A volte si va
in guerra per amore di una donna; ma, altre volte, si va in guerra per amore di
un ideale, di qualcosa in cui si crede e per cui ci si sente in dovere di
combattere.
E‘ questo che
vediamo spesso attorno a noi ed è grazie a questo che la vita va avanti,
nonostante le difficoltà e l’evidente senso di solitudine, di minoranza e
d’indifferenza altrui che spesso accompagna questa lotta.
A volte, accade poi che, portando avanti il
nostro amore personale per la donna che amiamo o per la passione che abbiamo,
prendiamo coscienza di qualcosa d’ancora più grande e socialmente complesso
come i valori in cui crediamo. Accade quindi che, in qualche modo, ci
ricollochiamo diversamente all’interno della società in cui viviamo.
Pierfrancesco
Diliberto, in arte PIF, descrive, magistralmente e con grande leggerezza,
questo percorso di presa di coscienza del protagonista di “ In guerra per
amore” che, partendo dall’esigenza di difendere l’amore per Flora (una sempre
più bella e brava Miriam Leone che abbiamo recentemente ammirato anche nel
serial televisivo “ I Medici”) messo in pericolo dalle avances di un giovane
mafioso americano, si arruola nell’esercito americano, pronto per lo sbarco in
Sicilia nella seconda guerra mondiale, per ottenere dal padre della ragazza,
rimasto in quella terra, il consenso al matrimonio.
Durante questo
tentativo, il giovane conosce tuttavia un tenente americano anche lui partito
per amore, ma di un tipo forse più importante: quello per la democrazia, la
giustizia e la libertà che il Presidente Roosevelt aveva indicato come valori
per i quali l’America era entrata in guerra.
Grazie a
quell’incontro, la vita del giovane cambierà e, insieme all’amore per la sua
donna, diventerà irrinunciabile raccogliere il testimone dell’amico ormai
ucciso e portarlo avanti per sempre, in attesa di una risposta chiara ed
impegnativa da parte di qualsiasi classe dirigente di qualsiasi paese.
Questa è la
parte più intima e personale del film, che può riguardare il percorso di
crescita ideale di ognuno di noi; ma, PIF ci regala un’altra parte altrettanto
importante del discorso: la divulgazione verso il grande pubblico di una parte
della storia poco conosciuta del nostro paese e che riguarda la presenza della
Mafia in Sicilia.
In
particolare, ci racconta del patto stabilito fra il capo di Cosa Nostra (insieme alla Mafia siciliana) ed il Governo
americano per consentire una rapida e vittoriosa offensiva delle forse armate “
alleate” in Sicilia durante la seconda guerra mondiale.
Quello che ci
spiega, inoltre, d’ancora più importante è come, dopo lo sbarco, la Mafia fu
anche utilizzata per gestire il territorio in quella fase d’estrema incertezza
e confusione in accordo e a sostegno delle forze politiche nascenti e di quelle
d’occupazione.
La Mafia, in quel
momento, ha subito una sorta di legittimazione, riconoscendole un ruolo di
controllo effettivo del territorio e ponendola, di fatto, con un evidente
compromesso al servizio delle nuove nascenti istituzioni statali.
Le conseguenze
sono state pesanti ed hanno condizionato tutto il dopoguerra e la storia di una
parte importante del nostro Paese.
PIF appartiene
a quella generazione di palermitani che aveva vent’anni quando Falcone e
Borsellino cadevano sotto i colpi degli agguati mafiosi, ma rinascevano nella
determinazione alla lotta contro la Mafia di questi ragazzi e nelle lenzuola
bianche appese sui balconi dalla gente di Palermo.
Come sempre,
quasi con indifferenza, leggerezza ed ironia, PIF ci racconta tutto questo nel
suo film, lasciandoci a riflettere.
Usciamo dalla
sala cinematografica con l’amara sensazione di aver ricevuto un pesante pugno
nello stomaco.
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