“ Un affare di famiglia”è un film giapponese,
diretto da Hirokazu Kore’eda, che è stato premiato con la Palma d’Oro al Festival di Cannes 2018.
Anche in questo , come in molti altri film
precedenti, Kore’eda si sofferma sulla
psicologia dei personaggi e, specialmente, sull’importanza dei sentimenti
all’interno dei rapporti familiari. Pur partendo da questa chiave intimistica
del racconto, tuttavia, sembra
denunciare una relativa crisi dell’istituzione familiare nella società
giapponese e forse, generalmente, in
quella moderna, dove le difficoltà di
continuità , di rispetto e di successo
delle relazioni fra i coniugi costituiscono la premessa per una problematicità
dello sviluppo personale e psicologico dei figli .
In diverso modo, tutto questo ci viene rappresentato in diversi
suoi film .
In “ I
Wish”(2011), centrato sulle aspettative di vita dei giovani ragazzi, o in“
Father and son” dove scava nell’analisi del ruolo paterno o come ancora in
“Little sister” dove l’incontro fra sorelle e sorellastre, alla morte del padre
comune, diventa da un lato l’occasione per una nuova relazione ma dall’altro un
momento in cui possono finalmente emergere tanti dolori nascosti anche a se
stessi ed infine in “Ritratto di
famiglia con tempesta “( 2016) in cui le
avversità esterne permettono al gruppo familiare di ritrovarsi.
In “Un affare di famiglia “ il regista ritorna
ancora sul tema familiare , sul delicato rapporto che lega genitori e figli; ma ,meglio ancora, sull’analisi di cosa
significhi vivere con maturità ed adeguatezza questi ruoli.
Kor’eda lo fa con una forte provocazione . Ci
mostra, infatti, un gruppo familiare povero e marginale, che si muove spesso oltre i limiti della
legalità, ma che, ai nostri occhi, presenta una indiscussa capacità di saper
vivere insieme con attenzione, affetto e
capacità di essere felici. Un gruppo in cui ognuno riesce ,vivendo anche senza
una particolare linearità ed enfasi il proprio ruolo, ad essere di sostegno e
di aiuto agli altri.
Il padre alterna l’umile lavoro da manovale ai
continui piccoli furti, che
contribuiscono al sostegno della famiglia. La madre lavora in una
lavanderia, ma sembra avere avuto un
passato da “escort”. Quella che sembra
essere la nonna contribuisce alle necessità comuni con la sua parte di pensione
riveniente dal marito ormai defunto. Quella che sembrerebbe la giovane zia, si
dà da fare in una casa di piacere dove si mostra dietro una vetrina che la
protegge dalla visione dei clienti. Il figlio ragazzino studia a casa, convinto che solo chi non ha questa
possibilità è costretto ad andare a scuola, e appena è possibile viene istruito
dal padre all’arte del furto.
La relativa armonia di questo gruppo viene
messa sotto esame di fronte alla necessità di affrontare un nuovo “ affare”. Di
ritorno dall'ennesimo furtarello in un supermercato, Osamu( il padre) e suo figlio si accorgono di una bambina
abbandonata a sé stessa, chiusa fuori casa
all’interno di un piccolo balcone,
e decidono di condurla con loro, a casa. La moglie di Osamu comincia a
prendersi cura della piccola in attesa di riportarla a casa;
ma, successivamente, quando si scopre che i suoi veri genitori la
maltrattano, non si curano di denunciare la sua scomparsa e hanno rapporti
improntati ad una triste violenza, decide di tenerla con sé. Nonostante la
povertà e la mancanza di legami di sangue, la piccola ritrova la felicità nel
nuovo ambiente familiare e la scena più bella del film è proprio quando andrà
per la prima volta a vedere il mare e giocherà
felice e sorridente con l’acqua insieme
a tutti gli altri componenti della famigliola.
Questa oasi di pace , di felicità ed anche di
allegria non può durare e Kore’eda , attraverso
un evento improvviso, farà in modo che il film prenda la piega del
confronto con la realtà esterna e con la
spiegazione delle vere origini di tutti
i componenti di quella particolare famiglia.
Ritornati al principio di realtà, ognuno potrà
essere giudicato secondo criteri oggettivi e legali perdendo forse anche di
credibilità; ma, seduti all’interno della sala
del cinema, gli spettatori continueranno a sentire dentro di sé che il
loro modo di rapportarsi , la loro capacità di amare e di prendersi cura
dell’altro, forse in modo non regolare,
è molto, ma molto più credibile di quello che è spesso osservabile all’interno
di nuclei familiari, cosiddetti “normali”.
Per una società, come quella giapponese, che
siamo abituati ad immaginare come rispettosa delle formalità relazionali ,
questo film appare decisamente di “ rottura” e per niente ovvio.
Sicuramente all’altezza della difficoltà del
ruolo tutti gli attori: da Lily Franky( Osamu Shibata) a Sakura Andō( Nobuyo
Shibata) a Kirin Kiki( Hatsue Shibata) a Mayu Matsuoka ( Aki Shibata) al
piccolo Jyo Kairi ( Shota Shibata).
Una menzione a parte per la piccola Miyu
Sasaki, tenerissima interprete del personaggio di “Yuri" .
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