martedì 18 ottobre 2016

Il testamento del capitano

Vi presento un nuovo racconto del mio amico e compagno del Liceo : Mario Basile

Inizia:



Durante la guerra del ‘15 – ’18 nacquero molte canzoni che inneggiavano alla patria in armi, a Trento e a Trieste da liberare, alla vittoria che avrebbe coronato il sacrificio dei combattenti e del popolo. Ma le canzoni più belle furono le più semplici : le ‘ cante ’ anonime , un po’ in lingua e un po’ in dialetto , sgrammaticate , ma vivissime , che si cantavano in trincea. Senza retorica , ma con crudo spietato senso della realtà , esse parlavano della dura vita del soldato : le marce , gli assalti , i bombardamenti dell’artiglieria , i compagni che morivano , e insieme il rimpianto della casa lontana , il desiderio della ‘ licenza ‘ , i sogni da realizzare non appena la guerra fosse finita . In quelle cante senza autore (ciascuno vi aggiungeva una strofa , l’adattava al suo reparto) veniva sempre lodata la figura del capitano : quel comandante valoroso , di cui fu ricco il nostro fronte , che marciava in testa ai suoi soldati , ma che sapeva essere sempre umano e paterno . Era il capitano per eccellenza , il capo d’altri uomini , anche se portava galloni diversi , di colonnello o di generale .

Antonio Cantore , generale degli alpini , fu uno di questi ‘ capitani ‘ . Vestito con un cappotto sdrucito , con il bastone in mano , il ‘vecio ‘ , come lo chiamavano affettuosamente , camminava giorno e notte nelle trincee e su per i monti e andava di pattuglia come un soldato qualsiasi .
Morì in primissima linea , colpito in fronte da una pallottola , mentre dalla trincea osservava col binocolo il nemico che gli stava innanzi , a duecento metri .

A lui e agli altri eroici capitani della grande guerra dedichiamo una di quelle canzoni di trincea .

E il capitan della compagnia

e l’è ferito, sta per morir ... !

Ghe manda a dire ai suoi alpini

perché lo vengano a ritrovar
 .
I suoi alpini ghe manda a dire

che non han scarpe per camminar …

’ O con le scarpe o senza scarpe

i miei alpini li voglio qua … ‘

’ Cosa comanda , sior Capitano

che noi adesso semo arrivà … ‘

Ed io comando che il mio corpo

in cinque pezzi sia taglià :

il primo pezzo alla bandiera ,

secondo pezzo al battaglion ,

il terzo pezzo alla mia mamma

che si ricordi del suo figliol !

Il quarto pezzo alla mia bella

che si ricordi del suo primo amor !

L’ultimo pezzo alle montagne

che lo fioriscano di rose e fior … !

L’ultimo pezzo alle montagne

che lo fioriscano di rose e fior … !

Chissà se qualcuno di questi valorosi capitani fu trasportato in barella dalle portatrici a valle per essere poi avviato , se ferito , agli ospedali da campo o , se morto , seppellito nel Cimitero di guerra di Timau , dove le stesse portatrici avevano scavato la fossa ?
Ma chi erano queste portatrici ? Erano donne della Carnia che avevano avvertito la gravità della situazione ed avevano aderito subito all'invito drammatico di mettersi a disposizione dei Comandi Militari per trasportare a spalla quanto occorreva agli uomini della prima linea . Arrivavano a destinazione col cuore in gola , stremate dalla disumana fatica , che diventava ancor più pesante d'inverno , quando affondavano nella neve fino alle ginocchia . Scaricavano il materiale , una sosta di pochi minuti per riposare , per portare agli alpini al fronte qualche notizia del paese e magari riconsegnare loro la biancheria fresca di bucato , portata giù a valle per essere lavata , nei giorni precedenti . Si incamminavano poi in discesa , per ritornare a casa , dove c'erano ad aspettarle i bambini , i vecchi , la cura della casa e della stalla .

All'alba del giorno dopo si ricominciava con un nuovo ‘ viaggio ’ .

Se vi trovate a passeggiare nella zona delle Alpi Retiche o Carniche , dove si svolsero le battaglie della prima guerra mondiale , se farete delle escursioni percorrendo suggestivi sentieri tra pini e abeti o seguirete semplicemente le piste forestali , se sarete capaci di ascoltare il soffio del vento , allora l’infinito silenzio di quelle montagne potrebbe ancora una volta essere squarciato dalle voci di quei soldati o dal lamento del loro capitano morente e se guarderete i fiori profumati di quelle montagne , ricordatevi che essi furono il solo omaggio ai poveri corpi di tanti alpini , morti lontano dalle loro mamme , fidanzate o mogli e sepolti tra queste montagne , con il perenne conforto del loro elmo , ricoperto dalla negra terra , e ricordatevi che tra gli alberi di queste nobili montagne aleggiano ancora le loro anime a cui fanno compagnia le strida dei falchi , il fragore dei ruscelli , il silenzio delle nevi e il vostro commosso pensiero .
Ricordatevi anche che qualche impervio sentiero fu percorso anche da quelle portatrici carniche che , con sforzo sovrumano e immenso amore e sacrificio , salivano questi monti , perché sentivano il loro cuore sussurrare : ‘ Anin , senò chei biadaz ai murin encje di fan ‘ , ovvero , ’ Andiamo , altrimenti quei poveretti muoiono anche di fame ’ .
Ricordiamo , in particolare , una di queste , Maria Plozner , alla quale , nel 1997 , il Presidente della Repubblica ha conferito ‘ motu proprio ‘ , la medaglia d'oro al valor militare alla memoria .
Era mamma di quattro figli in tenera età e sposa di un combattente sul fronte del Carso . Aveva solo 32 anni quando venne colpita a morte da un cecchino austriaco . Spirò la stessa notte nell'ospedale da campo .
Ebbe un funerale con gli onori militari , alla presenza di tutte le portatrici e fu seppellita a Paluzza .


Forse non è un caso che una straordinaria voce di donna abbia cantato in modo accorato quel canto alpino , perché non furono solo gli uomini gli unici eroi di quella guerra , ma lo furono anche le loro donne , con il loro umile e nascosto eroismo quotidiano .


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