che scoprì essere una
raccolta di ricette per dolci. Tra questi vi erano alcune delle vere e proprie
prelibatezze della pasticceria siciliana come i cannoli, la cassata, i
panzerotti ecc.
In fondo ad un altro cassetto
c'erano delle lettere trattenute da un elastico, vecchie fotografie, un
quadernetto per appunti, alcuni ritagli di giornale.
Man mano che procedeva nella
lettura di quei ricordi, episodi ed intimità raccolte e conservate dal padre in
quel cassetto, Antonio sentiva diminuire dentro di sé il dolore per la sua
recente scomparsa.
Quella complice vicinanza col padre,
nella lettura dei suoi ricordi, gli permetteva di sorridergli con tenerezza.
Pur con tutta la differenza della
razza e nonostante fosse stato un padre adottivo, per lui era suo padre e,
quando sentiva il dolore della perdita aumentare dentro di sé, si sommava ad
esso una rabbia feroce.
Perché? Perché si deve morire?
Perché si deve perdere per sempre il proprio padre o qualunque altra persona
cara?
Si accorse di stringere i pugni
scuri e di sbatterli violentemente sul tavolo. Non poteva sopportarlo!
Poi, la sua attenzione fu distolta
dai rumori provenienti dall’altra stanza.
Erano arrivati gli uomini del
trasporto funebre e stavano chiudendo la bara. Antonio uscì dallo studio e si
ritrovò confuso in una scena di cui era protagonista davanti a tutti. Scese le
scale, sorreggendo la madre anziana, seguendo la bara. Poi, tenendola per
braccio, s’incamminò fra due file di conoscenti e amici per la strada che
portava alla chiesa.
S’ irrigidì in un atteggiamento
fiero e composto perché non voleva dare spettacolo del suo dolore.
Era già motivo di curiosità vedere
quel giovane di colore camminare, commosso, sorreggendo un’anziana signora
bianca dietro il carro funebre; ma, tutto il quartiere li conosceva.
Antonio e la sua famiglia abitavano
lì da sempre e tutti avevano visto crescere quel piccolo bambino di colore
adottato da una coppia già matura e senza figli.
C’erano molti dei suoi amici e
colleghi dell’università che lo salutarono col pugno chiuso alzato. Erano
compagni di quegli anni di lotte studentesche in cui avevano imparato ad
apprezzarsi e sentirsi fratelli di fronte a mille difficoltà ed ostacoli. Carlo
era venuto a trovarlo subito e aveva condiviso con lui il ricordo del lutto del
proprio padre, che aveva perso qualche anno prima.
Ora, era lì insieme agli altri a
fare onore al feretro che passava. Era strano vedere tutti quei giovani in
corteo e lungo i marciapiedi. Non era uno spettacolo usuale! Erano lì per lui.
Per stargli vicino, solidali al suo dolore.
Dopo la funzione in chiesa qualcuno
lo segui anche al cimitero.
Nei giorni seguenti, Carlo e gli
altri amici rimasero spesso a fargli compagnia.
La sera si stava fuori fino a tardi.
Spesso, si andava fuori città nei paesi limitrofi. In riva al mare o sulle
pendici dell’Etna, il vulcano che sovrasta Catania.
Una volta, si ritrovarono a Capo
Mulini.
C’era una piccola trattoria in riva
al mare, con i tavoli posti proprio su di una piattaforma di legno piazzata fra
gli scogli di pietre laviche. Era un piacere assaporare quella pepata di cozze,
sorseggiando il vino bianco freddo della casa, sotto un cielo profondamente
nero ma punteggiato dalle mille luci delle stelle e rischiarato da quel quarto
di luna.
Si parlava del passato e del futuro.
Delle lotte all’università, del Movimento, che ormai era in riflusso, e di ciò
che li aspettava. Carlo aveva una bella voce, suonava da sempre la chitarra ed
aveva spesso cantato in pubblico con successo.
Cantava le canzoni della Resistenza,
i canti del lavoro e di lotta del movimento operaio e contadino.
La prima volta che Antonio lo aveva
conosciuto era stato proprio ad un concerto tenuto presso la sede di una
libreria considerata uno dei centri culturali e progressisti di
Catania. Erano i primi mesi che frequentava l’università ed un collega, che lavorava
all’Einaudi come venditore, gli aveva segnalato che nei locali della libreria
vi sarebbe stato quel concerto per voce e chitarra.
La sede era abbastanza vicina a casa
di Antonio. Era al primo piano di un palazzetto di Via Etnea vicino alla Villa
Bellini.
Per ironia della sorte, da un portone
vicino si accedeva anche alla sede provinciale del Movimento Sociale
Italiano . La sede dei “fascisti” come li definivano gli studenti di sinistra.
Molti di loro erano anche conosciuti come “ picchiatori” per le loro azioni di
disturbo e scontro fisico nei confronti delle attività politiche del
Movimento degli Studenti.
Quella sera, Antonio si diresse da
solo a quel concerto, che iniziava nel tardo pomeriggio .
Nessuno dei suoi amici si era
mostrato interessato e così aveva deciso di andare comunque a vedere. La sala
era abbastanza piccola. In un angolo era stato ricavato lo spazio per il gruppo
musicale composto da tre persone : Carlo, voce e chitarra, Franca , voce e
Cesare voce.
Era la prima volta che Antonio ascoltava
dei canti popolari e rimase colpito per l’intensità dei testi e per la passione
racchiusa pur nella semplicità delle melodie. Canti appassionati, quasi
gridanti la sofferenza e la volontà di riscatto dei loro protagonisti. Franca
cantò, con una voce acuta e allo stesso tempo melodiosa,
“ la mondina”. Carlo si esibì anche in una canzone celebrativa della
figura del rivoluzionario sudamericano Simon Bolivar ed in una canzone della
guerra civile spagnola, accompagnando il canto alternando il suono della
chitarra a delle battute a tamburo sulla stessa, con il dorso della mano. Fu
una bella serata ed un successo.
Antonio rivide pertanto con piacere
Carlo quando si presentò, come neo studente, davanti al picchetto di
compagni che presidiava l’ingresso della facoltà occupata.
Con piacere Antonio garantì per la
sua identità e Carlo fu fatto passare. Col tempo e nel corso delle lotte
studentesche poi diventarono compagni ed amici, come tutti i componenti del
Movimento degli studenti della Facoltà. Quello era forse uno degli aspetti più
belli di quella situazione. Il numero relativamente modesto dei frequentanti e
degli attivisti permetteva di vivere quella realtà d’impegno politico anche
come una grande occasione d’amicizia personale. Dopo il rito delle assemblee e
dei collettivi, le stesse persone si rincontravano nei gruppi di studio, che
avevano sostituito nella maggior parte dei casi le lezioni cattedratiche.
Non era raro rivedersi poi
all’interno delle sale di lettura, dove si cercava di studiare, e che alla
fine si trasformavano in una grande riunione di amici, arricchita da risate e
chiacchiericci.
Spesso, dopo, si andava insieme a
cercare una delle vecchie osterie, frequentate una volta solo da muratori,
meccanici o altri operai in pausa pranzo, ed ora meta ambita di tanti studenti.
Sui tavolacci arrivavano così delle
salsicce arrosto fumanti, spesso aromatizzate con semi di finocchio, che
venivano annaffiate col robusto vino rosso della casa. E dire che Antonio
fino a qualche anno prima non aveva mai assaggiato un sorso di vino né bevuto
un caffè!
Ripensava
a tutto questo mentre, seduto di fronte al mare di Capo Mulini, s’interrogava
sul proprio futuro confrontandosi con quello degli altri.
-Penso
che cercherò al più presto di trovare un lavoro -disse Antonio-
-E
l’università? -chiesero gli altri- e la laurea?
-
No, non penso di lasciare. Al contrario, cercherò di sbrigarmi a prendere le
ultime materie. Addirittura, voglio partecipare alla selezione per un corso privato
esterno che sta organizzando il Dipartimento di Sociologia sui temi dello
sviluppo del Mezzogiorno. Sembra che sarà un corso molto qualificante, con
lezioni tenute da professori come Michele Salvati e Vianello. Vi saranno poi
tutti i professori di Sociologia economica della Facoltà e lo stesso Preside.
Oltre a questo, però, voglio cercare di partecipare il prima possibile a dei
concorsi. Considerati i tempi che ci sono
fra la data degli esami ,i risultati e le successive assunzioni è meglio iniziare subito. Adesso in famiglia
i soldi sono pochi anche se mia madre ha la pensione di reversibilità e non
abbiamo affitto da pagare.
-Hai
ragione! È meglio per tutti darsi una mossa
e sbrigarsi. Ormai il Movimento è finito ed ognuno di noi deve trovare
la sua strada
-Si
ma è importante restare amici -rispose Antonio – Non possiamo perderci e fare
come se tutto quello che abbiamo fatto fosse stato niente. Io penso che
dovremmo parlare fra di noi e capire insieme come affrontare questa fase della
nostra vita in un modo nuovo.
-Che
vuoi dire? Risposero gli altri
-
Perché non dobbiamo aiutarci a comprendere se è possibile vivere nella società in un modo nuovo? Negli USA vi
sono stati e vi sono ancora gli Hippies
che vivono in comunità e si dividono tutto. Molti giovani hanno un nuovo modo
di pensare alla vita . al lavoro , all’amore , al sesso.
-Si
ma sono fuori dalla realtà e non hanno
coscienza politica – rispose Bruno- Noi siamo molto più avanti di loro. Noi
abbiamo partecipato al movimento rivoluzionario degli studenti e degli operai.
Noi abbiamo una visione del materialismo
storico che questi non sanno neanche che
cos’è. Questi non hanno storia alle spalle . Vuoi mettere la lezione della Resistenza? Le lotte
operaie? La lezione di Lenin di Gramsci
e Togliatti .Le ultime considerazioni di Mao e la rivoluzione culturale.
-Lo
capisco, hai ragione -disse Antonio- Io non metto in discussione tutto questo.
Credo nell’importanza del partito e del sindacato e di continuare il nostro
impegno politico ma non siamo più nella fase del Movimento . Oggi sugli aspetti
della vita personale siamo abbastanza soli. Per esempio vuoi prendere la musica
? Io non me la sento di ascoltare solo le canzoni popolari e dire che tutto il
resto è reazionario . A me piacciono le canzoni di Lucio Battisti che non si possono ascoltare perché è
fascista.
-
Va beh! rispose Carlo , certo non è un esempio di progressismo. Ma l’hai
sentito mai quando canta “ Emozioni”? Ma
che caspita di senso hanno le sue canzoni? Ascolta qua “ ……”sdraiarsi felice
sopra l'erba ad ascoltare un sottile dispiacere” …. E poi senti questa….”.E stringere le mani
per fermare qualcosa che è dentro me, ma nella mente tua non c’è” .- Ma di che
sta parlando?- Ascolta, ascolta……..”Capire tu non puoi …..tu chiamale se vuoi
emozioni “ – Ma finiamola!
-
Eppure ti posso dire che le sue canzoni mi hanno accompagnato in questi
anni al pari di quelle rivoluzionarie-rispose Antonio- Quando
ero innamorato di Francesca la sua
canzone dallo stesso titolo mi
sembrava una cosa mia. Èi giardini di
marzo”? Ascolta, lasciamo perdere per un
attimo Battisti. E Woodstock? Che ne pensi?
-
Che vuoi che ne pensi? Non la condivido -rispose Carlo- Questo affidare alla
droga e alla musica il motivo per stare
insieme è una cosa che non mi piace. Queste adunate gigantesche per fare che?
Dove è l’impegno sociale di queste persone?
-Carlo
, io non voglio copiare queste persone e ti ho detto che non rinnego l’impegno
sociale. Sono solo curioso di capire anche questi aspetti delle società diverse
dalla nostra. Voglio sentire quella musica. Voglio capire cos’è quel nuovo modo
di vivere di cui parlano. Tutto qua. E poi ricordati le loro lotte per i
diritti civili e contro la guerra. Il primo movimento degli studenti è nato a
Berkeley
Io
non parto da posizioni predefinite, voglio solo, insieme a voi, cercare di
capire se è possibile tornare alla vita comune,
comportandosi diversamente dai nostri genitori? Non so se sia giusto o sbagliato
. Voglio capirlo.
-Non
m’interessa Antonio - rispose Carlo- Non so che ne pensate voi, ma a me
interessa altro. Ho l’opportunità di partecipare ad uno spettacolo teatrale di
Giorgio Gaber e penso di andare a vivere a Milano per qualche tempo.
-
Bravo Carlo! – esclamarono tutti in coro-Come hai fatto? Come lo hai
conosciuto?
-È
successo quando Giorgio è venuto a presentare il suo ultimo spettacolo, questo
inverno. Ha chiesto di conoscere qualcuno del Movimento che si occupasse anche di spettacolo ed
abbiamo passato una serata insieme alla sua Compagnia. Mi ha sentito cantare e
mi ha proposto di partecipare con alcune canzoni al nuovo spettacolo a cui sta
lavorando; … io ho accettato. Dovrei partire per Milano a settembre.
La
serata finì così. Sull’entusiasmo suscitato dalle parole di Carlo, con la
prospettiva del suo soggiorno a Milano e della partecipazione allo spettacolo di Gaber, che ci sembrava un
sogno di buon augurio per il futuro di tutti.
L’estate era nel suo pieno splendore. Antonio era solo a casa. La madre aveva
accettato l’invito del fratello, che abitava a Roma, di passare un
periodo in quella città, per non stare troppo sola dopo la morte del marito.
Certo,
c’era Antonio , ma Lui non poteva starle dietro tutto il giorno e Lei neanche lo desiderava. Preferiva vederlo
riprendere la sua vita con i suoi amici ed i suoi interessi per superare anche
Lui quel brutto momento.
No,
era meglio così!
Era
partita per Roma con il fratello, che era venuto a Catania per i funerali insieme alla moglie, e sarebbe
tornata agli inizi di ottobre.
Le
giornate di Antonio passavano così, senza un impegno preciso. Spesso andava al mare, dove L’estate era nel suo pieno splendore.
Antonio era solo a casa. La madre aveva accettato l’invito del faceva delle
lunghe nuotate e prendeva il sole, anche
se era naturalmente “ abbronzato”. Quella era una battuta che utilizzava spesso
anche con i suoi amici e soprattutto con le ragazze per esaltare la sua tintarella naturale
rispetto al colorito bianchiccio di chi cominciava a prendere il sole ad inizio
stagione e rischiava pesanti scottature. Oltre che nella lunga striscia di sabbia della “plaia” che
continuava , senza soluzione di continuità fino ad oltre la foce del Simeto e
poi ancora verso Siracusa, gli piaceva, forse ancora di più, bagnarsi nell’altro
lato della costa. Nel tratto di mare a
Nord, in direzione di Messina .
Quella
era, al contrario, una costa rocciosa. Una costiera formata dalle eruzioni laviche dell’Etna
giunte sino al mare. Gli scogli di pietra lavica si succedevano l’uno dietro
l’altro, con forme diverse, creando un ambiente naturale all’interno del quale
era facile trovare minuscole forme di vita. Spesso, si trovavano sulla
superficie degli scogli delle cozze nere o delle “patelle” , piccole conchiglie
che si attaccano a ventosa .
Se
poi si guarda sotto il livello dell’acqua, la costa è un pullulare di piccoli pesci , ricci di mare, qualche
polpo che trova facilmente la sua tana
tra gli anfratti degli scogli. Un vero paradiso!
I
ricci di mare erano una delle passioni di Antonio. Gli piaceva assaggiare
quelle gustose ed aromatiche uova arancioni con qualche goccia di limone
spremuta sopra. Quando era bambino , i
suoi genitori lo portavano a volte nella vicina Acitrezza, dove vi era
un’intera piazza attrezzata con tavolacci e panche di legno in cui le famiglie catanesi, la sera della domenica, si
rimpinzavano di cozze nere e ricci di mare. La quota media dei ricci si aggirava almeno sulla trentina a
persona!
Un
altro rito domenicale, che ricordava con altrettanto piacere, era invece
costituito dalla salita a Zafferana Etnea , un paese sulle pendici dell’Etna ,
dove, nella piazza principale prospiciente all’ingresso dei giardini comunali,
erano posti una miriade di tavoli per
far gustare ai golosi catanesi le famigerate pizze siciliane :dei calzoni fritti
ripieni di “tuma” ( formaggio fresco di pecora)
e acciuga.
Si poteva poi concludere la cena assaggiando
una specialità tipica di quel locale: i biscotti chiamati “sciatore”. Una specie
di biscotto Regina gigante , della lunghezza di ca. dieci centimetri,
interamente ricoperto di cioccolato. Si dice che il nomignolo “ sciatore” sia
dovuto al fatto che gli sportivi appassionati di sci , prima di procedere più
avanti sulla strada verso le piste, si fermassero a Zafferana
per fare colazione, appunto con
quei biscotti. Dall’altro lato della piazza si stagliava poi la chiesa
principale del paese conferendo a quel posto un pizzico di maestosità.
Vi
erano due strade principali per arrivare sull’Etna.
La
prima passava per Nicolosi e saliva al
rifugio Sapienza ed oltre da dove,
accanto al “cratere vecchio”, partiva la
funivia che portava alle piste di neve.
La
seconda passava per “i monti rossi” e
proseguiva verso Zafferana oltre la quale si saliva, attraverso una strada
panoramica, da cui si poteva vedere anche il mare, su di un versante
boscoso e naturale all’interno del quale
sorgeva l’albergo “ Emmaus” .
Lì
si poteva passare un bel soggiorno in mezzo alla natura ed al verde incontaminato dei boschi . Da
Zafferana poi si poteva prendere una
strada che da Santa Venerina scendeva serpeggiante verso la costa all’interno di un panorama mozzafiato.
I
ricordi estivi di Antonio erano disseminati fra quelle località dove era abitudine
quasi ogni sera, per i giovani catanesi, recarsi a cercare qualche locale dove
passare la serata o ritrovarsi insieme nella casa di villeggiatura di qualcuno
dei genitori. Quasi nessuno rimaneva la sera a Catania Centro perché offriva
poco per i giovani. A parte qualche
locale di livello elevato e qualche cinema, non c’erano situazioni attraenti
per passare la serata. Solo da qualche anno, grazie alla frequentazione dei
giovani studenti di sinistra alternativi, le antiche osterie si erano pian
piano trasformate in accoglienti trattorie dove, ad un prezzo contenuto, potevi
gustare le specialità della cucina tradizionale.
Antonio
ed i suoi amici avevano scoperto e fatto sviluppare una piccola osteria nel
quartiere Borgo che ormai era diventata un punto alla moda e ben frequentato.
In fondo, in giro trovavi sempre le stesse persone. Le trovavi nelle
manifestazioni politiche, in quelle sportive, al cinema, all’università, a passeggio
ecc. ecc.
Ad
Antonio piaceva andare anche a gustare le bistecche di carne di cavallo arrosto
cotta su piccoli bracieri piazzati sulla stessa strada accanto alle osterie ad
esempio di Via Plebiscito, vicino al quartiere popolare di San Cristoforo.
Lì,
ricordava Antonio, aveva vissuto una delle situazioni più comiche della sua
militanza politica. Insieme ad altri compagni di uno dei cosiddetti
“gruppuscoli extraparlamentari” doveva organizzare un comizio in una piazzetta
di quel quartiere. Erano arrivati con diverse auto piene di manifesti d’appendere
sui muri, con i megafoni e l’attrezzatura di legno per predisporre una specie
di piccolo palco.
Era ormai sera e ,qualche minuto dopo aver
cominciato ad affiggere i manifesti e disporre le barre di legno per il palco,
una piccola folla di persone del quartiere cominciò ad aggirarsi intorno,
curiosa ed infastidita della loro presenza, considerata sostanzialmente
estranea. Mentre cominciavano a formarsi dei piccoli capannelli di discussione
e di protesta, nel frattempo, erano arrivati un nugolo di bambini-ragazzi di
quell’età pericolosissima compresa fra gli otto e i dodici anni che, in men che
non si dica, cominciarono a distruggere tutto quello che i “compagni” avevano realizzato,
portandoselo via, fuggendo da tutti i lati e ritornando da mille altre parti
fra le risate degli abitanti del quartiere.
I “compagni” provarono inizialmente a protestare
ed anche a minacciare, ma furono letteralmente travolti dal combinato fra
adulti minacciosi e bambini/ragazzi velocissimi distruttori e rapinatori.
La
figuraccia era ormai consumata ed il comizio improponibile!
La
versione ufficiale fu di sconforto e di rabbia; ma, bisogna confessare che
Antonio ed i suoi più cari “compagni” non riuscivano a smettere di ridere,
commentando la serata all’interno dell’auto che li trasportava a casa.

Durante
quelle giornate, Antonio si vedeva più spesso con Alberto e Sandro. Alberto era
un collega dell’università con cui erano diventati amici sia sul piano politico,
ma soprattutto su quello personale, confidandosi la delusione per i due grandi
amori sfortunati di cui erano stati protagonisti. Antonio, durante quegli anni
universitari, aveva amato Francesca e con la stessa intensità Arturo aveva
amato Silvana. Sandro invece era un amico d’infanzia. Con lui aveva frequentato
la scuola elementare, la media e il Liceo Scientifico. Sandro era l’amico con
cui Antonio si vedeva separatamente dall’ambiente dell’università ed anche
dalle frequentazioni relative alla militanza politica di quegli anni. Con lui
aveva fatto i primi viaggi fuori dall’Italia ed era una presenza costante della
sua vita.
Antonio
ed Alberto facevano spesso coppia per conoscere nuove ragazze ed i commenti
seduti in macchina a fine serata, sotto casa di Antonio, duravano anche delle
ore.
Antonio
aveva la patente ma non l’automobile. Non era molto appassionato della guida,
ma non aveva del resto i mezzi economici per acquistare un’auto. Il pilota
ufficiale era, pertanto. Alberto che, al contrario, era un grande appassionato
di motori ed affezionatissimo alla sua Cinquecento. Una sera, tornando da una
serata con pizza in un paesino sulle pendici dell’Etna, gli equipaggi amici,
man mano che si scendeva lunghe le strade tortuose che portavano in città, si
sfidarono in una pazza corsa. Nella Cinquecento di Alberto, stava seduto a lato
Antonio, mentre, nell’altra auto, c’erano Mimmo e Marcello, due colleghi ed
amici universitari. Man mano che si andava avanti, Alberto prese un vantaggio
sull’altra macchina. I volti dei due giovani erano tesi ed eccitati.
Nell’ultimo tratto, prima di arrivare in Città, il percorso era a senso unico
ma con una strada stretta e tortuosa. Le curve si succedevano l’una all’altra rapidamente,
mentre la macchina avversaria incalzava da vicino. Ad un tratto, subito dopo
una curva, ecco che l’auto di Alberto ed Antonio si ritrovò
improvvisamente con un muro davanti che
copriva una curva a gomito. La Cinquecento era lanciata e frenare sarebbe stato
un disastro, con uno schianto certo. Non c’era abbastanza spazio.
Alberto,
senza pensarci su, entrò nella curva a gomito e di controsterzo portò la
macchina fuori da quell’incubo. Antonio era rimasto freddo e vigile, teso come
un arco. Un boato uscì dalle gole di Alberto ed Antonio misto ad una risata che
squarciava il silenzio assordante di qualche istante prima. Non riuscivano a
credere di esserne usciti fuori senza danno e, subito, alla tensione subentrò
un senso di trionfo e di potenza. L’altra macchina, che li seguiva, si accostò
con calma alla Cinquecento di Alberto, che ora procedeva lentamente.
-
Ma siete pazzi? - gridò Mimmo- affacciato dal finestrino della sua auto
- Si,
è stato pazzesco – rispose Antonio – mentre Alberto gridava e rideva!
Tutti,
dopo, scesero dalle macchine per abbracciarsi e ridere senza fine.
Qualche
tempo dopo, durante l’estate, Sandro ed Antonio organizzarono una passeggiata
pomeridiana al Luna Park con alcune ragazze che abitavano vicino a casa di Sandro. Una delle due ragazze si
chiamava Lina, abitava proprio nel suo stesso palazzo e si conoscevano sin da
piccoli. L’altra ragazza, amica di Lina, abitava poco distante, in un villino a
due piani degli anni ‘50 ,e si chiamava Laura. Era molto carina; anzi, nel
gergo che si usava tra maschi, si poteva affermare che era proprio “bbona”.
Era
una giornata calda, ma con il cielo terso che rendeva sopportabile la
temperatura elevata. Ben diversa dalle giornate di scirocco, quando il
termometro saliva insieme ad un alto grado d’umidità rendendo il caldo
insopportabile. Il Luna Park si trovava sul lungo mare nuovo dopo Piazza Europa
dalla parte della costa verso Ognina, Aci Castello ecc. I ragazzi si
organizzarono per andarci con la
macchina di Sandro, con Antonio a lato e
le due ragazze dietro.
Sembravano
tornati bambini quando gridavano eccitati sull’Otto Volante. Dopo, dall’altezza
della grande ruota poterono ammirare romanticamente il tramonto sul mare e
quindi si tuffarono in una sparatoria al bersaglio dove Antonio, con il suo
fucile, diede prova di una grande mira e, dopo aver collezionato un
innumerevole numero di centri, vinse uno splendido orsacchiotto che regalò a
Laura.
Al
ritorno, la composizione dell’equipaggio in macchina fu diversa. Sandro sempre alla guida ma con
accanto Lina ; mentre, Antonio fece
compagnia , nel sedile posteriore, a Laura. Antonio sentiva la vicinanza della
ragazza accanto a sé ed il suo calore lo eccitava. Non poté fare a meno,
quindi, di avvicinare la sua coscia a
quella di Laura e contemporaneamente prenderle la mano. Laura non disse niente
ma non ritirò la mano , lasciandola in quella di Antonio. Per tutto il tragitto
non parlarono , mentre il cuore di Antonio batteva all’impazzata, la sua mano
accarezzava quella di Laura e le due cosce continuavano a mantenersi
strettamente attaccate.
-Ciao
a presto- gli disse Laura-come se non fosse successo niente-
-Ciao ti telefono -rispose Antonio.
Nei
giorni seguenti, Sandro confidò ad
Antonio di aver avuto sentore da Lina circa una richiesta di notizie di Laura su di lui.
In
particolare, voleva sapere che tipo eri – gli disse Sandro- Se sei un pazzo, un
farfallone , uno… stronzo.. in poche parole, che si diverte a prendere in giro
le ragazze per prenderle e poi lasciarle.
-E
Lina che le ha detto? - chiese questo
punto Antonio
-
Che ti conosce da sempre -rispose Sandro- Che puoi dare l’impressione di essere
impulsivo, ma che sei un bravo ragazzo. Laura a questo punto si è
tranquillizzata e sembra che sia in attesa di una tua telefonata. Che aspetti?
-Niente.
Hai ragione. Oggi la chiamo- concluse Antonio
Quel
pomeriggio la chiamò e comprese, con piacere, che Laura ne era rimasta contenta.
Si
videro un pomeriggio, per una passeggiata ed un cinema. Lei era venuta con la
sua cinquecento bianca. Lasciarono l’auto vicina al cinema Odeon in una traversa di Via Umberto e decisero di
fare due passi a piedi, visto che mancava una mezz’ora per l’inizio del film.
Laura
accettò che Antonio la prendesse sotto braccio
e lui ne approfittò per sfiorarle il seno. Il contatto fra di loro era
magico e carico di passione. Svoltarono in una viuzza secondaria , senza gente,
e si baciarono a lungo. Non riuscivano a staccarsi e così fu anche durante tutta la proiezione del
film. Il contatto, seduti l’uno accanto all’altra nel buio della sala
cinematografica, era ancora più intenso. Antonio non riusciva a trattenersi e Laura non si
tirava indietro. Da quel giorno la loro confidenza diventò sempre più forte e
per tutto il tempo che stavano insieme erano appiccicati l’uno all’altra. Antonio confidò a Laura che per lui era la
prima volta e che la desiderava tanto. Lei ne fu contenta e gli confidò che
aveva già fatto l’amore con il suo precedente fidanzato. Approfittarono del
fatto che la madre di Antonio era in viaggio a Roma dal fratello e andarono a
casa sua. La prima volta di Antonio fu
così ,proprio a casa sua. Nel suo letto e amorevolmente guidato da
Laura. Quella ragazza lo faceva impazzire! Il piacere di Antonio aumentava,
senza che potesse controllarlo, nel seguire la passione di Laura , i cui gemiti
diventavano grida seguendo il ritmo dell’amore. Antonio si ritrovò così a fare
di nuovo l’amore con Lei e questa volta a lungo , desiderando che non finisse
mai e trovando quindi la felicità insieme .
Da
quel giorno , ovunque si trovassero erano un corpo solo , una sola passione che
li travolgeva. La madre di Antonio stava per tornare a casa e così diventò
necessario trovare un posto dove incontrarsi. Antonio trovò una piccola casetta
di un vano con bagno e con la porta
d’ingresso affacciata in un cortile di un quartiere popolare a due passi dalla via
che portava alla Plaja. L’anziana signora proprietaria lo aveva accolto con simpatia ed
avevano concordato un prezzo accettabile per l’affitto. Alberto lo aiutò a
portare un letto ed un materasso nella
casetta .Quella mattina , prima di chiedergli la cortesia di aiutarlo, quando Alberto
aveva bussato per venirlo a prendere , Antonio , sulla porta di casa ,
sorridendo gli aveva detto:“ fatto”. Alberto aveva capito subito di cosa si
trattava e sorridendo lo aveva
abbracciato forte.
-Bravo
Antonio . Ce l’hai fatta! Raccontami com’è stato ?
-
Non c’è cosa più bella Alberto e quando la vedi godere ti fa impazzire: È come
se trovassi finalmente la casa che hai sempre desiderato! Adesso però mi devi
aiutare a traslocare.
Antonio
cominciò a raccontargli della casa presa
in affitto e della necessità del trasporto almeno di un letto e di un
materasso. Facendo un sondaggio fra gli amici, trovarono una rete pieghevole
adatta allo scopo ed un materasso. Così, in un baleno, la casa era arredata.
Antonio
e Laura divennero degli assidui
frequentatori di quella casa, donandosi
i loro corpi e la loro passione.
Qualche
tempo dopo, Laura invitò Antonio a casa sua
e gli fece conoscere i suoi genitori . Erano persone simpatiche ed
aperte. Certo, fu per loro una
sorpresa vedere che il ragazzo della
figlia era di colore. Parlando con il padre di Laura , Antonio fu contento di capire che era un progressista e sindacalista . Parlarono a
lungo, ma discretamente. Gli chiese quali fossero i suoi progetti per
l’avvenire . Antonio gli raccontò che era rimasto senza padre da poco e che
contava di laurearsi al più presto e trovare lavoro, cominciando anche dal
basso se era necessario. Aveva anche delle aspirazioni per la carriera universitaria,
ma la cosa era molto difficile. Certo, era ben conosciuto e stimato da tutti i
professori ma non era detto che accettassero di avere come assistente un
contestatore . Laura, dopo un po', lo tolse dall’imbarazzo per fargli vedere la
sua stanza e si baciarono appassionatamente anche con i genitori di lei a due
passi, nell’altra stanza. Laura era molto contenta di quell’incontro ed il
giorno dopo volle parlare con Antonio
del loro futuro.
-Antonio che ne pensi di noi due? Stiamo bene insieme
, vero?-disse Laura
-
Si! Io ti amo -rispose Antonio
-
Anch’io disse Laura e voglio vivere con te. Fidanziamoci e appena avrai un lavoro potremo sposarci.
-
Laura io non credo nella famiglia tradizionale- rispose Antonio- Io voglio
essere libero e seguire i miei sentimenti senza ipocrisia: Noi staremo insieme,
vivremo insieme fino a quando ci ameremo
ma dobbiamo essere liberi di lasciarci se il nostro amore un giorno
dovesse finire: Non possiamo esser schiavi di un’ istituzione ipocrita. Non ne
abbiamo bisogno. Il nostro amore e la nostra passione sono più forti di ogni
regola.
-
Antonio , io non voglio essere la tua amante o qualche cosa di peggio, che usi e lasci quando vuoi- disse Laura- Io
voglio un avvenire con una persona che si voglia prendere cura di me. Una
persona che si prenda degli impegni importanti per stare con me.
-
Laura non ci capiamo- rispose Antonio- Io voglio stare con te. Io ti amo e mi
voglio prendere cura di te in un modo nuovo: Noi dobbiamo esser dei compagni di
vita , liberi ed uniti affrontando insieme il futuro fino a quando ne saremo
convinti : Senza finzioni od obblighi al di fuori del nostro amore.
Laura
non rispose ma era cambiata in volto.
-
Così non m’interessa Antonio – gli disse- pensiamo ad una vita diversa ed è
meglio che ci pensiamo sopra tutti e
due.
Da
quel momento Laura non accettò più di uscire con Antonio, nonostante lui glielo
chiedesse ogni giorno ed ogni volta che Lei rispondeva al telefono. Poi
cominciò a negarsi . Rispondeva sempre la madre o qualche volta la sorella più
piccola . Antonio era distrutto. Vagava per la città come un cane randagio. Poi ricominciò a parlare
con i suoi amici di quello che era successo. Alberto gli diede torto. Se si
aveva la fortuna di una passione come quella
perché non pensare al matrimonio? Gli altri invece , specialmente Maurizio , Mimmo e Beppe erano d’accordo con
Antonio. Non si potevano tornare a
seguire le regole della società che
avevano contestato. Dovevano vivere in un modo nuovo. Dovevano capire insieme
come si poteva costruire un mondo nuovo!

Si
cominciarono a trovare a casa di Antonio, perché la madre era ripartita per
Roma e così si era tutti più liberi. Si vedevano dopo cena e la prima grande
passione comune era rappresentata dalla musica e dal modo di viverla insieme.
Ognuno portava dei “long playing” e si ascoltava la musica liberamente sdraiati
sul pavimento del salone della casa di Antonio, utilizzando i cuscini del
divano e di altre stanze, per stare più comodi. Si spegnevano le luci centrali,
mantenendo solo quella della lampada ad angolo, e si ascoltava la musica in
sottofondo, entrando contemporaneamente in una fase di rilassamento e di
meditazione.
I
dischi preferiti erano quelli dei Pink Floyd e specialmente “Atom Earth Mother” èThe Dark Side of the Moon”.
Erano
molto apprezzati anche i King Crimson ed i Genesis…Emerson, Lake e Palmer ma
anche i cantori della West Coast a cominciare da Crosby, Still, Nash e Joung.
Piacevano anche i Traffic ,i Jefferson Airplanes, gli Hot Tuna, gli Yes e Simon
e Garfunkel , gli Eagles e tra gli italiani soprattutto la PFM ed il Banco del
Mutuo Soccorso, di cui alcuni avevano ammirato il concerto tenuto all’interno
del festival dell’Unità a Roma.
Era
stato definitivamente sdoganato Battisti, amato praticamente da tutti. Si
fumava tanto e spesso. Quando qualcuno rimaneva senza sigarette, si fumava la
stessa girandosela gli uni con gli altri. Poi, quasi inavvertitamente,
cominciavano le discussioni. Prima interessavano magari i due più vicini. Dopo,
qualcuno si avvicinava seguito da
un altro ancora e così via.
In
quella dimensione, confidenziale e di
amicizia personale, era più facile mostrare il proprio animo e parlare di sé
stessi e dei propri problemi. Il gruppo iniziale, sempre presente in quelle
serate, non superava le tredici ,
quattordici persone fra ragazzi e ragazze. Si era valutata l’ipotesi di
ripetere l’esperienza delle comunità Hippies americane; ma, alla fine, si era stati tutti contrari.
Non
c’erano le condizioni per un’esperienza
di quel tipo. Nessuno aveva una
particolare abilità artistica, artigianale o lavorativa che potesse dare vita
immediatamente ad un percorso comune di lavoro autonomo, con degli
introiti da dividere, per tentare l’avvio di una comunità. No, era meglio non
porsi quell’obiettivo e limitarsi, per il momento, a discutere su come vivere,
ad esempio, i sentimenti più intimi in maniera diversa dal passato. Senza
sottomettersi all’idea di ripetere i ruoli
sociali prefigurati.
Le
discussioni più sentite riguardavano
soprattutto i sentimenti , l’amicizia , il sesso , l’amore.
Se
la proprietà privata era un furto come si poteva concepire che si avesse la
proprietà di una persona ? L’amore doveva essere libero e seguire sempre il
proprio libero impulso. Senza obblighi e
costrizioni. La fedeltà non aveva senso, se era un obbligo.
L’istituzione
familiare aveva un senso? Forse, per garantire i figli, si poteva fare un
compromesso; ma, solo dopo una normale convivenza e sempre che, nel frattempo, non si avessero nuovi
rapporti.
Antonio
seguiva con attenzione questi discorsi e li condivideva; ma, come tutti, poneva poi il problema di accettare
l’evidenza dell’innamoramento.
Non
c’era dubbio che ci si innamorasse ed allora che senso aveva parlare di libero
amore? Forse, si poteva dire che la
libertà non poteva negare il sentimento
particolare nei confronti di una persona speciale. Così tutti accettarono il
concetto che si potesse avere un
rapporto “privilegiato”. Un rapporto di coppia speciale che, comunque, doveva
essere vissuto in piena libertà da parte dei componenti della coppia e senza escludere le altre persone,
isolandosi.
In
quei giorni era tornato da Firenze Eugenio, un amico fraterno di
Antonio , suo compagno di banco al
Liceo, che si era trasferito in quella città per iscriversi alla facoltà di
Architettura.
A
tempo perso s’interessava di yoga, meditazione e psicologia di gruppo. Con i
suoi amici, a Firenze, aveva sviluppato discorsi molto simili a quelli del
gruppo di Antonio. Avevano vissuto
un’esperienza interessante, chiamata “
psicodramma”, di cui Eugenio era entusiasta, e subito propose ad Antonio di
sperimentarla insieme ai suoi amici.
La
proposta fu subito accettata da tutti che, curiosi, aspettarono con impazienza
la sera stabilita per provare questa nuova esperienza. Come sempre,
l’appuntamento era a casa di Antonio, approfittando della lunga assenza della
madre e del fatto che l’appartamento
aveva un ingresso autonomo ed i vicini ,
anziani , non venivano disturbati più di tanto.
La
musica di sottofondo era d’obbligo e come sempre la preferenza fu accordata ai
Pink Floyd. In prima battuta, tuttavia , questa volta Eugenio
diede disposizione di mantenere le luci centrali del salone tutte
accese. Dovevano vedersi bene e
sentirsi. Dovevano, infatti, lasciarsi
andare al ritmo lento della musica e ,dondolandosi l’uno davanti all’altro, cominciare a toccarsi
per conoscersi , scambiando poi il compagno o la compagna della coppia. Poteva
dare l’impressione di un “ tuca tuca” di
Raffaelliana memoria; ma, lo
scopo era quello di superare la barriera del contatto fisico per creare un
nuovo più alto livello di confidenza, che avesse anche una componente
corporale. Quando l’ambiente si era disteso e ammorbidito. Eugenio fece
stendere a turno delle persone per terra chiedendo poi a tutti di toccarle
contemporaneamente. Di carezzarle per tutto il corpo , evitando solo le parti
intime. Anche Antonio ebbe lo stesso trattamento di tutti e non poté negare la
piacevolezza della cosa unita, per certi
versi, ad un certo imbarazzo. Non ebbe tuttavia il tempo di definire meglio le
sue emozioni perché, a quel punto, Eugenio diede l’indicazione di separarsi
tutti , di spegnere le luci e rimanere
al buio nel più totale silenzio.
Era
una sensazione strana. Non c’era niente di cui preoccuparsi. Erano tutti amici
; tuttavia, si avvertiva un sentimento misto fra inquietudine ed empatia. Il
tempo passava e l’emozione aumentava. Ad un certo punto, Antonio cominciò a star
male e ,quando Eugenio chiese se c’era qualcuno che voleva parlare , non seppe
trattenersi dall’esprimere il proprio malessere.
-
Cosa senti? Cosa provi? - gli chiese Eugenio?
-
Non so perché…. ma sto male. Ho una sensazione di fastidio e di oppressione,
qui nel buio. Mi sento a disagio- rispose Antonio
-
Cerca di parlare di questo disagio- insistette Eugenio- di che si tratta?
-
Ho come la sensazione di sentirvi distanti. Di non essere capito. Come se mi
sopportaste, ma non vi trovaste bene insieme
a me -continuò allora Antonio
-
Pensi che non ti vogliamo bene? Che non ti consideriamo? - gli chiese Eugenio
- Si….
ho questa sensazione e mi fa stare male. Mi dispiace e mi sento solo.
A
quel punto tutti cominciarono a parlare e spiegare ad Antonio che, in realtà,
lo apprezzavano e gli volevano bene. Poi, anche altri vollero manifestare il
proprio disagio che fino a quel momento avevano taciuto. La
discussione si trasformò così in una vera confessione collettiva. Il risultato fu che, alla fine, si
sentirono tutti molto più amici di prima e uniti da un vincolo quasi di
fratellanza. La musica continuava a riscaldare l’atmosfera secondo uno stile “New
Age”. Tuti si sentivano più rilassati e cominciarono ad alzarsi ed a ballare
sia da soli che in gruppo, muovendosi liberamente. Le coppie si formavano e si
alternavano con facilità. Antonio si trovò a ballare in gruppo con Alessandra,
una ragazza amica di Alberto con cui
erano usciti alcune volte, con lo stesso Alberto e con Carla , amica di Alessandra. Antonio e Alessandra cominciarono a guardarsi
più intensamente e rimasero a ballare da soli. Poi, senza neanche pensarci,
Antonio baciò profondamente Alessandra che lo corrispose . Continuarono a
ballare ancora un po' insieme, ma dopo
si staccarono per ballare autonomamente in mezzo al gruppo in una sinuosa danza
collettiva .

Da
quel giorno le adesioni al gruppo aumentavano sempre di più. L’interesse
cresceva e un giorno c’era tanta di quella gente che la riunione fra amici
diventò in realtà l’assemblea di un gruppo. Si erano aggiunte diverse persone e
soprattutto un’area alternativa che fino a quel momento non aveva trovato
contatti con il mondo della contestazione politica giovanile. Questi ragazzi
avevano sviluppato parallelamente una rete di attività e di comportamenti
alternativi più legati alla musica ed allo stile di vita. Molti frequentavano
sempre gli stessi posti della città per ritrovarsi e conoscersi. Uno era
tipicamente costituito dalla scalinata d’ingresso della Villa Bellini. A fare
da tramite fra gli amici di Antonio e queste nuove persone erano state, in
particolar modo, alcune ragazze simpatizzanti del Movimento Studentesco ma
sempre rimaste sostanzialmente ai margini. Una sera, discutendo della situazione
fra gli amici più stretti, sembrò opportuno cercare una sede dove incontrarsi
perché ormai, considerato il numero delle persone interessate all’iniziativa,
sembrava impossibile riunirsi a turno a casa di qualcuno. Si trovò così a buon
prezzo uno scantinato, in una zona abbastanza centrale. Si accedeva da un
ingresso a livello stradale e subito dopo con una piccola scaletta si entrava in un primo vano di disimpegno con
bagno attiguo e subito dopo in una grande sala. Era uno spazio più che
sufficiente. Ci si mise subito all’opera per pulirlo e ripitturarlo di bianco
ed alla fine, almeno alla vista, l’aspetto era soddisfacente. Ognuno poi cercò
di portare qualche pezzo di mobilio non più utile e destinato ad essere
eliminato. Delle sedie, dei materassi vecchi dove sdraiarsi, un tavolo. Antonio
portò anche dei quadri che aveva dipinto qualche tempo prima per colorare un
po' l’aspetto delle pareti. A questi si aggiunsero diversi manifesti.
Era
bello poter avere un luogo d’incontro dove sapevi che avresti trovato quasi
sempre qualcuno intento a leggere o ad ascoltare la musica o a discutere con
altri. L’allargamento del gruppo a nuove persone, con un vissuto diverso,
poneva tuttavia non pochi problemi sia di ordine culturale ed ideale, che
pratici. Per la prima volta, quella che era stata l’omogeneità culturale del
gruppo veniva messa in discussione e questo creò non pochi problemi e
divisioni. Molte delle nuove persone che si erano unite al gruppo non avevano
un vissuto di militanza politica ed anzi lo rifiutavano. Sottolineavano, al contrario,
l’importanza di comportamenti che fino a quel momento erano stati considerati
da quasi tutti come sbagliati. In particolare, Antonio ed i suoi amici si
trovarono a doversi confrontare e decidere come comportarsi di fronte persone
che facevano uso di droghe e sostenevano l’idea di un comportamento sessuale
totalmente libero. Una di quelle sere, mentre si ascoltava la musica seduti
tutti insieme per terra su dei cuscini, Antonio vide che in una parte della
stanza alcuni cominciavano a passarsi l’un l’altro una sigaretta accesa,
aspirandola profondamente. Poi, dopo, avvertì un odore particolare ed intenso; mentre,
qualcuno cominciava a gesticolare in maniera strana, come se si muovesse al
rallentatore. Giorgio e Paolo, ragazzi più giovani fra i militanti del Movimento Studentesco e
che fin dall’inizio erano stati fra i protagonisti del gruppo, stavano
partecipando anche loro a quel rito e dopo un po' cominciarono a ridere come se
fossero ubriachi. Giorgio si alzò, un po' barcollando, e cominciò a muoversi
cercando di danzare, seguendo la musica, ed aspirando contemporaneamente lunghe
boccate di fumo. Si avvicinò e sorridendo con voce impastata offrì il “fumo” ad
Antonio che tuttavia rifiutò. Quella era una delle cose da cui non era
attirato. Non lo interessava completamente provare quella forma di rilassamento
o di euforia (supponeva) prodotta da sostanze. In quel periodo, semmai, si era
interessato a forme di meditazione orientale ed aveva sperimentato su di sé
delle tecniche di respirazione e di meditazione. Più volte aveva provato la
meditazione in assoluto silenzio, per molto tempo, in un ambiente naturale che
a lui piaceva molto come davanti al mare al tramonto ed aveva provato quello
che nei libri che aveva letto definivano come “compassione”. Un sentimento di
appartenenza e di compenetrazione nella realtà naturale interna ed esterna al
proprio corpo, accoppiato ad una sensazione di piacere e di emozione.
Giorgio
lasciò Antonio e, danzando, si diresse verso Paolo che “fumava” seduto accanto
ad un ragazzo nuovo, Fabrizio e a delle ragazze che non conosceva. Quel gruppetto
si andava allargando e ben presto alcuni si trovarono a giacere per terra persi
nelle loro emozioni, altri continuavano a ridere in maniera irrefrenabile,
altri ancora cominciarono a toccarsi ed accarezzarsi. Antonio ebbe la
sensazione che per lui la serata era finita e che desiderava uscire a prendere
una boccata d’aria fresca. Si allontanò inosservato e si ritrovo per strada
all’interno di una notte ormai silenziosa. Passeggiava tranquillo andando verso
casa accompagnato saltuariamente dal passaggio di qualche auto. Quante volte
era passato per quelle strade! Conosceva quasi la forma ed il disegno di ogni
pietra. Da ragazzo, spesso, i suoi spostamenti avvenivano di corsa. Gli piaceva
correre per la strada per raggiungere un appuntamento o spostandosi verso una
meta. Adesso invece era bello camminare, solo nella notte, andando verso casa.

Nei
giorni seguenti Antonio ebbe modo di parlare con Giorgio di quella sera e così
scambiarono le loro opinioni sul “ fumo” . Giorgio gli raccontò che la sua esperienza era stata
molto gradevole e che sicuramente l’avrebbe ripetuta . Anche Paolo e molti
altri erano d’accordo su questo punto . Paolo poi era una persona intelligente
e molto curiosa . Diventato più intimo di Fabrizio , questi gli aveva fatto
provare l’acido e Giorgio era un po' preoccupato per Paolo che, spinto dalla curiosità, era pronto
a superare ogni limite e provare
qualunque cosa. Antonio venne poi a
sapere che il “ fumo” era la parte minima del problema. Vi erano diverse
persone nuove che facevano uso di eroina e Giorgio aveva trovato una
siringa nello scantinato. Questo poneva
dei problemi seri ed Antonio decise di discuterne in una
riunione riservata solo ai fondatori del gruppo.
-Ragazzi
, premetto che non faccio un discorso di ordine morale _ esordì Antonio- anche
se personalmente ritengo che l’uso della droga pesante sia dannoso per la
salute fisica e mentale. Non mi venite a
dire che un percorso di riscatto personale e di libertà passino attraverso la dipendenza da sostanze . Questo è il
contrario esatto e penso che tutto quello che volevamo fare, da quando ci siamo
impegnati anche politicamente, era
l’opposto .
-
Si ma non starei a giudicare – rispose Paolo- ognuno segue un percorso
originale e deve essere libero anche di sbagliare, se vuole farlo. Se non si
prova , se non si hanno esperienze nuove,
non si cresce.
-
Ho capito – rispose Antonio- ma non si deve provare per forza tutto per crescere . Se sai che qualcosa ti fa male
ti fermi;
-E
chi lo dice che fa male se non lo provi? – disse Paolo
- Ragazzi
non fermiamoci su questo punto- disse Giorgio-Il motivo della riunione non è se sia giusto o meno drogarsi. Questo
lo discuteremo dopo. Intanto, dobbiamo
capire come comportarci. Non possiamo permettere che venga usato lo scantinato
per drogarsi in santa pace. Possiamo essere oggetto di perquisizione da parte
della polizia e finire tutti in grosse
difficoltà .Dobbiamo stare attenti ed evitare di trovarci in una situazione non
gestibile.
-
Io sono d’accordo - disse Antonio- dobbiamo garantire che il progetto vada
avanti e così mettiamo tutti in pericolo .
-Che
dobbiamo fare secondo voi?- Chiese Paolo
-Posso
dire la mia ? chiese Pippo, che fino a quel momento aveva ascoltato in
silenzio.
-Certo
– dissero tutti
-Bene!
Propongo che le chiavi d’ingresso siano affidate solo a poche persone-disse
Pippo- che garantiscono l’apertura del
locale in determinate ore e giorni assicurando un controllo su quanto avviene,
grazie alla loro presenza. Capisco che comporterà un impegno gravoso e quindi dobbiamo immaginare di
ridurre la possibilità di utilizzo di questi locali; ma , per il momento, farei
in questo modo
-
Io direi anche di parlarne alla prima occasione -aggiunse Antonio- anche a
costo di sollevare malumori e obiezioni . È meglio chiarirsi le idee ed
affrontare il problema.
Decisero
di procedere in questo modo . Ognuno dei quattro si assunse il compito di custodire una copia
delle chiavi e di gestire un giorno a turno la settimana sotto la propria
responsabilità. Tre giorni restavano non coperti e lasciati all’iniziativa libera di ciascuno. Avevano lasciato non coperti
proprio il fine settimana e cioè venerdì , sabato e domenica , quando era facile che potessero essere presenti in
più di una persona.
Decisero
di parlarne con gli altri proprio quel
sabato quando, verso sera, sapevano che
sarebbero stati tutti insieme .
Avevano
organizzato un incontro in cui ognuno avrebbe portato qualcosa da mangiare e da
bere, per passare insieme la serata.
Quando l’atmosfera era già rilassata e
tutti stavano a proprio agio, seduti a piccoli gruppi chiacchierando fra di
loro , Giorgio chiese un attimo d’attenzione
e provò a spiegare le ragioni della loro decisione, pregando tutti di
astenersi dall’utilizzare droga in quei
locali . Inevitabilmente, pur accettando
quella decisione, molti ne criticarono il significato implicito.
-Questo
è un modo di dirci che non siamo graditi – disse Margherita, una delle
ragazze che erano entrate nel gruppo di recente e che era una delle
“alternative “ che occupavano “ i gradini della scalinata di Villa Bellini.- vi spacciate per progressisti ,
dite di voler essere aperti e che desiderate un mondo nuovo ma siete vecchi
dentro.
-
Margherita – rispose Pippo- questo luogo
, il nostro gruppo può essere sorvegliato dalla polizia . Gran parte di noi è
schedata dalla polizia politica che controlla le attività giovanili in città e
può guardare con attenzione al nostro
gruppo. Dobbiamo stare attenti ed evitare che possano trovare sostanze in
questo scantinato o persone in stato
tossico. Lo capisci?
-
Si ma Margherita pone un problema più grosso – intervenne Fabrizio-
Voi non tollerate chi di noi fa
uso di droghe. Ho paura che non solo siate contrari all’eroina o all’acido, ma anche all’erba,
che fa solo che bene! Ti rilassa, ti fa stare bene con te e con gli altri.
-È
vero -confermò Margherita seguita da
tanti altri.
-Ragazzi io , personalmente sono contrario all’uso di
droghe -disse Antonio – ma qui non stiamo parlando di questo; ma, di non usarle
in questi locali. Poi , fuori di qui, ognuno è libero di fare quello che vuole.
Io non lo condivido; ma, questo non
significa che non voglio che stiate nel gruppo, esattamente come gli altri.
La
discussione andò avanti così senza una reale intesa; ma, per lo meno, passò il
principio di come dovevano essere utilizzati
quei locali.
Uscendo, Antonio si trovo a fare un pezzo di strada
con Massimo , un ragazzone di quasi un
metro e novanta, amico di Giorgio e di ca. due anni più piccolo di Antonio.
Aveva frequentato il Liceo Scientifico
ed ora la sua stessa università.
-
Insomma, non lo sopporti proprio chi si
droga? – cominciò Massimo
-
No, non è vero- rispose Antonio- non lo
condivido ed in alcuni casi mi dispiace per chi lo fa , specialmente quando è
una persona a cui tengo.
Seguì
un momento di silenzio. Poi , Antonio continuò dicendo
-Massimo , ancora, ancora riesco a capire l’uso
dell’erba quando è saltuario; ma, ho dei dubbi che presto o tardi non si crei
dipendenza e, a quel punto, diventa una schiavitù che ti cambia e ti rende
diverso. Non mi piacerebbe caderci dentro. Ma , lasciamo perdere l’erba! Quello
che non posso accettare è che un amico
cada nella spirale della droga pesante. A quel punto per me è come se si
ammalasse. Come fai a dire che è
positivo, che ti allarga la mente , che
ti rende più libero?
-
Antonio, fortunato tu che non ne hai bisogno!-rispose Massimo _ ogni vita è
però diversa. Ognuno di noi può avere dentro un dolore insopportabile da cui
riesce ad uscire solo in quel modo. Finalmente stai bene , sei in pace ! Non soffri più! Ti pare niente?
-
Massimo io non sto a giudicare nessuno. Mi dispiace invece, profondamente, che
per uscire dalla sofferenza si debba farlo in questo modo. Hai tanti amici che
ti vogliono bene e ti stimano . Non ti sentire solo. Tu poi credi in cose belle, che illuminano la vita. Perché devi lasciarti
andare a questa nebbia? A questa visione
nera della vita?
-Antonio
sei fortunato , te l’ho detto. Non sempre è così! A volte, ti porti dentro
dolori antichi che non se ne vanno e ti tormentano ad ogni passo. Poi,
l’importante è riuscirne a fare a meno delle sostanze, se lo vuoi . Non
diventarne schiavo sempre. Darti delle regole
e cercare di controllarti, per
non aumentarne troppo la necessità.
- Ma
tu ci riesci?- gli chiese Antonio-
-
Ci provo -rispose Massimo.- Ciao , io vado da questa parte
- Ed
io per di qua – disse Antonio scherzando- le nostre strade si dividono!
- Hai
visto? Te lo dicevo io! -rispose Massimo e si allontanò a grandi falcate nella
notte.
Antonio
non avrebbe mai pensato in cuor suo che quella era l’ultima volta che lo vedeva
e che gli parlava.
Massimo,
da quel giorno non si vide più nello
scantinato perché aveva ottenuto un lavoro temporaneo come venditore di una
collana di libri e girava tutto il giorno per la città .
La
sera, era stanco morto e rimaneva a casa.
Tutto
normale , tutto regolare ! Passato quel periodo, si sarebbe rifatto vivo,
pensarono tutti, ricordando la simpatia di quel ragazzone.
Ma
la vita è particolare – come ripeteva spesso Massimo – e quel ragazzone non
tornò più nei locali di quello scantinato affittato dai componenti di un gruppo
di ragazzi che volevano contribuire a
realizzare un mondo nuovo.
Quel
mondo, per Massimo, non c’era più o forse l’aveva già raggiunto in anticipo,
giovane vittima di una dose eccessiva o
mal tagliata o chissà che cosa.
Tutto
il gruppo partecipò in profondo silenzio
ai funerali di quel “compagno” andato
via troppo, troppo presto.
Da
quel giorno nulla fu più lo stesso.
Quello
che era successo aveva colpito gli animi profondamente e rafforzato in molti la
convinzione della necessità di prendere le distanze da un atteggiamento troppo
disponibile nei confronti dell’utilizzo delle sostanze stupefacenti.
In
quel momento, fu accolta con un certo sollievo la possibilità di accettare
l’invito di Eugenio di passare il Capodanno a Firenze, realizzando in tal modo
l’incontro con il suo gruppo. Eugenio aveva parlato con i suoi amici del gruppo
di Antonio e tutti erano molto curiosi d’incontrarli. Per la maggior parte
erano studenti; ma, qualcuno lavorava. Vi era la possibilità di essere ospitati,
in qualche modo, a casa di qualcuno; mentre, per la notte di capodanno, c’era a
disposizione la villa fuori città dei genitori di una delle componenti del
gruppo. La casa disponeva di un salone molto grande e diverse camere da letto
vuote.
Insieme
ad Antonio arrivarono a Firenze altri sei amici, fra cui due ragazze. Le
ragazze furono ospitate a casa della compagna di Eugenio e di una sua amica;
mentre, Antonio e gli alti ragazzi si divisero fra la casa di Eugenio e quella
di un suo amico. Questi divideva l’appartamento
con degli studenti fuori sede che, in quel momento, erano rientrati nella
propria città.
Erano
arrivati a Firenze la mattina del trentuno ,viaggiando in treno di notte, e già,
in quelle prime ore del giorno, avevano avuto modo di presentarsi agli amici di
Eugenio e discutere a lungo delle proprie esperienze e dei propri interessi.
Nel
pomeriggio, si era andati poi in giro per Firenze. Passare sul Ponte Vecchio fu
un’esperienza suggestiva. Camminare tra quella fila di piccole botteghe, ai due
lati del ponte, intravedendo il fiume. Antonio si guardava intorno e fu
impressionato dalla folta presenza di giovani. La percentuale di ragazzi era
molto superiore di quella che era abituato a vedere, passeggiando per le strade
della sua città. Gli spiegarono che la presenza di studenti fuori sede a
Firenze era moto alta e questo spiegava questa alta percentuale di giovani per
le strade. Passo dopo passo, si avviarono verso il centro, nella splendida
piazza dominata dal campanile di Giotto e dalla basilica di Santa Maria del
Fiore. Si diressero poi verso gli Uffizi e Piazza della Signoria dove era
possibile ammirare una copia del David di Michelangelo e infine tornarono a
casa per prepararsi per la sera.
Quel
pomeriggio, si era unito al gruppo di Antonio,
Eugenio e i suoi amici anche Aristide, un compagno di lotte e collega
universitario. Era un ragazzo abbastanza socievole ed un po' timido; ma, allo
stesso tempo, molto determinato nelle sue convinzioni. Sentiva con dispiacere il
riflusso del movimento che si era ormai realizzato; ma, riteneva che tutto
questo fosse accompagnato da una reazione forte e precisa dei ceti dominanti
nei confronti della lotta dei movimenti giovanili ed operai.
-
Stanno
cercando in tutti i modi di riconquistare gli spazi di autonomia, libertà e di
coscienza che ci siamo guadagnati in questi anni. Aiutati anche da un colpevole
distacco nei nostri confronti dei partiti revisionisti- diceva Aristide-
-
Pensavamo di
poter cambiare le cose sollevando una grande partecipazione popolare, almeno
operaia; ma, mi sembra che oggi siamo di fatto isolati e presi fra due
alternative impraticabili. Fra le forze politiche tradizionali che hanno
abbandonato il progetto socialista ed una radicalizzazione estremista armata, riservata
a dei gruppi ristretti che mi sembrano al di fuori dalla realtà. – rispose
Antonio-
-
Tenete
presente che, comunque, la vita va
avanti. Noi abbiamo bisogno di lavorare e trovare una nostra collocazione nella
società. Capire se potremo avere un rapporto con una donna talmente importante da avere dei figli oppure no e vivere
diversamente. Questi sono problemi nuovi che ci riguardano. - aggiunse Eugenio
-
Ma non capite
che non c’è spazio per noi se non facciamo i conti con chi ci comanda? Sembra
che gli estremisti siano i gruppi armati che si stanno organizzando per
resistere. E come la vogliamo chiamare la violenza silenziosa e perbene che
strazia la povera gente? Abbiamo visto le cariche della polizia alle
manifestazioni studentesche e anche nei confronti degli scioperi operai.
Abbiamo visto “compagni “chiusi in galera per resistenza, dopo essere stati picchiati
dai poliziotti. Quella non è violenza? Come chiamare i signori delle industrie
che tengono bassi i salari operai, aumentano i ritmi di lavoro e guadagnano
soldi a palate sulle loro spalle? Vogliamo parlare poi delle condizioni della
povera gente nei paesi sottosviluppati? Spogliati e rapinati delle loro materie
prime dalle multinazionali?
-
Aristide, le
cose che dici le vediamo tutti ma non sono evitabili o risolvibili con un atto di forza di poche
persone. È necessario che la gente prenda coscienza dell’importanza di
modificare gli equilibri della società. È un processo lungo di trasformazione
che deve coinvolgere le persone, la loro mentalità i valori in cui credono.
Solo così si possono spostare veramente i rapporti di forza e perseguire gli
obiettivi di equità sociale e di giustizia che desideriamo. Dobbiamo ottenere
il consenso delle persone. Proporre nuove esperienze, modelli culturali, obiettivi
immediati. – rispose Antonio
-
No Antonio-
rispose Aristide- Le strutture di potere non cambiano da sole né si faranno
cambiare da una popolazione che controllano e manipolano come vogliono. Bisogna
rompere il “gioco” e c’è chi si sta preparando a farlo.
-
Che vuoi dire?
- chiese Eugenio-
-
Non lo so – rispose
in maniera elusiva Aristide- lasciamo stare questi discorsi. Piuttosto, a che
ora ci vediamo stasera per festeggiare il nuovo anno?
-
Ci vediamo
tutti nella villa in campagna di Marisa verso le undici di sera. Ognuno porta
qualcosa da mangiare e da bere e così ci divertiamo e stiamo insieme. Saremo
una trentina di persone e per una buona parte c’è la possibilità di restare a dormire.
- disse Eugenio
A quel punto si salutarono e ognuno si diresse a casa
per prepararsi.
Durante la strada per il ritorno, Antonio ed Eugenio
procedevano silenziosi, chiusi nei loro pensieri. Le frasi dette da Aristide
erano state pesanti. Antonio non avrebbe mai pensato che una persona così mite
e gentile potesse giustificare delle posizioni così estreme. Gli faceva male
tutto questo e si sentiva in dovere di riflettere su quello che poteva
significare per la vita di molte persone. Ripensò anche alla recente scomparsa
di Massimo che, per certi versi, gli sembrava simile a quello che poteva
comportare una scelta estrema di lotta armata.
La realtà era che per molti giovani di quella
generazione era estremamente difficile trovare una strada praticabile e degna
d’inserimento in una società di cui non
condividevano le forme e le espressioni. Troppe cose erano state
dissacrate e viste nella loro incoerenza ed ipocrisia rispetto a quanto veniva
ufficialmente dichiarato, per poterci ancora credere. D’altra parte, ognuno di
quei ragazzi desiderava in ogni modo di poter vivere con entusiasmo la propria
vita. Ognuno sperava di poter trovare una strada praticabile per il cambiamento ed il progresso di una società di
cui aveva visto e provato le contraddizioni. La stessa attività politica dei
cosiddetti gruppuscoli “extraparlamentari” sembrava ad Antonio priva di reali
prospettive sia teoriche che pratiche. Sarebbe stata auspicabile una grande capacità
di trasformazione dei partiti popolari ed un ricambio della classe dirigente
con l’inserimento di quella che si era formata nel corso delle lotte
studentesche ed operaie. Sarebbe avvenuto? Era troppo presto per saperlo. Nel
frattempo, la situazione era quanto mai complicata. In fondo, anche il progetto
del gruppo di Antonio aveva a che fare con queste problematiche. In qualche
modo si cercava di capire come relazionarsi in un modo diverso con la necessità
di inserirsi nel mondo sociale adulto
senza rinunciare ai propri valori ed alle cose che si erano comprese.
Qual era lo spazio per il cambiamento? In che
direzione doveva andare?
Capodanno era alle porte e tutti i ragazzi erano
arrivati alla villa di Marisa

La villa era fuori città. Aveva un giardino attorno e
si entrava in casa salendo una piccola scalinata. C’erano almeno quaranta persone
fra i componenti del gruppo di Antonio, quello di Eugenio ed altri amici di
Marisa. La villa aveva un salone immenso che sarebbe stato il cuore della festa;
ma, anche altre stanze erano disponibili. La casa era completamente a disposizione.
Marisa volle subito accompagnare gli ospiti a conoscere una delle meraviglie di
quella struttura. Passando attraverso la cantina e scendendo da una piccola
scala, si arrivava in un’autentica tomba etrusca. Antonio non aveva mai visto
nessun reperto archeologico di quel popolo, che con la sua cultura aveva dominato
l’Italia centrale prima dell’affermazione di Roma, e ne rimase affascinato. Tra
la meraviglia di tutti, Marisa descrisse brevemente le caratteristiche del
monumento ed i dettagli del suo ritrovamento. Era stata una esperienza
importante e tutti risalirono nei piani superiori della casa, pensando in cuor
proprio di essere stati fruitori di un grande privilegio. Ci si riuniva in
piccoli gruppi per discutere e conoscersi meglio mentre, nel frattempo, le
ragazze avevano preparato un ampio buffet da cui si attingeva per trovare da
mangiare e da bere. Il vino toscano scendeva giù proprio bene. Tutti erano
contenti e l’atmosfera era calda. Le risate risuonavano insieme alle note della
musica immancabile di sottofondo dietro le cui note ritmate alcuni ballavano. Francesca,
una ragazza del gruppo di Antonio, lo invitò a ballare. Era molto tempo che
mostrava interesse nei suoi confronti ma, da quel punto di vista, Antonio non
si era mostrato disponibile. Approfittò del contatto fisico per baciarlo ma,
con un sorriso, Antonio, finito il ballo, si allontanò, cercando di non
ferirla. Scoccò la mezzanotte e fra brindisi ed abbracci fu salutato l’anno nuovo;
quindi, si sedettero tutti per terra nel grande salone e spuntarono le
chitarre. Cominciarono a cantare e suonare per un po’. A questo punto, Antonio
prese coraggio e chiese di poter suonare delle canzoni popolari. Gli fu data la
chitarra e attaccò un suo cavallo di battaglia: “Sento il fischio del vapore”.
-
Ascoltate
tutti! Prima canto solo io la frase musicale e dopo la ripetiamo tutti in coro.
Ci state?
-
Siiii! –
risposero tutti in coro.
E così Antonio cominciò:
- Sento il fischio del vapore è il mio amore che va
vi..iaaaa! – ripetuto subito dopo da tutti
insieme in coro.
- Ed è partito per l’Albania, chissà quando
ritornerà………………………………………………………………………………………………………………………………………………………cantò ancora
Antonio
La seconda canzone fu “Nina, ti te ricordi “ed Antonio
ebbe la sorpresa di essere accompagnato dalla stupenda voce di Conception.
-sai, io sono assistente all’università della Sapienza
a Roma nella cattedra di Economia del sottosviluppo - gli disse la ragazza
mentre parlavano dopo essersi scambiati i complimenti per come avevano
interpretato quella canzone.
- Io invece mi debbo ancora laureare e spero di farlo
al più presto. Dobbiamo avere la stessa età perché io ho perso qualche anno
alle elementari prima di essere adottato.
- non so quanti anni hai tu, ma io ne ho ventisei
- vedi che avevo ragione? Abbiamo la stessa età e siamo entrambi di
colore anche se probabilmente di origini diverse. Il tuo nome mi sembra di
lingua spagnola. Di dove sei?
- Sono nata in Brasile e poi la mia famiglia è venuta,
tanti anni fa in Italia insieme ad un sacerdote che li aveva conosciuti a Rio.
Io potevo avere cinque anni ma ricordo tutto. Padre Giovanni ha trovato un
lavoro ai miei genitori presso una famiglia agiata che conosceva e ci siamo
sistemati bene. Io ho potuto completare gli studi e sono riuscita a rimanere a lavorare
all’Università.
- A me piacerebbe, ma capisco che è difficile e sono
disposto a fare qualsiasi lavoro: Mio padre adottivo è morto da qualche mese:
Mia madre è anziana e in questo periodo è proprio a Roma a casa di suo
fratello.
- che bello! Allora possiamo rivederci a Roma-disse
Conception- Io parto domani mattina presto e tu?
- No io mi fermo un altro giorno e poi vengo proprio a
Roma a salutare mia madre e mio zio.
- Dai, allora scambiamoci i telefoni.
Così fecero e dopo altri minuti passati piacevolmente
insieme ,,,,,,
-Adesso vado perché è tardi e devo preparare ancora la
valigia…. Ciao! - gli disse sorridendo Conception
- Ciao- rispose Antonio
Ma allora non si canta più? – gridarono tutti ad
Antonio che teneva ancora la chitarra in mano.
Certo -rispose- questa la conosciamo tutti ed attaccò
la strofa della ballata del “ CHE GUEVARA”………………..Aprendimos a quererte………
desde la historica altura…………….
Suonava tamburellando contemporaneamente la chitarra
con il dorso della mano alla maniera
spagnola o sudamericana ed il coro si levò forte nel salone della casa di
Marisa. La figura del CHE era una di quelle che non si dimenticano ed era stata
per tutti romantica e allo stesso tempo
sfidante. Continuarono così ancora per un po'. Poi, arrivarono le prime ore del
mattino e uno alla volta si andò via non senza ringraziare Marisa per la sua
ospitalità.
Antonio passò la notte a casa di Eugenio con altri
quattro compagni del suo gruppo. Si accomodarono come capitava anche su
materassi buttati a terra ma dotati tutti di calde coperte.
Si svegliò che era quasi mezzogiorno con una gran
fame. Era troppo tardi per fare colazione e così insieme ad un Eugenio in stato
di sonnambulismo decisero di passare direttamente a delle bistecche da fare
arrosto sulla piastra. Antonio si offrì di prepararle mentre Eugenio si
rifugiava in bagno per riprendere conoscenza. La cucina era di quelle antiche
ma abbastanza grande per contenere un tavolo. Sulla sedia stava accoccolato il
gatto di Eugenio che seguiva con interesse i movimenti di Antonio. Questi prese
dal frigorifero due bistecche e le pose su di un piatto. Poi si mise a cercare
la piastra e quando si voltò gli apparve una scena che non avrebbe mai
dimenticato: la sua bistecca non era più sul piatto ad aspettarlo. Si trovava a
penzolare dalla bocca del gatto che scappava via trionfante ed incredulo della
sua preda che solo uno stolto poteva lasciare così incustodita. Antonio si
affrettò così a prendere subito l’altra bistecca e metterla sul fuoco. Quando
Eugenio fu di ritorno trovò una bella bistecca fumante sul suo piatto - Bravo
Antonio e la tua? -chiese Eugenio_
-Scusa, sai avevo fame e non ho resistito a mangiarla
subito. La frutta invece la mangiamo insieme. Ho visto che hai delle belle noci
e poi ci mangiamo anche il panettone, che ne dici? -rispose Antonio.
Ma certo, -confermò Eugenio-
E fu così che il gatto fece un succulento pranzo di
Capodanno e Antonio non dimenticò mai più quella lezione.
L’indomani Antonio aveva deciso di partire per
Roma, mentre gli altri compagni del gruppo si sarebbero fermati ancora qualche
giorno. In ogni caso molti amici di Eugenio vennero a trovarlo nel pomeriggio
per salutarlo e come al solito si approfittò dell’occasione per discutere insieme.
-Come
avete passato questi giorni a Firenze?
E’ stato interessante? -iniziò Eugenio rivolgendosi ad Antonio ed ai
ragazzi del suo gruppo anche loro presenti quel pomeriggio.
-Sicuramente
è stato bello vedere Firenze e stare con voi-rispose Pippo- Potersi confrontare con chi sta cercando di
riflettere, come noi, sugli stessi
problemi , personalmente mi ha molto stimolato, Dovremmo mantenere questi
contatti e avviare delle iniziative che consentano di diffondere ulteriormente
le nostre posizioni.
-
Quali posizioni?- chiese Marisa
-
Il nostro modo di gestire le relazioni fra le persone, una riflessione su che
tipo di lavoro è accettabile per
inserirsi autonomamente nella società
.Come considerare il concetto di autonomia personale, di proprietà e altro
ancora.
-
Pippo , forse non possiamo fare tutto questo- rispose Antonio-. In questi
giorni ho capito che non ci serve stabilire delle regole da seguire o da indicare agli altri ma di recuperare il senso per cui fare le
cose . Il valore profondo che diamo ai nostri sentimenti , alle cose in cui
crediamo. Dopo, forse la strada da
percorrere è individuale e libera. Solo così, anche sbagliando, si può
comprendere la propria vita. Mi sto convincendo che anche dal punto di vista
sociale è importante lasciare una libera iniziativa alla persona . In
questo modo, si può andare oltre quello che è comunemente accettato e
realizzare quella che chiamiamo
innovazione.
-Antonio
questo è molto pericoloso- disse Eugenio- stai di fatto giustificando che ognuno faccia a modo proprio anche a
discapito degli altri.
-Io
non ho detto questo-aggiunse Antonio -Qualunque società ha il diritto/dovere di
fare le sue scelte e limitare quei comportamenti che ritiene dannosi per il
benessere sociale complessivo . Allo steso tempo, tuttavia, non può esser tutto subordinato ad una
organizzazione della vita centralizzata . Sarebbe il peggior totalitarismo .
proprio quello che abbiamo sempre combattuto. Che sia una religione ,
un’ideologia o una setta andiamo sempre
a finire per ottenere dei risultati disastrosi. No , in questo periodo ho
ritrovato , grazie a voi , una nuova serenità-Ho potuto guardare alle cose che mi piacevano con un animo libero e
desidero mantenerlo . Mi sento pronto per
scoprire il mondo che mi circonda . Voglio partire alla scoperta della
vita e di quello che mi riserva come in un viaggio.
-
da solo? – chiese Giorgio
-No…
perché ? -rispose Antonio – non voglio essere senza amici . Quello che voglio
dirti è che non ho più paura di vivere da solo la mia identità , il mio essere. Amo la mia solitudine di un essere umano. Se ho degli amici , un
amore non sarà per paura della solitudine , per la paura di vivere , ma per il
desiderio di stare con i miei amici di
vivere il mio amore. E’ una cosa diversa
-
E i nostri progetti? Chiese ancora Pippo
-
Continueranno-rispose Antonio- Probabilmente
con una mia collaborazione saltuaria perché starò molto più tempo a Roma dove sta
pensando di trasferirsi definitivamente mia madre.
D’altra
parte non c’era niente di concreto. Più che di progetti dovremmo parlare della
nostra amicizia e quella per me ci sarà sempre
-Si
rientra nella giungla? – chiese Eugenio-
-
Dai,… non è poi così tremendo e non
è una realtà univoca .Il “Sistema” come
spesso sento argomentare. No, a me sembra che dobbiamo renderci conto
che la realtà che abbiamo davanti è e sarà sempre complessa , piena di contraddizioni
di male e di bene intrecciati insieme . Di cattiveria e generosità, di sfruttamento e giustizia . Difficilmente
potrà esistere un momento in cui tutto questo possa essere superato. Quello che
penso invece è che gli equilibri tra queste forze sono sempre soggetti a
mutamento e che questo dipenda dall’impegno di ognuno di noi . Questo ,a mio
parere , costituisce la premessa per la qualità della società in cui vivremo e
dipende da ciascuno di noi. Volevamo sapere come rientrare nel “ Sistema “ come
mantenere le cose in cui crediamo e penso che la risposta sia semplice ed
immediata . Impegniamoci in ogni aspetto della vita di cui saremo protagonisti
con i valori in cui crediamo.
-Ci
penserò sopra – rispose Eugenio assecondato da un mormorio d’intesa da parte
degli altri-
Allora
domani vai a Roma , se ho ben capito?
-Si-
rispose Antonio – passo qualche giorno insieme a mio zio e mia madre.
Si
era fatto tardi e tutti gli amici
cominciarono a salutare Antonio ed andare via. Il treno per Roma partiva
presto ed Antonio doveva ancora
preparare la valigia.
La
mattina dopo , il treno correva veloce lasciando alle spalle Firenze e quelle
belle giornate vissute insieme ai suoi più cari amici.
Antonio
era eccitato ed emozionato e si sentiva simile a quel treno che si spingeva avanti, in mezzo alla campagna,
verso il futuro . Avrebbe rivisto la madre
e lo zio, sempre affettuoso. Poi, il suo pensiero si rivolse a Conception e al suo caldo e sensuale sorriso.
Qualche
ora dopo ,ormai a casa dello zio , compose con calma il numero telefonico della
ragazza.
-Pronto….Conception
sei tu?..................Sono Antonio e sono a Roma!
-
Ciao…Antonio – sorrise Conception.
FINE