Nei giorni seguenti, Carlo e gli
altri amici rimasero spesso a fargli compagnia.
La sera si stava fuori fino a tardi.
Spesso, si andava fuori città nei paesi limitrofi. In riva al mare o sulle
pendici dell’Etna, il vulcano che sovrasta Catania.
Una volta, si ritrovarono a Capo
Mulini.
C’era una piccola trattoria in riva
al mare, con i tavoli posti proprio su di una piattaforma di legno piazzata fra
gli scogli di pietre laviche. Era un piacere assaporare quella pepata di
cozze, sorseggiando il vino bianco freddo della casa, sotto un cielo
profondamente nero ma punteggiato dalle mille luci delle stelle e rischiarato
da quel quarto di luna.
Si parlava del passato e del futuro.
Delle lotte all’università, del Movimento, che ormai era in riflusso, e di ciò
che li aspettava. Carlo aveva una bella voce, suonava da sempre la chitarra ed
aveva spesso cantato in pubblico con successo.
Cantava le canzoni della Resistenza,
i canti del lavoro e di lotta del movimento operaio e contadino.
La prima volta che Antonio lo aveva
conosciuto era stato proprio ad un concerto tenuto presso la sede di una
libreria considerata uno dei centri culturali e progressisti di
Catania. Erano i primi mesi che frequentava l’università ed un collega, che
lavorava all’Einaudi come venditore, gli aveva segnalato che nei locali della
libreria vi sarebbe stato quel concerto per voce e chitarra.
La sede era abbastanza vicina a casa
di Antonio. Era al primo piano di un palazzetto di Via Etnea vicino alla Villa
Bellini.
Per ironia della sorte, da un portone
vicino si accedeva anche alla sede provinciale del Movimento Sociale
Italiano . La sede dei “fascisti” come li definivano gli studenti di sinistra.
Molti di loro erano anche conosciuti come “ picchiatori” per le loro azioni di
disturbo e scontro fisico nei confronti delle attività politiche del
Movimento degli Studenti.
Quella sera, Antonio si diresse da
solo a quel concerto, che iniziava nel tardo pomeriggio .
Nessuno dei suoi amici si era
mostrato interessato e così aveva deciso di andare comunque a vedere. La sala
era abbastanza piccola. In un angolo era stato ricavato lo spazio per il gruppo
musicale composto da tre persone : Carlo, voce e chitarra, Franca , voce e
Cesare voce.
Era la prima volta che Antonio
ascoltava dei canti popolari e rimase colpito per l’intensità dei testi e per
la passione racchiusa pur nella semplicità delle melodie. Canti appassionati,
quasi gridanti la sofferenza e la volontà di riscatto dei loro protagonisti.
Franca cantò, con una voce acuta e allo stesso tempo
melodiosa, “ la mondina”. Carlo si esibì anche in una
canzone celebrativa della figura del rivoluzionario sudamericano
Simon Bolivar ed in una canzone della guerra civile spagnola,
accompagnando il canto alternando il suono della chitarra a delle battute a
tamburo sulla stessa, con il dorso della mano. Fu una bella serata ed un
successo.
Antonio rivide pertanto con piacere
Carlo quando si presentò, come neo studente, davanti al picchetto di
compagni che presidiava l’ingresso della facoltà occupata.
Con piacere Antonio garantì per la
sua identità e Carlo fu fatto passare. Col tempo e nel corso delle lotte
studentesche poi diventarono compagni ed amici, come tutti i componenti del
Movimento degli studenti della Facoltà. Quello era forse uno degli aspetti più
belli di quella situazione. Il numero relativamente modesto dei frequentanti e
degli attivisti permetteva di vivere quella realtà d’impegno politico anche
come una grande occasione d’amicizia personale. Dopo il rito delle assemblee e
dei collettivi, le stesse persone si rincontravano nei gruppi di studio, che
avevano sostituito nella maggior parte dei casi le lezioni cattedratiche.
Non era raro rivedersi poi
all’interno delle sale di lettura, dove si cercava di studiare, e che alla
fine si trasformavano in una grande riunione di amici, arricchita da risate e
chiacchiericci.
Spesso, dopo, si andava insieme a
cercare una delle vecchie osterie, frequentate una volta solo da muratori,
meccanici o altri operai in pausa pranzo, ed ora meta ambita di tanti studenti.
Sui tavolacci arrivavano così delle
salsicce arrosto fumanti, spesso aromatizzate con semi di finocchio, che
venivano annaffiate col robusto vino rosso della casa. E dire che Antonio
fino a qualche anno prima non aveva mai assaggiato un sorso di vino né bevuto
un caffè!
............................CONTINUA......................................
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