martedì 18 settembre 2018

UN AFFARE DI FAMIGLIA


“ Un affare di famiglia”è un film giapponese, diretto da Hirokazu Kore’eda, che è stato premiato  con la Palma d’Oro al Festival di Cannes  2018.
Anche in questo , come in molti altri film precedenti, Kore’eda  si sofferma sulla psicologia dei personaggi e, specialmente, sull’importanza dei sentimenti all’interno dei rapporti familiari. Pur partendo da questa chiave intimistica del racconto, tuttavia,  sembra denunciare una relativa crisi dell’istituzione familiare nella società giapponese e forse,  generalmente, in quella moderna, dove  le difficoltà di continuità , di rispetto  e di successo delle relazioni fra i coniugi costituiscono la premessa per una problematicità dello sviluppo personale e psicologico dei figli .
In diverso modo, tutto  questo ci viene rappresentato  in diversi  suoi film .
In  “ I Wish”(2011), centrato sulle aspettative di vita dei giovani ragazzi, o in“ Father and son” dove scava nell’analisi del ruolo paterno o come ancora in “Little sister” dove l’incontro fra sorelle e sorellastre, alla morte del padre comune, diventa da un lato l’occasione per una nuova relazione ma dall’altro un momento in cui possono finalmente emergere tanti dolori nascosti anche a se stessi  ed infine in “Ritratto di famiglia con tempesta “( 2016)  in cui le avversità esterne permettono al gruppo familiare di ritrovarsi.
In “Un affare di famiglia “ il regista ritorna ancora sul tema familiare , sul delicato rapporto che lega genitori e figli;  ma ,meglio ancora, sull’analisi di cosa significhi vivere con maturità ed adeguatezza questi ruoli.
Kor’eda lo fa con una forte provocazione . Ci mostra, infatti, un gruppo familiare povero e marginale,  che si muove spesso oltre i limiti della legalità, ma che, ai nostri occhi, presenta una indiscussa capacità di saper vivere insieme  con attenzione, affetto e capacità di essere felici. Un gruppo in cui ognuno riesce ,vivendo anche senza una particolare linearità ed enfasi il proprio ruolo, ad essere di sostegno e di aiuto agli altri.
Il padre alterna l’umile lavoro da manovale ai continui piccoli furti, che  contribuiscono al sostegno della famiglia. La madre lavora in una lavanderia, ma sembra avere avuto  un passato  da “escort”. Quella che sembra essere la nonna contribuisce alle necessità comuni con la sua parte di pensione riveniente dal marito ormai defunto. Quella che sembrerebbe la giovane zia, si dà da fare in una casa di piacere dove si mostra dietro una vetrina che la protegge dalla visione dei clienti. Il figlio ragazzino studia a casa,  convinto che solo chi non ha questa possibilità è costretto ad andare a scuola, e appena è possibile viene istruito dal padre all’arte del furto.
La relativa armonia di questo gruppo viene messa sotto esame di fronte alla necessità di affrontare un nuovo “ affare”. Di ritorno dall'ennesimo furtarello in un supermercato, Osamu( il padre)  e suo figlio si accorgono di una bambina abbandonata a sé stessa, chiusa fuori casa  all’interno di un piccolo balcone,  e decidono di condurla con loro, a casa. La moglie di Osamu comincia a prendersi cura della piccola in attesa di riportarla  a casa;  ma, successivamente, quando si scopre che i suoi veri genitori la maltrattano, non si curano di denunciare la sua scomparsa e hanno rapporti improntati ad una triste violenza, decide di tenerla con sé. Nonostante la povertà e la mancanza di legami di sangue, la piccola ritrova la felicità nel nuovo ambiente familiare e la scena più bella del film è proprio quando andrà per la prima volta a vedere  il mare e giocherà felice e sorridente  con l’acqua insieme a tutti gli altri componenti della famigliola.
Questa oasi di pace , di felicità ed anche di allegria non può durare e Kore’eda , attraverso  un evento improvviso, farà in modo che il film prenda la piega del confronto con la realtà esterna  e con la spiegazione delle vere origini di tutti  i componenti di quella particolare famiglia.
Ritornati al principio di realtà, ognuno potrà essere giudicato secondo criteri oggettivi e legali perdendo forse anche di credibilità; ma, seduti all’interno della sala  del cinema, gli spettatori continueranno a sentire dentro di sé che il loro modo di rapportarsi , la loro capacità di amare e di prendersi cura dell’altro,  forse in modo non regolare, è molto, ma molto più credibile di quello che è spesso osservabile all’interno di nuclei familiari, cosiddetti “normali”.
Per una società, come quella giapponese, che siamo abituati ad immaginare come rispettosa delle formalità relazionali , questo film appare decisamente di “ rottura” e per niente ovvio.
Sicuramente all’altezza della difficoltà del ruolo tutti gli attori: da Lily Franky( Osamu Shibata) a Sakura Andō( Nobuyo Shibata) a Kirin Kiki( Hatsue Shibata) a Mayu Matsuoka ( Aki Shibata) al piccolo Jyo Kairi ( Shota Shibata).
Una menzione a parte per la piccola Miyu Sasaki, tenerissima interprete del personaggio di “Yuri" .





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