lunedì 31 ottobre 2016

In guerra per amore



A volte si va in guerra per amore di una donna; ma, altre volte, si va in guerra per amore di un ideale, di qualcosa in cui si crede e per cui ci si sente in dovere di combattere.
E‘ questo che vediamo spesso attorno a noi ed è grazie a questo che la vita va avanti, nonostante le difficoltà e l’evidente senso di solitudine, di minoranza e d’indifferenza altrui che spesso accompagna questa lotta.
 A volte, accade poi che, portando avanti il nostro amore personale per la donna che amiamo o per la passione che abbiamo, prendiamo coscienza di qualcosa d’ancora più grande e socialmente complesso come i valori in cui crediamo. Accade quindi che, in qualche modo, ci ricollochiamo diversamente all’interno della società in cui viviamo.
Pierfrancesco Diliberto, in arte PIF, descrive, magistralmente e con grande leggerezza, questo percorso di presa di coscienza del protagonista di “ In guerra per amore” che, partendo dall’esigenza di difendere l’amore per Flora (una sempre più bella e brava Miriam Leone che abbiamo recentemente ammirato anche nel serial televisivo “ I Medici”) messo in pericolo dalle avances di un giovane mafioso americano, si arruola nell’esercito americano, pronto per lo sbarco in Sicilia nella seconda guerra mondiale, per ottenere dal padre della ragazza, rimasto in quella terra, il consenso al matrimonio.
Durante questo tentativo, il giovane conosce tuttavia un tenente americano anche lui partito per amore, ma di un tipo forse più importante: quello per la democrazia, la giustizia e la libertà che il Presidente Roosevelt aveva indicato come valori per i quali l’America era entrata in guerra.
Grazie a quell’incontro, la vita del giovane cambierà e, insieme all’amore per la sua donna, diventerà irrinunciabile raccogliere il testimone dell’amico ormai ucciso e portarlo avanti per sempre, in attesa di una risposta chiara ed impegnativa da parte di qualsiasi classe dirigente di qualsiasi paese.
Questa è la parte più intima e personale del film, che può riguardare il percorso di crescita ideale di ognuno di noi; ma, PIF ci regala un’altra parte altrettanto importante del discorso: la divulgazione verso il grande pubblico di una parte della storia poco conosciuta del nostro paese e che riguarda la presenza della Mafia in Sicilia.
In particolare, ci racconta del patto stabilito fra il capo di Cosa Nostra  (insieme alla Mafia siciliana) ed il Governo americano per consentire una rapida e vittoriosa offensiva delle forse armate “ alleate” in Sicilia durante la seconda guerra mondiale.
Quello che ci spiega, inoltre, d’ancora più importante è come, dopo lo sbarco, la Mafia fu anche utilizzata per gestire il territorio in quella fase d’estrema incertezza e confusione in accordo e a sostegno delle forze politiche nascenti e di quelle d’occupazione.
La Mafia, in quel momento, ha subito una sorta di legittimazione, riconoscendole un ruolo di controllo effettivo del territorio e ponendola, di fatto, con un evidente compromesso al servizio delle nuove nascenti istituzioni statali.
Le conseguenze sono state pesanti ed hanno condizionato tutto il dopoguerra e la storia di una parte importante del nostro Paese.
PIF appartiene a quella generazione di palermitani che aveva vent’anni quando Falcone e Borsellino cadevano sotto i colpi degli agguati mafiosi, ma rinascevano nella determinazione alla lotta contro la Mafia di questi ragazzi e nelle lenzuola bianche appese sui balconi dalla gente di Palermo.
Come sempre, quasi con indifferenza, leggerezza ed ironia, PIF ci racconta tutto questo nel suo film, lasciandoci a riflettere.
Usciamo dalla sala cinematografica con l’amara sensazione di aver ricevuto un pesante pugno nello stomaco.




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